Sandro Giordano: il fotografo che racconta la caduta dell’umanità con ironia
A cura di Pierluigi Panciroli – Foto di copertina: Ph. Fabrizio Massarelli
Sandro nasce a Roma il 6 ottobre 1972 e si appassiona alla scenografia, studiandola all’Istituto per la Cinematografia e la Televisione Roberto Rossellini. Dopo la laurea, si dedica alla tecnica del suono e delle luci nei teatri della capitale. Nel 1993, si cimenta nella recitazione, e frequenta una rinomata scuola privata romana; inizia, così, la sua carriera di attore. Sul palcoscenico lavora con registi di fama, come Luciano Melchionna e Giancarlo Cobelli, mentre al cinema condivide la scena con grandi nomi come Dario Argento, Davide Marengo, Carlo Verdone e ancora Melchionna.
Dal 2013, Sandro si immerge completamente nel suo progetto fotografico IN EXTREMIS (corpi senza rimpianto).
Le sue fotografie sono vere e proprie “storie brevi” che mostrano un mondo in declino.
Ogni immagine ritrae individui consumati, che in un improvviso collasso mentale e fisico, cadono senza alcuna speranza di salvezza. Questa impotenza è il risultato della stanchezza quotidiana nel fingere la vita, soffocati dal suo apparire anziché dal suo essere. In un’epoca degradata dalla chirurgia plastica, che produce immagini stereotipate al servizio di modelli di marketing imposti, Sandro Giordano rivendica la sua idea che la perfezione stia nell’imperfezione, nei contrasti forti, nella fragilità e nell’umanità che evidenzia l’unicità di ogni individuo. Il volto celato dei protagonisti nelle sue opere permette al loro corpo di diventare il testimone della loro esistenza. La caduta rappresenta il punto di non ritorno, un fondo che richiama il famoso detto: “bisogna toccare il fondo per ricominciare”. La CADUTA dei personaggi di Giordano è il loro fondo, oltre il quale il loro falso io raggiunge il suo limite. Ognuno di loro tiene stretto un oggetto, simbolo di questa menzogna.
La finzione, per Giordano
Non è solo espressa dagli oggetti, ma anche dai vestiti, dalle pettinature e dalla location. Tutto ciò che è visibile nella foto costituisce la loro finzione, mentre il CORPO spezzato rivela la VERITÀ, una verità che, per essere narrata, deve necessariamente crollare. Nelle sue opere, Giordano evita l’uso di manichini, preferendo attori professionisti capaci di esprimere ciò che sfugge allo sguardo, perché l’invisibile diventi visibile.
LA CADUTA raccontata con ironia
Fin da bambino, Giordano nutrì un amore per i film di Charlie Chaplin e Laurel e Hardy, fonte di risate e gioia. Nei loro film, i personaggi affrontano eventi terribili, gravi incidenti… LA CADUTA… L’istintiva reazione di stupore e imbarazzo di fronte alla sventura del protagonista si trasforma, però, in una risata liberatoria. Questo effetto è ciò che Giordano cerca di ricreare attraverso le sue fotografie: raccontare la tragedia con l’ironia. L’umanità in rovina, oggetto del suo affetto e attaccamento, non lo allontana, ma lo avvicina. È l’empatia che gli permette di non giudicare, ma di condividere storie con la speranza che una risata provocata nello spettatore sia un segno favorevole, una fiducia in un futuro migliore e più autentico. Infine, quella risata diventa una rivelazione.
Credit: My Worst Nightmare
Sono veramente entusiasta di poter intervistare Sandro Giordano, questo artista di grande talento ed esperienza che con la sua originalità c’incuriosisce.
– Sandro, grazie in tanto per aver accettato questa mia intervista. Non si può, certo non ridere guardando le tue opere. Come nasce l’idea di IN EXTREMIS e qual è il
messaggio che vuoi trasmettere con le tue fotografie?
– Ciao, grazie a te per questo bell’incontro. IN EXTREMIS nasce come denuncia di un mondo che sta lentamente cadendo. Racconto in chiave tragicomica di persone comuni che si schiantano nella vita quotidiana, sopraffatte da un peso che non riescono più a sostenere. Quando ci facciamo
male c’è qualcosa nelle nostre vite che non sta andando per il verso giusto e abituati a vivere come se fossimo dentro a una centrifuga, non ce ne rendiamo conto. Cadere, farsi male, sbattere la faccia, appunto, è un campanello d’allarme che non possiamo sottovalutare e il nostro corpo ci costringe a riflettere su questo aspetto. Nel momento in cui siamo a “terra”, abbiamo la possibilità di scegliere se rimetterci in piedi o rimanere là e andare sempre più giù. Sta a noi, è una prova che la vita ci chiede di superare.
– Quali sono le difficoltà e le soddisfazioni di realizzare le tue opere, che richiedono la collaborazione di attori, scenografi e truccatori?
– Vengo dal teatro e dal cinema. Concepisco le mie foto come fossero fotogrammi della pellicola di un film, quindi, immortalare quel momento richiede una grande lavorazione a livello scenografico. In quel frame devo metterci dentro tutto il necessario affinché il pubblico possa capire la dinamica dell’incidente e il background del personaggio. Attraverso gli oggetti, fondamentali per l’interpretazione, cerco di raccontare la sua vita e soprattutto il malessere che lo ha portato a “schiantarsi”. È un processo difficile e meticoloso di cui mi occupo personalmente. Realizzo tutto da solo. Sul set, spesso capita siamo solo in tre: io, il mio assistente e il modello. Lavoro principalmente con attori e ballerini perché sanno come gestire il corpo, posso chiedere loro di assumere posizioni che risulterebbero molto difficili ad altri.
