Differenza di genere, ecco i numeri in Italia stilati dall'ufficio studi della Coop, a cominciare dalla Tampon tax. In base al monitoraggio condotto da Wash United a livello globale, l’attuale regime fiscale porta l’Italia ad essere uno dei 21 Paesi a prevedere un’IVA differenziata per gli assorbenti - ma tra le più alte (in Germania è al 7%, in Francia al 5,5%, negli Stati Uniti 8,3%) - mentre in 27 Paesi (tra cui Regno Unito, Irlanda, Canada, Australia) l’acquisto di assorbenti è esente da IVA. Una tassa che riguarda una platea di quasi 13 milioni di donne in Italia (12,8 milioni quelle comprese nell’arco temporale di riferimento del periodo mestruale, dal menarca alla menopausa).
Se si calcola una media di 520 cicli mestruali nella vita, questa platea di donne consumerà almeno 12.000 assorbenti. L’ultima stima ufficiale della legge di Bilancio, stimava la spesa media di una donna per i prodotti mestruali in 70 euro l’anno ma sulla base dei più recenti valori di spesa rilevati da Nielsen, l’Ufficio Studi Coop ritiene che tale valore sia di circa 40€. In virtù di questo nuovo calcolo, aggiornando la riflessione sull’impatto economico del taglio del 5%, si ridurrebbe drasticamente il costo di questo intervento in termini di mancato gettito dai 36,9 milioni di € stimati dal Governo a 19,7 milioni di €. Euro utili per chi utilizza prodotti mestruali in Italia se si osserva che tra il 2021 e il 2023, il prezzo medio dei prodotti per la cura e l’igiene personale è aumentato, mediamente, del 9,2%.
L’andamento dei prezzi ha inevitabilmente influenzato le abitudini e i comportamenti di acquisto delle donne: già nel 2022, prima dell’ulteriore accelerazione dell’inflazione, una donna su quattro aveva ridotto la quantità di prodotti per cura e igiene personale acquistati (25% contro i 21% nel periodo 2019-2021) e poco più di una su dieci (13%) si era vista costretta a ridurne la qualità.
Secondo i dati omnicanale Nielsen nel corso del 2023 le vendite di assorbenti sono aumentate in valore (da 412,7 a 419 milioni di €), ma il numero di confezioni vendute è diminuito di circa mezzo milione (da 198,8 a 198,3 milioni), con un aumento medio dei prezzi per confezione del 2% su base annua. Lo scenario problematico sopra descritto diventa ancor più drammatico per la fascia di popolazione femminile che versa in condizioni economiche più disagiate.
Il riferimento è alle 6,5 milioni di donne maggiorenni che in Italia sono a rischio povertà ed esclusione sociale (25,1% del totale). Una delle più alte percentuali registrate nell’UE27 - tra le grandi economie europee peggio di noi fa solo la Spagna (26,3%) - che decresce all’aumentare dell’età, arrivando al 28% tra le 18-24enni. Il numero di donne maggiorenni che in Italia versano in condizioni di povertà assoluta (quindi ancora più drammatica difficoltà economica) è altrettanto allarmante: 2,3 milioni secondo le ultime stime ufficiali (9% del totale). Per queste, l’acquisto di prodotti per la cura e l’igiene personale diventa un “lusso”, tanto da spingerle a ridurre drasticamente la spesa annua, che cala di oltre 70 punti percentuali rispetto alla media riferita al totale della popolazione femminile (da 258€ a soli 66€).
Persone spinte a fare maggiori rinunce, limitando più spesso la quantità di prodotti acquistati. Una scelta che nel 2022 hanno fatto il 32% delle donne in condizioni di povertà assoluta (contro il 25% della media) con punte del 42% tra le 35-64enni.
