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Le pensioni italiane (già risibili) saranno erose dall’inflazione: quale futuro per i giovani?

È allarmante l’indagine sui redditi da pensione presentata ieri dallo Spi Cgil, Federconsumatori, Inca e Caf Cgil Modena, riferita agli importi del 2022 su 44mila dichiarazioni al Caf. Uno scenario locale che offre diversi spunti nazionali.

Tra i diversi dati, uno colpisce e riassume la situazione pensionistica più di tutti gli altri: ogni 100 euro guadagnati lavorando, se ne prenderanno 64 di pensione. Forse, ancora più preoccupante è il trend in discesa.

Entrando nel dettaglio della ricerca, messa a punto da Massimiliano Vigarani, su Modena si registra una forte perdita del potere d’acquisto: in un solo anno, dal 2021 al 2022, l’arretramento medio raggiunge il 4,9%. Nel raffronto con le pensioni del 2016 l’importo si riduce di 1.200 euro. In pratica, è come se in otto anni si sia persa una mensilità di pensione.
L’incremento delle pensioni deciso dal governo per fronteggiare il caro vita “non è stato minimamente in grado di arginare la perdita di potere d’acquisto”, spiega sul quotidiano Roberto Righi, segretario Spi Cgil Modena. Discorso analogo e ancora più grave per gli stipendi italiani su cui non c’è stato nessun intervento migliorativo di rilievo.

Marzio Govoni, presidente di Federconsumatori Modena, sottolinea al Resto del Carlino che “il problema riguarda le pensioni dei lavoratori dipendenti perché invece per gli autonomi risultano assegni superiori al tasso di inflazione. Siamo di fronte a una palese ingiustizia sociale: il tema della rivalutazione delle pensioni deve tornare ad essere un impegno prioritario del Governo“.

Le differenze tra i pensionati

Se il record occupazionale registrato a livello nazionale corrisponde con il più alto tasso di lavoro povero registrato nella storia italiana, la situazione è ancora peggiore per donne e giovani, come abbiamo più volte analizzato su queste pagine.

Nell’analisi di Spi Cgil, Federconsumatori, Inca e Caf Cgil Modena tra pensionati e pensionate si è registrata una forbice di 4.800 euro, principalmente a causa del maggiore impiego delle donne nei settori poveri, a elevata irregolarità e con contratti per lo più part time, spesso involontari.

Rigirando la questione sul nazionale, si trovano conferme. In Italia quasi un lavoratore su cinque ha un contatto part-time e, in oltre un caso su due, non per scelta. La Cgil denuncia che nella penisola l’incidenza del part time involontario è pari al 57,9%, la più alta di tutta l’Eurozona.

Chiaramente, l’orario parziale ha risvolti positivi quando è il frutto di una scelta della lavoratrice o del lavoratore; negativi quando rappresenta un’imposizione. Uno scenario che, come si è visto, riguarda più di un lavoratore part time su due tanto che il sindacato guidato da Maurizio Landini ha lanciato la campagna “La precarietà ha troppe facce. Combattiamola insieme” per “smascherare” tutte le situazioni in cui il contratto a tempo parziale viene imposto dal datore di lavoro al dipendente.
Ancora più gravi e senz’altro oltre la linea della liceità i contratti part time che nascondono un contratto full time, con le annesse conseguenze sugli assegni pensionistici.

Nel Report Lavoro di marzo, la Cisl rileva un’inversione di tendenza negativa nel quarto trimestre 2023 nonostante il record occupazionale del Paese. Mentre nel periodo precedente la crescita delle assunzioni si era concentrata esclusivamente sul tempo pieno, nel quarto trimestre 2023 i contratti part time hanno segnato un +3,4%, mentre quelli a tempo pieno un +2% rispetto al quarto trimestre 2022.

La pensione per i giovani: miraggio o realtà?

Con sempre meno nascite, il sistema pensionistico italiano rischia il collasso e a pagarne le conseguenze saranno, chiaramente, i giovani. Dopo uno studio condotto insieme ad Eurese, il Consiglio Nazionale dei Giovani spiega che gli under 35 italiani rischiano di andare in pensione a 74 anni e con un assegno medio di poco superiore a 1000 euro. La situazione da complicata diventa drammatica, se si pensa che nel frattempo l’inflazione continuerà a fare il suo corso, come è normale in un’economia sana. Ciò che, invece, non è sano è il mancato adeguamento degli stipendi all’inflazione, da cui deriverebbero automatici vantaggi pensionistici.

