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Torracca (Apacs): “Formare pazienti e medici per diagnosi precoce Egpa”

La presidente dell'associazione, 'anni per scoprire la patologia che all'esordio ha sintomi respiratori e poi vasculiti'

Torracca (Apacs):

"Quando ho ricevuto la diagnosi" di granulomatosi eosinofilica con poliangioite (Egpa) "ho iniziato a scrivere un blog, al quale poi si è registrata quella che poi è stata, ed è tuttora, la nostra vicepresidente. Insieme abbiamo deciso di fare un gruppo su Facebook, cercando altre persone come noi perché, essendo una malattia molto rara, avevamo l'esigenza, la voglia di confrontarci con persone che stessero passando la nostra stessa esperienza. E' nato così un piccolo gruppo, un nucleo iniziale di pazienti. Nel 2016 abbiamo pensato bene di mettere a disposizione la nostra esperienza, quello che avevamo condiviso e vissuto, con altri pazienti. Così, nel 2017, è nata ufficialmente l'associazione che nel corso degli anni si è posta l'obiettivo di fare formazione e informazione ai pazienti, ma soprattutto ai medici, per favorire la diagnosi precoce della malattia. La prognosi dell'Egpa è molto legata infatti alla tempestività della diagnosi". Lo ha detto Francesca Torracca, presidente Apacs (Associazione pazienti sindrome di Churg Strauss o Egpa), in occasione del corso Ecm dedicato all'Egpa, malattia eosinofilica nota anche come sindrome di Churg Strauss, una patologia rara che ogni anno in Italia conta tra 2,5 e 7 nuove diagnosi per milione di abitanti.

Le principali difficoltà che si incontrano come pazienti sono ultimamente in "leggero miglioramento, grazie anche all'avvento di nuovi farmaci" frutto di "investimento da parte delle aziende, dei medici, dell'informazione sulla necessità di una diagnosi precoce di patologia - sottolinea Torracca - Mediamente passano anni prima che la persona venga a sapere di avere questa malattia. L'esordio della patologia è di tipo asmatico, di poliposi nasale, di polmoniti e quindi viene spesso sottovalutata dai medici. La malattia si riconosce quando ha un'evoluzione negativa in termini di vasculite, quando cioè vengono coinvolti i vasi sanguigni” di piccolo calibro. Se interessano "cuore o reni, il paziente finisce in ospedale con una situazione grave. In questo caso, tornare a una situazione di benessere diventa più lungo e più complicato".

"Se la diagnosi viene fatta in una fase precoce, agli esordi della malattia - rimarca Torracca - la reversibilità è quasi totale e con le adeguate terapie, con gli adeguati follow-up, visite, terapie, il paziente riesce a condurre una vita quasi del tutto normale con una patologia cronica. Diverso è se ci sono coinvolgimenti d'organo. Quando c'è un coinvolgimento cardiaco, a volte, le lesioni causate dalla malattia sono irreversibili, per cui la malattia non progredisce, ma il danno rimane e deve essere gestito. Una delle nostre socie fondatrici, che aveva un coinvolgimento cardiaco, ha perso la vita a 35 anni. Questo è il motivo per cui ci battiamo moltissimo, perché questo non succeda più, perché le diagnosi siano fatte precocemente".

Uno dei principali aspetti per una buona cura della malattia "è la collaborazione tra medici e pazienti - osserva la presidente di Apacs - Il nostro board medico multidisciplinare è composto da specialisti di tutte le discipline che sono coinvolte dalla patologia: immunologi, reumatologi, pneumologi, cardiologi. Per il paziente è infatti fondamentale essere informato sulla sua condizione, sulle evoluzioni a cui va incontro. Per questo è importante che i medici si parlino tra loro e parlino con i pazienti per creare una sinergia che aiuta tutti a lavorare e a stare meglio".

Inoltre, "facciamo parte dei diversi gruppi di studio sulle Egpa, come quello europeo, nel quale portiamo la voce dei pazienti. Siamo presenti negli organismi europei, in molte regioni italiane, con i nostri delegati, ma anche ai tavoli di lavoro e facciamo degli eventi di formazione e informazione sia per i medici che per i pazienti anche con campagne social per far conoscere - conclude - sia l'associazione che la patologia".

