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8 marzo, immunologo: “La mimosa lasciamola sull’albero, rischio allergia con contatto”

Minelli: "Un fiore certamente bello a vedersi, ma con una potenziale capacità di nuocere"

8 marzo, immunologo:

"Proprio per la sua peculiarità dell’essere allergia di ‘prossimità’, quello della mimosa rimane un fiore certamente bello a vedersi ma da guardare a distanza, in forza di una sua potenziale capacità di nuocere per contatto diretto. Una ragione di più per lasciare gli steli di mimosa sui loro rami al fine di evitare inutili menomazioni alla bellezza delle chiome fiorite e, semmai, pur mantenendo la mimosa come simbolo dell’8 marzo, sforzarsi di andare oltre i rituali per dare a una celebrazione l’autenticità e il valore che merita". Lo spiega all'Adnkronos Salute Mauro Minelli, immunologo e responsabile per il Sud della Fondazione di Medicina personalizzata (Fmp), in occasione della Giornata mondiale della donna che si celebra oggi e ha come simbolo proprio la mimosa.

"L’albero è uno di quelli sempreverdi, originario dell’Australia e introdotto in Europa agli inizi dell’ottocento. Ma, per raggiungere la sua popolarità, la mimosa dovette attendere il 1946, anno a partire dal quale i rametti di quest’albero eretto anche fino a 20 metri in altezza, dalle infiorescenze gialle e dalla chioma ampia e irregolare, furono scelti per rappresentare, ogni 8 di marzo, la Giornata internazionale della donna. Il termine ‘mimosa’, più specifico della specie arbustiva ‘mimosa pudica’ o ‘sensitiva’, deriva dal latino ‘mimus’ ovvero ‘attore’, per i movimenti con cui le foglie di questo arbusto sempreverde reagiscono a qualsiasi stimolo tattile o vibratorio - ricorda Minelli - Largamente utilizzata come pianta ornamentale, la mimosa predilige luoghi riparati, temperature non troppo basse e terreni tendenzialmente umidi. In parchi e giardini spesso viene fatta crescere a cespugli, ma molto diffusa è la coltivazione in serra finalizzata ad ottenere le gialle fronde fiorite nei periodi desiderati. Per contro, piuttosto modesta è la quantità di polline che essa libera in atmosfera".

"I suoi frutti sono legumi. I fiori gialli, sferici e piumosi, raggruppati in pannocchie terminali, raggiungono la loro piena maturità tra febbraio e aprile. I pollini sono composti da un cospicuo numero di granuli raggruppati in formazioni lenticolari del diametro di circa 50 micron - prosegue l'immunologo - Che per i pollini son davvero tanti se consideriamo che, ad esempio, quelli dell’erba parietaria, pianta erbacea che pure in queste settimane avvia la sua micidiale produzione pollinica, difficilmente superano i 15 micron di diametro. Proprio a causa delle loro notevoli dimensioni, i pollini di mimosa non sono facilmente aerodiffusibili e se anche lo fossero, in ragione delle loro misure più che ragguardevoli, a differenza di quelli dell’erba parietaria non avrebbero grandi possibilità di raggiungere agevolmente i tratti profondi dell’albero bronchiale. Di conseguenza, infrequente e occasionale risulta essere l’allergia respiratoria provocata da questo polline che, in forza della sua ‘pesantezza’, viene trasportato dal vento solo a breve distanza dalla sua origine. Secondo alcuni dati forniti dalla letteratura scientifica di settore, l’incidenza di pollinosi da mimosa sul totale degli allergici risulterebbe pari allo 0,05%. Dunque, cifre piuttosto esigue".

'Per alcune categorie, tipo i vivaisti, il polline di mimosa dimostra una particolare aggressività allergenica'

"Tuttavia, nell’arco temporale degli ultimi 30 anni, la costante osservazione dell’andamento e della durata delle stagioni, i conteggi dei pollini realizzati con sistematicità mediante l’impiego di apposite ‘trappole’, la valutazione clinica della prevalenza delle sensibilizzazioni allergiche attraverso specifici test diagnostici, hanno permesso di misurare le variazioni dei pollini in atmosfera ed il loro impatto sulla salute dei soggetti sensibili. Si è potuto così stabilire che i cambiamenti climatici oramai evidenti ed acclarati, con le loro ondate di calore, sono certamente in grado di modificare il carico pollinico globale - avverte Minelli - ed influenzare conseguentemente l’entità delle manifestazioni cliniche correlate alle cosiddette ‘allergie stagionali’".

