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Alessia Pifferi, la difesa chiede assoluzione: “Evidente che non voleva uccidere la figlia”

Circa due ore e mezza di camera di consiglio. Il pm aveva insistito sulla richiesta del massimo della pena. La difesa annuncia ricorso: "Non c'è stato un clima sereno"

Alessia Pifferi in aula (Fotogramma)

I giudici della sezione della corte d’Assise di Milano hanno condannato all’ergastolo Alessia Pifferi per l’omicidio aggravato della figlia Diana, di soli 18 mesi, lasciata morire di stenti nella sua culletta. Un abbandono, dal 14 al 20 luglio del 2022, per il quale le erano contestate le aggravanti della premeditazione, dei motivi futili e il legame parentale per la figlia. La sentenza della corte presieduta da Ilio Mannucci Pacini ha accolto, pur non riconoscendo l’aggravante della premeditazione, la richiesta del pm Francesco De Tommasi che aveva chiesto l’ergastolo.

“E’ un dolore atroce, si è dimenticata di essere una mamma. Deve pagare per quello che ha fatto. Se si fosse pentita e mi avesse chiesto scusa… ma non l’ha fatto. Ora non riuscirei a dirle nulla”. Sono le prime parole con cui Maria, mamma di Alessia Pifferi, ha commentato la sentenza all’ergastolo della figlia.

Viviana Pifferi, sorella dell'imputata, ha dichiarato: "Non so dirvi cosa provo, spero che Diana possa volare via in pace. I giudici hanno fatto quello che è giusto perché mia sorella non ha attenuanti".

La camera di consiglio è durata circa due ore e mezza. La corte ha stabilito una provvisionale di 50mila euro per la madre dell'imputata e 20mila per la sorella, entrambe parte civile nel processo. Le motivazioni della sentenza saranno rese note tra 90 giorni. Alla lettura del dispositivo l'imputata, in prima fila, è rimasta immobile mentre il pm De Tommasi non ha nascosto la soddisfazione per una "sentenza giusta che riporta al centro del processo la vittima".

La difesa: "Faremo ricorso"

"Farò ricorso in appello, chiederò la riapertura dell'istruttoria e una nuova perizia collegiale perché penso non ci sia stato un clima sereno. Se non ci fosse stata l'inchiesta parallela (che riguarda le psicologhe del carcere, ndr) forse la perizia avrebbe dato un esito diverso. Vedremo". Lo annuncia Alessia Pontenani, difensore di Alessia Pifferi dopo la condanna all'ergastolo.

"Si aspettava una sentenza così dura, ma era molto dispiaciuta per l'atteggiamento della sorella e della mamma. Quando il presidente ha pronunciato la parola ergastolo si è capito che dietro stavano festeggiando e qui c’è ben poco da festeggiare", aggiunge. "Oggi Alessia Pifferi ha pianto, si è lasciata andare, sta continuando a piangere. Era molto preoccupata all'idea di tornare in carcere per quello che può accadere adesso all’interno di San Vittore. Sicuramente gli insulti adesso ripartiranno, come ripartono regolarmente dopo ogni udienza".

A chi le chiede come la sua assistita vive la morte di Diana e se è consapevole di aver ucciso la sua bambina, l'avvocata replica: "Lei il dolore lo ha da sempre, da quando è successa questa cosa. Non so quanto si renda conto di essere stata responsabile della morte della figlia".

La requisitoria del pm

Nella sua lunga requisitoria il pubblico ministero aveva ripercorso la "tragica morte della piccola Diana", abbandonata per sei giorni in casa, "senza nessuno, senza nessun tipo di assistenza e cura, senza un’alimentazione adeguata, senza cibo, acqua o latte che possa assicurarle la sopravvivenza". Un'"eternità" per una bimba di un anno e mezzo che ha "patito sofferenze atroci, terribili, che si è spenta lentamente". Diana era sola in casa "perché la madre invece di adempiere ai propri dovere, stare accanto alla figlia, l’ha lasciata sola ed è corsa dal suo compagno" in provincia di Bergamo. Mente a tutti "per soddisfare i suoi bisogni", la espone "a una serie di rischi, di cui solo uno si è concretizzato: Diana è morta di stenti" eppure "avrebbe avuto mille modi per salvare la vita della figlia. L'unico desiderio dell'imputata era alimentare la sua relazione amorosa, oggi il suo unico scopo è eludere le conseguenze delle sue azioni di cui è assolutamente consapevole" la tesi dell'accusa.