Gender gap
Gender gap: con specifico riferimento alle condizioni lavorative, secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Inps in Italia una lavoratrice dipendente guadagna in media 7.900€ l’anno in meno rispetto agli uomini (-30%). Un divario che muta in funzione della qualifica (dal 14% nei quadri al 41% negli operai) e che viene alimentato da molteplici fattori, tra cui il numero medio di giornate retribuite, le donne dipendenti lavorano in media 236 giorni l’anno contro i 251 degli uomini (-6%); la qualifica professionale, solo il 22% dei dirigenti è donna, mentre le quote rosa salgono al 32% tra i quadri e gli operai e al 59% tra i dipendenti con ruoli impiegatizi; la tipologia contrattuale, il 31,6% delle donne lavora part-time, contro il 7,6% degli uomini; il 15,2% ha un lavoro temporaneo, contro l’11,6% degli uomini. Tuttavia, anche a parità di condizioni contrattuali e ore lavorate il profilo retributivo delle donne risulta inferiore a quello degli uomini.
Secondo l’OCSE, infatti, in Italia il gender pay gap, ovvero la differenza tra le retribuzioni mediane di uomini e donne dipendenti a tempo pieno, è pari al 5,7%. Uno dei valori più bassi tra quelli registrati nell’Area Ocse (in testa il Giappone con il 22,1%, poi Canada 16,7% e Stati Uniti 16%, il Regno Unito è al 14,2%, la Germania al 13,5%, Francia 11,6%, meglio dell’Italia la Norvegia al 4,6%). Sebbene più basso rispetto ad altri Paesi e in miglioramento (nel 2002 era al 15,7%) il gender pay gap rimane solo uno degli aspetti della gender inequality. Una dimensione economica che incide ovviamente sui consumi. In Italia una donna spende ogni anno in media l’11% in meno rispetto agli uomini (poco meno di 2.700€ in valore assoluto). Un divario ampio e pressoché invariato rispetto al periodo prepandemico. Contestualmente, stando ai dati pubblicati dalla Banca d’Italia, la propensione agli acquisti delle donne è mediamente superiore rispetto a quella degli uomini. Mentre, infatti, le donne destinano ai consumi il 79% del proprio reddito individuale, tra gli uomini la stessa percentuale scende al 71% (8 punti percentuali in meno). L’Ufficio Studi Coop stima che l’azzeramento del gender gap su redditi da lavoro e pensione degli italiani si tradurrebbe in una crescita dei consumi di 1 miliardo di € su base annua. Se poi si andasse oltre la punta dell’iceberg, azzerando i tanti divari di genere nel mondo del lavoro relativi a condizioni, ruoli e tipologie contrattuali (quel -30% citato inizialmente) la crescita dei consumi complessivi sarebbe ben maggiore, arrivando a 7,7 miliardi di € l’anno. Una maggiore spesa che potrebbe coinvolgere, stando ai modelli di consumo attuali, i generi alimentari, cura e benessere, casa.
Economia
L’Espresso: “Lancio nuovo sito web e profili...
"'La nuova redazione digitale sarà guidata dal giornalista Felice Florio"
"Care lettrici, cari lettori, L’Espresso è online. Da mesi stiamo lavorando senza sosta per dar vita a un nuovo sito che non sarà solo una piattaforma digitale, ma il cuore di una rivoluzione nel nostro modo di informarvi. Tutelando, ovviamente, il prestigio del settimanale cartaceo che ha fatto e continuerà a fare la storia del giornalismo in Italia. Con il rilascio previsto per gennaio 2025, - si legge in una nota del peridico - il nuovo sito, concepito per essere mobile first, segnerà un cambiamento radicale, frutto di un intenso lavoro di progettazione: abbiamo analizzato dati in profondità con un approccio data driven, ci siamo confrontati con i benchmark internazionali più innovativi e ci siamo affidati alle migliori competenze, interne ed esterne, per costruire un ecosistema digitale avanzato. La nuova piattaforma sarà il fulcro di un giornalismo interattivo e partecipativo, in cui i lettori saranno finalmente co-attori del processo informativo, grazie a strumenti di engagement e comunicazione diretta con la redazione".
