Giorgio Palù: “No sintonia con ministro né risposte Governo, mi dimetto da Aifa”
"Recrimino la totale assenza di ascolto da parte del ministro nelle scelte operate per Aifa". La comunicazione in un messaggio che l'Adnkronos Salute ha potuto visionare
Giorgio Palù si è dimesso dalla presidenza dell'Agenzia italiana del farmaco Aifa. "Vi comunico, dopo un'attenta meditazione, che la mancata sintonia col ministro e l'assenza di risposte dal Governo mi costringono a dare le dimissioni da presidente nominato di Aifa 'hic et immediate'", le parole con cui Palù ha comunicato le sue dimissioni, contenute in un messaggio rivolto ai consiglieri del Cda e ai direttori dell'ente regolatorio, oggi in occasione di una riunione informale. Un messaggio che l'Adnkronos Salute ha potuto visionare. "Recrimino la totale assenza di ascolto da parte del ministro nelle scelte operate per Aifa", è uno dei passaggi.
Palù condivide la sue riflessioni sui recenti decreti di nomina e spiega così la sua scelta: "Trovo offensivo e umiliante nei confronti della mia persona e del mio profilo scientifico professionale il contenuto del Decreto" di nomina alla presidenza dell'Agenzia italiana del farmaco. "In particolare la durata di un anno del mandato conferitomi". Scelta "quantomeno equivoca sul piano giuridico".
Quello che formalizzava la sua nomina, firmato dal ministro della Salute Orazio Schillaci in data 9 febbraio, prevedeva un incarico della durata di un anno da svolgere a titolo gratuito. Ed è proprio questa formulazione che ha amareggiato Palù, in particolare nel passaggio in cui si esplicita la breve durata. "Ne sia prova - scrive - il fatto che il mio primo incarico a presidente (ero già in pensione) è avvenuto con mandato quinquennale da parte del precedente ministro della Salute. L'interpretazione restrittiva della norma da parte del ministro attuale viene adottata esclusivamente nei miei confronti - fa notare - in netto contrasto con i decreti di nomina appena assunti dallo stesso ministro per pensionati ultrasettantenni chiamati a dirigere l'Iss (Istituto superiore di sanità) o a partecipare come consulenti nella Cse", Commissione unica scientifico-economica, "di Aifa".
"La non retribuzione dell'incarico non mi preoccupa di certo - puntualizza Palù - Considerandomi al servizio della res publica, ho infatti già svolto per tre anni le funzioni di presidente di Aifa senza ricevere alcun compenso né gettone di presenza, rifiutando anche di essere titolare di carta di credito dell'ente. Mi sorprende invece - chiarisce - la disparità di trattamento rispetto ad altri presidenti di ente pubblico in pensione, beneficiari, contestualmente alla nomina, della legge numero 14 del 24 gennaio 1978. Legge che nel mio caso, ancora una volta, non trova applicazione".
"Orgoglioso di aver portato riforma Aifa"
Poi, all'Adnkronos Salute, Palù sottolinea: "Ho l'orgoglio di aver portato la riforma dell'Agenzia italiana del farmaco Aifa, di averla concepita, promossa e in larga parte redatta, e spero che questo sia utile all'agenzia. Non ho molto altro da dire".
Le sue dimissioni rappresentano "una grande perdita" per l'ente regolatorio nazionale, per il quale Palù sarebbe stato "la guida giusta, al momento giusto". Così Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia (Siv-Isv), contattato dall'Adnkronos Salute, esprime tutto il suo "rammarico".
Il numero uno dei virologi italiani non entra nel merito delle motivazioni che hanno spinto il collega a prendere questa decisione. Ragioni che ovviamente "rispetto", premette Caruso. "Posso solo rammaricarmi - ribadisce - per la perdita di una figura come Palù, che al vertice dell'Aifa ci avrebbe dato anche la certezza di un'attenzione alle sfide da affrontare nel settore dell'infettivologia, che come Società italiana di virologia ci stanno particolarmente a cuore".
A cominciare dall'emergenza dei 'superbatteri' resistenti agli antibiotici. "Una pandemia strisciante già in atto", la definiva Caruso in una lettera con la quale, solo 10 giorni fa, la Siv-Isv plaudeva alla conferma di Palù nel ruolo di presidente Aifa.
Le dimissioni del presidente dell'Aifa scuotono anche le Regioni. Le Regioni, con il coordinatore della Commissione salute Raffaele Donini, avevano espresso un'intesa sul nominativo di Giorgio Palù, oggi con le dimissioni si aspettano una nuova proposta da parte del ministro della Salute Orazio Schillaci.
Salute e Benessere
Il digiuno aiuta il cervello a restare giovane? Il nuovo...
