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Portaerei Usa Ford lascia Mediterraneo, ecco perché non è buon segno per Israele

Nell'area rimane solo un'altra portaerei, la Eisenhower, impegnata nella deterrenza contro gli Houti nel Mar Rosso

Portaerei Gerald Ford - (Foto da Wikipedia)

La marina americana ha deciso di ritirare dal Mediterraneo la portaerei Gerald Ford, la nave da guerra più grande del mondo, dispiegata al largo d'Israele dopo l'attacco di Hamas del 7 ottobre. Malgrado l'assicurazione della Us Navy sul mantenimento di "un'ampia capacità nel Mediterraneo e attraverso il Medio Oriente", la decisione non sembra essere una buona notizia per Israele.

E' quanto scrive Haaretz, commentando quello che definisce "l'ultimo sviluppo a sorpresa" della guerra a Gaza. Già presente nel Mediterraneo da maggio, la Ford si era avvicinata ad Israele a scopo deterrente in modo da scoraggiare un'eventuale escalation con il Libano. Per ora il conflitto non si è esteso, ma quella del Paese dei Cedri rimane una frontiera calda con continui lanci di razzi da parte della milizia sciita Hezbollah, a cui Israele risponde puntualmente. Così come rimane alta la tensione per quanto riguarda altri gruppi sciiti filo iraniani in Siria e Iraq. Per non parlare degli Houti in Yemen che minacciano il traffico navale nel mar Rosso.

"Gli Stati Uniti e l'Iran sono impegnati in un dialogo produttivo con messaggi aperti e riservati. La riduzione della potenza navale nella regione potrebbe essere stata accompagnata da discreti segnali a Teheran perché ciò non comporti una ulteriore escalation. Ma potrebbe anche rappresentare una scommessa sbagliata da parte americana, che Hezbollah potrebbe interpretare come un'opportunità per assumersi maggiori rischi", nota il giornale israeliano.

Comunque, scrive Haaretz, "la ridotta presenza navale americana nella regione non è una buona notizia per Israele. Il sostegno americano allo sforzo bellico è stato ampio, ma il governo (del premier israeliano Benyamin) Netanyahu non ha una linea di credito illimitata". Recentemente "vi sono state telefonate tese" fra il presidente americano Joe Biden e Netanyahu, soprattutto in merito ai rapporti del premier israeliano con l'Autorità Nazionale Palestinese. E le dichiarazioni di esponenti di estrema destra del governo israeliano sul trasferimento di palestinesi fuori da Gaza e il ritorno di insediamenti nella Striscia "non contribuiscono ad una atmosfera di fiducia verso Israele da parte di Washington", commenta ancora Haaretz.

Con il ritorno della Ford alla sua base in Virginia, nell'area rimane solo un'altra portaerei, la Eisenhower, impegnata nella deterrenza contro gli Houti nel Mar Rosso. Durante il weekend vi è stato un primo scontro diretto con l'affondamento di tre barchini della milizia yemenita che avevano attaccato una nave commerciale. Nell'area del Mediterraneo orientale rimangono altre unità navali statunitensi: la nave anfibia d'assalto Bataan (che può trasportare anche caccia F-35 Stealth), la nave da sbarco Carter Hall e l'unità navale da trasporto anfibio Mesa Verde. Inoltre gli Stati Uniti hanno avviato la missione internazionale Operation Prosperity Guardian per mantenere la sicurezza nel Mar Rosso.

"Collaboriamo con gli alleati e i partner per aumentare la sicurezza marittima nella regione. Il ministero della Difesa continuerà a far leva sulla sua postura di forza collettiva nella regione come deterrenza contro ogni attore statuale o non statuale perché non vi sia una escalation della crisi oltre Gaza", ha assicurato il comunicato della Sesta Flotta americana con il quale è stato annunciato il rimpatrio della Ford.

Commissionata nel 2017, la Ford viene considerata dalla marina americana "la più adattabile e letale piattaforma da combattimento del mondo". Con le sue 100mila tonnellate e un contingente di aerei caccia F/A-18 Super Hornet a bordo, si tratta di una portaerei ultimo modello.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Esteri

Figlio di Micheal Jordan arrestato per droga, era a bordo...

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Secondo il mandato di arresto, il 34enne è stato trovato dalla polizia in evidente stato di alterazione

Marcus Jordan - Fotogramma /Ipa

Marcus Jordan, il figlio della leggenda del basket Michael Jordan, è stato arrestato per possesso di droga e resistenza a pubblico ufficiale in Florida. Secondo il mandato di arresto il 34enne, residente ad Orlando, è stato trovato dalla polizia in evidente stato di alterazione a bordo del suo Suv Lamborghini fermo su binari della ferrovia. Dopo averlo arrestato per guida in stato d'ebbrezza, è stata rinvenuta una busta di cocaina, si legge sul sito di Abcnews.