Credit: Mea Maxima Culpa
– Come scegli le location e gli oggetti che accompagnano i tuoi personaggi caduti? C’è un significato simbolico o una storia dietro ogni scelta?
– Dipende dalla storia che voglio raccontare. Effettivamente, trovare la location giusta è l’aspetto del progetto più complicato. Ho una quantità incredibile di idee, che a volte risiedono nella mia mente per anni, ma se non ho il luogo giusto, non posso fare la foto e questo mi innervosisce non poco, è molto frustrante. Superato questo step, tutto diventa più semplice. Solitamente scatto delle foto sul punto esatto dove successivamente verrà posizionato il corpo e da lì inizio a creare l’immagine dentro di me. Vedo chiara la posizione degli arti e la disposizione degli oggetti. Quando arriviamo sul set so esattamente cosa voglio perché lo scatto definitivo è già nella mia testa.
– Quali sono i tuoi riferimenti artistici e culturali? C’è un fotografo, un regista o un attore che ti ha ispirato o influenzato nel tuo percorso?
– Spesso mi accostano a David LaChapelle, forse per la quantità di colori che utilizzo nelle foto. Sicuramente, a livello inconscio, ha avuto una grande influenza su di me, ma non ho mai pensato a lui quando ho iniziato il progetto. Sono cresciuto con i film di Stanlio e Ollio e Charlie Chaplin. Ricordo che da bambino rimanevo impressionato dalla quantità di incidenti che capitavano ai personaggi dei loro film. Cadevano, sbattevano, ma poi si rimettevano subito in piedi come fossero pupazzi di gomma, incredibile! Questo sicuramente ha avuto un’influenza maggiore sulle mie scelte artistiche. E poi ci sono due sitcom alle quali sono davvero legato per via delle strepitose attrici comiche che le interpretavano: Laverne & Shirley e Absolutely Fabulous. La prima è una sitcom degli anni ’70, l’altra, anni ’90. Anche lì, tra cadute e porte sbattute in faccia penso di non aver mai riso tanto. SOBRIA, la foto della Fiat 500 gialla, forse la più iconica del mio progetto, è un chiaro omaggio alla scena di una puntata di Absolutely Fabulous, in cui una delle due protagoniste, alla guida di un’auto in stato di ebrezza, viene fermata da un agente di polizia, che aprendo la portiera per il controllo della patente, la vede rotolare giù come fosse un sacco di patate. Se non conosci questa serie, ti consiglio di recuperarla il prima possibile.
– Come hai sviluppato il tuo stile fotografico, che mescola tragedia e ironia, realismo e finzione, bellezza e rovina?
– È la vita stessa che mi ha portato a sviluppare questi aspetti. Non ho mai pensato razionalmente ad essi come canali giusti da seguire per esprimermi. Tutti gli “ingredienti” che hai appena elencato mi riguardano personalmente nel quotidiano, mi viene quindi naturale metterli nel progetto. Sono convinto che esista sempre un lato ironico nella tragedia, basta farlo uscire fuori. Cosa che spesso non facciamo per pudore della tragedia stessa, come a dire: è immorale e fuori luogo farci una risata di fronte a un fatto tragico. Ma è proprio quello il punto, riuscire a sdrammatizzare nei momenti peggiori della nostra vita, ridere di noi stessi. Certo, l’ironia è cosa sconosciuta a molti. Quella, o la possiedi o non credo tu la possa mai acquisire.
– Quali sono le sfide e le opportunità di usare attori professionisti nelle tue opere, invece di manichini o modelli?
– Il mio progetto ha avuto molto successo proprio grazie al fatto io abbia usato esseri umani anziché manichini. La gente, per essere “schiaffeggiata”, deve identificarsi nei personaggi delle mie foto, e questo non accadrebbe se utilizzassi bambole di pezza. Dopo una giornata di shooting, lo scatto definitivo, quello che reputo migliore, è sempre uno degli ultimi, perché dopo diverse ore passate in quelle posizioni, il corpo dei modelli è stremato dalla stanchezza, e questo arriva dritto come un pugno nello stomaco quando guardi la foto. Si avverte subito. Per lo stesso motivo nascondo il loro volto. Non avere tratti somatici visibili, come punto di riferimento, permette di identificarti maggiormente.
– Come ti rapporti con il tema della caduta, che è centrale nel tuo progetto IN EXTREMIS? C’è un’esperienza personale che ti ha ispirato o segnato in questo senso?
– Si, pochi mesi prima di iniziare il progetto sono stato vittima di una brutta caduta in bici e stavo, guarda caso, attraversando uno dei momenti peggiori della mia vita. La cosa che mi inquietò molto di quell’incidente fu l’oggetto che avevo in mano, una barretta proteica, che anziché lasciare andare per tentare, quantomeno, di attutire il colpo, ho tenuto stretta per tutto il tempo. Pochi mesi dopo un mio amico si è rotto una gamba tra gli scogli al mare per salvare lo smartphone che gli stava scivolando dalle mani. A quel punto mi son detto: abbiamo un problema serio con i “beni” materiali, che pensiamo di possedere, ma che in realtà controllano le nostre vite. Ho voluto quindi mostrare anche quest’aspetto nel progetto. In quasi tutte le mie foto, infatti, i modelli tengono in mano un oggetto che non lasciano andare durante lo “schianto”, proprio per sottolinearne l’attaccamento tossico e ossessivo.
