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In data 29 novembre l’incremento nazionale dei casi è +1,31% (ieri +1,71%) con 1.585.178 contagiati totali, 734.503 dimissioni/guarigioni (+13.642) e 54.904 deceduti (+541); 795.771 infezioni in corso (+6.463). Elaborati 176.934 tamponi totali (ieri 225.940) con 80.132 nuovi casi testati (ieri 112.839); 20.648 positivi (target 6.000); rapporto positivi/tamponi totali 11,66% (ieri 11,65% – target 2%); rapporto positivi /nuovi casi testati 25,76% (ieri 23,32% – target 3%). Ricoverati con sintomi -420 (32.879); terapie intensive -9 (3.753).

Nuovi casi soprattutto in: Lombardia 3.203; Veneto 2.617; Campania 2.022; Piemonte 2.021; Lazio 1.993. In Lombardia curva +0,79% (ieri +1,15%) con 28.434 tamponi totali (ieri 37.286) e 9.748 nuovi casi testati (ieri 13.715): 3.203 positivi (target 1.000); rapporto positivi/tamponi totali 11,26% (ieri 12,37% – target 2%); rapporto positivi/nuovi casi testati 32,85% (ieri 33,64% – target 3%); 405.862 contagiati totali; ricoverati -216 (7.400); terapie intensive -12 (907); 135 decessi (21.647).

Dobbiamo un chiarimento sul tema casi testati, totali e giornalieri: come ha segnalato qualche lettore il numero non corrisponde (è inferiore) ai tamponi diagnostici. Un soggetto testato due mesi fa con esito negativo, e di nuovo oggi, viene infatti riflesso nei tamponi totali (+1) ma non nei casi testati: perché essendo già presente a sistema non viene conteggiato una seconda volta. Prima di procedere nel merito, ripetiamo quanto sottolineato in questi mesi: quando si affronta un’epidemia le regole della statistica vengono (purtroppo) spesso disattese. I dati disponibili, che dovrebbero essere raccolti, conteggiati e comunicati in modo uniforme e confrontabile nel tempo, non sempre lo sono.

Quello che studiamo sui banchi dell’università, e che ci sembra perfetto, si scontra con l’imperfezione della realtà. Così accade in Italia: con le 21 Regioni e Province autonome che raccolgono, conteggiano e comunicano i dati in modo non uniforme. Protezione Civile, Ministero della Salute e Iss sono costretti a lavorare con questi numeri. La comunità scientifica ha più volte invocato la messa a disposizione dei dati per provare a districare la matassa: richiesta finora inascoltata. Torniamo al punto: i casi testati (nuovi casi testati per il dato giornaliero) sono meno rispetto ai tamponi diagnostici effettuati. Ma di quanto? In assenza di numeri precisi dobbiamo procedere per approssimazioni, ricorrendo alle informazioni che ci arrivano dal campo. La categoria che più contribuisce a questa casistica è quella degli operatori sanitari, negli ultimi tempi sottoposta ciclicamente a test nel corso di una preziosa attività di screening.

Non in tutta Italia allo stesso modo: alcune Regioni, per esempio Veneto e Lombardia, sono più attive di altre, quindi non sappiamo quante volte il singolo operatore sanitario venga davvero testato nel corso del tempo. Secondo: la mole di lavoro richiesta per questa attività di screening si somma all’emergenza quotidiana, al punto che diventa quasi impossibile mantenere le scadenze. Per esempio la Lombardia consiglia un test ogni 14 giorni, ma il ritmo è difficilmente sostenibile. In molti ospedali, non solo in Lombardia, con il massimo sforzo si arriva a 3-4 settimane. In genere il personale viene sottoposto a tampone rapido e solo in caso di positività o test dubbio si procede con il tampone molecolare. Tutto risolto? No, perché alcune Regioni non conteggiano i test rapidi nel totale dei tamponi eseguiti: i soggetti testati in queste aree diventano ufficialmente un “caso testato” solo se e quando si procede al tampone molecolare: non necessariamente, dunque, la prima volta. Per pura ipotesi potremmo avere un soggetto sottoposto a 10 test rapidi, tutti negativi, e mai registrato tra i casi testati.

