Israele-Hamas, ripresa negoziati difficile dopo Rafah: il tentativo dei mediatori
Egitto, Qatar e Usa impegnati nel rilancio dei colloqui per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi. Intanto Lo Stato ebraico avrebbe consegnato una nuova proposta ufficiale
Una delegazione della sicurezza egiziana, in coordinamento con il Qatar e gli Stati Uniti, sta tentando di rilanciare i negoziati tra Israele e Hamas per raggiungere un cessate il fuoco a Gaza ed il rilascio degli ostaggi. A riferirlo un funzionario citato dall'emittente egiziana al-Qahera, secondo cui Il Cairo avrebbe avvertito le parti interessate che le iniziative per rilanciare i colloqui sono state indebolite dall'offensiva israeliana a Rafah, nel sud di Gaza, che ha avuto "conseguenze disastrose".
Lo Stato ebraico avrebbe intanto consegnato ai mediatori una proposta ufficiale, scritta e aggiornata riguardo un possibile accordo, ha rivelato Barak Ravid, giornalista di Axios, che cita fonti secondo cui la proposta sarebbe stata consegnata lunedì scorso.
Secondo quanto trapela, il documento include la volontà di dimostrare "flessibilità" riguardo il numero di ostaggi in vita che dovrebbero essere rilasciati nella prima fase dell'accordo, così come la disponibilità a parlare delle richieste di Hamas per una "calma sostenibile" nella Striscia di Gaza.
L'indagine di Israele su Rafah, la reazione Usa
A complicare ulteriormente i colloqui, da sempre in salita, è intanto il raid israeliano di domenica scorsa su Rafah che avrebbe provocato decine di morti.
I militari israeliani sostengono, sulla base dei primi risultati dell'inchiesta dopo il raid che avrebbe innescato un terribile incendio in una zona per sfollati, che la strage sia stata provocata da un'esplosione "secondaria". I militari, scrive quindi il Times of Israel, sospettano che munizioni o sostanze combustibili, di cui non erano a conoscenza, possano aver provocato un'esplosione e un incendio che si è propagato fino all'area con gli sfollati, dopo l'attacco aereo contro due comandanti di Hamas. L'inchiesta iniziale delle Idf sospetta la presenza di munizioni, armi o altro materiale nell'area del raid.
I militari dicono di aver tracciato i comandanti di Hamas Yassin Rabia e Khaled Najjar prima del raid contro l'edificio in cui si trovavano domenica sera nella zona di Tel Sultan, nella parte occidentale di Rafah. E, secondo le informazioni di intelligence delle Idf, l'area veniva usata da Hamas, con la presenza di un lanciarazzi a poche decine di metri dal punto in cui sono stati uccisi i due comandanti. Secondo i militari, il raid non ha colpito l'area, indicata come "zona umanitaria", nella regione di al-Mawasi e il sito di Hamas preso di mira si trova a più di un chilometro.
Inoltre, riporta ancora il Times of Israel, i caccia israeliani hanno sganciato due munizioni 'piccole', ognuna da 17 chili. Per il portavoce militare israeliano Daniel Hagari, riferisce anche il Guardian, quelle munizioni sarebbero troppo 'piccole' per innescare un incendio. Ma dopo il raid sono divampate le fiamme nella zona con gli sfollati. E i palestinesi hanno denunciato l'uccisione di 45 persone. Il premier israeliano Netanyahu ha parlato di un "tragico incidente".
Gli Stati Uniti "valuteranno con attenzione" i risultati dell'inchiesta, ha detto il portavoce del dipartimento di Stato, Matthew Miller, che ha affermato che questi risultati devono essere "presentati in modo aperto e trasparente a noi ed al mondo".
"Siamo profondamente rattristati dalla tragica perdita di vite umane a Rafah", ha detto ancora Miller definendo "strazianti" le immagini dei civili uccisi e spiegando che Washington immediatamente dopo il raid ha espresso a Israele "le nostre profonde preoccupazioni", chiedendo "informazioni ed un'indagine piena" in attesa di un rapporto definitivo per dare la sua valutazione.