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Salute e Benessere

Influenza, verso boom casi: ecco...

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Farnetani: "Impennata contagi spinta da ripresa scuole che mette in contatto ogni giorno 20 milioni di persone e da calo temperature"

Una bambina con l'influenza - (123RF)

"È facile prevedere che dalla fine di questa settimana ci sarà un forte incremento di casi delle tipiche infezioni invernali, soprattutto a carico dell'apparato respiratorio, influenza compresa. Il motivo è duplice". Da un lato "il freddo", dall'altro "la ripresa delle scuole", avvenuta il 7 gennaio dopo la pausa natalizia. E' lo scenario prospettato dal pediatra Italo Farnetani, che in vista del boom di infezioni e dell'avvicinarsi del picco delle sindromi simil-influenzali, propone uno strumento battezzato 'influenzometro' per orientarsi fra i virus in azione in questo periodo. Una sorta di test per capire se si tratta di influenza oppure no. Fermo restando, puntualizza, che "si deve sempre consultare il medico".

Cosa ci attende nei prossimi giorni?

Solo considerando il capitolo scuole, spiega l'esperto all'Adnkronos Salute, va considerato che "ogni mattina entrano in contatto 20 milioni di persone: 10 milioni all'interno delle aule e degli edifici scolastici", numero che include "alunni, insegnanti, personale ausiliario", e "altri 10 milioni di persone", fra genitori, nonni e babysitter, "coinvolte per accompagnare gli alunni a scuola. Questi 10 milioni di persone si incontreranno nuovamente all'uscita. Perciò è ben comprensibile quanto sia elevata in questo contesto la possibilità di trasmissione degli agenti infettivi, soprattutto virus come questi che si diffondono facilmente negli ambienti".

E poi c'è il fattore freddo, continua Farnetani: "Proprio in questi giorni, e nei prossimi, c'è un brusco abbassamento delle temperature, che è uno degli elementi che determina la maggior diffusione delle infezioni durante il periodo invernale. Non è il freddo che fa ammalare - precisa - ma quando le temperature sono basse si sta maggiormente negli ambienti chiusi, con aria riciclata, elemento che facilita la trasmissione, soprattutto quando i riscaldamenti accesi rendono l'aria secca, e ciò impedisce che le particelle di polvere cariche di agenti infettanti vengano abbattute al suolo. In questo modo, invece, si spostano leggere perché sono ben asciutte e facilmente fanno breccia nell'apparato respiratorio dei presenti. Il consiglio è innanzitutto di aprire le finestre almeno 45 minuti al giorno, anche quando fuori è molto freddo, e non tenere mai i riscaldamenti eccessivamente alti. La temperatura di 19 gradi è ottimale, e si può mettere sopra le sorgenti di calore, in primis sui radiatori, un asciugamano di spugna bagnato, che serve a umidificare l'ambiente. Importante non rinunciare a stare all'aria aperta anche quando è freddo".

La combinazione di tutti questi fattori, prosegue Farnetani, che è professore ordinario di pediatria all'università Ludes-United Campus of Malta, "facilita dunque la trasmissione degli agenti infettivi, fra cui il virus dell'influenza", ma quest'ultimo gruppo di patogeni stagionali "non è il solo" a circolare in questo periodo. Non sempre a metterci a letto, in altre parole, è l'influenza vera e propria, ma potrebbe essere qualche virus 'cugino'. "Ecco allora l'influenzometro che ho elaborato per aiutare a distinguere le varie infezioni", argomenta Farnetani.

Cos'è e come funziona l'influenzometro

Si tratta nel dettaglio di un percorso scandito da una serie di domande o affermazioni: a seconda della risposta che più corrisponde alla situazione di chi sta usando lo strumento viene assegnato un punteggio. Sommando quelli ottenuti a ogni step, si potrà leggere il risultato: con un punteggio uguale o superiore a 210 "è influenza"; con un totale da 190 a 205 l'esito è "dubbio", ma se rifacendo il questionario il punteggio rientra sempre in questo range "non si tratta di influenza"; con un totale uguale o inferiore a 185 "non è influenza, ma probabilmente si tratta di una malattia dovuta ad altri agenti infettivi". L'influenzometro valuta prima di tutto il periodo in cui si presenta la malattia (da dicembre ad aprile o da maggio a novembre), e se i media hanno già riportato dei primi isolamento di virus influenzale.