La ricerca, condotta da Eures su dati Inps relativi al monte retributivo dei giovani (15-35 anni), spiega come i ragazzi che hanno cominciato a lavorare nel 2020 a 22 anni in Italia raggiungeranno l’età pensionabile a 71 anni, il dato più alto tra i principali Paesi europei, ma con un assegno talmente basso da dover continuare a lavorare fino a raggiungere il minimo previsto dalla legge, ovvero 2,8 volte l’assegno sociale.

Gli under 35 italiani dovrebbero ritirarsi dal lavoro quasi a 74 anni (73,6), con un assegno di 1.561 euro lordi mensili (1.093 al netto dell’Irpef, 1.134 euro per gli uomini e 1.041 per le donne), ovvero 3,1 volte l’importo dell’assegno sociale. Per i lavoratori in Partita Iva (sempre con ritiro a 73,6 anni) l’importo dell’assegno pensionistico ammonterebbe a 1.650 euro lordi mensili (1.128 al netto dell’Irpef), ovvero 3,3 volte l’importo dell’assegno sociale.

La pensione integrativa come salvagente

Considerando le uscite anticipate e le varie eccezioni alla regola generale, l’età media di pensionamento, in Italia, è di circa 65 anni contro la media Ocse di 64.1. Ma sono le prospettive future a rendere necessario il ricorso alla pensione integrativa: Secondo il Rapporto ‘Pensions at a glance’ dell’Ocse, “Per chi entra ora nel mercato del lavoro l’età pensionabile normale raggiungerebbe i 70 anni nel Paesi Bassi e Svezia, 71 anni in Estonia e Italia e anche 74 anni in Danimarca”.

Eppure, le pensioni integrative stentano a decollare nel Belpaese.

La ragione di questo ritardo è anche culturale, ma si intreccia a doppio filo al tema del lavoro povero: se gli stipendi sono troppo bassi per risparmiare qualcosa e in molti casi anche per arrivare a fine mese, come si può investire in una pensione complementare? A volte la domanda è così remota da non trovare spazio, mentre quella che chiede “Come si fa a mantenere un figlio?” diventa persino più ingombrante.

Nei prossimi dieci anni l’Italia perderà l’11% delle famiglie con figli a carico, sia per una dinamica demografica strutturale (mancano i giovani), ma soprattutto per il crollo del potere d’acquisto.
Nessuna sorpresa, dunque, se, come dimostra ampiamente la 39° edizione de Linkontro, in Italia tra le attuali sei milioni di famiglie con figli, tre su quattro hanno un reddito sotto la media nazionale. Insomma, famiglie che dovrebbero avere un reddito maggiore per affrontare le spese legate al mantenimento dei figli, nel 75% dei casi si trovano invece in una situazione reddituale peggiore della media nazionale, spesso a causa di una restrizione nel monte ore lavorativo, se non di fronte a delle dimissioni come succede in Italia per una donna su cinque dopo il parto.

Lungi dall’essere bamboccioni o scansafatiche, i giovani italiani risultano, invece, perfettamente consapevoli dello scenario in cui vivono. Per questo, emerge ancora dall’incontro, le nuove generazioni sono più tristi degli anziani e lo stesso vale per le famiglie con figli a carico rispetto a quelle senza.

Non è più tempo di chiederci se è questo il futuro che vogliamo per i nostri figli, serve intervenire nel presente. Prima che sia troppo tardi.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Divieto di elemosina, la Svezia vuole rendere illegale la...

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Niente più accattoni per le strade della Svezia. La proposta viene dal governo di centro destra del Paese scandinavo, che ha formato una commissione che dovrà redigere entro il 26 giugno prossimo un rapporto su pro e contro e come introdurre il divieto nazionale di elemosina.