"L'esercito israeliano continua l'indagine e promette che sarà veloce, complessiva e trasparente, noi analizzeremo attentamente i risultati- ha concluso - e continueremo a sottolineare a Israele i suoi obblighi del rispetto della legge umanitaria, per minimizzare l'impatto delle sue operazioni sui civili e massimizzare il flusso di aiuti". In ogni caso, Miller ha aggiunto che è importante "scoprire che cosa abbia effettivamente provocato l'incendio", notando che Israele sostiene che vi potrebbe essere stato nella zona un deposito di armi.
"Come risultato del raid a Rafah non ho cambiamenti di politica da annunciare, è appena successo, gli israeliani stanno indagando, osserveremo con grande interesse quello che scopriranno", ha poi aggiunto il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, John Kirby, rispondendo durante il briefing alle domande riguardo al raid. Kirby ha sottolineato che Washington ha subito condannato "la morte dei civili, ma dobbiamo capire quello che è successo".
Esteri
Tregua in Libano, la fretta di Netanyahu: attesa per...
Secondo i media israeliani, il Paese dei Cedri dovrebbe replicare entro 24 ore alla proposta di cessate il fuoco inviata tramite gli Stati Uniti
Potrebbe arrivare nell'arco delle prossime 24 ore una risposta dal Libano a una proposta di cessate il fuoco inviata a Beirut tramite gli Stati Uniti. A riferirlo è Channel 12 in una notizia rilanciata dal Times of Israel mentre proseguono le operazioni militari israeliane contro Hezbollah nel Paese dei Cedri.
Cessate il fuoco in Libano, perché Israele ha fretta
Secondo il Washington Post, che cita tre funzionari ed ex funzionari israeliani, un consigliere del premier israeliano Benjamin Netanyahu avrebbe riferito questa settimana a Donald Trump e Jared Kushner che Israele si sta affrettando verso un cessate il fuoco in Libano per consegnare al presidente eletto un primo successo in politica estera.
Ron Dermer, ministro per gli Affari strategici del governo Netanyahu, ha fatto domenica a Mar-a-Lago - ha scritto il giornale - la prima tappa del suo viaggio negli Stati Uniti, per parlare della proposta israeliana di cessate il fuoco in Libano, per poi andare a Washington ad aggiornare funzionari dell'Amministrazione Biden, compreso Amos Hochstein, sullo stato dei colloqui.
Un portavoce di Dermer ha confermato al Post che la missione è servita per parlare di una serie di questioni, senza entrare nei dettagli. No comment dall'ufficio di Netanyahu e da un portavoce di Trump. Nessuna risposta da un portavoce di Kushner, che contribuì alla normalizzazione tra quattro Paesi arabi e Israele durante il primo mandato di Trump alla Casa Bianca.
Esteri
“Ucraina può sviluppare una bomba nucleare in pochi...
Secondo un documento di un think tank ucraino presentato al ministero della Difesa di Kiev che però smentisce
Nel giro di "mesi" l'Ucraina potrebbe sviluppare una bomba nucleare rudimentale, da utilizzare in teoria nella guerra contro la Russia, qualora il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, decidesse di sospendere l'assistenza militare a Kiev.
Lo indica un documento pubblicato dal Center for Army, Conversion and Disarmament Studies (Cacds), un influente think tank militare ucraino, secondo cui Kiev sarebbe in grado rapidamente di costruire un ordigno elementare con una tecnologia simile alla 'Fat Man', la bomba sganciata su Nagasaki nel 1945.
Ecco come l'Ucraina potrebbe sviluppare la bomba atomica
"Creare una semplice bomba atomica, come hanno fatto gli Stati Uniti nell'ambito del Progetto Manhattan, non sarebbe un compito difficile 80 anni più tardi", si legge nel documento citato dal Times, mentre martedì prossimo saranno mille giorni dall'inizio dell'invasione. Senza tempo per costruire e gestire le strutture necessarie per arricchire l'uranio, l'Ucraina userebbe il plutonio estratto dalle barre di combustibile esaurito prelevate dai suoi reattori nucleari. L'Ucraina può ancora contare su nove reattori operativi e ha una notevole competenza in ambito nucleare nonostante nel 1996 abbia accettato di disfarsi del terzo arsenale nucleare più grande al mondo.