"Anche i nostri social evolveranno, con una veste grafica completamente rinnovata e nuovi format pensati appositamente per i diversi canali. Siamo andati oltre i semplici aggiornamenti estetici, ripensando totalmente il nostro approccio: puntiamo su contenuti originali, progettati per offrire un’esperienza immersiva. Il mondo dell’informazione cambia costantemente. Cambiamo anche noi, ma restando fedeli alla verità, ai fatti, alla storia di cui siamo stati e saremo testimoni, senza filtri. - continua la nota - Nel 1955, L’Espresso nacque con un obiettivo chiaro: raccontare l’Italia, senza paura. Non una storia di trasformisti e camaleonti, tutt’altro. Una 'struttura d’opinione' - come ci definiva il fondatore Scalfari - che ha attraversato la storia d’Italia senza mai venir meno alle proprie convinzioni e ai propri radicati principi, che si possono riassumere così: 'Indipendenza di giudizio, culto della razionalità, disponibilità a comprendere ciò che è diverso da sé pur senza velleità imitative, lotta contro le mafie di potere, difesa delle minoranze, anche quando esse sostengono posizioni diverse e perfino opposte'. A distanza di 70 anni, quella missione è immutata. Ma il mondo si è trasformato, la realtà si evolve senza sosta. È arrivato il momento anche per noi di evolverci, per offrirvi un’informazione più diretta, incisiva, ma libera come sempre".
"Lo sappiamo, viviamo tempi difficili. Ogni giorno, le menzogne disorientano, i disonesti ci fanno arrabbiare. Ma sulle nostre pagine, cartacee e digitali, continuerete a trovare la speranza, attraverso il vero giornalismo. Non è un mestiere facile, non basta raccontare, bisogna scavare. Non basta osservare, bisogna capire, per poi sfidare il silenzio. Non ci stiamo approcciando al digitale con una nuova strategia che insegua le mode, - prosegue la nota - ma per fare la differenza con il coraggio delle inchieste che da decenni ci caratterizzano. In questi mesi, abbiamo ascoltato la rabbia di chi non si fida più dell’informazione e abbiamo deciso di agire, non per accontentare tutti e sfruttare i nuovi strumenti digitali che l’innovazione ci offre, ma per raccontare la verità, anche quando fa male. È il nostro impegno: nessun compromesso con il potere, nessuna narrazione di comodo".
"L’Espresso si evolve per combattere, non per compiacere. La nuova redazione digitale sarà guidata dal giornalista Felice Florio. Dal primo gennaio, sarà il nuovo responsabile del sito e dei social de L’Espresso, dove porterà la competenza maturata in alcune delle redazioni online italiane più innovative. La scelta di affidarci a un giornalista di 31 anni per il nuovo corso è la dimostrazione più limpida del nostro impegno per il futuro. L’Espresso si rinnova, consapevole che non esiste speranza senza verità. E non esiste verità senza un giornalismo libero. Stiamo cambiando per restare fedeli a tutto questo. Buone feste a tutte e a tutti!", conclude la nota.
Economia
L’ad Invitalia Bernardo Mattarella:...
L'intervista al Messaggero
"Nell'ultimo triennio, dopo la caduta del 2020, l'Italia è tornata a crescere a un ritmo superiore a quello dell'Unione. La dinamica del Pil è stata sostenuta soprattutto dalla domanda interna con un ruolo importante degli investimenti sia privati che pubblici. Nel corso del 2024 abbiamo assistito a una progressiva frenata della crescita e anche le prospettive per il 2025 restano incerte a causa della crisi del settore industriale a livello europeo, con segnali preoccupanti che arrivano anche da vari comparti del made in Italy". A dirlo, dalle pagine di Outlook Economia del Messaggero è l'ad di Invitalia, Bernardo Mattarella, che risponde alla domanda sui rischi per il Paese sulle previsioni della Bce per l'Europa, che prevedono nei prossimi anni una ripresa economica più lenta.
