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Lancio del singolo d’esordio di Michael Gambino: “Magnate o Ca’”

Michael Gambino, nuovo talento emergente, ha ufficialmente debuttato nel panorama musicale con il suo primo singolo intitolato “Magnate o Ca’”. Il brano, ricco di doppi sensi divertenti e con un videoclip didascalico, è disponibile su tutte le piattaforme digitali dal 26 maggio 2023.

Gambino ha fatto il suo debutto alla “Festa dei Sogni” 2023 a Nola, riscuotendo un successo clamoroso e consolidando il suo posto nel cuore del pubblico. L’artista ha partecipato a una serie di trasmissioni televisive per presentare il suo primo singolo, un inno dedicato alla squadra di calcio del Napoli che ha celebrato la sua stagione vincente.

Contraddistinto da una maschera bianca che corrisponde perfettamente al colore del suo completo sportivo, poco si sa del misterioso Michael Gambino. Ciò che si nota è la mancanza di enfasi sulla sua identità personale, portando all’interrogativo: è l’anonimato il vero distintivo di questo artista?

Con un approccio anti-conformista, Gambino punta a dare voce all’anima e a far risplendere le parole che compongono le sue canzoni. In un’epoca in cui l’apparenza sembra essere tutto, l’artista sceglie di esprimersi attraverso testi ironici ma al contempo reali e crudi.

Questo intrigante personaggio mascherato ha già suscitato grande interesse, attirando l’attenzione sia sul suo personaggio che sulla sua musica. Con il potenziale di diventare il tormentone estivo, “Magnate o Ca’” è solo l’inizio per Gambino che si sta già preparando per il suo primo tour.

Giornalista e fondatore dell’agenzia Massmedia Comunicazione, è il motore dietro gran parte delle nostre interviste. Con un occhio per i dettagli e un talento nel porre le domande giuste, contribuisce significativamente al nostro contenuto.

Spettacolo

L’anima di Freddie Mercury rivive nel nuovo singolo...

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Freddie”, il nuovo singolo di MaLaVoglia, è disponibile dal 22 novembre 2024 su tutte le piattaforme di streaming e in rotazione radiofonica. Ma attenzione, questo brano è un dialogo, una lettera, una conversazione col cuore aperto e l’anima in mostra. Parla di miti, di leggende e di cosa significa davvero essere una figura iconica come Freddie Mercury.

Chi è, davvero, Freddie Mercury? O meglio, chi era Farrokh Bulsara, l’uomo dietro l’immensa presenza scenica dei Queen? Freddie non cerca risposte semplici, non dà soluzioni preconfezionate. MaLaVoglia ci porta a riflettere su questo, su chi fosse Farrokh e su cosa significasse essere Freddie. Era davvero felice? Quanto ha dovuto sacrificare? Freddie era il sogno di milioni, un’icona di libertà, una stella brillante eppure, in fondo, umana.

MaLaVoglia racconta di aver scritto questo pezzo quando tutto sembrava buio, in uno di quei momenti in cui ti chiedi davvero chi sei. È una canzone che nasce dal dolore ma anche dalla necessità di essere sinceri, di non nascondersi più. Lui aveva bisogno di mettersi a nudo, senza filtri, senza pensare a cosa potesse piacere o vendere. Solo lui, davanti allo specchio, a chiedersi se quella persona riflessa fosse davvero se stesso o solo un’ombra. E qui sta il cuore di Freddie: è una lettera all’artista, ma anche all’uomo dietro la maschera e alla fine, a tutti noi, alle nostre debolezze, a quelle parti di noi che non mostriamo mai. Un racconto che parla a chiunque abbia mai cercato di capire chi è veramente.

La melodia, semplice e delicata, è affidata al pianoforte di Gabriele Baiardi, un nome noto nel panorama musicale italiano, collaboratore di artisti come Sabrina Salerno, Adriano Celentano e Loretta Goggi. Una mattina di novembre, MaLaVoglia lo ha chiamato e insieme hanno dato vita alla melodia giusta, quella che potesse vestire a pennello l’intimità del brano. Solo piano e voce, nessun orpello, nessuna sovrastruttura. Una scelta voluta, per restituire la verità della canzone senza filtri.

Ma di cosa parla davvero Freddie? Beh, in fondo, parla di tutti noi. Parla di sogni e solitudine, di ambizioni e di prezzi da pagare. Freddie Mercury è stato una leggenda, certo, ma è stato anche un uomo. E l’uomo dietro il mito aveva le sue debolezze, le sue insicurezze. MaLaVoglia vuole mettere in luce proprio questo, il contrasto tra il mito e la realtà, tra l’artista che vive al massimo e l’uomo che, spesso, deve fare i conti con una solitudine profonda.