– Come scegli i temi e le storie che vuoi raccontare con le tue fotografie? C’è un processo creativo che segui o ti lasci guidare dall’istinto e dall’ispirazione?
– Nella maggior parte dei casi, prendo semplicemente spunto dalla vita di tutti i giorni. Mi piace osservare la gente, vedere come gesticola, come parla, come si veste e quello che fa. Intuire le loro nevrosi e le loro ossessioni, per poi esasperarle a modo mio. Raramente racconto storie che non conosco da vicino o che non ho vissuto personalmente.
Credit: La Pecorina
– Come vedi il ruolo del fotografo nella società̀ contemporanea, che è dominata dalle immagini digitali e dai social media? Qual è il tuo rapporto con queste piattaforme e con il tuo pubblico online?
– I social network sono diventati vetrine nel mondo, per tutti. Anche il mio progetto è nato dieci anni fa su Instagram e da lì è esploso ovunque. È l’uso che ne facciamo di questi social che fa la differenza. Oramai, chiunque può improvvisarsi fotografo, me compreso. Ho fatto l’attore per vent’anni e pochi mesi dopo aver smesso è nato IN EXTREMIS, che ho iniziato con il mio vecchio iPhone 5, tra l’altro, per poi passare alle vere macchine fotografiche, ma non ho mai studiato fotografia. Posso dire di avere avuto una buona idea e che forse ho realizzato nel modo giusto. Ma l’idea è alla base di tutto. Il mezzo che utilizzi per realizzarla passa in secondo piano quando essa è vincente.
– Quali sono i tuoi sogni e le tue aspirazioni come artista? C’è un progetto che vorresti realizzare ma che non hai ancora avuto l’occasione di fare?
– Mi piacerebbe realizzare IN EXTREMIS con le celebrities. È già da un po’ di anni che ho in mente l’idea di un libro fotografico che racchiuda, attraverso le mie foto e i loro racconti, la personale esperienza con le cadute interiori. Scivolare o inciampare e cadere a terra, piuttosto che sbattere la faccia contro una porta a vetri, azzera di colpo il tuo stato sociale. Quando cadiamo siamo tutti uguali: goffi e inermi. Ecco, sarebbe bello scoprire le loro vulnerabilità e giocare insieme a renderle colorate e ironiche.
– Mi propongo come modello per un tuo prossimo lavoro, cosa ne pensi?
– Per me va bene. Dipende solo da che rapporto hai con la tua cervicale
– Grazie veramente tanto per averci fatto entrare nel tuo mondo.
– Grazie a te per avermi dato l’opportunità.
www.sandrogiordanoinextremis.it
Instagram: -remmidemmi. Facebook: Sandro Giordano Remmidemmi
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Interviste
Intervista a Nicol Angelozzi, dal set a Madrina del Catania...
Nicol Angelozzi è un’attrice emergente dal talento e dalla determinazione straordinari. Nonostante la giovane età, ha già conquistato ruoli importanti, arrivando al pubblico televisivo con la serie Confusi, disponibile su RaiPlay, in cui ha interpretato un ruolo da protagonista. Ora è pronta a ricoprire il prestigioso ruolo di Madrina al prossimo Catania Film Fest, evento di spicco nel panorama del cinema indipendente.
In questa intervista, Nicol condivide la sua passione per la recitazione, i sogni ed i progetti che la attendono nel futuro.
Nicol, sei giovanissima ma hai già fatto passi importanti nella tua carriera di attrice, come ad esempio il ruolo da protagonista in Confusi. Come è nata questa passione per la recitazione e cosa ti ha spinta ad intraprendere questa strada?
“Da quando ero piccola ho sempre amato il mondo dello spettacolo. Ricordo che appena trovavo una spazzola in giro per casa, la prendevo e iniziavo a cantare, ballare e ad inventare storie. A scuola, non perdevo occasione di partecipare alle recite; ero sempre in prima linea. Da lì ho capito che quello poteva essere il mio mondo. La recitazione mi rende viva e mi fa provare emozioni intense. Per questo, mi impegno ogni giorno con tutta me stessa per inseguire il mio sogno.”
Sarai la Madrina della prossima edizione del Catania Film Fest, che si terrà dal 13 al 17 novembre 2024. Cosa significa per te questo ruolo e quale contributo speri di portare al festival?
“Sono molto emozionata di poter ricoprire un ruolo così importante, tornare nella mia città Catania e aprire le porte del festival. Spero di portare tanta freschezza e gioia, e di contribuire al successo di questo evento che valorizza il cinema indipendente.”
Il Catania Film Fest è un importante evento per il cinema indipendente. Secondo te, qual è il valore di questi festival per i giovani attori e per l’industria cinematografica in generale?
“Ieri in un’intervista dicevo che i festival avvicinano le persone al mondo del cinema e permettono di approfondire le proprie conoscenze. Avere l’opportunità di vedere film che in sala sono spesso difficili da trovare è un’occasione preziosa. Tantissime scuole ed università parteciperanno al programma del festival, e questa adesione mi rende molto felice.”
Guardando alla tua esperienza professionale, c’è un ruolo o un progetto che consideri particolarmente significativo nel tuo percorso?
“Sicuramente il ruolo di Maria Grazia in Confusi mi ha segnato particolarmente. Avere la possibilità di interpretare un personaggio per un mese intero è una sfida bellissima: ti permette di creare e cucirti il personaggio addosso, di viverlo davvero dall’inizio alla fine.”
