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A Milano il profilattico non va più di moda, interviene il Comune con il progetto “A Luci Accese”

È allarme profilattici a Milano: meno di un giovane su due li utilizza abitualmente, con una percentuale del 43%, in drastico calo rispetto al 57% del 2019.

I dati emergono dall’Osservatorio Giovani e sessualità 2023 realizzato da Durex in collaborazione con Skuola.net e sono arrivati fino a Palazzo Marino. Le cause dello scarso utilizzo del profilattico a Milano sono diverse, anche se, come ricordano gli autori dello studio, “non esistono scuse per non utilizzarlo abitualmente, ma solo innumerevoli rischi”:

scarsa educazione sessuale: l’educazione sessuale nelle scuole non è ancora obbligatoria in Italia, e questo può influenzare negativamente la consapevolezza dei giovani riguardo all’importanza del profilattico;
tabù e imbarazzo: molti giovani si sentono imbarazzati o non a proprio agio nel parlare di sesso e contraccezione con adulti o coetanei;
disponibilità e accessibilità: non sempre i profilattici sono facilmente reperibili o gratuiti per i giovani (non a caso il Canada li ha resi gratuiti per nove milioni di donne)

L’educazione sessuale a scuola

La scarsa educazione sessuale ha una serie di effetti corollari pericolosi.
Innanzitutto, il 39% dei ragazzi intervistati crede che il coito interrotto sia una pratica efficace per evitare gravidanze indesiderate e persino infezioni sessualmente trasmissibili. Non sorprende, quindi, che oltre un ragazzo su due (53%) non sappia riconoscere le infezioni sessualmente trasmissibili (Ist).

L’ignoranza tocca anche i risvolti pratici della faccenda, come dimostra il fatto che il 41% dei ragazzi non sa come si indossa un preservativo.

Chi lo sa fare, lo ha imparato “sul campo”, non certo a scuola o in corsi ad hoc, con l’evidente rischio di indossarlo senza seguire tutte le accortezze del caso (si pensi ad esempio alla necessità di tenere “tirata” la punta del profilattico mentre lo si indossa, dettaglio trascurato da molti giovani).

L’Osservatorio dimostra che proprio durante la fase centrale della formazione, i giovani hanno la loro prima esperienza sessuale. Per l’81% degli intervistati la prima volta arriva un po’ prima dei 19 anni, con una frequenza concentrata tra i 17 e i 18 anni. Non è trascurabile il fatto che un ragazzo su dieci (11%) abbia avuto la sua prima esperienza sessuale prima di compiere 13 anni.

Il tutto mentre la scuola tratta ancora l’argomento come un tabù, lasciando che i rischi si moltiplichino. Eppure, se fosse per i giovani la situazione sarebbe ben diversa: il 94% degli intervistati ha dichiarato che vorrebbe l’educazione sessuale a scuola, obbligatoria o facoltativa, come già avviene in altri Paesi europei. Secondo quanto riportato dal Report-GEM dell’Unesco 2023, solo 6 Paesi europei non hanno ancora disposto programmi formali e obbligatori di educazione affettiva e sessuale nelle scuole. E tra questi c’è l’Italia.

Se non è il banco, è lo schermo

“Vietato giocare a palla”, sanciva perentoriamente un cartello affisso su un muro a Milano. “E allora noi ci droghiamo”, scrisse qualcuno più sotto con un pennarello. Morale: i divieti possono fare molto male, soprattutto quando vengono imposti e non condivisi. Figurarsi poi quale possa essere sui giovani l’effetto della mancata educazione sessuale tra i banchi di scuola.

Nel frattempo, Papa Francesco paragona i profilattici alle armi: “Danno reddito, come le fabbriche delle armi sono investimenti redditizi, ma impediscono la vita”, ha detto il Pontefice, ospite degli Stati Generali della Natalità. Bergoglio ha quindi aggiunto “C’e un dato che mi ha detto uno studioso della demografia: in questo momento gli investimenti che danno più reddito sono la fabbrica di armi e i contraccettivi: uno distrugge la vita, l’altro impedisce la vita”.

Le conseguenze della mancata educazione sessuale sono già scritte, l’Osservatorio Durex-Skuola.net le fissa con i numeri:

internet è la fonte più utilizzata dai giovani per informarsi sulla materia sessuale (45% degli intervistati);
un giovane su due (51%) ha avuto esperienze di sexting: l’invio di testi ma soprattutto foto o video sessualmente esplicite tramite internet, quasi sempre sullo smartphone.

