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Gaza, Cina chiede conferenza pace e ribadisce: “Piena adesione Stato palestinese a Onu”

Intervento di Xi Jinping al Forum di cooperazione Cina-Stati Arabi. Al-Sisi: "La comunità internazionale metta fine all'assedio israeliano"

Il presidente cinese Xi Jinping  - (Afp)

Il presidente cinese Xi Jinping ha chiesto una conferenza di pace sul conflitto tra Israele e Hamas e ha ribadito il sostegno di Pechino alla soluzione dei due Stati per risolvere la crisi. "Dallo scorso ottobre, il conflitto israelo-palestinese si è intensificato drasticamente, sottoponendo la popolazione a enormi sofferenze. La guerra non dovrebbe continuare all'infinito. La giustizia non dovrebbe essere assente per sempre", ha dichiarato questa mattina nel suo intervento al Forum di cooperazione Cina-Stati Arabi. Xi ha ribadito che la Cina sostiene la creazione di uno Stato palestinese e la sua piena adesione alle Nazioni Unite e che "è a favore di una conferenza di pace internazionale ampia, autorevole ed efficace”.

La Cina fornirà altri 500 milioni di yuan per la crisi umanitaria a Gaza e per sostenere la ricostruzione post-conflitto, ha quindi annunciato, portando così i suoi aiuti a un totale di 600 milioni di yuan, circa 84 milioni di dollari. Xi ha reso noto inoltre che donerà 3 milioni di dollari all'Agenzia delle Nazioni Unite Unrwa, per sostenere le operazioni di assistenza umanitaria d'emergenza a Gaza.

Al-Sisi, 'la comunità internazionale metta fine all'assedio israeliano

Dalla riunione anche l'appello del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi alla comunità internazionale per mettere fine all'"assedio israeliano" sulla Striscia di Gaza. "Chiedo alla comunità internazionale di fornire immediatamente assistenza umanitaria a lungo termine alla Striscia di Gaza e di porre fine all'assedio israeliano", ha dichiarato Sisi, chiedendo che venga fermato "ogni tentativo di costringere i palestinesi a fuggire con la forza dalla loro terra".

Per il presidente egiziano non esiste "alcun percorso verso la pace e la stabilità nella regione" che prescinda da un "approccio globale alla causa palestinese": serve - ha sottolineato - un "impegno serio e immediato per la soluzione dei due Stati e il riconoscimento del legittimo diritto dei palestinesi a uno Stato indipendente".

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Esteri

Ucraina, armi nucleari per battere Russia? Zelensky:...

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Kiev smentisce le affermazioni di un'anonima fonte citata dalla stampa tedesca

Volodymyr Zelensky

L'Ucraina, in guerra con la Russia da quasi 1000 giorni, pensa di tornare alle armi nucleari? Ad accendere i riflettori sul tema è un articolo della Bild, che riporta le parole di un'anonima fonte di alto livello di Kiev. Se le forze armate agli ordini di Vladimir Putin dovessero puntare nuovamente verso la capitale, l'Ucraina potrebbe riattivare il proprio arsenale nucleare abbandonato negli anni '90.

"Abbiamo i materiali, abbiamo le conoscenze. Se arrivasse un ordine, avremmo bisogno di poche settimane per ottenere la prima bomba. L'Occidente dovrebbe pensare meno alle linee rosse della Russia e più alle nostre linee rosse", il messaggio.

La Russia, periodicamente, minaccia l'uso di armi nucleari in un conflitto in corso da oltre 2 anni e mezzo. Mosca ha recentemente prospettato anche la modifica della propria dottrina, aprendo all'ipotesi di una risposta con armi atomiche ad attacchi portati da paesi sostenuti da potenze nucleari. In altre parole, se l'Ucraina colpisse obiettivi militari in territorio russo, la risposta potrebbe essere estrema.

Le parole di Zelensky a Trump

Nelle stesse ore, rimbalzano le dichiarazioni del presidente ucraino Volodymyr Zelensky che torna sul tema delle armi nucleari ripensando ad un colloquio con Donald Trump. Il leader di Kiev ha spiegato che l'Ucraina vuole entrare nella Nato, perché la considera l'unica garanzia di sicurezza credibile, fatto salvo il ritorno alla bomba atomica cui rinunciò con l'indipendenza su pressione dell'Occidente in cambio di garanzie di sicurezza che si sono rivelate inconsistenti davanti all'attacco sferrato dalla Russia.

Nel 1991, ha ricordato Zelensky, l'Ucraina negoziò con una serie di Paesi garanzie di sicurezza in cambio della rinuncia all'arsenale nucleare ex Urss presente sul suo territorio, ma la Russia, che era uno dei "garanti", ha "violato" il Memorandum di Budapest.