Scoperte cellule più sensibili al deterioramento del tempo, hanno a che fare con ormoni che controllano bisogni base tra cui la fame
Come invecchia il cervello? Uno studio fa luce su nuovi dettagli che rendono più chiaro l'impatto dell'età che avanza. In particolare gli autori hanno scoperto che non tutti i tipi di cellule cerebrali invecchiano allo stesso modo. Alcune più di altre subiscono importanti cambiamenti nell'attività genetica per effetto del tempo che passa. E fra queste c'è un gruppo che controlla ormoni legati a bisogni base come l'alimentazione. Tanto che gli autori del lavoro, finanziato dai National Institutes of Health (Nih) statunitensi e pubblicato su 'Nature', osservano che le nuove evidenze raccolte sono in linea con studi precedenti che collegano l'invecchiamento ai cambiamenti metabolici e con ricerche che suggeriscono che il digiuno intermittente, un dieta equilibrata o la restrizione calorica possono influenzare o forse aumentare la durata della vita.
"L'invecchiamento è il fattore di rischio più importante per la malattia di Alzheimer e molti altri devastanti disturbi cerebrali. Questi risultati forniscono una mappa molto dettagliata di quali cellule cerebrali potrebbero essere maggiormente colpite dall'invecchiamento", osserva Richard J. Hodes, direttore del National Institute on Aging, centro della rete Nih.
"Questa nuova mappa potrebbe modificare radicalmente la visione degli scienziati su come l'invecchiamento influisce sul cervello e fornire anche una guida per lo sviluppo di nuovi trattamenti per le malattie cerebrali legate all'invecchiamento", prospetta l'esperto.
Lo studio alla scoperta del cervello 'anziano'
I risultati dello studio supportano dunque l'idea che alcune cellule siano più sensibili al processo di invecchiamento e ai disturbi cerebrali legati all'invecchiamento. Nei cervelli 'anziani', spiegano gli autori, l'attività dei geni associati all'infiammazione aumenta, mentre quella dei geni correlati alla funzione e alla struttura neuronale diminuisce. Gli scienziati hanno scoperto un punto caldo specifico che combina sia la diminuzione della funzione neuronale sia l'aumento dell'infiammazione nell'ipotalamo. I cambiamenti più significativi nell'espressione genica sono stati riscontrati nei tipi di cellule vicino al terzo ventricolo dell'ipotalamo, inclusi taniciti e cellule ependimali (cellule gliali, che sostengono i neuroni), e neuroni noti per il loro ruolo nell'assunzione di cibo, nell'omeostasi energetica, nel metabolismo e nel modo in cui il nostro corpo utilizza i nutrienti. Questo, riflettono gli esperti, suggerisce una possibile connessione tra dieta, fattori legati allo stile di vita, invecchiamento del cervello e cambiamenti che possono influenzare la nostra suscettibilità ai disturbi cerebrali legati all'età.
"La nostra ipotesi è che quei tipi di cellule diventino meno efficienti nell'integrare segnali dal nostro ambiente o da cose che stiamo consumando", illustra Kelly Jin, scienziata dell'Allen Institute for Brain Science e autore principale dello studio. "E quella perdita di efficienza in qualche modo contribuisce a ciò che conosciamo come invecchiamento nel resto del nostro corpo. Penso che sia notevole che siamo in grado di trovare quei cambiamenti molto specifici con i metodi che stiamo utilizzando", rimarca.
Per condurre lo studio, i ricercatori hanno fatto ricorso a strumenti avanzati di analisi genetica sviluppati tramite The Brain Initiative dei Nih per studiare singole cellule e mappare oltre 1,2 milioni di cellule cerebrali di topi giovani (2 mesi) e anziani (18 mesi) in 16 ampie regioni cerebrali, che costituiscono il 35% del volume totale del cervello di un topo.
I topi anziani sono ciò che gli scienziati considerano l'equivalente di un essere umano di mezza età e i cervelli dei roditori - precisano gli esperti - condividono molte somiglianze con i cervelli umani in termini di struttura, funzione, geni e tipi di cellule. Nello studio gli autori hanno osservato da un lato che l'invecchiamento ha aumentato l'attività dei geni associati ai sistemi infiammatorio e immunitario del cervello, così come alle cellule dei vasi sanguigni cerebrali. Dall'altro lato, i risultati hanno evidenziato una diminuzione dell'attività dei geni associati ai circuiti neuronali.
Il terzo ventricolo, finito in particolare sotto la lente, è un importante condotto che consente al liquido cerebrospinale di passare attraverso l'ipotalamo. Situato alla base del cervello del topo, l'ipotalamo produce ormoni che possono controllare i bisogni di base del corpo, tra cui temperatura, frequenza cardiaca, sonno, sete e fame. I risultati hanno mostrato che le cellule che rivestono il terzo ventricolo e i neuroni adiacenti nell'ipotalamo presentavano i maggiori cambiamenti nell'attività genetica con l'età.
Se è noto che i neuroni sensibili all'età nell'ipotalamo producono ormoni che controllano l'alimentazione e l'energia, e che le cellule che rivestono il ventricolo controllano il passaggio di ormoni e nutrienti tra il cervello e il corpo, gli esperti puntualizzano che sono necessarie ulteriori ricerche per esaminare i meccanismi biologici alla base dei risultati dello studio, nonché per cercare eventuali possibili collegamenti con la salute umana. La comprensione di questo 'hot spot' nell'ipotalamo lo rende un punto focale per studi futuri, concludono gli autori. Oltre a sapere quali cellule colpire specificamente, questo potrebbe portare allo sviluppo di terapie correlate all'età, aiutando a preservare la funzione e prevenire le malattie neurodegenerative.