E poi passa in rassegna i sintomi: dolore e sua localizzazione (alla schiena e alle articolazioni, mal di testa, mal d'orecchie, mal di pancia), febbre (superiore a 38,5° C e per quanti giorni); fastidi agli occhi (arrossati, con dolore quando si guarda lateralmente, con bruciore, con lacrimazione abbondante, appiccicati con secrezione gialla). Nel percorso si valutano anche le condizioni di volto (arrossato o pallido) e pelle (calda e umida, normale), e la presenza di tosse (secca o catarrosa). Si passa poi alla gola (fa male, brucia, è secca), alla voce (rauca o normale), al naso (chiuso, con secrezione chiara e liquida), all'apparato digerente (per capire se sono presenti sintomi come vomito, diarrea o stipsi) e infine si approfondiscono le condizioni generali (malessere, svogliatezza, ci si stanca con facilità, mancanza di appetito).

Il test, insomma, aiuta a farsi una cultura personale su come distinguere fra influenza e virus parainfluenzali. "Sarà però il medico a indicare la strada" terapeutica da seguire per lasciarseli alle spalle.

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Psicologa Giannini: “Con caos treni a rischio i...

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"Nei pazienti, già sotto stress per la propria salute, ritardi e guasti ai trasporti aumentano ansia e tensione perché costretti a spostarsi nell'incertezza"

Anna Maria Giannini, professore ordinario di Psicologia generale alla Sapienza Università di Roma

"Il caos trasporti non solo mette a rischio i viaggi per chi è costretto a curarsi lontano dalla propria città o regione ma influisce pesantemente e negativamente sui pazienti stessi, già preoccupati per le loro condizioni di salute". Così all'Adnkronos Salute Anna Maria Giannini, professore ordinario di Psicologia generale alla Sapienza Università di Roma sugli effetti legati ai trasporti in tilt che, tra guasti e maltempo, da giorni stanno paralizzando l'Italia.

"Chi deve affrontare un viaggio per curarsi non sta investendo in una vacanza in allegria e relax - spiega Giannini - Anzi. Se poi le sue condizioni di salute sono molto critiche perché ha una patologia cronica o una malattia terminale, lo stress di base non può che peggiorare".

La psicologa distingue tra 3 livelli di stress. "Nel primo livello c'è il paziente preoccupato per la sua salute - spiega Giannini -. Nel secondo c'è tutta l'ansia di doversi spostare per affrontare cure. Prendiamo l'esempio di un cittadino di Catanzaro che per un esame o una visita di controllo programmata da tempo deve andare a Roma. Ha l'ansia di dover organizzare il viaggio, e magari anche trovare un alloggio". Arriviamo poi al "terzo livello di stress, con il paziente che si chiede 'perché non posso curarmi nella mia città o nella mia regione, visto che è un mio diritto?' E' costretto a spostarsi perché non ha alternative. Se poi i servizi non funzionano - tra cui i treni, fermi per uno sciopero o per un guasto dovuto o no al maltempo, ecco che lo stress diventa elevatissimo". "Attenuare la tensione è possibile - conclude Giannini - Basta trovare un modo per distrarsi, magari affrontando il viaggio in compagnia di un amico o familiare per parlare d'altro, leggere un libro, o ascoltare musica. Fermo restando che i servizi dovrebbero sempre funzionare".

 

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Salute e Benessere

La previsione, casi demenza negli Usa rischiano di...