Quali sono i tuoi progetti futuri?
“Ci sono dei progetti di cui purtroppo non posso ancora parlare, ma che saranno molto entusiasmanti. Soprattutto, continuerò a studiare ed a formarmi, perché credo che lo studio faccia davvero la differenza in questo mestiere.”
Quali attori o registi ti ispirano di più nel tuo lavoro, e con chi sogni di collaborare in futuro per continuare a crescere professionalmente?
“Mi piacerebbe interpretare un ruolo action, magari sullo stile di Lara Croft—sarebbe davvero divertente! Vorrei lavorare con Ferzan Ozpetek, per la sua grande delicatezza nella narrazione. Spero di avere la possibilità di esplorare sempre di più in questo mestiere, passando dalla recitazione alla televisione, o anche alla radio.”
Cultura
L’evoluzione dei graffiti nell’arte: intervista a Nico...
Nico “Lopez” Bruchi è un artista poliedrico: pittore, fotografo, video-maker ed attivista sociale, incarna l’arte nella sua totalità. La sua passione per la creatività si manifesta in ogni campo in cui si esprime.
Nato a Volterra, in una famiglia di creativi, “Lopez” si è immerso fin da giovane nelle subculture urbane come lo skateboard e la street art, che hanno profondamente influenzato il suo percorso artistico e di cui, ed in breve tempo, è diventato uno dei punti di riferimento più importanti.
Oggi ricopre il ruolo di direttore artistico della EDFcrew, un ambizioso progetto di arte sociale che si dedica alla riqualificazione urbana. Con questo collettivo, Bruchi realizza decine di interventi artistici all’anno, trasformando spazi trascurati in opere d’arte, e continua a lavorare come direttore creativo su scala internazionale, collaborando a progetti innovativi che uniscono arte, design e impegno sociale. Lo incontriamo per parlare di urban art.
Cosa sono i graffiti per te?
Sono la più antica e necessaria espressione e affermazione dell’esistenza umana. Nascono nella preistoria e sono antecedenti alla scrittura. Sono cambiati i modi, ma non abbiamo mai smesso di farne, quindi si può dire che siano la più primordiale forma espressiva che abbiamo. Sono da sempre anche una forma di appropriazione di spazi e concetti, per questo motivo sono stati spesso generati in occasione di ribellione di manifestazioni di dissenso, con desiderio d’imponenza, d’invasione di spazi pubblici per autoproclamare sovversivi messaggi alla popolazione. Sono stati vera e propria pubblicità, decorazione, espressione di potenza e ricchezza (affreschi nelle ville), raffigurazione del divino (affreschi nelle chiese).
Per me, però, tutto nasce con i graffiti di Fernando Oreste Nannetti, meglio noto come NOF4, uno degli ospiti del manicomio di Volterra che, durante gli anni di reclusione, incise con le fibbie delle cinture tutte le mura esterne del padiglione manicomiali, creando un vero e proprio diario della sua mente. Considerato un capolavoro dell’Art Brut, il graffito di Nannetti, nella sua cripticità, riportava autoaffermazioni della sua esistenza e personali definizioni del proprio essere, tra le più leggibili, si distingueva questa: “…io sono un astronautico ingegnere minerario nel sistema mentale. Questa è la mia chiave mineraria. Sono anche un colonnello dell’astronautica astrale e terrestre.”
Crescere circondato da un’opera così potente ti lascia un segno profondo. La prima volta che scrissi su un muro avevo circa 7 anni, usando un pezzo di alabastro che un artigiano lasciava fuori dalla sua bottega per farci disegnare. Anni dopo, intorno ai 14, scoprii i graffiti “a bomboletta”, come i chiamo io. Praticando skateboard da rollerblading ero spesso negli skatepark ed inevitabilmente inciampai in alcuni writers milanesi e svizzeri. Rimasi affascinato e qualche anno più tardi cominciai dilettarmi nell’uso degli spray.
Vivendo a Volterra, con le sue antiche mura vincolate come beni storici, per evitare denunce iniziai a sperimentare coi graffiti nell’ex manicomio abbandonato. Passavo le giornate da solo a esercitarmi con gli spray. Quel luogo divenne il centro dei graffiti a Volterra, e per rispetto di NOF4, mi sono sempre impegnato a proteggere il suo lavoro, raccontando la sua storia agli artisti e invitandoli a dipingere altrove.
Come hai incontrato la EDFcrew?
Un giorno, un amico (Daniele Orlandi a.k.a. Umberto Staila) mi invitò a una jam di graffiti a Pontedera, dove parteciparono artisti da tutta Italia. Fu stupendo e a fine evento, lui e il suo socio (Niccolò Giannini a.k.a. Joke) mi proposero di entrare nella loro crew, la EDFcrew. Da quel momento, la mia vita cambiò e la crew divenne la mia priorità. Oggi, 20 anni dopo, sono il direttore artistico della EDFcrew, composta da sei artisti e molte figure professionali. I graffiti, da mezzo per esplorarmi e affermarmi, si sono trasformati in uno strumento di creatività sociale e comunitaria, diventando il motore della mia rivoluzione personale.
I graffiti e le opere d’arte urbana hanno attraversato un incredibile viaggio culturale, trasformandosi da attività clandestina a fenomeno celebrato ed integrato nella società contemporanea.