Su quest’ultimo punto giova sottolineare che per molti il consenso di entrambe le parti è condizione necessaria e sufficiente ad evitare problemi, ma in realtà non è proprio così. “Come quelle in carne ed ossa – scrivono gli autori del rapporto – anche il sesso digitale può presentare dei rischi: contenuti inizialmente privati possono diventare pubblici”.
Al termine del rapporto sentimentale, il sexting può facilmente e crudelmente trasformarsi in revenge porn, fenomeno che in alcuni casi ha portato al suicidio della vittima.

Perché si preferisce internet

Il tabù che serpeggia nella istruzione è lo stesso che si alimenta nella società, nelle famiglie, arrivando nelle teste di milioni di ragazze e ragazzi. Infatti, alla domanda “Perché preferisci usare Internet per informarti sulla materia?”

Uno su tre (32%) spiega di cercare risposte sul web perché così evita l’imbarazzo;
Il 29% lo preferisce perché è semplicemente più veloce;
il 26% perché è abituato a trovare online tutte le risposte.

Il quadro diventa negativo soprattutto perché in Italia c’è poco formazione non solo sessuale ma anche digitale: spesso i giovani non considerano la fonte, ma solo la informazione. Mai come in questi casi, saper scegliere le fonti giuste può rivelarsi fondamentale. Le fonti migliori sono nel mondo offline e si chiamano medici, urologi e ginecologi.

Le malattie sessualmente trasmissibili

Secondo un report pubblicato a luglio 2023 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, 1 milione di persone al mondo ogni giorno contrae una infezione sessualmente trasmissibile (Ist), la maggior parte delle quali è asintomatica.

Nonostante il 76% dei giovani intervistati dall’Osservatorio siano consapevoli che alcune Ist possono essere asintomatiche, il 72% di chi ha avuto rapporti sessuali completi non ha mai fatto uno screening, che rappresenta l’unica via per sapere se abbia contratto un’infezione. Ogni anno oltre 300.000 donne perdono la vita a causa del cancro alla cervice associato a infezioni da Papilloma Virus (Hpv).

I dati dell’Istituto superiore di sanità dimostrano che negli ultimi anni sono aumentati i casi di Ist in Italia. Dopo un trend costantemente in aumento dal 2004 al 2016 (+72%), dal 2017 si è rilevata una diminuzione del numero delle persone con una Ist confermata, molto evidente – tra il 2018 e il 2020 – tra gli uomini eterosessuali.
Tuttavia, tra il 2021 e il 2020 i casi segnalati sono aumentati di quasi il 18%, soprattutto per quanto riguarda clamidia, gonorrea e sifilide primaria e secondaria, e in particolare nei rapporti omosessuali tra uomini (MSM, +23,2%). Chiaramente, il 2020 è stato un anno statisticamente particolare per le restrizioni anti-Covid.

Per quanto riguarda l’Hiv, nel 2021 si è attestata tra i giovani con una Ist del 14,7%, circa settanta volte più alta di quella stimata nella popolazione adulta italiana. Insistere sull’uso del profilattico diventa quindi determinante.

Milano con Durex: ecco il progetto “A Luci Accese”

Mosso da questa convinzione, il Comune di Milano ha iniziato a collaborare con la casa farmaceutica multinazionale Reckitt Benckiser Healthcare Italia e con Durex per promuovere il progetto “A Luci Accese” per l’anno scolastico 2024-2025, annunciato il 7 maggio scorso.

Il progetto consisterà in un corso di educazione sessuale e affettiva nelle scuole superiori della città e nella realizzazione della nuova edizione dell’Osservatorio “Giovani e Sessualità” sul territorio di Milano.

Martina Riva, assessore a sport, turismo e politiche giovanili, ha ringraziato le aziende partner per aver “voluto mettere a disposizione della città e della comunità di Milano la loro esperienza e la loro conoscenza”.

Una sinergia pubblico-privato per costruire una società migliore e diffondere il sesso sicuro: “La partnership con il Comune di Milano è un passo avanti cruciale e significativo nella missione di Durex di promuovere una sessualità libera, protetta e consapevole e nel diffondere l’importanza dell’educazione affettiva e sessuale tra i giovani”, ha spiegato Paolo Zotti, Amministratore Delegato della Reckitt Italia.