Nel suo intervento in aula il pm aveva evidenziato come la madre "non ha mai mostrato segni di pentimenti, non si è mai assunta la sua responsabilità per quello che ha fatto, ha assunto un atteggiamento finalizzato esclusivamente a scrollarsi di dosso la sua responsabilità".

La difesa di Pifferi

Conclusioni a cui, nella requisitoria di oggi, la difesa di Alessia Pifferi rappresentata dall'avvocata Alessia Pontenani ha cercato di ribattere chiedendo l'assoluzione perché l'imputata "non voleva uccidere la figlia. Le lascia da mangiare e da bere, la lascia nel suo lettino senza lenzuola, lascia le finestre aperte; poi non sappiamo cosa sia successo, se i piani di questa ragazza madre sono andati in frantumi".

Un genitore la cui "incuria" e "incapacità di accudire" viene più volte ricordata: "Quel corpicino aveva bisogno di amore e protezione che lei non è riuscita a darle". Ma quando ritorna, dopo una settimana, "non inscena la sparizione della bambina o il rapimento. Avrebbe potuto metterla in un sacchetto della spesa e farla sparire e non se ne sarebbe accorto nessuno perché questa bambina era un fantasma" che nessuno ha mai sentito piangere. Ad Alessia Pifferi vanno concesse le attenuanti generiche "perché non ha mai preso in giro nessuno", lei "non ha mai pensato alle conseguenze delle sue azioni tanto che ha dato l’allarme. Avesse premeditato questo delitto orribile non saremmo qui, ma a cercare una bambina scomparsa. Esiste un reato nel nostro codice che è l’abbandono di minore: è il nostro caso, è il caso di Diana", ha detto la difesa.

Legale parte civile

Per Emanuele De Mitri, avvocato di parte civile, invece "ci troviamo di fronte a una condotta di natura volontaria, a un caso agghiacciante in cui la responsabilità è chiara a seguito di granitiche prove, mai scalfite dagli esiti dell’istruttoria. In questo processo c’è solo una verità: Alessia Pifferi è colpevole dell’omicidio della piccola Diana, sapeva benissimo che abbandonando la figlia in quel modo ne avrebbe provocato la morte".

"Alessia Pifferi decide autonomamente di lasciare la figlia in casa, mente al compagno e ai familiari su dove è la bambina. Il dubbio sull'imputabilità è stato smantellato dalla perizia che sostiene che era capace di intendere e volere al momento del fatto e questo dato non è superabile da nessun problema cognitivo dell'infanzia o dalla sua poca volontà di studiare da bambina. Non ci sono anomalie comportamentali, non ci sono anomalie che possono inficiare l’istinto materno, non c’è nessun essere che non accudisce i propri bambini", ha aggiunto il legale che tutela gli interessi di Maria e Viviana, rispettivamente madre e sorella dell'imputata. "In quest'aula non c’è stato un solo elemento a suo favore. Abbiamo assistito a tentativi di giustificare una condotta omicidiaria, tentativi da commedia dell’arte meschini e gravi tentativi di denigrare la famiglia d’origine: è falso che la madre e la sorella l'hanno abbandonata. Ha tradito la piccola Diana, ha tradito il suo corpo nonostante ci dica che vive per lei. Alessia Pifferi ha accettato il solo esito possibile: la morte", ha detto l'avvocato.

"E' stata una donna presuntuosa, è stata una donna lussuriosa che ha seguito l'appetito del corpo. Non c’è nessuna responsabilità dei familiari, Maria e Viviana mai avrebbero potuto pensare che Alessia Pifferi abbandonasse la figlia" e per questo l'omicidio "ha un solo responsabile, un solo nome", ha concluso l'avvocato chiedendo di non concedere le attenuanti generiche e di liquidare 200mila euro per la madre dell'imputata e 150mila euro per la sorella come danno d'immagine (o 100mila euro ciascuna come provvisionale) per una famiglia che è "già attinta dall'ergastolo del dolore".

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Cronaca

Animali: indagine, 59% italiani vuole telecamera smart per...