Marcus - che dopo essere stato registrato nella prigione dell'Orange County è stato rilasciato - è uno dei cinque figli di Jordan, e anche lui ha giocato a basket nella squadra dell'University of Central Florida.

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Esteri

Ucraina, Trump vuole le terre rare: Zelensky pronto a...

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Il presidente Usa e il metodo 'transazionale'. E il leader ucraino dice sì agli investimenti americani

Volodymyr Zelensky e Donald Trump - Fotogramma /Ipa/Afp

Donald Trump intende condizionare gli aiuti degli Stati Uniti all'Ucraina a un accordo sull'export di terre rare, minerali come il litio e il titanio necessari all'industria americana per sfornare componenti strategiche come le batterie delle auto e le turbine eoliche. Il tycoon conferma così il metodo 'transazionale', non ideologico, ma "egoista" secondo il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, con cui il presidente Usa intende procedere anche in politica estera, di difesa e sicurezza.

Il 'negoziatore in capo' quindi tratta, dal Messico alla Cina, dal Canada di certo anche alla Russia. E con l'Ucraina, dove però lo aspetta un altro attento negoziatore: Volodymyr Zelensky, nella veste di venditore in capo, ha ritardato la firma di accordi con la precedente Amministrazione per ingraziarsi la nuova controparte che ora chiede, come Kiev prevedeva, il "pareggiamento" dei conti.

"Vogliamo fare un accordo con l'Ucraina in cui Kiev potrà assicurarsi quello che diamo loro grazie alle loro terre rare e altro. Chiediamo una garanzia", ha dichiarato il presidente americano lunedì sera alla Casa Bianca, in occasione della firma di ordini esecutivi, dopo la sospensione degli aiuti allo sviluppo degli Usa in tutto il mondo, inclusa l'Ucraina che dipende dal contributo dell'alleato anche per il sostegno ai veterani di guerra e per la rete energetica messa in ginocchio dai raid russi.

La sospensione dei programmi di UsAid non investe l'assistenza militare, ha confermato il presidente ucraino Zelensky. Ma Trump non ha mai nascosto la sua riluttanza a continuare a foraggiare lo sforzo bellico ucraino, a suo dire, troppo pesante per gli Stati Uniti. Tanto che in un primo momento, al suo arrivo alla Casa Bianca, aveva provvisoriamente bloccato i trasferimenti di armi inclusi in pacchetti già approvati dalla precedente amministrazione, salvo poi riprendere il flusso lo scorso fine settimana dopo che la Casa Bianca ha accantonato - proprio come ha fatto con i dazi per Messico e Canada, ndr - il piano iniziale di sospendere gli aiuti di qualsiasi tipo a Kiev, secondo quanto hanno spiegato due diverse fonti informate citate da Reuters in un lancio riportato da Meduza.

Ma prima ancora della messa in opera della strategia negoziale di taglio muscolare di Trump, in un loro incontro prima delle elezioni di novembre, era stato l'accorto Zelensky a proporre al tycoon le terre rare su cui può contare l'Ucraina, sottolineando che difendere il Paese è negli interessi economici degli Stati Uniti.

Zelensky aveva addirittura evitato di firmare accordi di cooperazione per lo sfruttamento delle risorse minerarie e per il trattamento dei minerali estratti con la precedente amministrazione proprio per iniziare da zero con il nuovo presidente. Kiev si limita a chiedere agli Stati Uniti di garantire che i minerali non finiscano in mani russe.

Solo lo scorso dicembre - scrive il New York Times - una delegazione del governo ucraino aveva incontrato imprenditori Usa a Washington presentando loro possibili accordi con l'inclusione dell'acquisizione delle licenze di produzione di minerali critici, direttamente o attraverso partnership con i proprietari di licenze. E fonti ucraine citate dal Kiev Times precisano che accordi sulle terre rare con gli alleati sono parte del 'Piano per la vittoria' messo a punto da Zelensky per porre fine alla guerra.

In Ucraina ci sono giacimenti di diverse terre rare - di cui al momento il maggior produttore al mondo è la Cina, con il 70 per cento della produzione globale e la Groenlandia, guarda caso, è una regione con grandi riserve ancora da sviluppare - per un valore di migliaia di miliardi di dollari, secondo stime rilanciate dalle autorità ucraine forse troppo ottimistiche data la difficoltà di accedere alle miniere che in molti casi si trovano in regioni del Paese occupate dalla Russia (le forze di Mosca sarebbero riuscite a mettere le mani sull'equivalente di 12mila miliardi di dollari di asset energetici ucraini fino a ora, scrive il Washington Post) o in regioni verso cui le forze di Mosca stanno avanzando, come una delle principali miniere di litio del Paese, a una quarantina di chilometri dal fronte nella regione di Donetsk. Un incentivo per convincere Trump a rendere possibile alle forze di Kiev di mantenere e riprendere il controllo delle miniere.