Come visto, il Belpaese è in netto ritardo sul tema dell’educazione sessuale nonostante le Ist siano in aumento e anche i giovani chiedano di introdurre questi corsi a scuola. Laura Savarese, Direttrice Affari Regolatori e Relazioni Esterne della stessa multinazionale, si auspica che “A Luci Accese” sia da esempio per il prossimo futuro: “Ci auguriamo che questo possa essere solamente un primo passo d’ispirazione per altre realtà, locali e nazionali, a intraprendere un percorso di educazione alla sessualità e all’affettività rivolto ai più giovani”.

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Vincent Cassel papà per la quarta volta: ma quali sono i...

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Vincent Cassel, 57 anni, diventa papà per la quarta volta. A dare il dolce annuncio è la fidanzata Narah Baptista, 27 anni, che con una foto sui social ha fatto sapere della gravidanza.

La modella brasiliana ha condiviso su Instagram le prime foto col pancione scrivendo: “Mamma ti aspetta. Fotografie scattate dalla nonna”. L’attore ha risposto con un dolce “Sono fortunato ad averti nella mia vita”. I due sono legati da poco più di un anno. E se per la modella è la prima gravidanza, per Cassel è la quarta volta.

L’attore è già padre di tre figlie, Deva e Leonie, rispettivamente 20 e 14 anni, nate dal matrimonio con Monica Bellucci. Poi cinque anni fa, con la seconda moglie Tina Kunakey, altrettanto 27enne, è venuta al mondo Amazonie.

E mentre l’attore diventerà papà per la quarta volta, c’è qualche collega che ha ampiamente superato questo record. Scopriamo alcuni dei papà vip “più proliferi”.

I papà vip più proliferi: ieri e oggi

Se prendessimo esempio da questi papà famosi, il problema della denatalità sarebbe estinto. Quantomeno non si può dire che non abbiano contribuito alla messa al mondo di un numero di figli tale sufficiente a mantenere alto il ricambio generazionale (almeno quello delle proprie famiglie). Perché mentre il tasso di natalità crolla a picco, alcune personalità dello showbiz hanno fatto la differenza e sono passate alla storia per essere dei papà proliferi, maternità surrogate incluse.

Di un’altra epoca, ma un evergreen della genitorialità rinomata per la quantità, c’è Marlon Brando. L’attore, noto per la sua tumultuosa vita privata, sia con partner maschili che con quelli femminili, ha messo al mondo e riconosciuto 12 figli, avuti da tre mogli diverse e donne sconosciute al grande pubblico e ne ha adottati altri tre, per un totale di 15.

Elon Musk, il miliardario fondatore di Tesla e SpaceX, ha 12 figli da diverse relazioni. L’imprenditore, di quasi 53 anni, ha accolto il terzo figlio con la compagna attuale Shivon Zilis, di 38 anni, lo scorso giugno.

A seguire, Eddie Murphy, con i suoi dieci figli: i primi due, li avuti da due donne diverse, sono nati prima di sposare la modella Nicole Mitchell, dalla quale ne ha poi avuto altri cinque. Dopo il divorzio nasce Angel Iris, riconosciuta grazie al test del Dna, dalla relazione con la Spice Girl Mel B. Infine, ha avuto gli ultimi due figli dalla modella Paige Butcher.

Ma c’è anche, Mel Gibson con i sette figli, tutti nati dalla stessa madre, l’infermiera Robyn Moore, con cui il matrimonio è durato ben 26 anni e poi altri due figli, una avuta dalla musicista russa Oksana Grigorieva, e l’ultimo con la sceneggiatrice televisiva Rosalind Ros.

Rimanendo in tema non si possono non considerare altrettanto “proliferi” anche gli attori Robert De Niro, Brad Pitt e Jude Law. Tutti e tre hanno in comune le carriere costellate di successi e sei figli, nel caso di Pitt, tre adottati insieme alla moglie e collega Angelina Jolie.

