Maria Grazia Chiuri, una risorsa d’oro per Christian Dior
La prima donna a ricoprire la carica di direttore artistico di Christian Dior, l’italiana Maria Grazia Chiuri ha, in quattro anni e mezzo, stabilito una moda “semplice”, “portabile”, “elegante”, di “classe”. Un successo commerciale che lo legittima tanto quanto lo protegge arditamente.
Nel lontani gennaio 2016 Maria Grazia Chiuri è tornata dal Perù, dove ha trascorso una vacanza con il marito. La salita di Machu Picchu ha stancato i suoi polmoni del fumatrice, il mal di montagna l’ha sfinita. La stilista italiana allora incaricato della direzione delle creazioni di Valentino, in tandem con il suo amico di vecchia data, Pierpaolo Piccioli, prende una decisione.
A 51 anni, dopo diciassette anni nella “Maison Italiana Valentino“, si diceva che era arrivata l’ora di una nuova avventura. Quando squilla il telefono e le viene offerto un posto come direttore artistico all’interno di uno dei marchi più famosi del gruppo LVMH. Così, Maria Grazia ha incontrato Sidney Toledano, allora CEO di Christian Dior Couture, oggi capo di LVMH Fashion Group.
Sidney Toledano, le suggerisce di disegnare l’intera donna Dior prêt-à-porter, cucito, accessori, tutto. “Ho pensato tra me e me, se non cambio ora, non cambierò mai, era giunto il momento“, dichiara Maria Grazia oggi con un grande sorriso.
Appena annunciata la sua nomina nel lontano luglio 2016, un commento ha spazzato via tutti gli altri: “Finalmente una donna a capo di Dior, dopo quasi settant’anni di esistenza della “Maison”. In una dichiarazione, ha continuato: “È una grande responsabilità essere la prima donna a guidare la creazione di una casa così saldamente legata all’espressione della femminilità.“
“La prima cosa che mi hanno detto quando sono arrivata da Dior è che si trattava di un’azienda femminile, ma cosa significa oggi parlare delle donne e chi ci può aiutare a parlare bene delle donne? Mi piacciono tutte! Amo la loro compagnia. Ho molte amiche. Mi piace passare del tempo con mia figlia, mia madre, mia nonna. Ammiro le donne che in passato hanno lottato per fare ciò che amavano davvero. Le sento vicine. In questo momento sto leggendo la biografia, scritta da Giovanna Zapperi, di Carla Lonzi, una critica d’arte femminista molto importante in Italia negli anni sessanta e settanta“.
Maria Grazia, nella grande e forte commozione, viene insignita del titolo di “Cavaliere della Legion d’Onore“, la più alta ed ambita onorificenza della Repubblica Francese. A consegnargliela, al termine della eterea sfilata Haute Couture 2019, è Marlène Schiappa, segretaria di Stato Francese per le Pari Opportunità. Alla esimia stilista, il merito di aver dato prestigio alla moda francese e per essersi impegnata nel sociale con il suo manifesto femminista.
Bernard Arnault, proprietario del gruppo LVMH di cui fa parte anche la “Maison Francese“, commenta così l’evento: “Il talento di Maria Grazia Chiuri è immenso e riconosciuto a livello internazionale. Lei porterà con sé la sua visione elegante e moderna della donna, in perfetta armonia con i codici della Maison e l’eredità creativa di Monsieur Christian Dior“.
E noi osiamo dedicare a Maria Grazia, con infinita stima, ammirazione ed orgoglio una frase del nostro celebre compianto artista Pablo Picasso:
“Ci sono pittori che trasformano il sole in una macchia gialla, ma ci sono altri che con l’aiuto della loro arte e della loro intelligenza, trasformano una macchia gialla nel sole.“
“Chapeau bas” Maria Grazia!!!
Cultura
A Ravenna a Palazzo Guiccioli apre Museo Byron
Oltre 2mila metri quadrati di una storica residenza dove abitò con l'amante, contessa Teresa Guiccioli. Grazie a un'importante opera di restauro, per iniziativa della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, tornano a rivivere le stanze dove Byron amò e scrisse ( 'Don Juan', l’ultimo canto del 'Childe Harold’s Pilgrimage', 'Marino Faliero', 'Sardanapalus', 'The Two Foscari', 'The Prophecy of Dante'), mentre l’experience interattiva e intermediale trasporta i visitatori nell’Ottocento ravennate
Riparte da Ravenna la storia del poeta-simbolo del Romanticismo con l’inaugurazione, il prossimo 29 novembre, del Museo Byron e del Risorgimento nella sede di Palazzo Guiccioli. L'imponente dimora storica è stata trasformata in un complesso museale in cui, su due piani e attraverso 2mila e 220 metri quadri e ventiquattro sale, si riannodano i fili del lungo soggiorno di Byron in città, l'amore che lo legò alla contessa Teresa Guiccioli, che guidò l’esule inglese a Ravenna, e la passione civile germogliata all’incontro con la Carboneria. Primo passo sulla strada che avrebbe portato il grande poeta a votarsi alla causa della libertà dei popoli e unirsi agli indipendentisti greci.
