Sempre più necessaria per gli impianti, sempre più dannosa per l’ambiente
Sciare è bello, ma la neve cade sempre meno copiosa sul territorio italiano a causa del surriscaldamento climatico. Tanto che da anni si provvede a produrre e sparare neve artificiale per far sì che gli impianti sciistici continuino a popolarsi, che il turismo continui a girare.
Questa tecnologia è diventata di vitale importanza per l’economia di alcune zone di Italia, che dipendono dal successo della stagione invernale e, più in particolare, sciistica.
Quanto inquina la neve artificiale
La produzione di neve artificiale si rese necessaria in primis per le competizioni agonistiche. La prima edizione dei giochi olimpici invernali nella quale fu inevitabile ricorrere a sistemi di innevamento artificiale fu quella che si svolse a Lake Placid nel 1980. Inizialmente, la neve artificiale era considerata una soluzione “di emergenza”, ma negli anni a seguire è diventata sempre più comune nelle località turistiche.
Si arriva allora alla fatidica domanda: quanto costa la neve artificiale alle strutture sciistiche e all’ambiente? Tanto, in entrambi i sensi.
Sotto il profilo ambientale, i consumi sono essenzialmente di due tipi: energia elettrica e acqua. Sul primo punto bisogna evidenziare che solo raramente si ricorre a fonti di energia rinnovabile, e quindi c’è un grande dispendio economico, ma soprattutto ambientale, visto l’utilizzo di fonti fossili. La stessa National Geographic parla di una “enorme impronta di carbonio” lasciata nell’atmosfera da questi impianti.
Computo ambientale negativo anche sotto il profilo idrico, dal momento che l’acqua viene prelevata dalle fonti locali con un enorme impatto negativo sulla disponibilità di acqua potabile e sulla vita acquatica nelle zone circostanti. Un problema che, chiaramente, non riguarda solo l’Italia.
Secondo le stime del centro di ricerca Cipra per innevare un ettaro di piste occorre 1 milione di litri di acqua, per i circa 25000 ettari delle piste alpine in un anno si prelevano 95 milioni di metri cubi d’acqua, pari al consumo di una città di oltre un milione di abitanti.
Sotto il profilo dell’energia elettrica, occorrono circa 3.5 kWh per metro cubo di neve, una stima per la Francia indica che ogni anno, per produrre neve artificiale, si produce energia come per 130.000 famiglie di 4 persone. Il tutto al netto dei danni provocati all’ambiente e all’ecosistema dalla costruzione degli impianti, soprattutto perché la neve artificiale resta in alcuni tratti di montagna anche a primavera inoltrata, quando, per natura, non dovrebbe esserci.
Sotto il profilo dei costi per le strutture, un metro cubo di neve costa 3-4 euro, un costo che sale quando si inneva in condizione termiche al limite. Innevare completamente una pista da discesa libera in assenza di neve naturale può arrivare a costare 250.000 euro.
Alcuni ricercatori dell’Università di Basilea, in Svizzera, stanno svolgendo ricerche sull’innevamento tecnico e sui consumi idrici correlati sino al 2100. Il titolo della notizia pubblicata sul sito dell’Università in relazione al paper è abbastanza eloquente: “Sciare durante le vacanze di Natale non è più garantito, nemmeno con gli sparaneve”.
L’anno scorso, per la prima volta, la temperatura media globale ha superato i +2°C rispetto al periodo preindustriale e, nonostante l’impegno più o meno di facciata di enti e aziende, negli anni a venire non si prevede un miglioramento. Anzi, dalle simulazioni delle condizioni meteorologiche dei prossimi anni, secondo i ricercatori emerge un dato: sarà sempre più difficile garantire stagioni sciistiche lunghe come quelle di oggi.
