Tregua a Gaza, cooperante palestinese: “Strade piene di gente, sono tutti felici”
Primo giorno senza bombardamenti nell'enclave palestinese dopo 49 giorni di guerra con gli sfollati che provano a tornare a casa "per vedere ciò che è rimasto"
Un risveglio ''senza bombardamenti, senza operazioni israeliane nella Striscia di Gaza'' quello del primo giorno di tregua nell'enclave palestinese. Un giorno dove ''sono tutti felici, la gente esce per strada'' e dove i profughi palestinesi che si sono trasferiti al sud attraverso i corridoi creati dall'esercito israeliano hanno iniziato ''un cammino nella direzione opposta, verso nord, per andare a vedere cosa è rimasto delle loro case''. Lo racconta ad Adnkronos il cooperante palestinese Sami Abu Omar da Khan Younis, città che non è stata risparmiata dai raid israeliani nella Striscia di Gaza. "Le strade sonio strapiene di gente, soprattutto al sud'' dell'enclave palestinese, ''perché quelli del nord non si possono muovere, lì è pieno di posti di blocco dell'esercito israeliano che impediscono i movimenti''.
Sullo sfondo il figlio di 12 anni che canta, nelle parole di Abu Omar il sollievo "dopo 49 giorni di guerra, questo è il primo in cui non sentiamo più il rumore dei cacciabombardieri, non sentiamo più i droni nel cielo, tutto è tranquillo. Speriamo di riuscire a dormire tranquilli per tre notti, ci sono stati raid aerei fino a un minuto prima dell'entrata in vigore della tregua''. Ma c'è anche ''la speranza che in questi quattro giorni possano entrare più aiuti umanitari. Non abbiamo più niente, nei negozi non c'è più nulla, zero''.
E mentre ''la gente ha cominciato a muoversi, racconta, "restano i check point israeliani dentro Gaza City e al nord", dove i movimenti sono ''controllati dai carri armati israeliani''. Quindi, spiega, ''la gente è molto contenta, ma non tutti. Ad alcuni non è rimasto niente, hanno perso la casa, ma soprattutto hanno perso i figli''. La speranza, per ''gli sfollati che stanno andando verso il nord, è di trovare qualcosa rimasto'' della loro vita prima della guerra, ''cercano anche solo una bombola di gas per poter cucinare, molti non lo fanno da giorni e hanno iniziato a tagliare gli alberi per fare il fuoco''.
Poi ci sono gli alberi di ulivo, racconta Abu Omar. Perché la guerra è andata anche a colpire ''la stagione della raccolta delle olive, che è stata sospesa a causa dei bombardamenti''. In questi quattro giorni di tregua i palestinesi della Striscia di Gaza ''cercheranno di raccogliere qualche oliva, di spremerle e di fare un po' di olio''. Perché ''da noi, in Palestina, la stagione delle olive è sacra, tutta la gente cerca di raccogliere e fare delle scorte''.
Esteri
Usa, nuova stretta sull’export di chip ma per Pechino...
Sullivan: "Proteggiamo la nostra tecnologia dall'uso da parte dei nostri avversari in modi che minacciano la nostra sicurezza nazionale"
Gli Stati Uniti hanno annunciato nuove restrizioni alle esportazioni che mirano a colpire la capacità della Cina di produrre semiconduttori avanzati, con una misura che Pechino ha subito definito un 'abuso di controllo' che minaccia gli scambi tra le due superpotenze.
La stretta di Washington
La mossa di Washington conferma la volontà di tagliare le esportazioni di chip all'avanguardia verso la Cina, con l'obiettivo di ostacolare la capacità del Paese di produrre chip che possono essere utilizzati in sistemi di armi avanzati e nell'intelligenza artificiale. "Gli Stati Uniti hanno adottato misure significative per proteggere la nostra tecnologia dall'uso da parte dei nostri avversari in modi che minacciano la nostra sicurezza nazionale", ha dichiarato il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan in un comunicato, aggiungendo che Washington continuerà a lavorare con alleati e partner “per salvaguardare in modo proattivo e aggressivo le nostre tecnologie e il nostro know-how, leader a livello mondiale, in modo che non vengano utilizzate per minare la nostra sicurezza nazionale”.
La reazione di Pechino
Un portavoce del ministero del Commercio cinese ha replicato che gli Stati Uniti “abusano delle misure di controllo delle esportazioni” e hanno “ostacolato i normali scambi economici e commerciali”. Le ultime misure statunitensi includono una restrizione delle esportazioni a 140 aziende, tra cui le aziende cinesi di chip Piotech e SiCarrier Technology. Secondo il Dipartimento del Commercio, le restrizioni riguardano anche Naura Technology Group, che produce apparecchiature per la produzione di chip.