Attualmente i Comuni possono già vietare la pratica in alcuni luoghi specifici attraverso ordinanze locali e a determinate condizioni, ma nelle proposte della campagna elettorale portata avanti dal partito di estrema destra Democratici Svedesi (che non fa parte del governo ma lo sostiene in Parlamento) c’era per l’appunto quella di generalizzare la proibizione a tutto il territorio nazionale.

Perché, dicono, l’aumento del numero dei mendicanti ha portato all’aumento della criminalità. Una crescita dovuta anche al fatto che, afferma il governo istituendo la commissione, dall’inizio degli anni 10 del 2000, “i cittadini dell’Ue hanno cominciato a venire in Svezia in misura maggiore rispetto a prima, tra le altre cose, per chiedere l’elemosina”.

La commissione incaricata dal governo dovrà analizzare come funziona il sistema attuale e le normative locali, se sia possibile ampliare i limiti all’accattonaggio, nonché i vantaggi e gli svantaggi che presenta la normativa attuale rispetto ad un divieto nazionale. Infine, dovrà presentare proposte costituzionali che vietino l’accattonaggio a livello nazionale.

Governo non compatto, ma nemmeno l’opposizione

Alla novità sono seguite critiche da più parti, in primis all’interno della stessa coalizione di governo, formata da Moderati, Democratici Cristiani e Liberali: questi ultimi soprattutto avevano già detto che si sarebbero opposti all’introduzione del divieto di accattonaggio, e, se anche solo tre loro parlamentari votassero contro la proposta, la maggioranza andrebbe sotto, con i rischi del caso.

Ma anche l’opposizione non è compatta: i Verdi, il Partito di Centro e quello della Sinistra intendono opporsi alla misura, mentre i Socialdemocratici no, quindi il provvedimento, peraltro ancora da formulare, ha chances di passare.

Fanny Siltberg, portavoce dell’organizzazione cristiana Stockholms Stadsmission, ha definito il progetto “un inutile tentativo di spostare il problema rendendo illegale la povertà“. Mentre la liberale Anna Starbrink ha già detto che non voterà a favore, perché “non si può vietare alle persone di chiedere aiuto”.

La questione è complessa, perché oltre ad investire temi etici ed economici, si allarga anche al discorso della libertà di movimento: i Moderati hanno infatti già proposto di limitare la libera circolazione all’interno dell’Ue per coloro che viaggiano con lo scopo di mendicare.

In ogni caso, una normativa nazionale e generalizzata potrebbe rivelarsi incostituzionale, tanto che diverse associazioni hanno già fatto sapere che eventualmente presenteranno ricorso. Non solo: la Corte europea dei diritti dell’uomo ha già stabilito che le sanzioni contro le persone che fanno l’elemosina violano i diritti sanciti nella Convenzione europea (CEDU), che la Svezia ha ratificato.

Ma la Svezia è sola in questa ‘crociata’?

Paesi in cui fare l’elemosina è vietato

In Norvegia chiedere l’elemosina è vietato a livello nazionale dal 2015. Ma anche qui ci sono state molte proteste poiché la norma è stata vista come una misura troppo severa nei confronti dei senzatetto e delle persone in difficoltà. Il divieto è stato introdotto anche per contrastare le attività criminali legate al fenomeno, come le reti organizzate di sfruttamento dei mendicanti.

In Danimarca la pratica è illegale dal 2017. Il governo ha introdotto la legge per ridurre il problema delle persone che chiedono denaro nei luoghi pubblici, in particolare nelle città turistiche. La polizia può arrestare coloro che infrangono il divieto e, in alcuni casi, i trasgressori rischiano la detenzione.

Nel Regno Unito, l’accattonaggio era illegale in base a una legge del 1824, e nella pratica è raramente perseguito. Le autorità locali possono comunque emettere multe o imporre sanzioni amministrative alle persone che chiedono denaro in maniera insistente o aggressiva.

In molte città degli Stati Uniti mendicare è vietato o fortemente regolamentato. Città come New York, Los Angeles e Chicago hanno adottato leggi che limitano l’elemosina nelle aree pubbliche, vicino alle scuole o ai trasporti pubblici. Tuttavia, il divieto è spesso criticato per il suo impatto sui senzatetto.

