Zippalanda, nuovi indizi confermano scoperta città santa Ittiti
Dopo più di due mesi di lavoro sul campo si è conclusa la nuova campagna di scavo a Uşaklı Höyük (Turchia) guidata dell’Università di Pisa
Manca ancora la prova finale che il sito archeologico di Uşaklı Höyük in Turchia è veramente Zippalanda, l'antica città santa degli Ittiti, ma la soluzione dell'enigma sembra ormai ad un passo. La sedicesima campagna della Missione Archeologica Italiana in Anatolia Centrale, guidata dall'Università di Pisa, annuncia oggi l'Ateneo, ha fatto emergere, infatti, nuovi e importanti elementi sull'uso rituale delle strutture di epoca ittita ritrovate nella zona nord della città, in primo luogo l'enigmatica struttura circolare già rinvenuta nel 2022.
Tra i reperti che rafforzano l'ipotesi che si tratti di uno spazio legato ad attività di ambito rituale, anche alcuni frammenti di intonaco dipinto a fresco con motivi geometrici e figurati di colore rosso e nero simili a quelli rinvenuti in altri templi di epoca ittita, oltre ai pezzi di due particolari vasi fatti a forma di avambraccio e con la parte terminale, quella della mano, a coppella, usati per le libagioni.
Nel corso della sedicesima campagna di scavo, che si è svolta tra la fine di aprile e gli inizi di luglio, l'attività del gruppo internazionale di archeologi guidato dall’Università di Pisa si è concentrata anche in altre zone della città. In particolare, è proseguito lo scavo della necropoli individuata lo scorso anno, sul limite della parte pianeggiante del sito, mettendo in luce tombe di epoca tardo romana e bizantina (in giara e a cista) risultate importanti per la ricostruzione delle pratiche funerarie e lo studio delle paleopatologie e del Dna, in una regione che vede in questo periodo avvicendarsi alle genti autoctone nuovi arrivati e trasformarsi in termini di popolamento. Sulla pendice sud-orientale del sito è stata aperta, inoltre, una nuova trincea di scavo per approfondire la conoscenza del sistema di terrazzamento della cittadella dell’età del Ferro.
Proseguono, infine, da parte degli specialisti della missione, l'analisi dei resti vegetali, condotti su campioni di terreno precedentemente raccolti e setacciati, e delle ossa animali, che stanno fornendo agli archeologi importanti informazioni riguardanti uno dei filoni principali di ricerca del progetto, relativo all'archeologia dell'alimentazione. Oltre a permettere una futura ricostruzione del contesto ambientale antico.
"Siamo ancora in attesa dei risultati dello studio archeozoologico . spiega il professor Anacleto D'Agostino dell'Università di Pisa, che dirige gli scavi - ma il ricco repertorio di resti faunistici trovato al suo interno, principalmente pecore e capre, con segni di una lavorazione molto particolare, diversa da quella ordinaria, sembra confermare una sua interpretazione in chiave rituale. Ipotesi realistica, vista anche la sua vicinanza al tempio della città bassa, riportato alla luce nel 2013".
"Allo stesso modo - prosegue D'Agostino - l'ampliamento dello scavo sulla corte lastricata vicina alla struttura circolare, ha fatto riemergere gli scheletri parziali di due bambini nei pressi di un focolare, tra un accumulo di cenere, ossa animali e frammenti di contenitori ceramici. Un ritrovamento enigmatico, ma che rafforza ulteriormente la nostra ipotesi sulla specificità del contesto che stiamo scavando. Specificità che si inquadra nell'ambito rituale e delle attività connesse, verosimilmente, con la sfera religiosa".
"I resti di cibo e degli animali abbattuti, gli specifici contenitori ceramici in uso permettono di ricostruire aspetti importanti relativi alle pratiche di cottura e sfruttamento delle risorse via via a disposizione dando nuovo impulso alla ricostruzione del paesaggio antico, a definire aspetti quotidiani legati alle ricorrenti crisi che lo hanno riguardato e alle risposte che la società ha saputo trovare nel corso del tempo – conclude il professor Anacleto D’Agostino - In particolare, le ricerche di paleobotanica, archeozoologia e paleoantropologia hanno permesso l’acquisizione di importanti dati ambientali che oggi ci permettono di comprendere come l’uso del territorio e le abitudini alimentari si siano trasformate nel corso dei secoli in risposta anche alle trasformazioni sociali e politiche prodotte dalla fine delle organizzazioni centralizzate e delle economie ad esse legate".