Restando alla categoria degli operatori sanitari possiamo fare qualche considerazione, fuori dalle regole ferree della statistica.
1) Una sistematica attività di screening
è stata avviata dopo metà ottobre. In Regione Lombardia (la citiamo spesso solo perché è la più popolosa e con un maggior peso sui dati nazionali) le indicazioni in proposito sono oggetto di una circolare datata 3 novembre. Da allora, nel migliore dei casi, un singolo operatore sanitario è stato sottoposto a due test. (Molti, essendo ancora in attesa del primo, sorrideranno leggendo queste righe, ma largheggiamo…). E, ripetiamo, la Lombardia da questo punto di vista è tra le più attive.
2) La continua ripetizione di test su un campione parziale della popolazione, utilissima come prevenzione, non fornisce indicazioni sulla reale circolazione del virus. Se anche testassimo ogni giorno tutti gli operatori sanitari, circa 600.000, avremmo una fotografia dell’1% della popolazione italiana.
3) Dal punto di vista epidemiologico, non statistico, il calo costante dei tamponi giornalieri poi riportati tra i “casi testati” contraddice le regole da seguire quando si allentano le misure di mitigazione. I test andrebbero invece aumentati, per liberare il territorio dal maggior numero possibile di soggetti in grado di trasmettere il contagio.

Lo si potrebbe fare, nei limiti delle capacità attuali, riducendo il numero dei tamponi dedicati alla conferma di positività o guarigione: la circolare del Ministero della Salute, 12 ottobre 2020, stabilisce infatti che i soggetti positivi, trascorsi 21 giorni dalla comparsa dei sintomi e purché asintomatici da una settimana, possano interrompere l’isolamento e tornare in comunità. Potremmo quindi usare il tempo al posto dei test di conferma, dirottandoli al tracciamento dei casi sul territorio. Quanto il numero totale dei casi testati si differenzia al ribasso dai test diagnostici eseguiti? Non è possibile saperlo con i dati disponibili: ma considerando quanto appena detto per gli operatori sanitari, e la nota difficoltà di molti italiani per fare il primo tampone, è difficile immaginare che i fortunati ad avere ottenuto un secondo, terzo o quarto tampone diagnostico siano in numero sufficiente da rialzare in modo sensibile i 12.922.382 casi testati alla sera del 29 novembre. Un secondo aspetto, direttamente correlato, riguarda il parametro positivi/tamponi totali: più solido e affidabile (teoricamente). In realtà questo dato presenta una grave discontinuità: nel conteggio dei test totali alcune Regioni hanno iniziato a inserire i test rapidi. A puro titolo di esempio lo fa il Piemonte, non il Veneto. Sono caricati a sistema con un codice diverso dai molecolari, ma concorrono senza distinzione al totale comunicato.

Il denominatore su cui calcoliamo il rapporto positivi/tamponi totali risulta quindi sovrastimato rispetto ai soli test molecolari, gli unici che “certificano” la positività e che abbiamo utilizzato per mesi. Ma al tempo stesso risulta sottostimato, perché mancano i test rapidi delle Regioni che hanno finora scelto di non comunicarli. In entrambi i casi, il valore ottenuto non è correttamente confrontabile con il passato. In sintesi: il totale dei casi testati (e dei nuovi casi testati) non corrisponde al totale dei test diagnostici, così come il totale dei tamponi non corrisponde alla realtà. Riteniamo tuttavia che la circolazione del virus sia meglio rappresentata dal rapporto positivi/nuovi casi testati (lo indichiamo così, non come positivi/tamponi diagnostici) che non da quello positivi/tamponi totali. Di quest’ultimo parametro, e non solo, abbiamo più volte discusso con Carlo Favero (Università Bocconi) e Stefano Bonetti (Università Ca’ Foscari): entrambi concordano sulla bassa attendibilità e utilità di un indicatore che incorpora le anomalie sopra descritte. Per questo abbiamo scelto di indicare dei target, compresi nel range generalmente accettato in epidemiologia. A quelli, più che ai dati purtroppo da prendere con cautela, dobbiamo guardare.