Nel corso degli anni, i graffiti hanno subito una straordinaria trasformazione culturale, passando dall’essere una forma clandestina di espressione ad un fenomeno celebrato ed integrato nella società. Artisti come me hanno contribuito a questo cambiamento, trasformando i graffiti in opere d’arte che suscitano riflessioni e dialoghi. Si è verificata una separazione tra il ‘Writing’ puro, che si basa sull’auto-affermazione egotica attraverso la scrittura del proprio nome, e i graffitisti figurativi che desideravano esprimersi senza i rischi del Writing clandestino.
Gli artisti figurativi, partendo dal concetto di graffiti “Puppet”, hanno evoluto il loro stile, dedicando più tempo alla creazione rispetto ai rapidi interventi clandestini sui treni. Con il tempo, i graffiti si sono spostati in spazi legali, più adatti alla realizzazione di opere complesse e decifrabili anche da chi non appartiene alle Street Cultures. Molti artisti hanno partecipato a jam su muri concessi dalle istituzioni, portando all’integrazione dei graffiti nell’ambiente urbano e alla nascita di movimenti come la Street Art e il muralismo. Grazie a internet, i graffiti hanno raggiunto una diffusione globale, entrando anche nei musei e nel mercato dell’arte.
E cosa succederà alle città invase dai murales, quando questi inevitabilmente si deterioreranno?
I murales che contengono un forte valore concettuale ed estetico rimarranno nei ricordi di chi li ha vissuti. Le città si evolvono costantemente, e i murales deteriorati potranno aggiungere un fascino ‘neorealista’ a certi quartieri, o essere restaurati o sostituiti. La natura effimera del muralismo lo rende affascinante: alcune persone potrebbero stancarsi, ma altri continueranno a trovare ispirazione nella loro bellezza, proprio come accade per le grandi opere d’arte.
Noi della EDFcrew ci impegniamo a creare arte sociale, coinvolgendo le comunità nei processi creativi e producendo murales che portano la loro voce. Chiudo dicendo che per molti (e mi metto anch’io tra questi) questa forma d’arte non è che l’inizio di un percorso artistico che poi, col tempo, prende nuove strade contemporanee dell’arte.
Interviste
Intervista esclusiva a Lola Abraldes, protagonista...
Lola Abraldes ci racconta il suo percorso in Margarita, la nuova serie legata all’universo di Floricienta (Flor speciale come te) e le sfide per interpretare Daisy, in una trama piena di colpi di scena. Ricordiamo che la serie narra le vicende della figlia di Flor e Massimo.
Lola Abraldes, a soli 21 anni, è già una promessa nel mondo dello spettacolo. È attrice, ballerina, cantante, modella e ha una determinazione che emerge chiaramente sin da bambina. La sua carriera ha radici profonde: a soli sei anni ha iniziato a lavorare nelle pubblicità, spesso al fianco di suo padre Flavio Abraldes, anche lui attore, che è stato una guida importantissima per lei. Con il suo sostegno e i suoi consigli, Lola ha affrontato ogni sfida con una sicurezza davvero invidiabile.
Ma non è solo il talento di famiglia a distinguerla: Lola ha sempre avuto una passione innata per l’arte, alimentata dai suoi studi di teatro e danza, iniziati a sette anni, e dal canto, che ha aggiunto alla sua formazione quattro anni fa. Il suo grande sogno? Lavorare con Cris Morena, un sogno che l’ha accompagnata fin da quando guardava Casi Ángeles, affascinata dal personaggio di Mar. E questo sogno, con grande determinazione, è riuscita a realizzarlo.
Lola ha dovuto insistere molto con i suoi genitori per partecipare ai primi casting. Non era facile per loro accettare che una bambina così piccola volesse già entrare in un mondo così competitivo. Ma alla fine ha prevalso la sua caparbietà e da quel momento non si è più fermata. Ha iniziato a fare pubblicità, ha continuato a studiare e poco a poco si è fatta strada nel mondo del cinema e della TV.
Nel 2021 arriva la svolta: ottiene un ruolo da coprotagonista nel film Como mueren las reinas. Un’esperienza che per lei ha significato tantissimo, perché è stato lì che ha capito di voler recitare per il resto della vita. Quei giorni lunghi sul set, per la prima volta così intensi, le hanno dato la certezza che il suo sogno stava prendendo forma.
Ma la vera sfida arriva con Margarita, una serie firmata da Cris Morena. Lola ha affrontato un casting lunghissimo e inizialmente non era stata selezionata per il laboratorio della serie. Ma la sua perseveranza è stata premiata: dopo qualche settimana, è stata richiamata per partecipare, e alla fine, tra cinque attrici, è stata scelta per interpretare Daisy. Un momento di felicità indescrivibile per lei.
Il personaggio di Daisy non è affatto semplice. Cresciuta tra bugie e inganni, Daisy non conosce la sua vera identità e Lola ha lavorato mesi per costruire un ruolo così complesso. Ogni scena è stata analizzata a fondo, ogni dettaglio studiato. Grazie alla sua formazione artistica, Lola ha saputo dare a Daisy una profondità che rende il personaggio credibile e coinvolgente.
Lola ha lavorato duramente per far emergere in Daisy il conflitto tra la voglia di conoscere la verità e la paura di affrontarla. Daisy, infatti, sceglie inconsciamente di vivere nella menzogna, per evitare il dolore di scoprire chi è davvero. Un personaggio pieno di sfumature, che Lola ha reso unico, grazie anche all’aiuto della sua coach di recitazione e di suo padre, sempre presente a darle consigli.