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Papà-vip italiani

Spostandoci in Italia, invece, celebri sono diventate le parole dell’attore Christian De Sica che sul padre Vittorio ha dichiarato: “Mio padre ci ha lasciato in eredità anche la scoperta di numerosi fratelli e sorelle nascoste. La mia non era una famiglia, ma una cooperativa. Gli uomini erano maschilisti e lui era innamorato di tutte quelle donne”. Dalla stessa mamma è nato il fratello Manuel De Sica, mentre da altre donne, Vittorio De Sica ha avuto Emiliana De Sica e Vicky Lagos. Gli altri figli ai quali ha alluso Christian non sono noti al grande pubblico.

Non è un attore, ma è famoso in tutta Italia per la sua musica: Gigi D’Alessio, negli scorsi giorni sul palco dell’Arena di Verona, al Tim Music Awards, ha risposto in modo ironico al conduttore Carlo Conti sul numero di figli messi al mondo fino ad oggi. Napoletano, 57 anni, il cantante ha in totale sei: ha avuto Claudio, Ilaria e Luca dal matrimonio con Carmela Barbato, poi Andrea dalla relazione con Anna Tatangelo e Francesco e Ginevra, nati dall’amore con la fidanzata Denise Esposito.

E sempre in tema musica, c’è Roby Facchinetti dei Pooh con i suoi cinque figli e Al Bano Carrisi con i suoi sei figli. Mentre, nel mondo dello sport c’è Antonio Cassano che ne ha avuti cinque.

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Valditara: “Smartphone armi di distruzione di massa”, sono...

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Gli smartphone sono “un’arma di distruzione di massa”. Non ha dubbi il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, che ha lanciato l’allarme a ‘Porta a Porta’, su Rai 1.
“Circa 50mila ragazzi hanno abbandonato la scuola per rifugiarsi in un mondo virtuale fatto di cellulari e social media, isolandosi per mesi nelle proprie stanze”, ha detto il ministro collegando l’uso degli smartphone al fenomeno degli hikikomori.

Questi sono i primi giorni di scuola senza cellulare in classe per bambini e ragazzi fino ai 14 anni “anche per l’uso didattico”, come stabilito dal dicastero in estate. Molti genitori hanno apprezzato l’iniziativa di Valditara, soddisfatto della risposta ottenuta: “La reazione del mondo della scuola è stata molto positiva. I ragazzi, con grande senso di responsabilità, e i genitori, entusiasti e al 90% favorevoli, hanno capito che ci stiamo prendendo cura di loro e che abbiamo a cuore la loro salute”, ha detto il ministro, convinto che la scuola debba “insegnare a guardarsi negli occhi”.

Il contatto umano è proprio quello che preoccupa Valditara, che promuove una grande campagna di sensibilizzazione contro l’abuso di smartphone e social network: “Dare un cellulare in mano a un bambino di 7-8 anni può avere effetti devastanti”, denuncia il ministro per cui l’educazione digitale deve partire dalle case e dalle scuole italiane.

Il ministro Valditara vuole portare la crociata anti-smartphone fuori dai confini nazionali: “Ho incontrato la ministra dell’istruzione di Cipro che ha molto apprezzato la decisione di vietare il cellulare a scuola. Abbiamo pensato di preparare un documento da sottoporre a Bruxelles a tutti i ministri dell’Istruzione sul tema, anche perché alcuni Stati come la Francia, l’Olanda, la Svezia, già si sono avviati in questa direzione e credo che raggiungeremo facilmente, credo, un forte consenso”, ha aggiunto.

Smartphone e hikikomori, che relazione c’è?

Se ne sta parlando solo negli ultimi anni, ma il termine ’hikikomori’ è stato coniato dallo psichiatra giapponese Saito Tamaki già negli anni ‘80.
Forma italiana del nipponico 引き籠もり o 引きこも, deriva dalla fusione delle parole “hiku”, “tirare”, e “komoru”, “ritirarsi” o “chiudersi”. Quindi, un hikikomori è una persona che ha scelto di limitare fortemente o eliminare del tutto la propria vita sociale, preferendo tattiche di ‘autoreclusione’. Un hikikomori rifiuta il contatto con le persone dentro e fuori casa; quando vuole comunicare lo fa indirettamente, usando gli smartphone o il pc.

Negli ultimi anni, il fenomeno si sta espandendo anche in Occidente, dove sempre più adolescenti e giovani adulti scelgono di ritirarsi dalla vita sociale, scolastica o lavorativa per periodi prolungati, generalmente superiori a sei mesi.