Alcuni cantoni svizzeri, come Ginevra e Vaud, hanno introdotto divieti locali contro la mendicità per scoraggiare i questuanti, spesso collegati a reti di sfruttamento e tratta di persone.

La situazione in Italia

In Italia chiedere l’elemosina in modo semplice e non molesto non è un reato, ma l’articolo 669 del Codice Penale prevede sanzioni e arresto in caso di mendicità molesta, vessatoria, simulando deformità o malattie o sfruttando i minori per destare pietà nelle persone.

E sullo sfruttamento di minori, il Ddl sicurezza approvato due settimane fa introduce delle modifiche all’articolo 600-octies c.p., prevedendo che sia punito l’impiego nell’accattonaggio di minori fino ai sedici anni di età (non più fino ai quattordici anni) ed innalzando la pena da uno a cinque anni di reclusione, invece dei tre anni attualmente previsti. Introduce anche un inasprimento delle pene nel caso di induzione e sfruttamento dell’altrui accattonaggio “a fini di profitto”.

A livello locale, poi, alcuni Comuni hanno introdotto ordinanze che vietano l’elemosina in specifici luoghi pubblici, specialmente nei centri storici o nelle aree turistiche, ad esempio in città come Milano e Firenze.

Perché vietare l’elemosina

Molte volte il divieto di accattonaggio risponde a logiche populiste e di ‘sicurezza percepita’, com’è anche nel caso della Svezia dove il numero dei mendicanti in realtà risulta in diminuzione. Ma anche se a prima vista può sembrare un provvedimento punitivo che certamente non risolve il problema della povertà ma lo nasconde solo sotto al tappeto, in realtà ci sono dei buoni motivi per vietare l’elemosina:

lotta contro il crimine organizzato: in molte aree, l’elemosina è sfruttata da gruppi criminali che obbligano le persone, spesso migranti o minorenni, a mendicare per loro conto. Vietare l’elemosina potrebbe limitare questa forma di sfruttamento.
decoro urbano: vietare l’elemosina aiuta a mantenere il decoro delle città, specialmente nelle aree turistiche. La presenza di mendicanti in luoghi ad alto afflusso può essere percepita come un problema per il turismo e il commercio locale.
riduzione delle situazioni pericolose: in alcune aree, la mendicità può degenerare in episodi di aggressività, soprattutto quando viene praticata in modo insistente. Vietare l’elemosina potrebbe ridurre il rischio di conflitti tra mendicanti e cittadini.

Ovviamente sono molti i problemi collegati al divieto di accattonaggio, tralasciando questioni etiche come il fatto, per dirne uno, che l’aiuto alle persone bisognose è uno dei doveri del buon cristiano.

Gli svantaggi del vietare l’elemosina

Allo stesso tempo, vietare l’elemosina ha alcune conseguenze che dovrebbero essere tenute ben presenti:

impatto sui più vulnerabili: la principale critica verso il divieto è che colpisce le persone più fragili, che spesso non hanno altre risorse, determinando una ancora maggiore emarginazione sociale e privando queste persone di una fonte di sussistenza seppur minima
misura punitiva anziché assistenziale: invece di affrontare alla radice le cause della povertà e della marginalizzazione, il divieto punisce coloro che già vivono in condizioni di estrema difficoltà.
rischio di invisibilizzazione del problema: vietare l’elemosina non risolve il problema ma rischia di renderlo meno visibile portando le autorità e la società civile a non impegnarsi adeguatamente nell’affrontarlo.

Insomma, la commissione messa in piedi dal governo svedese ha parecchi aspetti di cui tener conto.

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Mangiare pesce in gravidanza può ridurre il rischio di...

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Mangiare pesce durante la gravidanza potrebbe abbassare significativamente il rischio di autismo per il nascituro, riducendolo fino al 20%. Questa è la conclusione di un recente studio finanziato dal programma ECHO dei National Institutes of Health e pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition. Lo studio suggerisce che il pesce, già noto per i suoi benefici sulla salute grazie agli acidi grassi omega-3, giochi un ruolo fondamentale anche nello sviluppo neurocognitivo del feto, riducendo i rischi di disturbi dello spettro autistico.