"Pertanto, se la durata della stagione pollinica di piante arboree allergizzanti come il cipresso e l’olivo è aumentata di almeno 20 giorni rispetto agli anni 90, per la fioritura della parietaria già nel 2006 era stato registrato un anticipo di 2 mesi rispetto a quanto si verificava nei primi anni ‘80 con conseguente progressivo aumento, nel corso del tempo, delle percentuali di pazienti ‘pollinosici’. Per quanto si possano immaginare analoghe proiezioni - suggerisce Minelli - anche in riferimento alla sensibilizzazione ai pollini di mimosa, assai bassa rimane ancora oggi, nella totalità della popolazione allergica, la percentuale di soggetti con specifica allergia. Che, tuttavia, risulta essere più significativamente avvertita da quelle persone che, per vari motivi, subiscono un’intensa e prolungata esposizione a questo polline come, per esempio, i vivaisti, categoria di lavoratori verso i quali, certamente in ragione di un contatto lavorativo più diretto e costante, il polline di mimosa dimostra una particolare aggressività allergenica, tanto da far pensare - conclude - per questa forma di pollinosi, a una vera e propria malattia ‘professionale'".

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Cronaca

Giubileo e possibili rischi sanitari, cosa dicono gli...

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Ciccozzi: "Serve monitoraggio virus, consiglio mascherina in luoghi affollati". Bassetti: "Tanti pellegrini dal Sud America, lì Dengue ha fatto danni"

Albero di Natale a Piazza Navona (Fotogramma)

Mancano pochi giorni all'apertura ufficiale del Giubileo 2025 e Roma si prepara ad accogliere milioni di pellegrini in arrivo per l'Anno Santo. "Serve fare il monitoraggio di tutte le persone a seconda del Paese da cui provengono: ogni nazione può avere una particolare endemia dovuta ad un virus che potrebbe arrivare qui da noi. Poi va detto alle persone come comportarsi sui mezzi pubblici o nei luoghi affollati soprattutto ora che è inverno. E poi consiglierei l'uso della mascherina per evitare i contagi. Sono tre cose fondamentali e semplici", dice all'Adnkronos Salute l'epidemiologo Massimo Ciccozzi che è tra gli autori di un'analisi sui rischi sanitari legati al Giubileo.

"Una cosa semplice che si potrebbe fare è creare dei presidi filtro per evitare che i codici bianchi vadano ad affollare i pronto soccorso degli ospedali romani, utilizzando anche i giovani medici specializzandi", aggiunge. "La sorveglianza epidemiologica è importantissima per la prevenzione. Arriveranno milioni di persone in Italia e soprattutto a Roma. Se ci ricordiamo l'epidemia di Mers è scoppiata proprio durante il pellegrinaggio a La Mecca in Arabia Saudita, ma penso anche a quello che è accaduto ad Haiti con il colera. Movimenti di massa di persone possono essere la causa di epidemie di virus respiratorio", conclude Ciccozzi.

All'Adnkronos Salute fa il punto anche Matteo Bassetti, direttore Malattie infettive dell'ospedale policlinico San Martino di Genova. "La previsione di 30 milioni di pellegrini che arrivano a Roma da tutte le parti del mondo, la grande maggioranza dal Sud America, ci deve allertare nel sensibilizzare il sistema sanitario sulle malattie di quella zona del pianeta - sottolinea - Ad esempio in Sud America il 2024 è stato l'anno della Dengue, quindi si deve fare una lavoro di prevenzione sulle zanzare e sui chi potrebbe portare la malattia qui. Dobbiamo poi vedere se il 2025 sarà un anno particolarmente caldo e già a maggio iniziare a disinfestare le zone di Roma dove possono annidarsi le zanzare e abbatterne il numero. Insomma dobbiamo evitare di creare le condizioni di possibili focolai di Dengue come accaduto a Fano. Con un enorme massa di persone concentrata in una città certamente ci sono dei rischi sanitari ma tutti ne sono coscienti e so che è stata organizzato un piano per fronteggiare le emergenze".

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Cronaca

Donna investita a Pisa, ipotesi omicidio volontario....

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Nuova pista nelle indagini di Volterra dopo la morte di Fabiola Capresi, 57enne falciata da un'auto

Auto della polizia - Fotogramma

Ipotesi omicidio volontario per la morte di Fabiola Capresi. E' il nuovo filone d'indagine che i carabinieri della compagnia di Volterra (Pisa) stanno portando avanti, insieme al principale dell'omicidio stradale, per il decesso della 57enne falciata da un'auto in corsa lungo la strada provinciale di via Tre Comuni a Montescudaio (Pisa) nel pomeriggio di martedì 17 dicembre. È quanto scrive oggi 'Il Tirreno'.