Grazie a un'importante opera di restauro, per iniziativa della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, tornano a rivivere le stanze dove Byron amò e scrisse (qui compose, fra gli altri, il 'Don Juan', l’ultimo canto del 'Childe Harold’s Pilgrimage', 'Marino Faliero', 'Sardanapalus', 'The Two Foscari', 'The Prophecy of Dante'), mentre l’experience interattiva e intermediale firmata da Studio Azzurro trasporta i visitatori nell’Ottocento ravennate, specchio di slanci poetici e patriottici che percorsero tutta l’Europa. Accanto ai memorabilia sentimentali di Teresa, edizioni pregiate e cimeli risorgimentali, inclusi quelli provenienti dalla Fondazione Spadolini Nuova Antologia e dalla Fondazione Bettino Craxi, Palazzo Guiccioli ospita anche il Museo delle Bambole - Collezione Graziella Gardini Pasini. Il Palazzo è inoltre diventato sede italiana della Byron Society.
"Romana, bizantina, ostrogota, dantesca… dei molti volti di Ravenna, forse la Ravenna ottocentesca è quella che fino a oggi ha trovato meno spazio nella biografia della Città – spiega Ernesto Giuseppe Alfieri della Italian Byron Society e della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, che ha curato l'iniziativa della 'svolta' museale di Palazzo Guiccioli - Con l’inaugurazione del complesso museale offriamo ai visitatori la possibilità di ‘camminare’ attraverso quel secolo, sulle tracce di Lord Byron, di Teresa Gamba Guiccioli e degli uomini e delle donne che sognarono e fecero l’Italia unita".
"L’amore per Teresa portò Byron a trasformarsi e, senza diventare un santo, cambiò vita. Andava a cavalcare nella foresta pinetale a Ravenna e qui incontrava i Carbonari che lo salutavano in dialetto ma dicevano di essere ‘americani’ – spiega il presidente della Cassa di Ravenna Antonio Patuelli – Non lo erano ovviamente, ma lui, incuriosito da questa stranezza, approfondì la conoscenza fino ad aiutare quel movimento che fu la prima semina del Risorgimento dopo il Congresso di Vienna, per quel raccolto che si sarebbe realizzato poi con Mazzini, Garibaldi e Cavour. In Palazzo Guiccioli - aggiunge- si coniugano un’esigenza e un sogno. L’esigenza era quella del Comune, che aveva ereditato il Palazzo, di destinarlo a un uso adeguato, il sogno era quello nostro di vederlo dedicato al suo più illustre abitante".
"Una nuova pagina della storia di Ravenna racchiusa in un gioiello architettonico nel cuore della città - sottolinea Michele de Pascale, sindaco di Ravenna – che offrirà a cittadini e turisti un’occasione imperdibile per conoscere e scoprire l’unico museo al mondo dedicato alla figura di Lord Byron, il museo del Risorgimento e il museo delle Bambole-Collezione Graziella Gardini Pasini".
Dimora nobiliare fra le più imponenti ed eleganti della città, nel cuore della città, Palazzo Guiccioli fu eretto a fine Seicento per l’ascesa al patriziato della famiglia Osio, all’alba dell’Ottocento fu acquisito da Alessandro Guiccioli. Byron vi soggiornò fra il 1819 e il 1821 (aveva seguito a Ravenna l’amata Teresa Gamba, moglie del Conte Alessandro, di quarant’anni più anziano), durante la sua permanenza giunse in visita Percy Shelley. Più tardi vi soggiornò anche Oscar Wilde.
Cultura
Morta Adele Corradi, ‘la professoressa diversa’...