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Covid, forte legame tra smog e virus: lo studio

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Ricerca Enea-Università di Roma Tor Vergata

Covid, forte legame tra smog e virus: lo studio

Uno studio Enea - Università di Roma Tor Vergata ha evidenziato una forte affinità tra il particolato atmosferico (Pm2.5) e la proteina Spike del virus Sars-Cov-2 responsabile del Covid. I risultati, che descrivono l’interazione tra le polveri sottili e il virus attraverso simulazioni di dinamica molecolare eseguite con il supercalcolatore Cresco6, sono stati pubblicati sulla rivista online Science of The Total Environment e rientrano nell’ambito del progetto Pulvirus.

“Durante la fase iniziale della pandemia la Lombardia e, in generale, tutta l’area della Pianura Padana sono state colpite più duramente dall’infezione virale rispetto al resto del Paese. Parliamo di una parte d’Italia tra le più inquinate e questo ha portato la comunità scientifica a ipotizzare un possibile ruolo del particolato atmosferico nella diffusione del virus”, spiega Caterina Arcangeli, ricercatrice Enea del Laboratorio Salute e Ambiente e coautrice dello studio insieme ai colleghi Barbara Benassi, Massimo Santoro e Milena Stracquadanio e ai ricercatori del Dipartimento di Biologia dell’Università di Roma Tor Vergata Alice Romeo, Federico Iacovelli e Mattia Falconi.

Lo studio è partito dalla verifica e dimostrazione della presenza del genoma del virus responsabile del Covid-19 su almeno il 50% dei campioni di filtri per il Pm2.5 raccolti nella città di Bologna nell’inverno del 2021. “A seguire abbiamo realizzato al computer modelli molecolari semplificati di Pm2.5 e di Sars-Cov-2 e abbiamo valutato la loro interazione mediante simulazioni ad alte prestazioni eseguite con il supercalcolatore Cresco6”, aggiunge Arcangeli.

Le simulazioni - spiega una nota - hanno mostrato chiaramente che i glicani (zuccheri) presenti sulla superficie della proteina Spike giocano un ruolo importante nell’interazione tra virus e particolato, mediando il contatto diretto con la corrispondente superficie del nucleo di carbonio del Pm2.5. Inoltre, dallo studio emerge anche una stretta correlazione tra Pm2.5 e virus anche rispetto alle caratteristiche chimiche del particolato fine, il cui contenuto in carbonio elementare sembra avere una funzione guida nell’interazione con il Sars-Cov-2.

“Sebbene l’affinità tra Pm2.5 e Sars-Cov-2 appaia plausibile, la simulazione non permette di valutare se queste interazioni siano sufficientemente stabili per trasportare il virus nell’atmosfera o se il virione mantenga la sua infettività dopo il trasporto. La possibilità che il virus possa essere ‘sequestrato’ dal Pm, con conseguente riduzione di infettività e diffusione, o inattivato da questa forte interazione con il particolato non può essere quindi esclusa”, prosegue la ricercatrice Enea.

La forza delle simulazioni al computer effettuate da questo studio risiede nella capacità di modellare diversi tipi di particolato, variando sia la concentrazione che la composizione chimica degli inquinanti atmosferici. Queste simulazioni possono, dunque, rappresentare uno strumento utile per valutare rapidamente l’eventuale interazione delle polveri sottili con virus, batteri o altri bersagli cellulari rilevanti. “Questa possibilità potrebbe dimostrarsi utile per contrastare o controllare la diffusione di future malattie trasmesse per via aerea in regioni altamente inquinate e fornire informazioni utili per elaborare piani di controllo dell'inquinamento dell’aria”, conclude Arcangeli.

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Coronavirus

Doug Pitt: l’uomo oltre il nome famoso

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Nel mondo delle celebrità, spesso i riflettori sono puntati su nomi familiari come Brad Pitt, ma dietro ogni grande figura c’è un intero universo di individui che contribuiscono in modo significativo al loro settore e alla società nel suo complesso. Uno di questi casi è quello di Doug Pitt, fratello minore dell’acclamato attore Brad Pitt. Ma Doug è molto di più di “il fratello di”. È un imprenditore di successo, un filantropo appassionato e una figura che merita sicuramente di essere conosciuta più a fondo. Personalità sfaccettata e di grande successo, ha un nome costruito grazie alle sue aziende votate alla tecnologia e alle numerose attività di filantropo nel corso degli anni.