Le indagini

Si ipotizza che il conducente dell'auto volesse ucciderla e non si sia trattato di un incidente. A far propendere per l'omicidio volontario ci sarebbe la violenza dell'urto: la donna, in base alla ricostruzione degli inquirenti, è stata colpita in pieno, mentre si trovava di spalle. Le ferite farebbero pensare che una volta investita con il lato dell'auto, il corpo abbia urtato anche contro il parabrezza. Lo dimostrerebbero le profonde ferite alla testa oltre a quelle nel resto del corpo.

Un impatto, non essendoci alcun segno di frenata, che fa ipotizzare che il conducente fosse pronto a colpire la donna e a rimettersi subito in carreggiata con l'auto. In caso di incidente stradale, infatti, la donna avrebbe dovuto trovarsi (per avere un impatto così violento) sulla carreggiata e non nella parte erbosa che costeggia la provinciale e consente di spostarsi con meno rischi per i pedoni. Va considerato inoltre che per un conducente che se la fosse trovata improvvisamente davanti, ipotesi che il buio della zona rende plausibile, sarebbe stato molto difficile mantenere il controllo dell'auto.

A indagare a 360 gradi, inoltre, scrive sempre 'Il Tirreno', ci sono elementi nella vita della donna, non resi pubblici per motivi di privacy seppur noti nel paese, che rendono plausibile che tra le sue frequentazioni potesse esserci chi potesse avere dei conti da regolare. Ma anche il fatto che gli spostamenti fossero molto prevedibili: Fabiola Capresi faceva quella strada a piedi anche due volte al giorno, più o meno alle stesse ore. Ed è per questo che, dopo aver ascoltato l'autista dell'autobus su cui la donna era a bordo poco prima della morte e il compagno Gianni Cavallini che ne aspettava il rientro e che ha dato intorno alle 18,30 l'allarme, si sia deciso di sentire anche altre persone vicine. Su questo, per il momento c’è il massimo riserbo. Niente trapela sui rapporti di amicizia, sulle frequentazioni della donna.

Continua, invece, il controllo delle immagini delle telecamere, installate all’ingresso di Guardistallo e nei negozi che si trovano lungo la strada provinciale per individuare un'auto di passaggio in un periodo di tempo abbastanza ristretto, circa 15 minuti dalle 17,16 alle 17,30, senza un faro. La luce, infatti, è stata ritrovata nel luogo dell'impatto: i pezzi ricostruiti rendono probabile si tratti di un’auto e non di un furgoncino come inizialmente ipotizzato.

Se gli inquirenti sospettano un omicidio volontario anche il compagno di Fabiola Capresi non lo esclude. "Sì, è possibile, l'hanno uccisa", ha detto Gianni Cavallini alla cronista del "Tirreno", senza poi voler aggiungere nient'altro. Nulla sulla vita che facevano insieme da 15 anni, nulla su eventuali sospetti: "Quello che so l'ho detto ai carabinieri".

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Attualità

Omicidio in Spagna risolto grazie a Google Maps: il caso...

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Poche volte, nella cronaca recente, ci è capitato di imbatterci in una vicenda tanto assurda e, allo stesso tempo, tristemente reale. Ci riferiamo a un omicidio che ha lasciato un intero Paese, e forse il mondo intero, a bocca aperta. E non stiamo esagerando: c’è di mezzo un uso davvero inatteso della tecnologia, perché tutto è venuto alla luce grazie a Google Street View. Già, proprio quel servizio di mappe online che molti di noi utilizzano ogni giorno per cercare una via o dare un’occhiata a un quartiere prima di andarci. Invece, stavolta, ha fatto da testimone involontario a una tragedia.

Siamo in Spagna, più precisamente nella provincia di Soria, dove una tranquilla località chiamata Tajueco è balzata tristemente agli onori della cronaca. Una storia di sentimenti traditi, illusioni e violenza, che risale al novembre 2023, quando un uomo di origine cubana, 33 anni appena, si volatilizza nel nulla. L’obiettivo del suo viaggio era apparentemente la speranza di riappacificarsi con la moglie. Eppure, da quel momento, di lui non si sa più nulla. È proprio uno dei suoi parenti a lanciare l’allarme: i messaggi che arrivavano sul cellulare sollevavano troppi dubbi, sembravano fuori luogo, non rispecchiavano il solito modo di esprimersi di quest’uomo. Si respirava un’aria sospetta, come se qualcuno cercasse di costruire una versione di comodo sul motivo della sua scomparsa.