Secondo il rapporto, l'Ucraina ha plutonio a sufficienza per realizzare "centinaia di testate con una resa tattica di diversi kilotoni". Una bomba del genere avrebbe circa un decimo della potenza di 'Fat Man', concludono gli autori del documento, che è stato condiviso con il vice ministro della Difesa ucraino e verrà presentato mercoledì a una conferenza a cui probabilmente parteciperanno i ministri della Difesa e delle Industrie strategiche.
La smentita di Kiev
Il rapporto del think tank non è avallato dal governo di Kiev, ma stabilisce la base giuridica in base alla quale l'Ucraina potrebbe ritirarsi dal Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp), la cui ratifica era subordinata alle garanzie di sicurezza fornite da Stati Uniti, Regno Unito e Russia nel memorandum di Budapest del 1994.
Il mese scorso il presidente Volodymyr Zelensky ha dichiarato di aver detto a Donald Trump che l'Ucraina avrebbe bisogno di armi nucleari per garantire la sua sicurezza se le venisse impedito di entrare nella Nato.
Esteri
Ucraina-Russia, Trump e il dialogo in salita: le condizioni...
L'analisi dell'Isw evidenzia che le posizioni della Russia non sono cambiate: Mosca vuole la resa di Kiev
Vladimir Putin non ha intenzione di fare alcuna concessione a Donald Trump. La Russia non cambia linea: vuole dettare le condizioni per la conclusione della guerra con l'Ucraina. E' il quadro che l'Institute for the study of war (Isw), think tank che monitora il conflitto quotidianamente, elabora in un momento cruciale nello scacchiere internazionale.
Trump, presidente eletto degli Stati Uniti, si insedierà a gennaio e appena arrivato alla Casa Bianca cercherà di dare seguito agli annunci fatti in campagna elettorale: lavorerà per favorire un rapido accordo tra Mosca e Kiev.
Il piano di Trump
Secondo il Wall Street Journal, i consiglieri di Trump avrebbero tracciato un perimetro del piano da sviluppare per arrivare alla pace: una zona demilitarizzata lungo la linea del fronte, con forze internazionali ma non americane presenti, e l'Ucraina fuori dalla Nato per almeno 20 anni. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha sempre rifiutato l'ipotesi di sacrifici territoriali, ma a Kiev - evidenziano media Usa - la posizione potrebbe mutare parzialmente se un'eventuale intesa prevedesse garanzie di sicurezza blindate per il paese.
La Russia non cambia obiettivo
In realtà, secondo l'Isw, tali ragionamenti non tengono conto di un elemento chiave: la posizione della Russia e quella del suo presidente Vladimir Putin non pare cambiata rispetto all'inizio del conflitto e l'obiettivo ultimo di Mosca rimane sempre lo stesso, "la completa resa dell'Ucraina". "Il Cremlino -osserva il think tank- sembra poco disposto a fare concessioni alla nuova amministrazione Trump, così come non è stato disposto a farne all'attuale amministrazione", si legge nel rapporto.
"Il Cremlino sembra poco disposto a fare concessioni alla nuova amministrazione Trump, così come non è stato disposto a farne all'attuale amministrazione", si legge nel rapporto. Putin si è congratulato con Trump per l'elezione e nelle dichiarazioni pubbliche ha manifestato una generica disponibilità a riprendere il dialogo con Washington. Mosca ha smentito il contatto diretto tra i due presidenti che, secondo il Washington Post, sarebbe avvenuto con una telefonata giovedì 7 novembre.
I messaggi da Mosca
Nelle ultime ore, le posizioni russe sono state illustrate dal ministro degli Esteri Sergei Lavrov e dalla sua portavoce Maria Zakharova. Per Lavrov, l'avvento di Trump non modificherà la situazione e l'ipotesi di congelare il conflitto va scartata. Per Zakharova, c'è solo un modo per arrivare alla pace: "Serve lo stop all'assistenza militare che l'Occidente fornisce all'Ucraina".
Apparentemente, quindi, lo spazio per dialogare è poco. A completare il quadro, le parole di Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino: non ci sono stati contatti con la nuova amministrazione americana, gli eventuali piani di Trump in relazione all'Ucraina al momento sono ignoti.