Invitalia, quindi, chiede il Messaggero, cosa farà? "Invitalia è uno dei principali attori impegnati nell'attuazione di politiche pubbliche mirate alla crescita economica del Paese, con particolare attenzione ai settori strategici per lo sviluppo e l'occupazione, al rilancio delle aree di crisi, alla gestione dei settori in transizione industriale e allo sviluppo del Mezzogiorno. Questo, anche con riferimento alle sfide degli ultimi anni, ci consente di fungere da punto di incontro tra i fabbisogni del sistema imprenditoriale, delle comunità, dei territori e del Governo centrale. Concentrandoci sul supporto al rafforzamento e al consolidamento delle imprese nazionali, al sostegno della nuova imprenditorialità, contribuiamo a migliorare il posizionamento dell'Italia lungo le filiere più innovative".
Come si è adattata l'azione di Invitalia rispetto alle crisi degli ultimi anni? "Le crisi - dice Mattarella - hanno posto nuove sfide e opportunità e Invitalia ha avuto un ruolo importante per il rafforzamento e consolidamento delle imprese nazionali, sostenere la nuova imprenditorialità, sviluppare le aree del Paese più in difficoltà e migliorare il posizionamento dell'Italia lungo le filiere più innovative. Questo oggi la rende un interlocutore credibile, solido e strutturato per i nostri stakeholders, istituzioni, imprese, giovani e donne che vogliono realizzare un'idea imprenditoriale".
E qual è l'impatto delle misure che gestite sul sistema Paese? «Tutto ciò che noi facciamo è accompagnato da una valutazione di impatto perché le politiche, messe in campo dal Governo e attuate da Invitalia, devono essere misurate nella loro efficacia e nella capacità di creare valore per le persone, per l'ambiente, per le comunità e i territori». Serve un'azione concreta però? «Un'Agenzia come Invitalia deve generare inclusione, integrando in ogni progetto la dimensione economica, sociale e ambientale per coinvolgere fasce di popolazione ancora ai margini, soprattutto donne e Neet, rendere il lavoro più produttivo e creare lavoro di qualità. Nel periodo 2021-23, il Gruppo ha sostenuto circa 240 mila imprese, attivando investimenti per 45 miliardi. Soltanto nel 2023 abbiamo assistito oltre 64.000 imprese, di queste 4.200 sono nuove imprese, di cui circa il 40% sono formate da imprenditrici e l'80% sono nate nel Mezzogiorno, dove abbiamo un forte mandato. Più si va a Sud, più si va nelle regioni a maggior ritardo di sviluppo, e più gli incentivi sono significativi per il sostegno agli investimenti e alle imprese». Dal vostro punto di osservazione, come si stanno comportando le imprese? «In uno scenario di incertezza geopolitica ed economica, possiamo dire che le imprese italiane, in generale, hanno continuato a mantenere fermi i propri piani di investimento, orientandoli sempre più verso le transizioni gemelle, per essere pronti alle sfide tecnologiche ed a quelle dei mercati, anche internazionali. Sono aumentati gli investimenti verso quei settori a più elevato contenuto tecnologico».
Il tema dell'innovazione è cruciale, come affrontarlo? «L'innovazione è condizione necessaria per mantenere competitivo il nostro Paese e per creare posti di lavoro di qualità. La maggior parte delle misure gestite dall'Agenzia nascono dall'esigenza, condivisa con il Governo, di raggiungere gli obiettivi della sostenibilità, dell'innovazione, nel rispetto della tutela dell'ambiente, della qualità di vita delle persone e della qualità dei prodotti». Nel 2043 si stima la riduzione del 4,3% della popolazione del Paese, con un calo nel Mezzogiorno dell'11,9%. È un problema demografico cruciale, non le pare? «Noi incentiviamo i giovani a restare. Alcuni strumenti che gestiamo sono finalizzati proprio a far restare i giovani nelle loro regioni di origine. Uno dei più importanti si chiama Resto al Sud e, dal 2018, ha supportato la nascita di 17.000 imprese e 60.000 posti di lavoro. Ci sarà anche una seconda edizione, Resto al Sud 2.0, che avrà anche un gemello che si chiamerà Autoimpiego Centro-Nord. Tutto quello che facciamo si riverbera sulla creazione e salvaguardia di posti di lavoro di qualità. I nostri beneficiari devono rispettare la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori che impiegano, anche per favorire il mantenimento di attività imprenditoriali nelle regioni che sono a rischio di desertificazione».