Dal fratello di Brad Pitt all’individuo di successo

Nato il 2 novembre 1966 a Springfield, nel Missouri, Doug Pitt è soprattutto conosciuto perché condivide lo stesso sangue con l’attore hollywoodiano Brad Pitt. Spesso cresciuto all’ombra del più celebre fratello maggiore, Doug ha intrapreso una strada di successo contando sulle proprie capacità e i propri interessi. Dopo aver completato gli studi all’università della sua contea, infatti, ha iniziato una carriera tutta in salita nei settori immobiliare e finanziario, mostrando sin da subito il suo talento nel mondo degli affari. Risale all’aprile del 1991 la fondazione della sua prima azienda, la ServiceWorld Computer, occupata nella fornitura di servizi informatici. A soli 25 anni inizia così la scalata che lo porterà nel mirino del club dei milionari.

Nel 2007 decide di cedere il 75 per cento degli interessi dell’azienda a Miami Nations Enterprises rimanendone però il proprietario e principale partner operativo. Nel 2012 fonda quindi TSI Integrated Services in collaborazione con TSI Global. Nel 2013 Pitt e Miami Nations Enterprises decidono di fondere ServiceWorld con TSI Global. Nel 2017 Pitt ricompra la sua prima società di computer creando la nuova Pitt Development Group, società specializzata in sviluppi commerciali e territoriali. Con questa azienda si è proposto come leader indiscusso nel settore.

Imprenditore e Filantropo

Doug Pitt non è solamente un uomo d’affari di successo, ma un filantropo impegnato che usa i suoi mezzi a disposizione per intervenire in aree critiche del mondo. “Care to Learn”, di cui è il fondatore, è un’organizzazione benefica che fornisce risorse essenziali a bambini che vivono in contesti difficili. L’organizzazione si concentra su bisogni fondamentali come cibo, vestiti e attrezzature scolastiche, permettendo ai più giovani di crescere e imparare in un ambiente positivo e accogliente.

Doug è anche collaboratore di Waterboys.comWorldServe International e Africa 6000 International (a cui partecipa anche la sorella Julie), organizzazioni impegnate nella fornitura di acqua potabile nei paesi africani più in difficoltà, come Tanzania e Kenya. Nel 2010 l’allora presidente della Tanzania Jakaya Kikwete lo ha insignito del titolo di Ambasciatore di buona volontà per la Repubblica Unita di Tanzania. Con questo titolo opera in qualità di intermediario per tutte quelle aziende che vogliono contribuire alla rinascita economica e culturale del paese. Nel 2011 il presidente americano Bill Clinton lo ha premiato con l’Humanitarian Leadership Award.

Dietro le quinte dell’industria del vino

Oltre al suo coinvolgimento nel settore immobiliare e nell’ambito delle opere di beneficenza, Doug Pitt ha anche sviluppato una passione per il mondo del vino. È coinvolto nella gestione di “Pitt Vineyards”, un’azienda vinicola che produce vini di alta qualità. Questa dedizione per il vino riflette la sua grande curiosità e il suo interesse per settori imprenditoriali differenti.

Una vita riservata

La famiglia di primo piano non ha impedito a Doug Pitt di mantenere un profilo relativamente basso nel mondo dei media. Ha cercato, infatti, di proteggere la sua privacy e di concentrarsi sul suo lavoro e sulle sue passioni, piuttosto che sfruttare la sua connessione familiare per attirare l’attenzione dei riflettori. Nel 1990 ha sposato Lisa Pitt, conosciuta all’università, e insieme hanno tre figli: Landon, Sydney e Reagan.

Nonostante abbia sempre cercato di non farsi notare, in certe occasioni è apparso sui media presentandosi in modo scherzoso come il fratello del più celebre Brad. Ha girato diversi spot pubblicitari, come quello per Virgin Mobile Australia, e in alcuni ha vestito persino i panni del fratello, come nella pubblicità per Mother’s Brewing Company. In diverse interviste rilasciate (come quella all’emittente Nova FM) ha anche ammesso di essere scambiato per il fratello almeno 3 volte a settimana da sconosciuti che lo incontrano per strada. Questo perché i due fratelli oltre a condividere carriere di successo, hanno effettivamente un fisico e dei lineamenti molto simili.