Esteri
Siria, Gentile (Pro Terra Sancta): ”Sgomento e...
Il responsabile dei progetti della ong: ''I siriani sono disperati, temono di essere tornati indietro di 12 anni. La priorità sarebbe arrivare ad Aleppo in sicurezza, ma per ora ci occupiamo degli sfollati''
''Totale sgomento'', perché ''non c'era alcuna avvisaglia'' di un possibile attacco ad Aleppo e perché ''non c'è stata alcuna resistenza'' da parte delle forze governative. E ''terrore'', perché ''negli occhi dei siriani sfollati e in fuga verso Damasco e Latakia si vede la grande paura di essere ritornati indietro di 12 anni, alla guerra di Aleppo''. Così Giacomo Gentile, responsabile progetti di Pro Terra Sancta, racconta all'Adnkronos la realtà di questi giorni in Siria. Lui attualmente si trova a Damasco che ''è stata dichiarata un safe place'' ed è ''abbastanza vicina all'aeroporto di Beirut che è funzionante nel caso in cui dovesse esserci la necessità di evacuare. Anche il confine giordano non è lontano''. Ma anche a Damasco ''la tensione è molto alta'' e ci sono ''file lunghissime di persone che vogliono entrare''. Perché ''sono fuggiti subito in tantissimi anche se non c'erano grandi scontri, per la paura che si ripetesse la guerra ad Aleppo. Ora c'è il terrore per i bombardamenti siriani e russi, la disperazione delle famiglie in fila per entrare a Damasco o a Latakia'', è la sua testimonianza.
La prima tappa di Gentile era il Libano, ''sono arrivato a Beirut il 25 novembre per seguire i progetti a sostegno degli sfollati. Ce ne sono un milione solo a Beirut'', ma in Libano ''c'è la sensazione che la guerra non sia ancora finita nonostante il cessate il fuoco, ci sono tanti bombardamenti nel sud'' e così, la decisione di spostarsi in Siria. Destinazione Aleppo, per vedere lo stato dei progetti che Pro Terra Sancta gestisce in città insieme ai frati. ''Arrivato in Siria venerdì mattina molto presto dall'ingresso Beirut-Damasco, l'unico riaperto dopo i bombardamenti di Israele'', Gentile ad Aleppo non arriverà.
''Stavo andando a nord verso la città. Si parlava di scontri nell'area di Idlib, fino a 15 chilometri da Aleppo, ma a un certo punto abbiamo visto un numero esorbitante di carri armati siriani e russi sulla strada verso nord - racconta - Questo ci ha fatto capire che stava succedendo qualcosa nell'area governativa e poi ci siamo accorti che l'autostrada era stata chiusa dall'esercito perché l'ultimo tratto fino ad Aleppo era stato preso dai ribelli. I frati ci hanno detto di non andare, la nostra macchina ha deviato verso Latakia''.
'priorità sarebbe arrivare ad Aleppo in sicurezza ma per ora ci occupiamo degli sfollati'
Nella città portuale Gentile spiega che ''abbiamo cominciato ad accogliere le prime famiglie di sfollati che cercavano aiuto. Le abbiamo messe in contatto con persone che potevano ospitarle e abbiamo messo loro a disposizione case pagando di cui pagheremo i primi mesi di affitto''. In queste famiglie c'è ''rassegnazione'' e ''nei progetti di assistenza ed emergenza sarà inserita l'assistenza agli sfollati''. Serviranno ''cibo e medicine, materiale per l'inverno che sta arrivando''.
Intanto si ''cerca di capire come poter portare avanti i progetti di aiuto e assistenza attraverso Aleppo, in particolare attraverso i frati'' che ''sono tutti rimasti lì''. Il vescovo cattolico, aggiunge Gentile, ha fatto ''una riunione con i vertici del gruppo ribelle che ha garantito che non faranno nulla ai frati, che potranno tenere tutte le messe che vorranno e che potranno anche suonare le campane''.
''Oggi abbiamo fatto una riunione all'ambasciata italiana che ha fatto rientrare l'emergenza per Damasco'', conclude il responsabile di Terra Sancta, il cui auspicio è, ''senza rischiare, di poter arrivare il più vicino ad Aleppo in sicurezza, per noi sarebbe una priorità. Ma non credo che questa settimana si sblocchi la situazione o riaprano la via per raggiungerla. Quindi per ora ci occupiamo degli sfollati''.
Esteri
Biden e la grazia al figlio, la giravolta del presidente fa...
I repubblicani attaccano, ma non mancano critiche dai dem
Meno di sei mesi fa, Joe Biden negava categoricamente che avrebbe usato il suo potere presidenziale per graziare il figlio. Ora, a meno di due mesi dall'insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump, e dopo aver trascorso le vacanze del Ringraziamento, l'anziano presidente ha annunciato il provvedimento che annulla le condanne penali, per possesso illegale di un'arma e per reati fiscali, il 54enne Hunter.