È un brano che non può lasciarvi indifferenti, perché ci costringe a fare i conti con il concetto stesso di successo e felicità. Freddie è la storia di un uomo che è diventato leggenda ma è anche la storia di chiunque abbia mai avuto un sogno talmente grande da dover sacrificare una parte di sé per realizzarlo.

Il videoclip di Freddie è stato girato in una villa immersa tra le colline dell’Oltrepò Pavese. Il regista Cesare Bobbiesi, già autore di quasi tutti i video di MaLaVoglia, ha scelto un’ambientazione dal sapore malinconico, autunnale. Le immagini evocano un senso di intimità e solitudine, perfettamente in linea con il messaggio della canzone. Il giardino della villa diventa quasi un palcoscenico immaginario, come se si ricreasse una performance privata nel giardino di casa di Freddie a Kensington. E anche qui, il riferimento è chiaro: la vita artistica, la rappresentazione di sé, la necessità di mostrarsi al mondo, ma con il desiderio di restare nel proprio spazio personale.

Nel video compare anche Gabriele “Lele” Baiardi al pianoforte, lo stesso che ha arrangiato la melodia del brano. La scena è semplice, diretta, eppure potentissima. Non serve altro: basta la musica, basta la voce, bastano quelle note malinconiche e l’autunno che fa da sfondo per comunicare tutto il peso di quella lotta interiore tra sogni e realtà.

MaLaVoglia, al secolo Gianluca Giagnorio, è un cantautore che non smette mai di mettersi in gioco. Ha scritto e cantato tanto, partecipato a Sanremo Giovani, vinto premi come il Premio Miglior Testo al Premio Pigro Ivan Graziani, aperto concerti di grandi nomi della musica italiana. Insomma, è un artista che ha fatto della sua carriera un percorso di continua crescita, di evoluzione e ogni nuovo brano è un tassello di questa sua storia.

Freddie è il suo decimo singolo – è un pezzo di vita, un frammento di anima messo lì, in bella vista. È il momento in cui decidi che non puoi più nasconderti, che devi far vedere chi sei davvero. Non è stato scritto per piacere a qualcuno, non per fare successo, ma perché c’era un bisogno urgente, qualcosa dentro che doveva uscire. E questo si sente, in ogni parola, in ogni nota che vibra. È come se MaLaVoglia stesse parlando direttamente a chiunque di noi, senza filtri, senza paura. Non c’è solo musica qui, c’è una confessione, una verità che brucia.

E MaLaVoglia ci guarda negli occhi, e ci chiede: quanto siamo disposti a sacrificare per arrivare al nostro sogno? Quanto siamo pronti a pagare, davvero, per sentirci realizzati? Vale la pena di lasciare tutto dietro di noi, di rinunciare alla tranquillità, alla serenità, pur di raggiungere quelle vette che sembrano così irraggiungibili? O forse preferiamo restare al sicuro, senza troppo rumore, senza troppi scossoni, ma anche senza quell’adrenalina che ti fa sentire vivo?

E cosa rimane di Freddie, alla fine? Resta quella domanda che ci tormenta tutti. Quel dualismo che ci portiamo addosso ogni giorno, quella voglia di essere tutto, di essere niente, di essere qualcuno e di nasconderci allo stesso tempo. Siamo tutti un po’ Farrokh, pieni di dubbi, di paure, di insicurezze che non ci lasciano mai. E poi, forse, c’è una parte di noi che vorrebbe essere Freddie, che vorrebbe vivere tutto al massimo, senza limiti, senza compromessi. Ma sappiamo bene che ogni cosa ha un prezzo. Ogni passo avanti vuol dire lasciare qualcosa indietro. E allora, MaLaVoglia ce lo canta, ce lo sussurra: fermati un attimo. Respira. Pensa. Ne vale davvero la pena? Vale la pena sacrificare tutto per inseguire un sogno che magari nemmeno sappiamo se è davvero nostro?

Segnatevi questa data, perché non è una data qualunque. Freddie è lì, pronto ad arrivare dritto a voi. È su tutte le piattaforme digitali, in rotazione radiofonica. Ma non è solo un pezzo da ascoltare. È una storia da sentire davvero, con il cuore spalancato, senza difese. Perché dietro ogni mito c’è sempre, sempre un uomo. Con le sue paure, le sue fragilità, con tutto quello che non vediamo ma che esiste ed è così reale da farci vibrare.