Zelensky si è detto intanto pronto a ricevere "investimenti da aziende americane" nelle terre rare ucraine: "Vorrei che le aziende americane sviluppassero questo settore qui", ha detto, rivelando di aver già discusso con il tycoon dello sfruttamento delle terre rare ucraine. La trattativa ora è aperta.

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Esteri

Trump posticipa i dazi per Canada e Messico: cosa vuole...

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Secondo il New York Times, l'unica cosa sicura nella strategia adottata da Trump nei confronti di Città del Messico e Ottawa è l'assenza di chiarezza negli obiettivi

Donald Trump - Afp

Minacce di dazi massicci, ipotesi di ritorsioni, trattative serrate e un rinvio con annesso negoziato. Donald Trump ha seguito lo stesso percorso con Canada e Messico, i due Paesi confinanti che da mesi aveva messo nel mirino perché non si piegavano alle sue richieste sul contrasto ai traffici di migranti illegali e fentanyl. Un colloquio con la presidente messicana Claudia Sheinbaum e due con il primo ministro canadese Justin Trudeau dopo, la crisi commerciale con i due vicini sembra rientrata, almeno per il momento. Ma "cosa vuole davvero Trump da Canada e Messico?", si chiede il New York Times, secondo cui le richieste del presidente sono difficili da misurare e "ciò gli consente di dichiarare vittoria quando lo ritiene opportuno".

Secondo il quotidiano di area democratica, l'unica cosa sicura nella strategia adottata da Trump nei confronti di Città del Messico e Ottawa è proprio l'assenza di chiarezza negli obiettivi. Il presidente ha più volte insistito sul fatto che Canada e Messico devono fermare il flusso di migranti al confine e l'invasione del fentanyl, una vera e propria piaga per gli Stati Uniti. Ma, almeno pubblicamente, è stato piuttosto vago sui parametri di riferimento per valutare il livello di cooperazione dei suoi vicini. Ieri alla domanda se ci fosse qualcosa che Trudeau potesse fare per evitare i dazi, il presidente ha risposto: "Non lo so". "Abbiamo grandi deficit (commerciali, ndr) con il Canada come con tutti i Paesi", ha detto alla stampa nello Studio Ovale, ribadendo il 'sogno' di vedere il Canada diventare il 51mo Stato americano.

Alla fine Trump ha deciso di posticipare di 30 giorni l'imposizione dei dazi contro i due Paesi, arginando una crisi che avrebbe potuto sconvolgere l'economia globale. Ma il presidente ha cantato vittoria, sottolineando di aver strappato concessioni a Canada e Messico. La prima ha nominato uno 'zar del fentanyl' e ha lanciato una forza congiunta per combattere la criminalità organizzata e il riciclaggio di denaro. Il Messico, ha detto Trump, ha promesso di rafforzare il confine con 10mila membri della sua Guardia nazionale.

Quello che sfugge, evidenzia il Nyt, è se queste misure siano concessioni importanti, come le ha sbandierate Trump. Trudeau, in un post sui social media, ha descritto azioni che sono già attuate nell'ambito di un piano al confine da 1,3 miliardi di dollari che prevede l'impiego di tecnologia e personale aggiuntivi. Inoltre, stando ai dati federali, solo una piccola parte del totale dei sequestri di fentanyl avviene al confine tra Stati Uniti e Canada. Il Messico, dal canto suo, aveva già intensificato i controlli alle frontiere prima delle minacce di dazi da parte di Trump, con conseguente crollo degli attraversamenti illegali. Secondo il giornale, inoltre, durante i primi quattro mesi di mandato di Sheinbaum, le forze di sicurezza messicane hanno effettuato sequestri di fentanyl e intensificato le operazioni per individuare e distruggere i laboratori clandestini della droga.

"Prospera nel caos, prospera nell'incertezza", ha commentato John Feeley, ex ambasciatore degli Stati Uniti a Panama e vice capo della missione in Messico, a proposito di Trump. La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha invece sottolineato che Trump è stato "incredibilmente chiaro" sulle sue motivazioni per i dazi, spiegando che "il presidente sta rendendo molto chiaro sia al Canada che al Messico che gli Stati Uniti non saranno più una discarica per droghe mortali ed esseri umani illegali".

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