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Per il 92%, cani e gatti sono membri della famiglia, il 70% prevede di fare loro un regalo a Natale

Animali: indagine, 59% italiani vuole telecamera smart per rimanere connesso con loro

Gli animali domestici non sono solo compagni di vita, ma veri e propri membri della famiglia per la maggior parte degli italiani. Secondo una nuova ricerca condotta da AstraRicerche per Ring - azienda Amazon che si occupa di sistemi di sicurezza domestica intelligente, tra cui videocitofoni, videocamere, allarmi e accessori - il 92% dei proprietari considera i propri cani e gatti come parte integrante del nucleo familiare, e ben il 70% prevede di fare loro un regalo a Natale. Tuttavia, lasciare il proprio animale solo in casa rimane una sfida emotiva: oltre il 90% dei proprietari si trova regolarmente in questa situazione e il 78% vive l’uscita con preoccupazione o senso di colpa, temendo che i propri amici a quattro zampe possano sentirsi tristi, agitarsi o addirittura "vendicarsi" al loro rientro. (VIDEO)

La ricerca evidenzia come la tecnologia stia diventando un supporto indispensabile per la cura e il monitoraggio degli animali domestici. Attualmente, il 30% delle abitazioni con pet è dotato di videocamere smart, e oltre la metà dei proprietari (59%) desidera acquistarne una. Le funzionalità più richieste? Il 43% punta a dispositivi per monitorare le attività degli animali, mentre il 34% apprezza la possibilità di comunicare con loro tramite audio bidirezionale. Questi strumenti offrono un senso di tranquillità: il 64,5% dei proprietari dichiara di sentirsi più sereno e il 40% apprezza di poter mantenere un contatto costante anche a distanza.

"In un mondo dove il legame emotivo con i nostri animali è così forte, la possibilità di restare connessi con loro anche quando siamo fuori casa diventa ancora più importante - commenta Dave Ward, Managing Director EU & International di Ring - I nostri dispositivi sono stati progettati per offrire ai clienti la massima tranquillità, garantire loro una soluzione per controllare cosa succede a casa e tenere d'occhio i propri amici pelosi ovunque si trovino”.

È bello sapere che a casa gli animali stanno bene… anche se combinano guai! Quando costretti a lasciare soli a casa i propri animali domestici per un breve periodo di tempo, i proprietari si impegnano a rendere l’ambiente il più accogliente e rassicurante possibile. Il 31% lascia accese le luci nelle loro stanze preferite, il 16% sceglie di accendere TV o radio per creare un sottofondo sonoro familiare e il 46% si dedica a preparare giochi che li tengano occupati e stimolati. Nonostante tutte queste premure, i piccoli disastri non mancano mai. Infatti, il 22% degli italiani ha ammesso di spendere fino a 240 euro per sostituire gli oggetti che i propri animali domestici hanno rotto. I gatti graffiano mobili e divani (56%), mentre i cani spesso nascondono indumenti (43%) o si appropriano di cibo lasciato incustodito (19%). Non sorprende che il 59% dei proprietari desideri una tecnologia per richiamare la loro attenzione anche a distanza, sia per sorprenderli sul fatto, sia per rassicurarli e restare in contatto anche da lontano.

Con oltre la metà degli italiani (65%) che dichiara di aver condiviso foto e video dei propri animali domestici in situazioni divertenti, Ring invita tutti i clienti a mostrare i momenti più esilaranti catturati con le loro videocamere Ring. È possibile condividere i contenuti tramite la funzionalità di condivisione dell'app Ring o inviandoli all'indirizzo itstories@ring.com.

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Cronaca

Turetta, Elena Cecchettin contro la sentenza:...

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La sorella di Giulia dopo la condanna all'ergastolo senza le aggravanti dello stalking e della crudeltà

Elena Cecchettin - Fotogramma

Elena Cecchettin, sorella di Giulia, critica aspramente la sentenza con cui Filippo Turetta è stato condannato all'ergastolo. "Il non riconoscimento dello stalking (non parlo nemmeno dell'altra aggravante, la crudeltà, perché si commenta da sola la situazione) è un'ennesima conferma che alle istituzioni non importa nulla delle donne. Sei vittima solo se sei morta", dice Elena Cecchettin all'indomani della sentenza con cui la corte d'Assise di Venezia ha condannato Turetta all'ergastolo per l'omicidio delle sorella Giulia escludendo le aggravanti della crudeltà e dello stalking.