Gli hikikomori in Italia

Negli ultimi anni, il fenomeno hikikomori ha mostrato un incremento preoccupante accelerato dal lockdown. In Italia, recenti studi hanno identificato circa 66.000 casi tra gli studenti, con una prevalenza nella fascia di età 11-13 anni. Se consideriamo anche le fasce di età più alte, le stime suggeriscono che in Italia potrebbero esserci tra i 100.000 e i 200.000 hikikomori.

Il Ministro Valditara ha espressamente collegato l’uso degli smartphone a questo fenomeno di autoesclusione sociale. È indubbia la relazione tra le due situazioni, meno chiara è la direzione: gli smartphone sono una causa del fenomeno o un mezzo di comunicazione utilizzato dopo la scelta di recludersi?

Molti di loro utilizzano il web come unica forma di comunicazione con il mondo esterno, preferendo le interazioni virtuali al contatto diretto. Tuttavia, è importante notare che l’abuso delle tecnologie non è la causa principale di questa condizione; piuttosto, può essere visto come una conseguenza del ritiro sociale e un facilitatore del fenomeno. Gli hikikomori spesso sviluppano una dipendenza da Internet e dai videogiochi come modo per affrontare l’isolamento, ma ciò non significa che la tecnologia sia la causa scatenante del loro disagio.

Hikikomori: è una malattia?

Il fenomeno degli hikikomori è un argomento di crescente interesse nella comunità scientifica, che sta cercando di inquadrarlo all’interno delle patologie psichiatriche. Sebbene non sia ufficialmente riconosciuto come una diagnosi nel DSM-5, (che classifica i disturbi mentali in diverse categorie) molti esperti lo considerano un disturbo a sé stante, caratterizzato da un isolamento sociale prolungato e volontario.

La scienza ha iniziato a sviluppare criteri diagnostici per l’hikikomori. Secondo una revisione recente, i criteri includono un ritiro dalla vita sociale per almeno sei mesi, il rifiuto di attività scolastiche o lavorative, e l’assenza di altre patologie psichiatriche che possano spiegare il comportamento. Questo approccio è stato proposto anche dal governo giapponese, che ha riconosciuto la rilevanza sociale del problema e ha delineato i criteri necessari per la diagnosi.

Conseguenze a lungo termine

In alcuni casi, il ritiro sociale può restare una parentesi buia nella vita dell’individuo, in altre può avere conseguenze gravi e durature. Gli hikikomori possono sperimentare un deterioramento delle loro capacità sociali e professionali, rendendo difficile il reinserimento nel mondo esterno.

La letteratura suggerisce che molti hikikomori possono rimanere isolati per anni e, una volta tentato il reinserimento, possono avere difficoltà nel trovare lavoro o stabilire relazioni sociali.

Inoltre, l’autoisolamento può portare a problemi di salute mentale aggiuntivi, come depressione e ansia (che già affliggono la metà dei giovani italiani), creando un circolo vizioso difficile da rompere.

Studi recenti hanno evidenziato l’importanza di un intervento precoce. La telepsichiatria si sta dimostrando una modalità promettente per raggiungere questi giovani attraverso i loro dispositivi digitali, permettendo ai professionisti della salute mentale di fornire supporto anche a distanza senza che ci sia un forte rifiuto dell’individuo. Tuttavia, la mancanza di una definizione chiara e condivisa del fenomeno complica gli sforzi terapeutici e di ricerca.

Il fenomeno degli hikikomori è complesso e richiede un approccio multidisciplinare per affrontarne le cause e le conseguenze. La comunità scientifica continua a esplorare questo tema, con l’obiettivo di sviluppare strategie efficaci per supportare i giovani in difficoltà.
Nel frattempo, sempre più governi decidono di limitare l’uso degli smartphone e dei social agli adolescenti, come fatto dal Ministro Giuseppe Valditara.

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Viagra, cosa succede se lo prende una donna?

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E se a prendere il Viagra fossero le donne? Un recente studio clinico ha rivelato che l’uso del Sildenafil, comunemente noto per il trattamento della disfunzione erettile e commercialmente noto come Viagra, potrebbe ridurre il rischio di parto cesareo d’emergenza.

La ricerca, pubblicata sul Journal of Reproduction e Infertility, ha mostrato che il farmaco è in grado di aumentare il flusso sanguigno uteroplacentare. Ciò contribuirebbe alla diminuzione del 51% del rischio di complicazioni legate alla sofferenza fetale durante il travaglio.

