Assange potrà presentare un ultimo appello contro l’estradizione negli Usa
Il fratello Gabriel Shipton: "Un'altra finestra". Patrick Boylan: "Biden per ora pensa alle elezioni"
Nell'udienza di stamane l'Alta Corte della Gran Bretagna ha dato il via libera -negato in precedenza- all'istanza della difesa di Julian Assange di presentare un ultimo appello contro l'estardizione negli Stati Uniti, dove - se processato per i 18 capi d'imputazione attribuitigli - rischia una condanna fino a 175 anni di detenzione, secondo l'Espionage Act, in condizione come le attuali, che due relatori dell'Onu hanno definito "assimilabili alla tortura". Questa vecchia legge del 1917 è stata rispolverata in America anche nel caso della whistleblower Chelsea Manning.
Nel processo di primo grado la possibilità di presentare un ultimo appello non era stata concessa al giornalista australiano, per il quale ora l'Alta Corte britannica chiede che - nel caso di estradizione - possa usufruire delle garanzie di tutela offerte dal Primo Emendamento, come qualsiasi altro cittadino degli Stati Uniti, oltre a escludere l'eventualità che le accuse contro di lui siano in qualche modo suscettibili di arrivare alla pena di morte. Sono questi i due punti fondamentali, dei sei sollevati in precedenza dagli avvocati di Assange, i soli accettati dai giudici su cui si dovrà incentrare il futuro dibattimento. La Corte si è quindi aggiornata per una nuova udienza il 20 maggio.
Nelle 66 pagine della sentenza di oggi, è stato richiesto inoltre al governo americano - tra le ulteriori garanzie da fornire entro tre settimane - la tutela del diritto alla libertà di parola e il fatto che il cofondatore di WikiLeaks non venga discriminato in quanto cittadino australiano. Una sintesi della sentenza dice: "Se tali assicurazioni non verranno fornite [dagli Stati Uniti], verrà concesso il permesso di ricorrere in appello [a Julian], e poi ci sarà un'udienza di appello". (segue)
Il fratello Gabriel Shipton da Australia, 'Speravo in un ricorso in appello'
"Stamattina speravo che a Julian fosse concesso il permesso di ricorrere in appello", ha scritto ora Gabriel Shipton, suo fratello, in una lettera indirizzata ai sostenitori della campagna australiana in difesa di Assange.
"Nella peggiore delle ipotesi, temevo che sarebbe stato estradato prima di domani mattina. Invece il suo purgatorio continua, ma ciò significa anche che abbiamo un’altra finestra per aumentare la pressione sulle persone che possono intraprendere azioni decisive per fare davvero la differenza. Nel momento attuale, questo è il governo australiano".
"La decisione di oggi è appena arrivata ed è importante -ha concluso poi Shipton- Non era quella che speravamo. Nelle prossime settimane tornerò a Washington per continuare a rafforzare il sostegno per Julian nel luogo in cui vengono prese le risoluzioni". (segue)
Boylan, 'i giudici inglesi lo estraderanno, ma per ora Biden non vuole'
"Sono sollevato che non ci sia stato rigetto dell'istanza -spiega all'Adnkronos Patrick Boylan, docente universitario americano del Comitato italiano Free Assange, che ha seguito sempre da vicino la vicenda del giornalista australiano, scrivendo articoli e libri sul suo caso giudiziario. "Assange non è adesso su uno dei due aerei della Cia, fermi in attesa su una pista di Londra, che oggi hanno dovuto differire il viaggio oltreoceano".
"Siamo stati fino a poco fa a manifestare davanti all'ambasciata americana di Roma. A mio avviso i giudici inglesi lo vogliono estradare, ma non adesso e forse neppure dopo il 20 maggio. Biden non vuole che arrivi in America sotto elezioni. Potrebbe creargli troppi problemi. E quindi è possibile che, fino a dopo le elezioni di novembre, l'estradizione non si farà".