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Spettacolo

Luca Carboni, il ritorno per festeggiare i 40 anni di...

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Da domani al 9 febbraio al Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna la mostra 'Rio Ari O'

Luca Carboni - Fotogramma

"In questo periodo di malattia ho continuato a dipingere più che a fare musica. E mi ha aiutato moltissimo". Dopo due anni di allontanamento dalle scene per motivi di salute (nella primavera del 2022 gli è stato diagnosticato un tumore al polmone), Luca Carboni torna ad incontrare il pubblico nella doppia veste di cantautore e pittore.

L'artista ha presentato oggi, 21 novembre, a Bologna 'Rio Ari O', la mostra che si tiene da domani al 9 febbraio al Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna, con cui celebra i quarant'anni di carriera: nel 1984 uscì infatti il suo album d’esordio "...intanto Dustin Hoffman non sbaglia un film" ma parallelamente, nello stesso periodo, Carboni cominciò a dedicarsi anche alla pittura. "La pittura - sottolinea Carboni - ha accompagnato tutti questi miei anni di musica come un diario di immagini e visioni: personale, intimo, privato, mai messo in mostra, fatta eccezione qualche disegno finito sulla copertina di dischi".

La mostra

Curata da Luca Beatrice, critico e curatore d’arte contemporanea, l'esposizione (ideata e prodotta da Elastica in collaborazione con il Settore Musei Civici Bologna | Museo internazionale e biblioteca della musica) celebra proprio la sinergia tra musica e arte visiva, mostrando un percorso creativo inedito e parallelo, ma spesso intrecciato a quello musicale, dato che molti album di Carboni si sono accompagnati ad una produzione fatta di disegni, schizzi e dipinti che raccontano il processo creativo dietro ogni brano, concerto o tour.

Sono oltre una cinquantina le opere pittoriche esposte, tutte realizzate a partire dalla metà degli anni ‘80. "Nella pittura – dice Carboni - mi ispirano le donne, i colori piatti delle bandiere, i cartelli stradali, i portici e le chiese. Nella produzione di solito mi piace mescolare la tempera, i colori acrilici, le bombolette spray per la pittura di strada, il tutto applicato sempre su diversi tipi di supporto, a volte la tela classica ma anche legni di recupero, compensati vari e altri materiali come il ferro, il cartone, la carta da pacchi e da regalo".

Ma non finiscono qui i piani del racconto: nello spazio mostre i visitatori potranno trovare esposti oggetti, copertine di dischi, testi inediti, appunti, memorie che partono proprio dal quel 1984 che ha segnato la data di inizio della carriera di Carboni. L’intento è quello di raccontare la storia nascosta, più che la dimensione pubblica dell’autore di Mare, mare e di tanti altri successi. La mostra è una sorta di dietro le quinte dove i block notes, gli appunti, i disegni e i quadri sono stati un percorso parallelo ma non disgiunto con i successi musicali.

In quattro stanze più una wunderkammer di ingresso, Bologna Città Creativa della Musica Unesco, festeggia con questa mostra uno dei suoi artisti più rappresentativi e poliedrici.

"In quarant’anni di carriera – afferma Luca Beatrice - Luca Carboni ha pubblicato dodici album in studio, un live e diverse raccolte. Ma nel frattempo ha coltivato altro, magari in solitudine o appartato: ha disegnato, dipinto, realizzato opere installative, raccolto immagini, perché nel suo percorso arte e musica sono andate insieme, l’una ispirava l’altra, l’una aiutava l’altra".

Una parte nascosta, un percorso parallelo intimo e personale, sperimentale, quasi mai raccontata se non in alcuni rari momenti in cui Luca ha utilizzato disegni per copertine di album, immagini per proiezioni in alcuni tour e una raccolta di schizzi nel libro “Autoritratto” del 2004. Una parte che, come le canzoni, ha dentro, in modo profondo, la sua città, Bologna, le piazze, le strade, le chiese, figure femminili ispirate alle forme e alle linee dei portici.

La musica

Non può, ovviamente, mancare la musica nella mostra di uno dei cantanti che hanno segnato maggiormente la storia della canzone italiana. Per questo, la sala finale del percorso espositivo sorprenderà il visitatore con un sound design che include canzoni, inediti, audio rubati in studio, il tutto accompagnato da immagini e video clip, in un allestimento dall’atmosfera pop.