Aveva 99 anni. Aiutò il sacerdote negli anni difficili e avvincenti della Scuola di Barbiana
Adele Corradi, la professoressa che dal 1963 aiutò don Lorenzo Milani a fare scuola nel piccolo borgo di Barbiana, nel comune di Vicchio del Mugello (Firenze) fino 1967, anno della scomparsa del sacerdote, è morta questa mattina all'età di 99 anni a Firenze, dove era nata il 9 dicembre 1924. Corradi seguì anche l'intero lavoro di redazione collettiva del volume "Lettera a una professoressa", firmato come Scuola di Barbiana. Sulla sua esperienza e conoscenza di don Milani, negli anni più difficili e avvincenti della Scuola, Corradi, che per tutta la vita lavorativa è stata insegnante di scuola media fino all'età di 67 anni, ha pubblicato il libro "Non so se don Lorenzo" (Feltrinelli, 2012). Era "la professoressa diversa da tutte le altre", a cui don Milani dedicò una copia della più celebre delle sue lettere.
L'annuncio della scomparsa è stato dato dalla Fondazione don Lorenzo Milani con un comunicato sul proprio sito internet: "Ci stringiamo intorno al dolore della grande famiglia del priore di Barbiana e di quanti hanno voluto bene ad Adele, consigliera ed anche per noi maestra". "Adele Corradi ha voluto bene al suo priore ed ha passato tutta la sua esistenza a difenderlo dalle periodiche accuse, a fare conoscere il suo insegnamento e la sua scuola", aggiunge la Fondazione.
Nel suo libro "Non so se don Lorenzo" si legge a tal proposito: "A me pare orribilmente offensivo anche soltanto tentare di difenderlo. Don Milani si difende da solo. Con tutto quello che ha fatto. E con tutto quello che ha scritto. Ma bisogna leggerlo tutt’intero, non limitarsi a estrapolare una frasetta interpretandola a vanvera. Leggendo il suo testamento, si comprende che per don Lorenzo l’amore di Dio si potesse vedere solo attraverso l’amore per le sue creature. A Barbiana si viveva nell’attenzione: don Lorenzo i suoi ragazzi non li perdeva mai di vista. E, nonostante la fortissima personalità del maestro, non si creava mai dipendenza psicologica".
Adele Corradi ha raccontato: "Mi diedero una supplenza, la prima supplenza della scuola statale, per l'appunto a Borgo San Lorenzo. La preside mi parlò di questa scuola di Barbiana, dove i ragazzi facevano cose straordinarie: studiavano, facevano orario continuato". Così ebbe il desiderio di visitare quella scuola e quando arrivò per la prima volta a Barbiana, don Milani, come sempre il pomeriggio, iniziò la lezione con la lettura del giornale. "Volevo conoscere questa scuola perché ero lì a combattere con ragazzi che non avevano voglia di far nulla e mi chiedevo: come fa questo tizio a ottenere questi risultati, ha qualche ricetta? Un mese dopo ci tornai. Arrivai che stavano facendo lezione e mi misi seduta ad ascoltare. Mezz'ora dopo, i ragazzi facevano dieci minuti di pausa. Don Milani mi disse: 'Ha qualche ragione particolare, signora, per essere ritornata oggi?' 'Sì' - dissi - 'vi volevo chiedere come fate a insegnare a scrivere l'italiano' - perché in un articolo avevo letto: 'nella nostra scuola si scrive quando siamo ispirati. Non insegna nessuno'".
Così Adele chiese aiuto a don Milani e lui gli rispose che proprio quel giorno avrebbero iniziato un metodo di scrittura che sarebbe servito a qualcosa: "Stavano iniziando la lettera a Mario Lodi. Nella lettera dei ragazzi si descrive cos'è Barbiana. In quella di don Milani si spiega com’era stata scritta". Adele cominciò a seguire la scuola di Barbiana e don Milani però volle farle capire che non era importante solo il metodo. "Una delle cose che si imparavano era la scrittura collettiva, che rispettava il pensiero degli altri. E così sono rimasta a Barbiana". Infatti, poco dopo, si trasferì in una casa vicino alla parrocchia. La mattina la passava nella scuola media di Borgo San Lorenzo e la sera insegnava a Barbiana.
Di sé stessa Corradi aveva detto: "Per tutta la mia vita lavorativa sono stata insegnante di lettere nella scuola media. Sono andata in pensione a 67 anni. Devo confessare che ero un'insegnante identica alla destinataria della 'Lettera ad una professoressa'. I rimproveri che i ragazzi di Barbiana rivolgono a quell'insegnante me li meritavo tutti. Per questo non c'è una parola della 'Lettera' che non sottoscriverei. L'incontro con la Scuola di Barbiana e con don Milani ha scavato un solco nella mia vita. Mi sono vista come non mi ero mai vista. E non solo come insegnante, ma come persona". (di Paolo Martini)
Cultura
ASP —Massimiliano Ossini: “Sul K2 ho capito il...