Quello che "possono tentare la famiglia e gli avvocati adesso è chiedere per lui gli arresti domiciliari fino alla prossima udienza, in modo che Julian giunga al processo in condizioni di salute almeno accettabili". (di Rossella Guadagnini)
Esteri
Siria, la moglie di Assad gravemente malata: “Ha la...
Lo riferisce The Telegraph, secondo il quale l'ex first lady di origine britannica è stata isolata per ridurre al minimo il rischio di infezione
Asma al-Assad, moglie del deposto presidente siriano Bashar al-Assad, starebbe combattendo contro la leucemia e avrebbe una probabilità di sopravvivenza del 50%. Lo riferisce The Telegraph, secondo il quale l'ex first lady di origine britannica è stata isolata per ridurre al minimo il rischio di infezione e sta seguendo un trattamento.
Asma aveva già combattuto contro il cancro al seno nel 2019, da cui era guarita dopo un anno di cure. Ma si ritiene che la sua leucemia sia ricomparsa dopo un periodo di remissione. La presidenza siriana aveva annunciato a maggio di quest'anno che all'allora first lady era stata diagnosticata una leucemia mieloide acuta, un cancro aggressivo del midollo osseo e del sangue.
Nata a Londra nel 1975 da genitori siriani, Asma al-Assad ha una doppia cittadinanza britannica e siriana. Ha conseguito lauree in informatica e letteratura francese al King's College di Londra prima di intraprendere una carriera nell'investment banking. Asma ha sposato Bashar al-Assad nel dicembre 2000. La coppia ha tre figli: Hafez, Zein e Karim.
L'8 dicembre, in seguito a un'offensiva ribelle guidata da Hayat Tahrir al-Sham (HTS) contro il regime di Damasco, la famiglia è fuggita dalla Siria e si è rifugiata in Russia. Sembra che Asma abbia cercato di esiliarsi a Londra con i suoi figli da quando è iniziata la rivolta siriana, ma il ministro degli Esteri inglese David Lammy ha dichiarato che l'ex first lady siriana non benvenuta nel Regno Unito.
I resoconti suggeriscono che abbia anche chiesto il divorzio dal presidente siriano detronizzato perché "insoddisfatta" della sua vita a Mosca. Tuttavia, il Cremlino ha respinto le indiscrezioni, affermando che " non corrispondono alla realtà".
Esteri
Ucraina, Lavrov: “Una tregua ora sarebbe...
Il ministro degli Esteri russo: "Abbiamo bisogno di accordi giuridici definitivi"
La Russia gela le speranze di una tregua in Ucraina. "Un cessate il fuoco è una strada che non porta da nessuna parte", ha detto in una intervista a giornalisti russi e stranieri il ministro degli Esteri Serghei Lavrov, secondo il quale "sono necessari degli accordi affidabili".
"Sulla questione molto è stato detto. Ne ha parlato anche il Presidente russo. Non ci accontenteremo di chiacchiere. Finora abbiamo sentito parlare della necessità di arrivare a un cessate il fuoco, ma nessuno nasconde che l'obiettivo di una tregua è quello di guadagnare tempo per continuare a inondare l'Ucraina di armi e consentire alle forze ucraine di raggrupparsi, di mobilitare personale e osì via”, ha osservato.
“Il cessate il fuoco è un vicolo cieco”, ha sottolineato Lavrov. “Abbiamo bisogno di accordi definitivi e giuridicamente vincolanti che documentino le condizioni per garantire la sicurezza della Russia e, naturalmente, gli interessi legittimi dei nostri vicini, ma in un modo basato sul diritto internazionale, che renderà impossibile la violazione di tali accordi”, ha aggiunto.