Il progetto archeologico della Missione Archeologica Italo-Turca in Anatolia Centrale (Uşaklı Höyük Archaeological Project), iniziato nel 2008 e in cui è impegnato l'Ateneo pisano, è l'unico a direzione italiana che opera su un insediamento ittita nell'area che fu centro del regno prima e poi dell’impero.
Il progetto opera con una concessione decennale della Direzione Generale del Patrimonio Culturale e dei Musei, Ministero della Cultura e Turismo della Repubblica di Turchia. Sostenuto finanziariamente, per l’anno 2023, dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, dall’Università di Pisa, dalla Fondazione Oriente Mediterraneo e dall’Università degli Studi di Firenze, coinvolge archeologi, filologi, ricercatori e studenti delle Università di Pisa, Firenze, Siena, Koç, Istanbul, Yozgat Bozok e Ucl Londra coordinati da Anacleto D'Agostino (Pisa), Valentina Orsi (Siena e Koç), Stefania Mazzoni e Giulia Torri (Firenze), Yagmur Erskine Heffron (Londra), Demet Taşkan (Yozgat Bozok), e gli specialisti Claudia Minniti (Sapienza Università di Roma), Yılmaz Selim Erdal (Ankara Hacettepe) e Lorenzo Castellano (New York University).
Hanno inoltre preso parte alla campagna 2023: i dottori Giacomo Casucci, Giuseppe Facchetti, Joshua Britton e Marta Doglio; gli studenti Ilaria Carboni, Emily Cox, Alessia Fontini, Vittoria Malerba, Cristina Napolitano, Arife Ak, Abdul Samet Başkal, Kerime Başkal, Gizem Çetinkaya, Nagihan Dalkılıç, Zeki Esen, Havva Güneş, Neriman İpek; i dottori Emanuele Taccola del Laboratorio LaDiRe dell’Università di Pisa - che ha realizzato il rilievo topografico e le riprese da drone - e Neil Erskine; la dottoressa Elisa Girotto e Sergio Martelli hanno eseguito i disegni dei materiali.
Cultura
ASP —Massimiliano Ossini: “Sul K2 ho capito il...
Il conduttore racconta la sua scalata della 'montagna selvaggia' nel suo ultimo libro
Un'esperienza al limite della sopravvivenza. Un viaggio duro, difficile, pericoloso. Una scalata che mette alla prova la capacità di resistere. Un'avventura da mozzare il fiato che, però, ha molto da insegnare e che nasconde un messaggio prezioso. Ovvero che, nella vita di tutti i giorni così come nelle prove più estreme, è necessario a volte rinunciare a compiere quel passo in più che "potrebbe essere fatale" e fermarsi. È l'insegnamento che Massimiliano Ossini, volto noto del piccolo schermo, ha tratto dalla 'prova impossibile' cui si è dedicato nello scorso mese di luglio: documentare in prima persona la spedizione di alcune alpiniste italiane e pakistane che hanno scelto di sfidare gli 8.611 metri della seconda montagna della Terra, il K2. Un'esperienza che il conduttore di 'Unomattina' su Rai 1 e ora concorrente di 'Ballando con le Stelle' descrive nel libro 'K2. Un passo dalla vetta, un passo dalla vita', pubblicato da Rai Libri e sugli scaffali da pochi giorni.
Questa esperienza, racconta Ossini all'AdnKronos, insegna il valore "di saper rinunciare e di fermarsi in qualsiasi situazione: in una scalata in montagna o nella vita di tutti i giorni. I social vorrebbero che fossimo i primi in tutto, in tutte le situazioni, a scuola o al lavoro. Ci vorrebbero tutti supereroi, stravolgendo la realtà. Ecco, durante questo viaggio, abbiamo capito sulla nostra pelle quanto sia importante la rinuncia che non è sinonimo di sconfitta ma di intelligenza". Ossini ricorda, a questo proposito: "Io sono stato benissimo, non ho avuto problemi ma ho deciso di arrivare al 75% delle mie potenzialità, tornando indietro. C'erano tante persone che mi aspettavano a casa e non volevo neanche mettere a rischio il gruppo con cui ho fatto l'impresa. Ho deciso di fermarmi ad un passo dalla vetta".