Il conduttore racconta la sua scalata della 'montagna selvaggia' nel suo ultimo libro
Un'esperienza al limite della sopravvivenza. Un viaggio duro, difficile, pericoloso. Una scalata che mette alla prova la capacità di resistere. Un'avventura da mozzare il fiato che, però, ha molto da insegnare e che nasconde un messaggio prezioso. Ovvero che, nella vita di tutti i giorni così come nelle prove più estreme, è necessario a volte rinunciare a compiere quel passo in più che "potrebbe essere fatale" e fermarsi. È l'insegnamento che Massimiliano Ossini, volto noto del piccolo schermo, ha tratto dalla 'prova impossibile' cui si è dedicato nello scorso mese di luglio: documentare in prima persona la spedizione di alcune alpiniste italiane e pakistane che hanno scelto di sfidare gli 8.611 metri della seconda montagna della Terra, il K2. Un'esperienza che il conduttore di 'Unomattina' su Rai 1 e ora concorrente di 'Ballando con le Stelle' descrive nel libro 'K2. Un passo dalla vetta, un passo dalla vita', pubblicato da Rai Libri e sugli scaffali da pochi giorni.
Questa esperienza, racconta Ossini all'AdnKronos, insegna il valore "di saper rinunciare e di fermarsi in qualsiasi situazione: in una scalata in montagna o nella vita di tutti i giorni. I social vorrebbero che fossimo i primi in tutto, in tutte le situazioni, a scuola o al lavoro. Ci vorrebbero tutti supereroi, stravolgendo la realtà. Ecco, durante questo viaggio, abbiamo capito sulla nostra pelle quanto sia importante la rinuncia che non è sinonimo di sconfitta ma di intelligenza". Ossini ricorda, a questo proposito: "Io sono stato benissimo, non ho avuto problemi ma ho deciso di arrivare al 75% delle mie potenzialità, tornando indietro. C'erano tante persone che mi aspettavano a casa e non volevo neanche mettere a rischio il gruppo con cui ho fatto l'impresa. Ho deciso di fermarmi ad un passo dalla vetta".
A settant’anni dalla storica prima ascensione del K2, Ossini si è confrontato con 'la Montagna Selvaggia', come viene definito il K2. "Ho accompagnato - dice - otto donne, quattro ragazze italiane e quattro pakistane. Per la prima volta al mondo due Paesi hanno celebrato i settant'anni dalla prima ascesa sul K2. Abbiamo voluto portare in cima i padroni di casa, le quattro pakistane insieme alle ragazze italiane, ricordando i primi che salirono su quella vetta: gli alpinisti Achille Compagnoni e Lino Lacedelli che compirono l'impresa nel 1954 con l'aiuto fondamentale di Walter Bonatti. È stato - prosegue Ossini - un viaggio molto fisico: è una delle esperienze più difficili al limite della sopravvivenza. Purtroppo, nel corso della spedizione, ci sono state delle persone che non ce l'hanno fatta, altre si sono dovute ritirare perché hanno avuto edemi polmonari e cerebrali".
La scalata del K2, infatti, non è stata accompagnata soltanto da disagi improponibili ma anche, e soprattutto, da tragedie che hanno scandito la lenta e faticosa ascesa verso la vetta. "Un ragazzo, un portatore, purtroppo è morto. Ha avuto un edema cerebrale. È uscito dalla tenda, ed è morto per ipotermia". Non solo: "Tra le pakistane c'era Samira che aveva già raggiunto per quattro volte gli ottomila metri. Nel corso della spedizione, arrivati al campo base è stata male. Ha avuto anche lei un edema polmonare ed è stata accompagnata d'urgenza al primo villaggio con un asino e la bombola d'ossigeno facendo 60 chilometri. Due giapponesi, che avevano una tenda accanto alla nostra, stavano provando a raggiungere la cima dalla parte occidentale. Purtroppo sono caduti ed entrambi sono morti".
D'altro canto, conclude Ossini, è stata anche una prova "psicologica: abbiamo vissuto per un mese facendo 190 chilometri. Abbiamo dormito sempre in tenda, non ci potevamo fare la doccia. L'unico momento in cui si stava insieme al caldo era quando eravamo vicino al fornello a cucinare". Un'avventura, afferma il conduttore, durante la quale "ci siamo spogliati di tutto, lasciando a casa tutti gli orpelli della vita quotidiana".(di Carlo Roma)