Sofferenza fetale e parto cesareo

La sofferenza fetale (Fd) è uno dei principali segnali di pericolo per la morte intrauterina (Iufd) e rappresenta una delle principali cause di parto cesareo d’emergenza. In Paesi come Australia, Stati Uniti e Regno Unito, si legge nella ricerca, dal 23% al 27% dei parti cesarei avviene in risposta a questo stato critico del feto. La causa principale è la riduzione del flusso sanguigno uterino durante il travaglio, che può scendere fino al 60%, mettendo in serio pericolo la salute del feto.

Attualmente, l’unico trattamento efficace per evitare danni permanenti è il cesareo d’emergenza, che tuttavia comporta rischi significativi sia per la madre che per il neonato, inclusi morbilità materne (cioè l’insieme di patologie che una donna può avere in gravidanza) e problemi neonatali. Da qui, l’importanza di identificare soluzioni sicure per prevenire tali interventi. E il Viagra sembra essere una di queste.

Il ruolo del Sildenafil: vasodilatazione e riduzione del rischio

Il Sildenafil o Viagra, agisce come vasodilatatore, migliorando il flusso sanguigno verso l’utero e il feto. La ricerca ha analizzato il suo potenziale per migliorare la perfusione utero placentare, prevenendo l’ipossia e la sofferenza fetale. Il dottor Milani che ha condotto lo studio e il suo team hanno scoperto che usare il Viagra durante il travaglio ha portato a una riduzione significativa dei casi di cesareo d’emergenza, passando dal 26% nel gruppo di donne che non lo assumevano al 12,5% nel gruppo trattato col farmaco.

“Questo studio dimostra che il Sildenafil può essere un’opzione farmacologica semplice ed efficace per ridurre il rischio di sofferenza fetale, evitando così interventi chirurgici d’emergenza”, hanno spiegato i ricercatori. “I risultati sono particolarmente incoraggianti poiché non abbiamo riscontrato effetti collaterali significativi legati al farmaco”.

La metodologia dello studio

Lo studio condotto nel Reproductive Health Research Center, del Department of Obstetrics and Gynecology, della School of Medicine, Al-Zahra Hospital, Guilan University of Medical Sciences di Rasht è stato condotto tra luglio e settembre del 2022 e ha coinvolto 208 donne in gravidanza. Le partecipanti, di età compresa tra 18 e 40 anni, sono state suddivise in due gruppi: il gruppo Sildenafil ha ricevuto dosi da 50 milligrammi ogni sei ore, mentre il gruppo di controllo ha ricevuto un placebo.

Tutti i partecipanti sono stati monitorati durante il travaglio e i dati demografici e clinici sono stati raccolti attentamente per garantire la precisione dei risultati. L’obiettivo principale era valutare se il Sildenafil potesse ridurre il tasso di sofferenza fetale e di cesareo d’emergenza rispetto al gruppo di controllo.

Risultati

I risultati sono stati incoraggianti. Nel gruppo al quale è stato somministrato il Viagra, l’87,5% delle donne ha avuto un parto vaginale spontaneo, rispetto al 74% del gruppo placebo. Inoltre, i casi di sofferenza fetale sono diminuiti del 53,8% nel gruppo trattato.

Anche i neonati nati dalle donne del “gruppo Sildenafil” hanno mostrato punteggi Apgar (con i quali si misura la condizione motoria, respiratoria, muscolare ecc.) più alti, indicando una salute migliore alla nascita.

Turner ha aggiunto: “L’uso di Sildenafil non ha influenzato negativamente la durata del travaglio, né ha aumentato il rischio di emorragia postpartum, un dato che conferma la sicurezza del farmaco in questo contesto”.

Questo studio potrebbe rappresentare una svolta nella gestione del travaglio. Sebbene siano necessari ulteriori studi per confermare questi risultati, il Sildenafil si sta dimostrando un’opzione promettente per ridurre il numero di cesarei d’emergenza. Il team ha sottolineato l’importanza di ulteriori ricerche per comprendere appieno i benefici a lungo termine e gli eventuali rischi associati all’uso di Sildenafil durante il travaglio.

In conclusione, l’uso di Sildenafil offre nuove speranze per la gestione della sofferenza fetale, riducendo il rischio di interventi invasivi e migliorando gli esiti materno-fetali.

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