L’eredità di Doug Pitt

La storia di Doug Pitt dimostra come dietro a ogni individuo ci siano esperienze, imprese e passioni diverse che meritano di essere riconosciute. Pur essendo spesso additato come “il fratello di Brad Pitt”, la sua dedizione per il mondo degli affari, il suo coinvolgimento nella beneficenza e la sua capacità di perseguire le sue passioni lo rendono un esempio di impegno e di successo. Il suo lavoro nel settore imprenditoriale e filantropico dimostra come sia possibile creare un’eredità significativa indipendentemente dal nome di famiglia e che ognuno ha il potenziale per influenzare positivamente sulla vita degli altri.

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Coronavirus

È finalmente nelle sale cinematografiche il film “Tic Toc”

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E continua anche il suo tour promozionale con vari appuntamenti.

Girato a Terni negli studios di Papigno, la commedia è stata diretta dal regista Davide Scovazzo mentre la produzione è stata affidata ad Anteprima Eventi Production e Management S.r.l. di Massimiliano Caroletti. Il film vanta un cast di eccezionali attori noti al pubblico tra cui Eva Henger, Maurizio Mattioli, Sergio Vastano, Fausto Leali, Donatella Pompadour, Valentino Marini, Paolo Pasquali alias Doctor Vintage, Cristiano Sabatini alias Bike Chef, Simone Bargiacchi alias Antonio Lo cascio, Samuel Comandini Alisa Zio_ Command, Fabio Stirlani alias Stirlo , Dimitri Tincano, Jennifer Caroletti, Antonella Scarpa alias Himorta, Vanessa Padovani alias Miss Mamma Sorriso, Chaimaa Cherbal, Claudia Letizia ,Elena Colombi , Paola Caruso, Luigi Iocca, Giuseppe Lisco, Rosy Campanale, Daniel Bellinchiodo, Francesco Aquila, Michela Motoc.

E proprio Eva Henger con Massimiliano Caroletti insieme alla figlia Jennifer, al suo debutto sul grande schermo, sono ospiti della prestigiosa kermesse cinematografica Ischia Global Fest, e incontreranno il pubblico prima della proiezione con Doctor Vintage, anche lui nel cast della pellicola, nella serata del 13 luglio.

Filo conduttore del film il rapporto con i social. Tic Toc è una commedia che intreccia tante vicende e scopre tante realtà partendo dalla storia di quattro intraprendenti scansafatiche che per guadagnare qualche soldo decidono di rapire Eva Henger. Un progetto che frana a causa del Covid e che innesca un susseguirsi di intoppi divertenti: “Un gruppo di Sinti, una sorta di gang Fedeli al triste, ma vero, gioco di parole “è tutto LORO quello che luccica”, i quattro passano giornate ad invidiare le superstar di oggi , ovvero gli, e soprattutto le, Influencers, attribuendo a ognuno e a ognuna di loro vite principesche, fatte di limousines, jet privati, champagne della migliore categoria, ville gigantesche e stuoli di servitori, tutto ciò che, nella loro miseria, è loro negato dalla vita, in una maniera che, dal loro punto di vista, reputano ingiusta ed immorale. Stufi di raccogliere le briciole di quello che loro credono essere solo un mondo dorato e pieno di privilegi, i quattro mascalzoni vengono a sapere che la star Eva Henger inaugurerà una Escape Room (cosa che loro non hanno idea di cosa sia) a Terni, per cui a Zagaja, ma ben presto condiviso dagli altri pur se con qualche perplessità soprattutto da parte di Bike Chef, viene la “brillante” idea: appostarsi poco prima dell’entrata della Escape Room e rapire la Diva, che per lui è anche il suo sogno erotico da sempre, in modo da chiedere il riscatto ai suoi numerosi sponsor”, ha spiegato l’ideatore Fabio Stirlani. La trama affronta in chiave drammatica argomenti comici che riflettono l’attualità.

Un film che segna il grande ritorno al cinema di Eva Henger che per l’occasione ha interpretato se stessa. Un ruolo cucito alla perfezione su di lei: “Ho interpretato me stessa. Pensavo fosse facile, invece è stato difficilissimo. Quando si interpreta la propria persona ci si rende conto di non conoscerla realmente. Ho dovuto metterci dell’ironia, verve e passione, anche perché sarà un film comico, che farà ridere molto”. Assieme a lei sul set la figlia Jennifer Caroletti interessata a seguire le orme della madre.

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