Qatar, Arabia saudita o Emirati località possibili per vertice Trump-Putin
La Russia prova intanto a definire le condizioni per il vertice fra Donald Trump e Vladimir Putin che non è ancora stato fissato e prima ancora dell'insediamento del Presidente americano eletto. Il quotidiano Izvestia cita esperti secondo cui le località più probabili sono in Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Paesi neutrali, impegnati da tempo in uno sforzo di mediazione fra Mosca e Kiev sulla facilitazione degli scambi di prigionieri di guerra (ma anche sul ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, ndr) e che non hanno aderito alla Corte penale internazionale. Izvestia precisa che pur se la Svizzera ha confermato la sua disponibilità a ospitare un vertice Trump-Putin, non potrebbe andare bene perché per Mosca non è più un Paese neutrale. Scarse probabilità anche che la riunione si tenga in un Paese europeo. Ma non si esclude la Turchia.
Esteri
Gaza, nuovi attacchi Israele. Neonata muore di freddo il...
Nelle ultime 48 ore almeno tre i bambini morti a causa delle basse temperature. Raid sul campo profughi di Nusseirat: uccisi 5 reporter di Al-Quds
Continuano gli attacchi di Israele sulla Striscia di Gaza, dove anche a causa dell'inverno la situazione degli sfollati palestinesi è sempre più drammatica. L'emittente televisiva palestinese Al-Quds Today ha dato notizia della morte di cinque suoi giornalisti, uccisi all'alba durante un attacco israeliano nel campo profughi palestinese di Nusseirat. In una dichiarazione, il canale televisivo ha affermato di piangere i suoi "cinque giornalisti martiri Faisal Abu Al-Qumsan, Ayman Al-Jadi, Ibrahim Al-Sheikh Khalil, Fadi Hassouna e Mohammed Al-Lada'a, che sono stati uccisi in un attacco sionista contro un veicolo di trasmissione esterno mentre svolgevano il loro dovere giornalistico e umanitario".
Testimoni oculari hanno riferito che un missile lanciato da un aereo israeliano ha colpito direttamente il veicolo dei giornalisti, parcheggiato di fronte all'ospedale Al-Awda nel campo di Nousseirat, uccidendo tutti e cinque i dipendenti dell'emittente.
Neonata morta di freddo
Ieri, il giorno di Natale, una neonata è morta di freddo in un accampamento ad Al-Mawasi, nel sud di Gaza. Sela Mahmoud Al-Fasih “è morta congelata per il freddo estremo” ad Al-Mawasi, ha scritto mercoledì su X il dottor Munir Al-Bursh, direttore generale del Ministero della Salute di Gaza.
Ma non è stata l'unica. Nelle ultime 48 ore, Al-Fasih e almeno altri due neonati, uno di tre giorni e uno di un mese, sono morti a causa delle basse temperature e della mancanza di accesso a un rifugio caldo, ha detto alla Cnn il dottor Ahmed Al-Farra, primario di pediatria e ostetricia presso l'ospedale Nasser di Khan Younis.
Al-Mawasi, una regione costiera a ovest di Rafah, precedentemente designata da Israele come "area umanitaria", è stata ripetutamente sottoposta ad attacchi israeliani. Migliaia di palestinesi sfollati si sono trasferiti lì in cerca di rifugio, vivendo per mesi in tende improvvisate fatte di stoffa e nylon.
Le riprese della Cnn da un cortile di Al-Mawasi hanno mostrato il piccolo corpo di Al-Fasih avvolto in lenzuoli bianchi, con il padre trentunenne, Mahmoud, che la teneva in braccio. In un'altra scena, un gruppo di giovani uomini e ragazzi palestinesi si accovacciano sulla sua tomba. "[Sela] è morta di freddo", ha detto sua madre, Nariman. "La stavo scaldando e tenendola in braccio. Ma non avevamo vestiti e coperte a sufficienza".
L'assalto di Israele, lanciato dopo l'attacco del 7 ottobre guidato da Hamas, ha sventrato i quartieri un tempo vivaci di Gaza, ha cancellato intere famiglie e ha generato una crisi umanitaria di fame, sfollamento e malattie dilaganti. Più di 45.000 palestinesi sono stati uccisi e 107.000 persone sono rimaste ferite, ha riferito lunedì il ministero della Salute locale.