I dettagli della ricerca

Lo studio ha coinvolto circa 4.000 donne in gravidanza e ha analizzato il consumo di pesce e l’uso di integratori di omega-3. Il campione è stato suddiviso in quattro gruppi a seconda della frequenza di consumo di pesce: meno di una volta al mese, più di una volta al mese ma meno di una volta a settimana, una volta a settimana, e due o più volte a settimana. Circa il 20% delle partecipanti ha dichiarato di non consumare pesce durante la gravidanza e una percentuale tra il 65% e l’85% non faceva uso di integratori di omega-3 o olio di pesce.

I ricercatori hanno quindi analizzato i risultati sulla salute dei bambini, misurando i tratti comportamentali legati all’autismo attraverso la Social Responsiveness Scale (SRS), un questionario compilato dai genitori che valuta i comportamenti associati all’autismo. I punteggi più alti nella scala SRS indicano una maggiore presenza di comportamenti correlati all’autismo.

I risultati

Dai risultati è emerso che mangiare pesce durante la gravidanza era effettivamente associato a una riduzione delle probabilità di ricevere una diagnosi di autismo nei bambini. Inoltre, vi era una lieve diminuzione dei punteggi SRS nei figli di coloro che consumavano pesce rispetto a chi non lo faceva. Il dato interessante è che questo effetto benefico si osservava indipendentemente dalla quantità di pesce consumata: sia che fosse una porzione a settimana, sia che fossero due o più porzioni, il rischio di autismo risultava comunque inferiore rispetto a chi non ne consumava affatto.

Al contrario, l’assunzione di integratori di omega-3 non ha mostrato una correlazione significativa con la riduzione del rischio di autismo. I ricercatori hanno dunque concluso che solo il pesce nella sua forma naturale sembra portare benefici diretti, piuttosto che i supplementi.

Benefici aggiuntivi e considerazioni

Emily Oken, coautrice dello studio e docente alla Harvard Medical School, ha sottolineato come il pesce non solo riduca i rischi legati all’autismo, ma sia anche associato a una serie di benefici ben documentati per la salute materna e fetale. “Altri vantaggi includono un minor rischio di parto pretermine e un migliore sviluppo cognitivo per il feto”, ha affermato Oken, aggiungendo che è fondamentale migliorare la comunicazione sulle linee guida riguardanti il consumo di pesce in gravidanza.

Per anni, infatti, molte donne sono state erroneamente dissuase dal mangiare pesce durante la gravidanza, a causa del timore di contaminazione da mercurio e di un presunto rischio di autismo, un’idea che è stata più volte smentita dalla scienza. La dottoressa Oken ha quindi ribadito l’importanza di superare queste false credenze e promuovere una corretta informazione su cosa fare durante la gravidanza.

Mangiare pesce in gravidanza è sicuro?

Nonostante i numerosi benefici, è comunque essenziale che le future mamme scelgano con attenzione il tipo di pesce da consumare. Alcuni pesci possono contenere elevate quantità di mercurio, una sostanza che può essere dannosa per il feto. Tra le specie consigliate vi sono salmone, sardine, sgombro e trota, mentre è meglio evitare pesci predatori di grandi dimensioni come squalo e pesce spada. La cottura del pesce è un altro fattore fondamentale: il pesce crudo o poco cotto può comportare rischi per la salute, come infezioni batteriche o parassitarie.

L’importanza dell’alimentazione in gravidanza

Lo studio pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition sottolinea ancora una volta quanto sia importante seguire una dieta equilibrata e ricca di nutrienti durante la gravidanza, non solo per il benessere della madre, ma anche per garantire un corretto sviluppo del feto. Il pesce si conferma dunque un alimento chiave in questo contesto, grazie al suo apporto di acidi grassi omega-3 e altri nutrienti essenziali.

Le future mamme possono quindi trarre benefici significativi dal consumo regolare di pesce, non solo per ridurre il rischio di autismo, ma anche per migliorare complessivamente la salute e lo sviluppo del bambino.

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Un papà ha dipinto la casa di azzurro per la nascita del...