A settant’anni dalla storica prima ascensione del K2, Ossini si è confrontato con 'la Montagna Selvaggia', come viene definito il K2. "Ho accompagnato - dice - otto donne, quattro ragazze italiane e quattro pakistane. Per la prima volta al mondo due Paesi hanno celebrato i settant'anni dalla prima ascesa sul K2. Abbiamo voluto portare in cima i padroni di casa, le quattro pakistane insieme alle ragazze italiane, ricordando i primi che salirono su quella vetta: gli alpinisti Achille Compagnoni e Lino Lacedelli che compirono l'impresa nel 1954 con l'aiuto fondamentale di Walter Bonatti. È stato - prosegue Ossini - un viaggio molto fisico: è una delle esperienze più difficili al limite della sopravvivenza. Purtroppo, nel corso della spedizione, ci sono state delle persone che non ce l'hanno fatta, altre si sono dovute ritirare perché hanno avuto edemi polmonari e cerebrali".
La scalata del K2, infatti, non è stata accompagnata soltanto da disagi improponibili ma anche, e soprattutto, da tragedie che hanno scandito la lenta e faticosa ascesa verso la vetta. "Un ragazzo, un portatore, purtroppo è morto. Ha avuto un edema cerebrale. È uscito dalla tenda, ed è morto per ipotermia". Non solo: "Tra le pakistane c'era Samira che aveva già raggiunto per quattro volte gli ottomila metri. Nel corso della spedizione, arrivati al campo base è stata male. Ha avuto anche lei un edema polmonare ed è stata accompagnata d'urgenza al primo villaggio con un asino e la bombola d'ossigeno facendo 60 chilometri. Due giapponesi, che avevano una tenda accanto alla nostra, stavano provando a raggiungere la cima dalla parte occidentale. Purtroppo sono caduti ed entrambi sono morti".
D'altro canto, conclude Ossini, è stata anche una prova "psicologica: abbiamo vissuto per un mese facendo 190 chilometri. Abbiamo dormito sempre in tenda, non ci potevamo fare la doccia. L'unico momento in cui si stava insieme al caldo era quando eravamo vicino al fornello a cucinare". Un'avventura, afferma il conduttore, durante la quale "ci siamo spogliati di tutto, lasciando a casa tutti gli orpelli della vita quotidiana".(di Carlo Roma)
Cultura
“Le esigenze di oggi e la sanità del futuro”,...
Il contributo del ministro della Salute alla 34esima edizione del volume
"Le esigenze di oggi e la sanità del futuro" nell'intervento nel Libro dei Fatti 2024 del ministro della Salute Orazio Schillaci, autore del contributo presente nel volume giunto quest'anno alla 34esima edizione.
L'intervento del ministro Schillaci
"Il 2024 è l’anno della Presidenza italiana del G7. Per la salute globale è un momento importante. È l’anno in cui, grazie al nostro impulso, ai vertici internazionali si discute della necessità di mettere al centro di qualsiasi azione sanitaria la prevenzione e l’approccio One Health per la tutela della salute umana, animale e ambientale.
È l’anno in cui si impone definitivamente l’intelligenza artificiale, che vogliamo sia governata dall’uomo secondo l’etica e la responsabilità e che è destinata a incidere significativamente sulla salute, ampliando la possibilità di cura in tante malattie, aiutando i medici a fare diagnosi più precise, andando verso una medicina sempre più personalizzata.
È l’anno in cui iniziano a consolidarsi gli investimenti previsti dalla Missione 6 Salute del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per il potenziamento dell’assistenza territoriale e della digitalizzazione del Servizio sanitario nazionale. Siamo al lavoro per migliorare e rinforzare la sanità pubblica, per valorizzare e tutelare medici, infermieri e tutto il personale sanitario. È un impegno senza sosta nell’interesse dei cittadini, per superare le disuguaglianze e garantire un’offerta sanitaria omogenea e sostenibile su tutto il territorio nazionale.