Come viene prodotta la neve artificiale
Prima di vedere le condizioni che consentono di produrre neve in questo modo, diamo uno sguardo al processo, molto sofisticato, che porta alla produzione della neve artificiale. Appositi “cannoni” vaporizzano l’acqua in minuscole goccioline. Queste vengono immesse in aria attraverso ugelli e portate a distanza con grosse ventole o pressurizzando l’acqua.
Esistono due sistemi per produrre neve artificiale: a bassa pressione (cannoni), o ad alta pressione (lance posizionate in alte aste). Dietro, ci sono tubazioni che richiedono scavi, macchinari, sale di controllo e spesso appositi bacini idrici artificiali. Ben circa 150 sono stati realizzati nelle Alpi.
Infatti, anche la neve artificiale ha bisogno di determinate condizioni metereologiche: queste tecnologie, infatti, non usano sistemi di refrigerazione e se le temperature esterne non sono abbastanza basse (sotto lo zero) producono solo acqua. La temperatura ideale va dai -2°C ai -4°C. Fondamentale anche il tasso di umidità, che deve essere molto basso. Se l’aria è particolarmente secca, gli impianti riescono a creare neve artificiale anche con temperature leggermente sopra lo zero.
Il vento è un fattore di disturbo, perché può danneggiare i cristalli di ghiaccio che compongono i fiocchi di neve, facendoli disaggregare. Malgrado i miglioramenti tecnologici, la neve artificiale resta diversa dalla neve naturale e risulta più dura e densa. Il che è un risultato positivo per l’impianti sciistici, dato che la neve artificiale rende le piste più compatte e più veloci.
Esiste anche il cosiddetto “innevamento programmato”: quando l’impianto rileva le condizioni atmosferiche opportune si avvia in automatico e spara acqua che viene trasformata in neve. Dallo studio elvetico emerge che negli anni a venire sarà necessario una quantità sempre maggiore di acqua per avere un manto nevoso idoneo all’attività sciistica.
Non sempre, però, l’innevamento artificiale viene fatto per assenza di neve naturale. A volte la neve artificiale viene utilizzata anche in presenza di abbondante neve naturale per rispondere al crescente interesse verso l’attività sciistica. Il che, chiaramente, aumento l’impatto ambientale di questa tecnica.
I rischi sociali
Le risorse necessarie per produrre neve artificiale creano danni anche sotto il profilo sociale, altro aspetto cruciale dell’ambito Esg.
La principale autrice dello studio elvetico, la dott.ssa Maria Vorkauf, ha spiegato che, nel corso di pochi decenni, le riserve idriche sempre più scarse potranno causare situazioni di conflitto legate alla gestione dell’acqua, che in montagna viene utilizzata anche per gli impianti idroelettrici.
Non a caso, da anni la neve artificiale è oggetto di critiche da parte di organizzazioni ambientaliste e di contenziosi sociali per l’uso delle risorse idriche. I consumi infatti sono veramente elevati, comportando costi che spesso sono sostenuti da contributi pubblici.
L’esempio delle Olimpiadi di Pechino 2022
I problemi connessi all’impatto ambientale degli impianti sono noti e da tempo si cerca di capire come minimizzarli attraverso tecnologie, materiali e buone pratiche che consentano di ridurre l’impatto ambientale (energia elettrica, acqua, danni sull’ecosistema). Per questo si sta cercando il modo per:
- alimentare le strutture utilizzando fonti rinnovabili ;
- riutilizzare e riciclare le acque impiegate dagli sparaneve
Un esempio in tal senso viene dagli ultimi giochi olimpici invernali, quelli di Pechino 2022 a cui il Cio (Comitato olimpico internazionale) chiedeva di garantire la neutralità delle emissioni.
Per raggiungere quest’obiettivo l’organizzazione delle Olimpiadi ha utilizzato le fonti rinnovabili per alimentare tutti gli impianti e, per ridurre l’impatto ambientale legato all’innevamento artificiale, ha introdotto sofisticati sistemi di refrigerazione a CO2 naturale, alimentati da energia pulita, con l’obiettivo di ridurre notevolmente le emissioni di carbonio connesse ai processi di raffreddamento dell’acqua.