Sul Pnrr possiamo iniziare a trarre i primi bilanci? «Il Pnrr ha segnato una forte discontinuità introducendo fattori di innovazione nella definizione e gestione delle policy per lo sviluppo. Abbiamo sperimentato e acquisito una modalità più efficace ed efficiente per impiegare le risorse pubbliche destinate agli investimenti e sostenere la crescita economica. L'erogazione dei fondi, infatti, è subordinata al raggiungimento di obiettivi specifici, con target chiari e milestone di monitoraggio. Innovazioni che rappresentano un'eredità importante del Pnrr che dovranno essere valorizzate anche nel futuro per la pianificazione e gestione delle politiche pubbliche. Sul Pnrr, Invitalia supporta 20 amministrazioni per un valore di 50 miliardi».
MCC ha dato a Banca del Fucino l'esclusiva per l'acquisto di Cassa di Orvieto, che aveva acquisito ai tempi in cui lei era ad, un bel successo? «MCC acquisì Cassa di Orvieto nel 2020 nell'ambito del rilancio dell'allora Popolare di Bari, ora BDM Banca. Nonostante molti definissero quell'iniziativa un salvataggio di stato, noi l'abbiamo sempre considerata un'operazione di rilancio in un ambito di attività, la sana gestione del risparmio delle famiglie orientata anche e soprattutto al sostegno di un sano sviluppo economico, troppo importante per non essere oggetto della massima attenzione delle istituzioni pubbliche e private, soprattutto nel mezzogiorno e nel centro Italia. L'auspicata positiva conclusione della cessione sollecitata da operatori di mercato e non da MCC a Banca del Fucino, che ha presentato un offerta significativamente migliore delle altre, dimostra che con la giusta attitudine e le giuste leve questo tipo di interventi possono portare a storie di successo».
Economia
Littizzetto equipara Zelensky e Putin nella letterina a...
Nell'ultima puntata di 'Che tempo che fa', in onda su Nove
Bufera social su Luciana Littizzetto per la "letterina" a Babbo natale letta nell'ultima puntata di 'Che tempo che fa', in onda su Nove. Nel testo, in particolare, secondo gli utenti di X vengono messi sullo stesso piano il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il presidente russo Vladimir Putin, senza nessuna apparente distinzione tra aggredito e aggressore nella guerra in corso da oltre 1000 giorni.
"Caro Babbo Natale, scrive - tu che ogni anno torni puntuale come l’Irpef portando impennate di glicemia a tutta l'Umanità. Non so se ti sei accorto ma il mondo ultimamente fa proprio cagarissimo. Con tutti i cattivi che ci sono in circolazione altro che carbone. Ho tante cose da chiederti caro Babbo, ma per prima cosa porta a Trump, Musk, Putin, Zelensky, Netanyahu, Erdogan e Kim Jong-un, un bel righello così se lo misurano e capiscono finalmente chi ce l'ha più lungo. Basta anche un righello piccolo, eh… metà di quello che ti danno all'Ikea, che è già fin troppo".
Immediati i commenti degli utenti che su Twitter contestano Littizzetto di aver "messo sullo stesso piano invasori, criminali di guerra e chi difende un paese invaso". "Che schifo mettere sullo stesso piano il capomafia russo con chi si sta solo difendendo", scrive un utente. "Stavolta Littizzetto ha inciampato equiparando Zelensky ai veri bulli internazionali", concorda un altro. "Che vergogna, Littizzetto. Il primo ministro di una nazione stuprata paragonato al dittatore dell'impero stupratore", si legge in un altro post.