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La previsione, casi demenza negli Usa rischiano di raddoppiare entro 2060

Come previsto per altre aree del mondo, anche negli Usa i casi di demenza sono destinati a impennarsi nei prossimi anni. In un nuovo studio, pubblicato su 'Nature Medicine', si stima che raddoppieranno entro il 2060. Secondo la previsione degli autori, infatti, il rischio di sviluppare una forma di demenza dopo i 55 anni tra gli americani è ora del 42%, più del doppio del rischio calcolato da studi precedenti. Questo dato, chiariscono gli autori, si traduce in una stima di mezzo milione di casi quest'anno, che salirà a 1 milione di nuovi casi l'anno entro il 2060. Lo scenario tracciato nel nuovo lavoro - frutto di una collaborazione finanziata dai National Institutes of Health (Nih) con la NYU Langone Health, che include anche autori della Johns Hopkins University e di altre istituzioni statunitensi - deve far riflettere, dicono gli esperti.

La demenza - spiegano - comporta un declino progressivo della memoria, della concentrazione e del giudizio. Il numero crescente di casi è direttamente legato all'invecchiamento della popolazione statunitense. Oltre al fattore età, un alto rischio di demenza è legato a fattori genetici, così come a tassi elevati di ipertensione e diabete, obesità, diete non sane, mancanza di esercizio fisico e cattiva salute mentale. Il nuovo studio si basa sulle informazioni raccolte dall'attuale studio Atherosclerosis Risk in Communities Neurocognitive Study, che dal 1987 ha monitorato da vicino la salute vascolare e la funzione cognitiva di circa 16mila partecipanti man mano che invecchiano. Risultato: dal 1987 al 2020, 3.252 partecipanti allo studio sono stati documentati come affetti da demenza. Gli autori hanno utilizzato i dati dello studio e hanno modellato le loro proiezioni del rischio nel corso della vita utilizzando le informazioni dell'US Census Bureau.

I numeri analizzati si traducono in un rischio complessivo nel corso della vita tra gli americani di mezza età del 42% (cioè una media tra il 35% calcolato negli uomini e il 48% nelle donne). Il rischio in eccesso nelle donne è dovuto in gran parte ai loro tassi di mortalità più bassi. I risultati dell'analisi hanno anche mostrato un rischio più elevato tra gli adulti neri e nei portatori di una variante del gene APOE4 (tra il 45% e il 60%). "I risultati del nostro studio prevedono un aumento drammatico del peso della demenza negli Stati Uniti nei prossimi decenni", evidenzia il ricercatore senior dello studio, l'epidemiologo Josef Coresh, direttore fondatore dell'Optimal Aging Institute alla NYU Langone. Fra i dati che fanno capire l'impatto potenziale, gli autori segnalano che già adesso circa 58 milioni di americani hanno ormai più di 65 anni. E tra le scoperte chiave dello studio c'è anche il fatto che il rischio di demenza nel corso della vita risulta aumentare a oltre il 50% tra coloro che raggiungono i 75 anni.

Come si può intervenire? Gli autori fanno notare che, come dimostrato anche da lavori precedenti, le misure volte a prevenire le malattie cardiache, come il controllo della pressione sanguigna e la prevenzione del diabete, dovrebbero riuscire a rallentare anche il declino cognitivo e prevenire la demenza. "L'imminente boom demografico nei casi di demenza pone sfide significative in particolare per i responsabili delle politiche sanitarie, che devono riconcentrare i propri sforzi su strategie per ridurre al minimo la gravità dei casi di demenza, nonché piani per fornire più servizi sanitari per le persone colpite", conclude Coresh.

Fra i fattori collegati a un rischio aumentato di demenza c'è per esempio anche la perdita dell'udito tra gli anziani, ma solo un terzo degli americani con questo problema usa apparecchi acustici. Coresh raccomanda di incrementare monitoraggio e test, e possibilmente anche programmi per rendere gli apparecchi acustici più ampiamente accessibili. Per l'esperto sono inoltre necessarie più risorse per affrontare le disuguaglianze nell'assistenza sanitaria, osservando che si prevede che i numeri di demenza tra i bianchi raddoppieranno nei prossimi 4 decenni, ma tra i neri triplicheranno. Le politiche sanitarie dovrebbero intensificare dunque gli sforzi per migliorare istruzione e alimentazione infantile in queste comunità più a rischio, fattori che hanno dimostrato essere utili per scongiurare il declino cognitivo in età avanzata.

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