Come ultimo punto della strategia, gli organizzatori di Pechino 2022 hanno anche previsto un sistema per recuperare l’acqua disciolta dalla neve artificiale convogliandola in serbatoi locali.
Spunti da non perdere di vista se si vuole che la transizione ecologica sia effettiva e conciliabile con le attività turistiche ed economiche. Un approccio del genere può evitare che le promesse green, almeno quelle, non si sciolgano come neve al sole.
Sostenibilità
Rifiuti, Gava: “Dati Conai confermano leadership...
Così il viceministro all’Ambiente e Sicurezza Energetica Vannia Gava intervenendo alla presentazione del Rapporto integrato di sostenibilità Conai.
“Il rapporto conferma la leadership del Conai e dei consorziati nella sostenibilità, un’eccellenza tutta italiana che unisce tutela ambientale, crescita economica e occupazione. Nel settore imballaggi, stiamo già anticipando gli obiettivi Ue del 2030, segno di un sistema che funziona e che va preso a modello. Il Mase c’è con investimenti, incentivi fiscali e norme che semplificano e promuovono l’economia circolare. Il rifiuto è risorsa. La sfida è promuovere questo tipo di cultura ambientale, affidandoci alla scienza e alla tecnologia”. Così il viceministro all’Ambiente e Sicurezza Energetica Vannia Gava intervenendo alla presentazione del Rapporto integrato di sostenibilità Conai.
Sostenibilità
Sostenibilità, Ronchi: “Puntare sulla circolarità in...
Così Edo Ronchi, presidente Fondazione Sviluppo Sostenibile, intervenendo alla presentazione del nuovo Rapporto di Sostenibilità 2024 di Conai a Roma
Sul fronte dell'economia circolare "adesso dobbiamo affrontare un nuovo livello di sfida per due ragioni: abbiamo un problema di difficoltà di approvvigionamento di materiali, un'esigenza drammatica di cambiare il modello perché ne va degli impatti sui sistemi naturali del prelievo dei materiali, ma anche della competitività; l'altra è la crisi climatica. Abbiamo bisogno di cambiare modello energetico". Così Edo Ronchi, presidente Fondazione Sviluppo Sostenibile, intervenendo alla presentazione del nuovo Rapporto di Sostenibilità 2024 di Conai, questa mattina a Roma.
"Quindi dobbiamo puntare sulla circolarità in maniera molto più efficiente e questo vale anche per gli imballaggi, dobbiamo pensare ad una nuova fase", dice. Quanto al "mercato delle materie prime seconde, subiamo troppe oscillazioni e non ce lo possiamo permettere. Non basta avere tanto riciclo effettivo bisogna avere lo sbocco di mercato per tutti i materiali che aumentano".
Sostenibilità
Rifiuti, Conai: 3,3 mld di giro d’affari generato,...
I dati del Rapporto di sostenibilità
Conai ha generato in Italia un giro d’affari totale di oltre 3,3 miliardi di euro. Cifra che è la somma di tre valori: un volume d'affari diretto di 1 miliardo e 289 milioni di euro, provenienti dal Contributo Ambientale Conai (Cac) e dai ricavi da vendita dei materiali, un impatto indiretto pari a 1 miliardo e 701 milioni di euro, legato all'attivazione delle filiere di fornitura, e un l'impatto indotto di 346 milioni di euro, derivante dai consumi delle famiglie dei lavoratori e delle aziende fornitrici. Un giro d’affari paragonabile al valore dell’intero settore del trasporto aereo di passeggeri in Italia. I soli ricavi da Cac sono stati pari a 718 milioni di euro: il che significa che ogni euro di contributo ambientale ha un moltiplicatore pari a 4,6 in termini di valore generato per l’economia italiana. È il dato principale che emerge dal nuovo Rapporto di sostenibilità di Conai che, come ogni anno, quantifica i benefici economici e ambientali del riciclo degli imballaggi in Italia.