Il rapporto tra Daisy e la vera Margarita, interpretata da Mora Bianchi, è stato uno degli aspetti più interessanti da sviluppare. La loro amicizia nella vita reale ha reso tutto più semplice: ore e ore passate insieme sul set hanno creato una complicità autentica che si riflette anche nei loro personaggi. E questa autenticità è ciò che rende il legame tra Daisy e Margarita così vero e coinvolgente sullo schermo.
Anche la relazione tra Daisy e Merlín, interpretato da Nicolás Goldschmidt, ha rappresentato una grande sfida per Lola. Dopo aver subito tanto dolore a causa di Merlín, Daisy trova la forza di perdonarlo, dimostrando la sua dolcezza e la sua capacità di comprendere. Una delle scene più intense, ci racconta Lola, è stata quella sull’isola, dove Daisy affronta Merlín chiedendogli “Perché mi fai questo?”. Quella battuta, inserita da Lola stessa, ha dato ancora più profondità al suo personaggio e alla scena.
Non è mancata la pressione da parte del fandom di Floricienta, una serie amatissima che ha lasciato un’eredità importante. Lola ha sentito questa responsabilità, ma ha affrontato tutto con grande rispetto, riguardando la serie originale per immergersi completamente nel contesto e fare suo il ruolo di Daisy.
E per il futuro? Lola ha le idee molto chiare. Vuole continuare a recitare, esplorare nuovi personaggi, nuovi paesi, nuove storie. Sogna di lavorare in Italia o in Spagna, due paesi che ama moltissimo e continua a formarsi per crescere sempre di più come attrice.
L’intervista con Lola Abraldes ci ha regalato uno sguardo unico sul suo percorso, fatto di determinazione, passione e tanto talento. Una giovane artista che ha sempre creduto nei suoi sogni e che, con impegno e sacrificio, li sta realizzando uno dopo l’altro. E noi non vediamo l’ora di vedere dove la porteranno i prossimi passi.
La nostra intervista esclusiva
Ciao, Lola! È un vero onore averti con noi di Sbircia la Notizia Magazine per questa esclusiva in Italia. Siamo davvero entusiasti di poter raccontare la tua storia ai nostri lettori e scoprire di più su di te e sul tuo percorso. Sei un talento emergente che sta conquistando il cuore di molti e avere l’opportunità di parlare con te è un privilegio. Grazie per aver accettato questa intervista.
Hai iniziato a lavorare nel mondo dello spettacolo giovanissima, partecipando in pubblicità e lavori di modella già a sei anni. Quanto ti ha aiutato questa esperienza iniziale ad affrontare i casting e il ruolo di Daisy in “Margarita”? C’è qualcosa che hai imparato in quegli anni, magari anche dai lavori insieme a tuo padre Flavio Abraldes?
“Lavorare nel mondo della recitazione fin da piccola mi ha aiutato tantissimo ad affrontare i lunghi casting di Margarita. Mi ha dato una formazione solida non solo nella recitazione, ma anche nella danza e nel canto, poiché la mia esperienza precedente mi aveva già insegnato molto sul mondo dell’arte. Grazie ai miei lavori precedenti, sapevo già come studiare i copioni, come pormi davanti alla telecamera e come comportarmi sul set. Inoltre, i consigli che mio padre mi ha sempre dato mi hanno permesso di affrontare i casting con molta sicurezza e calma. È stato un processo lungo e difficile, ma sono riuscita a rimanere in piedi senza permettere alla pressione di abbattermi. Se non avessi fatto tanti casting durante la mia infanzia e non avessi già sperimentato cosa significhi non essere scelta per un progetto, il processo di selezione per Margarita sarebbe stato impossibile per me.”
Fin da bambina, guardavi “Casi Ángeles” e sognavi di lavorare nelle produzioni di Cris Morena, ispirata dal personaggio di Mar. Raccontaci cosa hai provato quando hai saputo che eri stata ammessa alla scuola “Otro Mundo” di Cris Morena, e qual è stato per te il momento più emozionante di questo percorso, passando da fan a parte integrante di questo mondo che tanto ammiravi?
“Come dici tu, ero una grande fan di Casi Ángeles, e vedere Mar mi ha ispirata a diventare attrice. Entrare in Otro Mundo è stato un sogno che si realizzava per me, perché era lo spazio dove potevo imparare arte tutto il giorno, tutti i giorni, come avevo sempre desiderato. E, inoltre, sotto la guida della grande Cris Morena. Quando ho saputo di essere stata ammessa a Otro Mundo, ho pianto di gioia abbracciata a mia madre, ansiosa di iniziare a imparare da Cris. Il momento più emozionante di quel percorso è stato poche settimane dopo, quando Cris mi ha invitato a un incontro per conoscerci. Abbiamo parlato a lungo e mi ha detto che era interessata a me e che le piaceva molto il mio lavoro. Mi ha raccontato che dal giorno in cui ci siamo incontrate per la mia audizione, aveva il desiderio di sedersi a parlare con me. È stata una conversazione molto piacevole e mi ha consigliato di continuare a formarmi con la stessa energia e voglia.”
Il processo di selezione per il ruolo di Daisy è stato particolarmente intenso e competitivo, passando attraverso due fasi di casting e poi un laboratorio con altre quattro attrici in lizza per lo stesso ruolo. Qual è stata, secondo te, la chiave del tuo successo in quelle audizioni, e come hai vissuto quei momenti di incertezza, specialmente quando inizialmente ti avevano detto che non eri stata scelta?