Salute e Benessere
Sanità, Tar Lazio revoca stop decreto nuove tariffe
Richiesta presentata dal ministero della Salute attraverso l'Avvocatura dello Stato
Contrordine sulla sospensione del nuovo tariffario che doveva entrare in vigore ieri. Oggi il Tar del Lazio ha "accolto l'istanza di revoca e conferma la fissazione alla Camera di consiglio del 28 gennaio", perché "l'istanza di revoca è stata esportata al relatore intorno alle ore 11.30 del 31 dicembre" e "non si ravvisano evidentemente i presupposti per un'audizione anche informale delle parti". Così la pronuncia del Tar del Lazio, dopo che il ministero della Salute, attraverso l'Avvocatura dello Stato, ha presentato un'istanza di revoca dell'ordinanza sospensiva del Tar.
Il tribunale ha "preso atto della dichiarata gravità delle conseguenze della sospensione del decreto in esame, che determinerebbero il blocco del sistema di prescrizione, prenotazione ed erogazione, con conseguente disservizio all'utenza e ritardi nell'erogazione delle prestazioni e, in ultima analisi, con un impatto sulla salute dei pazienti".
In mezzo a questo guado burocratico rimangono i cittadini e i loro bisogni di salute. In molte regioni si stanno registrando diversi problemi, segnalati anche dai medici di famiglia, nella prenotazione di esami e visite. Ora la nuova decisione del Tar del Lazio e l'attesa per capire come andrà a finire. Un 2025 che inizia in salita. Con il nuovo decreto venivano aggiornate 1.113 tariffe associate alle prestazioni di specialistica ambulatoriale e protesica sulle 3.171 che compongono il nomenclatore, ovvero il 35% del totale. Il 2025 poteva porre fine a diverse attese: 28 anni per il nomenclatore delle prestazioni di specialistica ambulatoriale e 25 anni per quello dell'assistenza protesica.
Salute e Benessere
Monossido di carbonio, Bignami (Siaarti) ‘non si...
"Il monossido di carbonio è inodore, incolore e insapore. Non si percepisce, si diffonde e si assorbe molto velocemente, si lega più facilmente all'emoglobina al posto dell'ossigeno e arriva quindi al cervello dove riduce la respirazione perché provoca, di fatto, il blocco del respiro". Così Elena Bignami, presidente della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti), commenta all'Adnkronos Salute gli ultimi casi di cronaca che si sono verificati nelle scorse ore nel Palermitano e a Trieste. A causa dell'intossicazione da monossido di carbonio, a Cefalù è morto un giovane turista tedesco, mentre i genitori e la sorella della vittima sono ricoverati in condizioni gravi all'ospedale di Partinico. Nel capoluogo giuliano, sempre una presunta fuga dello steso gas è costata la vita a un uomo, mentre risultano intossicate almeno altre 6 persone.
"Il rianimatore - spiega Bignami - serve per due motivi: se arriva sul posto e il paziente sta respirando ed è ancora cosciente, somministra ossigeno al 100%; se invece è in arresto cardiaco, pratica le manovre di rianimazione. In tutti i casi è fondamentale essere tempestivi e portare il paziente in un centro specialistico per la terapia iperbarica, cioè la somministrazione di ossigeno puro al 100%. Nell'aria - chiarisce la specialista - è presente al 21%", quindi si agisce in un ambiente "ad elevate pressioni i di ossigeno, 2-3 volte più del normale, per fare in modo di avere a disposizione tanto ossigeno" in grado di scalzare nel sangue il monossido di carbonio dall'emoglobina e ristabilire la corretta ossigenazione. I tempi per intervenire sono molto brevi perché il monossido di carbonio diffonde velocemente - rimarca Bignami - e può essere particolarmente pericoloso in ambienti piccoli e senza diretto accesso a uno spazio esterno".
In ogni caso, raccomanda la presidente Siaarti, è importante fare attenzione a dei campanelli di allarme di possibile intossicazione come "un improvviso mal di testa e un senso di pesantezza, di spossatezza eccessiva, in assenza di altre cause come il raffreddore" e, soprattutto, in più persone contemporaneamente. In questo caso, "la prima cosa da fare è uscire all'aperto e chiamare soccorsi".
Il trattamento tempestivo "ha prognosi, la maggior parte delle volte, favorevole - sottolinea Bignami - Più passa il tempo e più può diventare sfavorevole". La terapia in camera iperbarica, infatti, "non è di una singola seduta: può proseguire anche per settimane. Di solito c'è una restituzione 'ad integrum', si torna a quello che si era. Se il paziente è giovane e sano - precisa l'esperta - nel giro di qualche settimana tutto si risolve. Se invece il paziente è magari un anziano o già con un problema di salute, questi deficit si aggravano, perché comunque c'è stata una transitoria riduzione dell'ossigeno in tutte le cellule sullo spazio cerebrale, quindi eventuali situazioni già esistenti - conclude - peggiorano".