"Ogni euro di contributo ne genera oltre quattro e mezzo per l’economia: è ormai evidente come l’uso di materia di secondo utilizzo in sostituzione di materia prima vergine abbia ripercussioni importanti sul nostro sistema economico - commenta il presidente Conai Ignazio Capuano - Il nostro impegno per la sostenibilità è un mandato istituzionale, ma anche la visione su un futuro in cui le risorse del pianeta vengono usate in modo più efficiente, tutelando l’ambiente. Per la prima volta, quindi, abbiamo adottato una nuova metodologia di calcolo per rendicontare il valore generato dalla corretta gestione degli imballaggi: i benefici sono di natura sia economica sia ambientale. Lo certifica un nuovo studio condotto da The European House - Ambrosetti, di cui abbiamo presentato un’anteprima a Ecomondo e che oggi includiamo integralmente nel Rapporto".
Il contributo effettivo al Pil nazionale del sistema Conai, ossia il valore aggiunto generato, è invece stato pari a 1 miliardo e 924 milioni di euro. Infine, l’impatto occupazionale: nel 2023 il sistema ha sostenuto un totale di 23.199 posti di lavoro, tra occupazione diretta (lavoratori impiegati in modo continuativo nelle strutture e nei processi gestiti direttamente dal Consorzio), indiretta (grazie all’attivazione delle filiere collegate) e indotta (che riguarda essenzialmente i settori della gestione dei rifiuti, della manifattura industriale e dei trasporti). I benefici ambientali 11 milioni e 724.000 tonnellate sono la quantità di materia vergine che, a livello nazionale, si è evitato di estrarre e utilizzare grazie al riciclo di imballaggi nel 2023. Sono pari al peso di 800 torri di Pisa.
Il riciclo si conferma anche un attore importante contro l’emissione in atmosfera di CO2, per contrastare il cambiamento climatico. E il Rapporto di sostenibilità Conai mostra come nel 2023, grazie al riciclo, sia stata evitata l’emissione di più di 10 milioni di tonnellate di CO2eq. Che è pari alle emissioni generate da più di 8mila voli intorno al mondo. Un dato che rappresenta il saldo tra la mancata produzione di gas serra grazie all’evitata produzione di materiale primario e l’emissione di gas serra per le sole operazioni di preparazione al riciclo di imballaggi già utilizzati, ossia il trasporto e il trattamento per trasformare il rifiuto d’imballaggio in nuova materia prima.
Il contributo delle imprese italiane alla corretta gestione del fine vita degli imballaggi si sostanzia anche in un risparmio di energia primaria, cioè l’energia generata da fonte fossile che sarebbe necessaria per la produzione di tutto il materiale primario risparmiato. Un dato che, proprio da quest’anno, è stato affinato introducendo nel computo i consumi di energia primaria relativi alle operazioni di preparazione al riciclo e al trasporto dei rifiuti di imballaggio. Nel 2023 si stima siano stati risparmiati 50 terawattora, che equivalgono al consumo domestico annuo di metà delle famiglie italiane.
"Da anni il Rapporto è importante veicolo di un approccio documentato al tema della tutela ambientale, basato su numeri e risultati oltre che su concrete prospettive di miglioramento - afferma il direttore generale Conai Simona Fontana - Condividerlo rappresenta un momento di trasparenza che prova quanto il lavoro del Consorzio possa e soprattutto voglia essere misurato e misurabile, in un’ottica di condivisione sinergica fra tutti gli attori e gli stakeholder della filiera. Ma è un documento che va oltre la misurazione dei risultati e che testimonia un impegno più profondo: diffondere una cultura ambientale che permei il tessuto sociale resta parte essenziale dei compiti che ci sono assegnati".