“Credo che la chiave del successo sia stata mantenere la sicurezza in me stessa, lavorare duramente nonostante la stanchezza e appoggiarmi sui miei compagni di cast, amici e famiglia. Ho sempre mantenuto un buon rapporto con le altre ragazze che facevano il casting per Daisy, consigliandoci a vicenda, trattandoci con affetto e rispetto. Questo è stato fondamentale perché ha evitato che si creasse un ambiente ostile e competitivo. La mia famiglia è stata sempre presente, sostenendomi nei giorni in cui mi sentivo più giù o insicura, aiutandomi a ritrovare le energie per continuare. Inoltre, mio padre Flavio mi aiutava molto a provare le scene a casa. Continuavo a prendere lezioni per crescere e formarmi come artista.”
Daisy è un personaggio complesso, cresciuto in un mondo di bugie senza conoscere la verità sulla sua identità, adottata da Delfina solo per sfruttare l’eredità di Margarita. Come hai costruito il carattere di Daisy per renderlo autentico, e quali sono state le sfide emotive più grandi nel rappresentare il conflitto interiore di un personaggio che vive in un inganno così profondo?
“Il laboratorio (o casting) che abbiamo fatto per la serie è stato molto lungo e questo mi ha dato mesi per costruire la personalità di Daisy e conoscerla a fondo. L’ho conosciuta a tal punto che l’ho fatta mia. Mio padre Flavio e la nostra coach di recitazione, Cecilia Echague, sono stati di grande aiuto per trovare tutte le sfaccettature di Daisy e trasformarla in un personaggio profondo e complesso. Ho preso ogni scena del copione e l’ho analizzata a fondo, cercando tutti i colori e i dettagli. Ho dedicato molto tempo e passione. La sfida più grande nel rappresentare il conflitto interno di Daisy è stata far sì che lei davvero non volesse scoprire la sua vera identità. Nel corso della sua vita, Daisy ha molti indizi che la portano a sospettare di non essere chi crede di essere e ho dovuto trovare una giustificazione per il suo non voler approfondire la ricerca. Ho deciso di rendere Daisy una ragazza che sceglie di vivere nella menzogna. Lei sa che ci sono cose che non quadrano, ma per evitare dolore e sofferenza, inconsciamente sceglie di non indagare e di essere felice nonostante il piccolo vuoto che sente. È il suo meccanismo di difesa.”
Hai studiato teatro e danza fin da quando avevi sette anni, e canto da quattro anni. Quanto è stato importante il tuo background artistico nel dare vita al personaggio di Daisy? Come queste esperienze ti hanno aiutato a portare profondità e credibilità a un ruolo che richiede non solo recitazione, ma anche un’espressività fisica e vocale che la rendono così unica?
“La mia formazione artistica è stata fondamentale per dare vita a Daisy. Essendo un personaggio molto complesso con molti conflitti interni, ho avuto bisogno di molta tecnica recitativa per interpretarla senza problemi. Tutta quella formazione mi ha permesso di creare una dualità in Daisy, con il dilemma del sapere e non sapere, e del credere e non credere. Daisy è una ragazza molto dolce e calma, con tanto amore da dare ma che soffre e piange molto. Tutto questo l’ho costruito grazie alla mia esperienza e formazione passata.”
In “Margarita”, il legame tra Daisy e la vera Margarita è intriso di una drammaticità inconsapevole, poiché entrambe vivono immerse in una bugia e sono ignare delle loro vere identità. Come hai lavorato insieme a Mora Bianchi per creare questa intensa e delicata amicizia tra due personaggi che, pur non sapendolo, sono in competizione per una vita che non appartiene loro?
“L’amicizia tra Daisy e Margarita si è sviluppata in modo molto naturale, perché con Mora abbiamo costruito quella stessa amicizia nella vita reale. Tante ore insieme, risate e conversazioni profonde ci hanno dato una complicità assolutamente autentica, che ci ha aiutato entrambe sul set. Credo che questa sia stata la chiave per far sì che il nostro legame nella fiction apparisse così genuino e naturale. Inoltre, ci ha permesso di goderci le ore sul set e di supportarci emotivamente mentre eravamo lontane dalle nostre famiglie – la serie è stata girata in Uruguay.”
La relazione tra Daisy e Merlin è ricca di tensione e segreti: inizialmente Daisy non conosceva la vera identità di Merlin e le sue motivazioni, ma dopo la rivelazione di questo, la dinamica tra loro è cambiata profondamente. Qual è stata la sfida più grande nel rappresentare questa transizione e c’è una scena tra voi che ti ha toccato o lasciato una huella?
“La sfida più grande nel rappresentare questa transizione è stata far sì che Daisy si permettesse di condividere lo stesso spazio con Merlin, dopo che lui le aveva causato tanto dolore. Ci sono riuscita facendo sì che Daisy, con la sua dolcezza e bontà, capisse che lui non aveva agito con cattive intenzioni e che era una persona giusta e nobile. Una scena molto importante per me in questo rapporto è quella che loro hanno sull’isola, nella capanna. In quella scena, lei dice a Merlin che sa che lui non l’ha amata. A un certo punto gli dice: ‘Perché mi fai questo?’. Aggiunsi io quella battuta, perché mi sembrava importante per rappresentare ciò che Daisy sentiva e come lei si chiedeva davvero perché fosse necessario soffrire così. È stata anche molto bella da girare.”