La mossa ha provocato, ovviamente, gli attacchi e le critiche dei repubblicani e di Trump, che può puntare il dito contro un abuso della gestione della giustizia da parte dell'amministrazione uscente. Ma anche qualche democratico sta esprimendo perplessità.
"Anche se come padre certamente comprendo il naturale desiderio di aiutare suo figlio graziandolo, solo deluso dal fatto che abbia messo la famiglia prima del Paese", ha scritto Jared Polis, il governatore democratico del Colorado, su X.
"Questo è un precedente negativo che potrebbe essere abusato dai prossimi presidenti e purtroppo macchierà la sua reputazione", ha poi aggiunto. "Rispetto Joe Biden, ma penso che questa volta abbia sbagliato", gli ha fatto eco il deputato dell'Arizona, Greg Stanton, sottolineando che questa "non era un incriminazione politica: Hunter ha commesso reati ed è stato condannato da una giuria".
L'atto di clemenza firmato da Biden è "pieno e incondizionato", vale a dire che non copre solo le due condanne, per le quali erano attese le sentenze il 12 e il 15 dicembre, ma anche qualsiasi azione penale futura relativa ad azioni che vanno "dal gennaio 2014 al dicembre 2024".
E' chiaro quindi che l'82enne presidente voglia così proteggere il figlio, da anni nel mirino di Trump e dei repubblicani per i suoi affari all'estero, in particolare in Ucraina e Cina, dalle molto probabili nuove azioni penali del prossimo dipartimento di Giustizia di Trump, che non fa mistero di volersi vendicare dei suoi nemici politici.
Nell'annunciare la grazia, Biden ha detto che Hunter è stato "perseguito in modo selettivo e ingiusto", solo perché suoi figlio, sostenendo che "è stato trattato diversamente" da persone incriminate per gli stessi reati alle quali viene solitamente proposto di patteggiare senza processi e rischi di pene detentive. "Nel cercare di colpire Hunter, hanno cercato di colpire me, e non c'è ragione di credere che questo si fermerà qui, quando è troppo è troppo", ha detto ancora ricordando che il figlio, che ha alle spalle anni burrascosi segnati dalla tossicodipendenza, come è clamorosamente emerso durante il processo in Delaware, "è sobrio da 5 anni e mezzo, nonostante i continui attacchi e le incriminazioni selettive".
L'ossessione di Trump sui presunti illeciti commessi di Hunter Biden portò l'allora presidente a bloccare nel 2017 gli aiuti all'Ucraina, chiedendo in cambio all'allora neopresidente Volodymyr Zelensky di avviare prima un'inchiesta su Burisma, la società energetica per cui Hunter lavorava, con il chiaro obiettivo di coinvolgere Biden padre. La vicenda provocò il Kievgate, al centro del primo processo di impeachment del tycoon.
Durante l'amministrazione Trump, era stata avviata poi un'inchiesta federale a carico di Hunter che, va ricordato, Biden non aveva sospeso una volta arrivato alla Casa Bianca. Anzi, l'attorney generale Merrick Garland ha dato lo status di procuratore speciale a David Weiss, il procuratore repubblicano del Delaware a cui originariamente era stata affidata l'inchiesta.
Controversie e critiche alle grazie decise dai presidente a conclusione dei loro mandati sono una regola per la politica americana. Come quelle suscitate dagli atti di clemenza firmati da Trump per i suoi ex stretti consiglieri Steve Bannon, Paul Manafort e Michael Flynn - questi ultimi condannati per vicende legate al Russiagate - e Charles Kushner, l'immobiliarista, padre del marito di Ivanka, Jared.
Ma la decisione di Biden di graziare il figlio arriva proprio mentre Trump rinnova quasi quotidianamente le accuse e le minacce contro la giustizia federale usata come un'arma politica contro di lui, in riferimento ai suoi tanti processi. Con i democratici che ora temono che, appena tornato alla Casa Bianca, il tycoon inizierà le sue vendette giudiziarie contro di loro.
E' interessante notare, come fa oggi il New York Times, che nella lunga dichiarazione con cui Biden annuncia e giustifica la sua decisione, il presidente usa degli argomenti che suonano stranamente coincidenti con quelli di Trump sulla politicizzazione della giustizia. "Io ho fiducia nel sistema di giustizia, ma, nonostante avessi problemi a fare questo passo, credo che la rozza politica abbia infettato questo processo portando ad un fallimento della giustizia", ha affermato Biden esprimendo la speranza che "gli americani comprenda perché un padre e un presidente sia arrivato a questa decisione".