L’antefatto: perplessità e silenzi

Il caso fa presto a rimbalzare tra le forze dell’ordine. Una persona sparita in modo così brusco mette in allarme chiunque, specialmente quando il motivo ufficiale del suo viaggio risulta ancora più enigmatico. Ci siamo chiesti tutti: come può un uomo che vuole ricucire un legame così importante sparire così, senza salutare, senza lasciare traccia, se non qualche messaggio ambiguo? Di solito, in queste situazioni, si punta tutto sulle testimonianze, sulle videocamere dei negozi e si interroga chiunque possa averlo visto per l’ultima volta. Ma qui, la vera svolta è arrivata da un luogo inaspettato, ossia l’obiettivo di Google Street View.

Sospetti e svolta tecnologica

A un certo punto, gli inquirenti si sono imbattuti in qualcosa di inquietante: sul servizio di mappatura fornito da Google, un’istantanea ritraeva un uomo che, con una calma surreale, caricava un grosso sacco bianco all’interno del bagagliaio della sua auto. L’immagine è piuttosto sfocata, come spesso capita su Street View, ma i contorni di quel sacco e il contesto generale hanno fatto scattare un campanello d’allarme. La gente del posto lo ha riconosciuto: si trattava di un barista residente proprio a Tajueco, lo stesso luogo dove il nostro trentatreenne era stato visto per l’ultima volta.

E qui, si apre lo scenario più cupo: emerge che questo barista intratteneva una relazione con la moglie della vittima. Un dettaglio sconvolgente, che ha condotto gli investigatori a mettere sotto la lente di ingrandimento tutti i movimenti di costui. Da quell’immagine catturata quasi per caso, la polizia ha cercato ulteriori conferme, scandagliando telefonate, messaggi e tracce digitali. Passo dopo passo, si è delineato un quadro terribile, in cui non sembra esserci spazio per ipotesi alternative.

Google Street View: alleato imprevisto

Non si tratta solo di foto che immortalano una strada o un edificio. In questo caso, Google Street View è diventato una sorta di testimone scomodo e implacabile. L’indizio fornito da quell’immagine ha gettato una luce sinistra sui sospetti, spingendo le autorità a fare accertamenti più mirati. Intercettazioni, controlli incrociati e infine l’arresto. Le manette si sono strette non soltanto intorno ai polsi del barista ma anche intorno a quelli della moglie dell’uomo scomparso, a cui sono stati contestati reati gravissimi.

Ritrovamento macabro

Arriviamo così al 13 dicembre 2024, una data difficile da dimenticare per la gente di questa zona. Nel cimitero di Andaluz, una località vicina a Tajueco, viene ritrovato il corpo smembrato della vittima. Il suo destino, purtroppo, si era compiuto settimane prima. Gli stessi sospettati hanno permesso il ritrovamento, indicando con precisione dove fossero nascosti i resti. Una scoperta che ha scosso profondamente l’intera comunità, finora abituata a una vita semplice e lontana dai riflettori.

Conseguenze e riflessioni su privacy e tecnologia

Non possiamo ignorare il lato etico della faccenda: per anni, abbiamo discusso sulla privacy, sui confini del lecito, sulla possibilità che un colosso tecnologico possa avere immagini di tutti noi. Adesso, ci ritroviamo a constatare che questi scatti, talvolta considerati una sorta di curiosità digitale, possono trasformarsi in prove fondamentali in un’indagine di omicidio. Il che fa sorgere una domanda: fino a che punto siamo pronti a sacrificare la nostra riservatezza per garantire la giustizia? Ogni volta che un caso come questo emerge, ci rendiamo conto di quanto sia sottile la linea che separa la sicurezza collettiva dal diritto individuale alla privacy.

Un precedente storico

Nel panorama investigativo, l’uso di Google Maps per risolvere un delitto rappresenta una novità destinata a far discutere a lungo. La piccola Tajueco verrà probabilmente ricordata come la località dove uno strumento comunissimo è diventato l’occhio che ha svelato un segreto criminale. Forse, in futuro, assisteremo a nuove modalità di indagine sempre più legate alla tecnologia di tutti i giorni. Resta però un brivido, una strana sensazione, pensando che un banale click sulle mappe online possa, di punto in bianco, rivelare i peggiori abissi della crudeltà umana.

Concludendo, ci troviamo di fronte a un episodio che racchiude dramma, tecnologia e domande scomode su ciò che siamo disposti a cedere pur di assicurare i colpevoli alla giustizia. Resta vivo un monito: non sappiamo mai chi ci sta osservando, anche quando cerchiamo di occultare ciò che non vorremmo fosse mai scoperto. E in questa circostanza, a fare chiarezza è stata proprio la prospettiva digitale, fredda e onnipresente, di Google Street View. Un fatto che, probabilmente, cambierà il nostro modo di guardare quel piccolo omino giallo sulla mappa. E forse, in fondo, cambierà anche il modo in cui riflettiamo sul delicato equilibrio fra controllo, privacy e verità.

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