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Dipingereste mai la vostra casa di azzurro per la nascita di vostro figlio? Se la risposta è sì, sappiate che non sarete i primi. Ci ha già pensato Federico Lucchetta, artista 39enne di Farra di Soligo (Treviso), mentre sua moglie era in ospedale per dare alla luce il secondo genito, martedì 1° ottobre.

Con l’aiuto di suo suocero e di alcuni amici, Federico è andato anche oltre: sul nuovo sfondo azzurro della villetta ha ‘scritto’ a caratteri cubitali bianchi il nome di suo figlio, Ettore. Nel giardino antistante, l’affiatato gruppo di lavoro ha anche installato dei palloncini finti dello stesso azzurro con cui hanno ridipinto la villa. Altro che fiocco blu dietro la porta, l’annuncio non è passato inosservato ai vicini di Via Belvedere e al web.

Guai però a pensare a quelle scene cringe con i papà che distruggono ogni cosa come incontrovertibile prova del loro entusiasmo per la nascita del maschietto.

La casa azzurra dipinta per la nascita figlio Ettore_screen video

Papà dipinge la casa di azzurro per la nascita del figlio: il precedente

Già nel 2020, in occasione della nascita della primogenita Vittoria, papà Lucchetta aveva posizionato in giardino una cicogna in cartapesta alta sette metri. Ci lanceremmo nell’ipotesi che anche questa non fosse passata inosservata.

Per il secondo genito non poteva esimersi, né replicare la trovata di quattro anni fa.
Dalla primavera ad ora ha avuto qualche mese per mettere a punto una nuova idea, senz’altro di grande impatto visivo e armoniosa nella scelta dello stile anche se, ammette l’artista, “Onestamente non è nemmeno un colore che mi piaccia molto ma richiama immediatamente le convenzioni sociali più comuni dedicate alla nascita di un bambino. E poi c’è la casa, che vuol dire famiglia”. La scelta vuole essere anche un messaggio di speranza che va oltre la nascita del figlio: “Tra tutte le sollecitazioni cupe che ci arrivano ogni giorno attraverso le notizie dal mondo, un tratto di ottimismo e di colore acceso ci stava”, ha spiegato. Impossibile dargli torto.

Più di un semplice annuncio

L’opera di Lucchetta e dei suoi ‘soci’ ricorda cosa possa rappresentare la nascita di un figlio (o di una figlia) solo per la famiglia e per la comunità. Anche il sindaco di Farra di Soligo non ha avuto nulla da ridire sulla scelta di dipingere di azzurro la villa di via Belvedere. Almeno chi non abita in condominio può scegliere più o meno liberamente la facciata della propria casa. Figuriamoci se si tratta di una modifica vistosa ma temporanea: “Non resterà di questa tinta molto a lungo, appena qualche settimana. Sempre di tasca mia, riporterò la casa alle tinte pastello di prima”, assicura Lucchetta senior.

Qualcuno lo ha anche accusato di esibizionismo, ma a lui non interessa; fa parte del gioco. Piuttosto, la sua scelta di dipingere la casa di azzurro per la nascita di Ettore è stata anche una mossa di marketing: “ormai gli influencer più o meno di passaggio il loro bravo lavoro sui social lo hanno fatto”, commenta al Corriere del Veneto.

Esperto di installazioni e di rappresentazioni pittoriche, Federico Lucchetta ha anche realizzato un dipinto di 40 metri quadrati nella sala consiliare di Pieve di Soligo in cui sono raffigurati alcuni dei cittadini più celebri della zona. Ma siccome l’arte non sempre paga, papà Lucchetta lavora anche nel settore della ristorazione (cosa bisogna fare per mantenere una famiglia in Italia!).

Dopo la cicogna alta sette metri per Vittoria e la casa dipinta di azzurro per Ettore, ci si chiede se Federico abbia già in mente qualcosa per il prossimo eventuale figlio, ma lui smorza l’entusiasmo: “No, penso proprio che ci fermeremo qui”. Magari qualcuno ci spera facendo leva sul detto ‘Non c’è due senza tre’, che proietterebbe Federico e co. nel novero delle famiglie numerose. Questo proverbio, però, non attecchisce sulla demografia italiana dove il tasso di fecondità è sceso a 1,2 figli per donna.
Ettore è già oltre la media.

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