Infine, il centralissimo Portico del Pavaglione, in via dell’Archiginnasio, accoglierà una sorta di ghost track della mostra dall’8 gennaio 2025: sono gli autoritratti di Carboni stampati su larga scala e appesi alle chiavi di ferro degli archi del portico. La mostra sarà completata da un programma di incontri pubblici che vedranno per protagonisti, oltre allo stesso Carboni, altri artisti che sono stati suoi compagni di viaggio.

'Rio Ari O incontri' è infatti il ciclo di conversazioni che si terranno nel periodo della mostra, sempre presso la Sala Eventi del Museo: tre appuntamenti pubblici con l’artista e ogni volta un ospite diverso. Si comincia il 28 novembre alle 18.30 insieme a Giorgio Diritti per 'Dai Teobaldi rock al David di Donatello'. Una maestosa storia di cinema, teatro e rock parrocchiale, modera la giornalista Emanuela Giampaoli. Poi appuntamento il 19 dicembre alle 18.30 insieme al curatore Luca Beatrice per 'Il racconto della mostra Rio Ari O'. Un grande viaggio tra musica e arte. Infine il 16 gennaio 2025, sempre alle ore 18.30, l'ultimo incontro con un ospite che non è ancora stato svelato.

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Spettacolo

I fratelli D’Innocenzo: “Non abbiamo mai svenduto il...

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I gemelli registi, Fabio e Damiano, presentano la loro prima serie, ‘Dostoevskij’, dal 27 novembre su Sky

Damiano e Fabio D'Innocenzo

Non abbiamo mai svenduto il nostro sogno. Siamo stati sempre divisivi fin da quando siamo ragazzini e penso che lo saremo anche dopo essere schiattati in pessime circostanze. Attraverso i film che facciamo, le poesie che scriviamo e le fotografie che scattiamo proviamo a essere il più possibile simili a quello che sentiamo essere. Del resto non ce ne importa assolutamente nulla”. Così all’Adnkronos Damiano D’Innocenzo che, insieme al gemello Fabio, presenta la loro prima serie ‘Dostoevskij’, dal 27 novembre su Sky Atlantic e in streaming su Now con due episodi a settimana.

Il protagonista della storia è Enzo Vitello (interpretato da Filippo Timi), tormentato detective ossessionato da Dostoevskij, serial killer che uccide con una modalità costante: accanto al corpo l'omicida lascia trascritta su una lettera la propria visione del mondo, descrivendo gli ultimi attimi di vita della vittima. Sedotto da un’oscurità che sente risuonare al suo interno da sempre, Vitello comincia un segreto rapporto epistolare con l’assassino, costringendosi a guardare dentro di sé affrontando le torture che si è autoinflitto per sopravvivere a qualcosa che viene svelato nel corso del racconto. Lo stesso segreto che l’aveva indotto ad abbandonare la figlia Ambra (Carlotta Gamba) in tenera età.

“Raccontiamo le estreme conseguenze dell’essere vivi. E quelle conseguenze stanno in quel necessario incontro con la sensibilità e con l’ascolto degli altri. In questa serie c’è un rapporto viscerale tra chi cerca, e quindi il detective di Timi, e chi viene cercato, il killer che sembra inafferrabile. Ma ciò che è inafferrabile non è la fisicità, ma il suo punto di vista sul mondo, che sembra molto estraneo a tutti”, racconta Fabio D’Innocenzo all’Adnkronos. Una visione del mondo spesso non compresa come lo è stata a volte quella dei due registi, che si chiedono: “noi essere umani abbiamo più bisogno di essere rassicurati o di essere scossi?”.

Secondo i D’Innocenzo “la nostra vita assume un significato diverso solo ed esclusivamente quando ci troviamo di fronte a qualcosa che non ci aspettiamo, qualcosa che manipola la nostra politica emotiva. E questo, ovviamente, certe storie possono farlo e altre scelgono deliberatamente di non farlo”, bisogna, “rispettare ogni forma di narrazione. Io sposo la nostra perché è l’unica che possiamo fare”. Dalla presentazione della serie all’ultima edizione del Festival di Berlino a febbraio “c’è stato molto silenzio tra me e Fabio. Un silenzio familiare e bellissimo, di ricerca e di contemplazione. Abbiamo parlato per tantissimo tempo con la serie ‘Dostoevskij’, quindi era anche giusto starci un po' zitti e cercare la prossima storia da raccontare: a patto che questa storia venga e che abbia sincerità. E poi da lì inizia il laborio e l'intarsio del cinema ed è stupendo. Ma deve accadere quello schiocco, altrimenti restiamo fermi”, concludono. (di Lucrezia Leombruni)

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