Abbiamo aumentato le risorse del Fondo sanitario nazionale raggiungendo solo nel 2024 la cifra record di oltre 134 miliardi di euro. Siamo intervenuti con coraggio e visione per ridurre l’annoso problema delle liste d’attesa, abbiamo messo più risorse per i rinnovi contrattuali, prorogato lo scudo penale per i medici e assunto l’impegno di abolire il tetto di spesa alle Regioni per le assunzioni in modo da poter potenziare il personale nella sanità pubblica.
Abbiamo avviato un percorso di riorganizzazione del Servizio sanitario nazionale che ha bisogno di tempo per vedere dispiegati pienamente i propri benefici, soprattutto dopo le politiche poco lungimiranti del passato.
Voglio concludere ricordando che dal 2024 l’Italia finalmente si è dotata di una legge sul diritto all’oblio oncologico frutto dell’attività del Parlamento e sostenuta con forza dal Governo. Una legge di grande sensibilità, con la quale ci prendiamo cura di chi è guarito dal cancro affinché non debba più subire discriminazioni. Passo dopo passo, diamo risposte alle esigenze di oggi e costruiamo la sanità del futuro".
Cultura
‘L’ombra di Artemisia’, destini...
Il romanzo sulla fragilità e sugli abusi firmato dallo scrittore e sceneggiatore
Due destini che si incrociano e si sovrappongono. Due esperienze tragiche e dolorose che sembrano rincorrersi anche se si sviluppano in tempi e modi completamente diversi. Esperienze unite dallo stesso filo conduttore, la violenza sulle donne. Questo il senso de 'L'ombra di Artemisia', un romanzo sulla fragilità e sugli abusi firmato dallo scrittore e sceneggiatore Maurizio Cohen e pubblicato da Vallecchi (pp. 316 euro 18). "Quando al desiderio di un uomo si unisce la forza e si sottrae il rispetto non c'è difesa", si legge nel libro. Una 'verità' che sono costrette a sperimentare le due protagoniste del libro: Jenny, una giovane attrice, e la pittrice Artemisia Gentileschi su cui proprio Jenny sta girando un film.
Nella Roma del Seicento, attraversata da fermenti culturali di ogni genere, laboratorio di arte e di cultura, la vita di Artemisia è sottoposta al giudizio inappellabile dell'Inquisizione. "Questa donna, eminenza, continua a peccare. Non solo - è l'accusa piombata addosso ad Artemisia - ha infangato l'onore e la rispettabilità di molti devoti e generosi cittadini, ma sta tentando, complice il maligno ospitato tra le sue gambe sin da quando era adolescente, di mostrarsi santa. Beata vittima agli occhi di noi tutti". Non solo, Artemisia è anche violentata da un amico del padre, suo insegnante di pittura. E' lo stesso destino che capita anche a Jenny. La ragazza durante le riprese della pellicola, tornando a casa, viene aggredita da tre giovani della Roma 'bene'. Un violenza che viene messa in atto in una data simbolica, il giorno in cui si omaggiano e festeggiano le donne, l'otto marzo. E così la vicenda tragica vissuta da un personaggio storico di primo piano e quella di Jenny in qualche modo si uniscono. Ancora sotto shock, la ragazza si ritrova nella paradossale situazione di dover affrontare due processi: la mattina in tribunale, quello per direttissima per lo stupro vissuto sulla sua pelle, e il pomeriggio quello di Artemisia riprodotto sul set.
Così, poco alla volta, il personaggio della pittrice diventa per Jenny una sorta di ossessione. Le due donne, superando qualsiasi vincolo temporale, instaurano un rapporto ricco di emozioni e complicità ma anche di forti incomprensioni, che finisce per minacciare la stabilità psicologica della già fragile Jenny. Il libro di Cohen - che ha scritto i libri 'La gabbia' e 'Novanta' e ha collaborato con diversi registi tra cui Francesco Nuti, Tinto Brass e José Sanchez - è un racconto che dimostra una sola grande verità: nel corso della storia nulla cambia e tutto si ripete.