Interpretare Daisy significa entrare a far parte di un universo legato a “Floricienta”, una serie iconica con una fanbase molto affezionata. Hai avvertito la pressione di soddisfare le aspettative di chi ha amato la serie originale e come hai gestito questa responsabilità, specialmente sapendo che i fan attendevano con ansia di scoprire cosa fosse successo a Flor e Massimo?
“Sì, ho sicuramente sentito molta pressione da parte del fandom di Floricienta, ma posso dire che ho sempre affrontato questo personaggio e questo progetto con grande rispetto. Ho rivisto Floricienta prima di iniziare le riprese, per comprendere meglio il contesto e capire a fondo la storia precedente, il che è stato fondamentale per le riprese. Inoltre, come fan di Floricienta, mi piace che il pubblico continui a provare tanto amore per Massimo e Florencia, proprio come ne provo io.”
Hai avuto un percorso unico e affascinante nel mondo dello spettacolo, dai primi passi nelle pubblicità fino ai ruoli di spicco in serie TV e film. C’è un momento nella tua carriera che consideri particolarmente significativo, un punto in cui hai sentito di aver trovato veramente la tua strada? Come il sostegno dei tuoi genitori, inizialmente restii a farti entrare nel mondo dello spettacolo, ha influenzato le tue scelte?
“Sì, per me è stato fondamentale il mio ruolo nel film Como mueren las reinas. È stato il mio primo progetto da coprotagonista e il periodo di riprese è stato lungo. Essere sul set tutti i giorni per la prima volta mi ha fatto capire che questo era davvero il mio sogno e che volevo recitare su un set per il resto della mia vita. Il sostegno dei miei genitori è stato sempre fondamentale per me, perché, una volta che hanno capito che questo era davvero il mio sogno, hanno iniziato a supportarmi al 100%, con tutto il loro amore e la loro dedizione. Questo è stato importantissimo per me, perché mi ha fatto sentire sempre accompagnata dalle persone che amo di più.”
Guardando al futuro, ci sono ruoli o storie che sogni di esplorare come attrice? Hai un progetto o un personaggio che senti particolarmente vicino e che ti piacerebbe interpretare?
“Guardando al futuro, sogno semplicemente di continuare a recitare per tutta la vita. Di esplorare personaggi completamente diversi, girando in Paesi diversi e per progetti diversi. Sogno di continuare a formarmi e crescere come attrice, e di affrontare storie di ogni tipo. Mi piacerebbe molto partecipare a un progetto in Spagna o Italia, poiché sono due Paesi che amo e adoro le persone che li abitano. Mi farebbe tantissimo piacere vivere lì per un po’ di tempo.”
Cosa diresti a chi, come te, sogna di entrare nel mondo dello spettacolo e affronta le sfide dei primi casting e delle prime delusioni? Qual è il consiglio più importante che hai ricevuto e che vorresti condividere con chi sta muovendo i primi passi in questo ambiente?
“Direi loro di lottare per i propri sogni. Con tanto impegno, lavoro e dedizione, i sogni si realizzano. Bisogna essere pronti ad affrontare il rifiuto, il vuoto e la tristezza, ma se riusciamo a superare quei momenti, quelli belli arriveranno. I miei genitori mi hanno sempre consigliato di continuare a crescere, di non lasciarmi abbattere dalle difficoltà e di non permettere che l’opinione di un direttore di casting mi definisse. Penso che questo sia molto importante, perché è facile sentirsi ‘poco talentuosi’, ‘brutti’ o ‘inadeguati’ quando un direttore di casting non ti sceglie per un ruolo. Ma bisogna tenere presente che non dipende da noi. Spesso non si viene scelti perché stavano cercando qualcos’altro, o per mille ragioni che non hanno a che fare con la bellezza, il talento o le capacità di una persona. È importante ricordarselo per poter essere felici in questa carriera.”
Se potessi tornare indietro e incontrare la Lola bambina che guardava “Casi Ángeles” con gli occhi pieni di sogni, cosa le diresti ora? Come ti senti sapendo che ogni passo ti ha portato esattamente a dove volevi essere, recitando in una serie firmata da Cris Morena?
“Sarebbe meraviglioso poter parlare qualche minuto con la Lola bambina. Le direi che tutti i suoi sforzi valgono la pena. Che perdere tanti compleanni, tante serate in pigiama con le amiche e tanti viaggi per continuare a formarsi o girare progetti più piccoli, varrà la pena. Le direi di credere in se stessa, di permettersi di divertirsi e giocare con la sua arte. Di non prendersi tutto troppo sul serio. Che tutti i suoi sogni si realizzeranno.”
Sebbene siamo ancora all’inizio, i fan sono già curiosi: ci sarà una seconda stagione di “Margarita” o i 40 episodi sono gli unici in programma? Hai qualche anticipazione che puoi svelarci?
“Mi piacerebbe potervi raccontare tutto, ma per ora posso solo dirvi che sono molto entusiasta di tutto ciò che sta accadendo con Margarita. Presto arriveranno cose meravigliose che mi emozionano tantissimo. Una seconda stagione? Lo spero tanto! Sarebbe bellissimo. Mettendoci tanto impegno e desiderio, potrebbe essere possibile, quindi continuiamo a sognarla finché si realizza 💘”
Parlando un po’ della tua vita privata, se posso chiedere, sei fidanzata? E se sì, il tuo compagno condivide la tua stessa passione per la recitazione o è impegnato in un settore diverso?
“Non sono fidanzata, sono sola ma circondata da famiglia e amici che amo profondamente e con cui mi godo la vita.”
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