"Quello che subisci in vita te lo gestisci da sola. Quante donne non potranno mettersi in salvo dal loro aguzzino se nemmeno nei casi più palesi non viene riconosciuta una colpa. Però va bene con le frasi melense il 25 novembre e i depliant di spiegazione", aggiunge. "Una sentenza giudiziaria non corrisponde sempre alla realtà dei fatti. Si chiama verità giudiziaria, ed è quello che viene riportato dal verdetto. E basta. Non toglie il dolore, la violenza fisica e psicologica che la vittima ha subito" scrive.

"Ciò che è successo non sparisce solo perché un'aggravante non viene contestata, o più di una. E non toglie nemmeno il dolore e l'ansia che ho dovuto subire io personalmente in quanto persona vicina a Giulia. Inevitabilmente le persone intime alla vittima vengono trascinate negli stati di ansia e turbamento. Chiaramente non sto insinuando che il dolore che abbia provato Giulia sia paragonabile, tuttavia è giusto ricordare che il non riconoscimento dello stalking è una mancanza di rispetto anche alla famiglia della vittima", afferma Elena Cecchettin.

"Giulia uccisa anche da chi giustifica uomini"

"Chi sostiene che tanto la condanna sarebbe stata la stessa anche con le altre due aggravanti non ha capito nulla. Se nulla può portarci indietro Giulia quanto meno può fare la differenza per altre donne nel futuro. È facile rinchiudere in cella per sempre una persona lavandosene le mani poi e dicendo di aver fatto giustizia. Ma è questa la vera giustizia?", si domanda Elena Cecchettin.

"Se non iniziamo a prendere sul serio la questione tutto ciò che è stato detto su Giulia che doveva essere l'ultima sono solo prole al vento. Sì, fa la differenza riconoscere le aggravanti, perché vuol dire che la violenza di genere non è presente solo dove è presente il coltello o il pugno. Ma molto prima. E significa che abbiamo tempo per prevenire gli esiti peggiori. Sapete cosa ha ucciso mia sorella? Non solo una mano violenta, ma la giustificazione e menefreghismo per gli stadi di violenza che anticipano il femminicidio" aggiunge.

E la giovane non risparmia neppure la difesa dell'imputato. "Sostenere che i comportamenti dell'imputato siano 'ossessivi, quasi da spettro autistico' e giustificare con questa affermazione tutto quello che è successo è vergognoso. Stiamo parlando di comportamenti che ledono alla libertà e alla vita di una persona, e associarle con così tanta leggerenza ad una neurodivergenza oltre che a banalizzare e sminuire queste azioni va anche a peggiorare i pregiudizi che nella nostra società già ci sono per le persone neurodivergenti e sullo spettro dell'autismo", conclude.

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Cronaca

Terrorismo, il folle progetto neonazista: “Uccidere...

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Da quanto emerge dall'inchiesta, coordinata dalla Procura di Bologna, nel mirino era finita la presidente del Consiglio. Il gruppo voleva arrivare a provocare una "guerra civile"

Giorgia Meloni (Fotogramma/Ipa)

"Trovami un cecchino e attueremo il tuo piano" che sarebbe stato quello di uccidere la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. L'intercettazione riporta quanto si sono detti due indagati di un gruppo neonazista, smantellato questa mattina nel corso di un'operazione coordinata dalla Procura di Bologna che ha portato all'arresto di 12 persone. La premier, si legge nell'ordinanza, era ritenuta "asservita al potere ebraico" e contro di lei era in corso "una vera e propria attività di dossieraggio" da parte dei capi dell'organizzazione. Un modo, questo, per condividere "strenuamente il progetto di uccidere la Presidente del Consiglio", progetto condiviso con gli altri membri della Werwolf Division, e paventato anche "in modalità autonoma" con il fenomeno dei cosiddetti "lupi solitari". Nel corso delle indagini sono emersi riferimenti all'acquisto di armi e all'utilizzo di poligoni di tiro abusivi per testare pistole.

I componenti della Werwolf Division stavano proseguendo nel "progetto di uccidere Meloni" con l'obiettivo dichiarato di "sovvertire l'ordine democratico" e arrivare alla "guerra civile". E' loro convinzione - si evince dall'ordinanza - che la premier sia "traditrice", in quanto "amica di Sion" e quindi "una schifosa".

La formazione neonazista - secondo l'accusa - era impegnata nella formazione di guerriglieri, istigati a cercare e acquistare armi tramite canali telematici. In una intercettazione, uno dei "guerriglieri" dice chiaramente che "allenavo cinque persone potenzialmente guerriglieri da dargli un'arma in mano, andare davanti alla Meloni e sparargli in testa".

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