Il fatto è che con Mosca questi accordi "non funzionano", ha aggiunto. Tra tutti gli Stati che disponevano dell'atomica, ha detto ancora Zelensky, "quale Paese ha sacrificato le armi nucleari? Solo l'Ucraina. E chi sta combattendo oggi? Solo l'Ucraina. Nella mia conversazione con Donald Trump ho detto che questi sono i fatti. E qual è la via d'uscita? O riprendiamo ad avere armi nucleari, e sarebbero una certa protezione per noi, oppure dovremmo avere una certa alleanza. Oltre alla Nato non conosciamo alleanze più efficienti. I Paesi della Nato non sono impegnati in nessuna guerra. Le persone dei Paesi della Nato sono tutte vive, grazie a Dio. E' per questo che scegliamo la Nato. Non scegliamo le armi nucleari, scegliamo la Nato e penso che Donald Trump mi abbia ascoltato. Mi ha detto che ho dei buoni argomenti", ha concluso.

Il caso è innescato, serve la smentita

Sì alla Nato, quindi, no alle armi nucleari. Le parole di Zelensky nel dialogo con Trump appaiono chiare ma evidentemente non bastano per disinnescare il caso. Deve intervenire formalmente l'ufficio del presidente ucraino per bollare come "sciocchezze" le parole contenute nell'articolo della Bild. In serata, deve tornare a esprimersi ancora Zelensky, dopo il meeting con Mark Rutte, segretario generale della Nato: "Non abbiamo mai detto che abbiamo in programma di produrre armi nucleari".

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Esteri

Da Sinwar allo sceicco Yassin, tutti i leader di Hamas...

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Ecco la lunga lista

Yahya Sinwar - (Fotogramma)

Dallo sceicco Yassin a Yahya Sinwar. E' lunga la lista dei leader di Hamas uccisi da Israele nella guerra contro il movimento di resistenza islamico negli ultimi 20 anni. Sinwar, nominato capo dell'ufficio politico di Hamas il 6 agosto scorso, ritenuto la mente degli attacchi del 7 ottobre, è stato ucciso in un'operazione di routine dei militari israeliani a Rafah, dopo una caccia all'uomo durata mesi, nei quali è stato dato più volte per morto.

 Sinwar aveva perso il posto di Ismail Haniyeh, ucciso il 31 luglio scorso in un attentato a Teheran, dove si trovava per partecipare all'insediamento del nuovo presidente iraniano Masoud Pezeshkian. Haniyeh era il capo del Politburo di Hamas, che guidava da Doha, mentre colui che è diventato il suo successore era il leader di Hamas nella Striscia di Gaza.

Prima di lui, il 13 luglio, Mohammed Deif, capo militare di Hamas a Gaza dal 2002, sarebbe rimasto ucciso in un raid aereo a Mawasi nel sud della Striscia. Hamas non ha mai confermato, ma da allora non sono state fornite da parte palestinese prove sull'esistenza in vita di colui che veniva chiamato 'il fantasma'. Secondo i sauditi sarebbe rimasto gravemente ferito.

Insieme a Deif, nello stesso raid mirato, è stato invece ucciso il comandante del Battaglione Khan Yunis di Hamas, Rafa'a Salameh, suo stretto collaboratore. Si ritiene che i due fossero infatti nello stesso edificio colpito dai caccia israeliani.

L'8 marzo, un duro colpo a Hamas era stato inferto con l'uccisione di Marwan Issa, considerato il numero tre del gruppo e il terzo più ricercato dai militari israeliani. Vice comandante dell'ala militare di Hamas a Gaza e braccio destro di Deif, Issa era ritenuto una delle menti del massacro del 7 ottobre.

All'inizio dell'anno, il 2 gennaio, il primo leader di alto rango di Hamas ucciso da Israele era stato Saleh al-Arouri, numero due dell'ufficio politico di Hamas dal 2017, tra i fondatori delle Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato del gruppo, e membro del politburo dell'organizzazione palestinese dal 2010. al-Arouri era morto in un raid israeliano alla periferia sud di Beirut.

Tornando indietro di 20 anni, al marzo del 2004, in un raid mirato con missili sparati da un elicottero israeliano a Gaza era stato ucciso uno dei fondatori nonché capo spirituale di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin, quasi cieco, tetraplegico e costretto su una sedia a rotelle da quando era un ragazzo.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Esteri

Migranti, Unione europea vira a destra: l’Aja li vuole...

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E' l’effetto dell’avanzamento elettorale delle destre nazionaliste e della conseguente volontà del Ppe di non lasciare loro il monopolio di queste tematiche

Migranti - (Afp)

Il Consiglio europeo di ottobre, un summit “di transizione” con la Commissione von der Leyen bis non ancora in carica e le elezioni presidenziali Usa alle porte, sancisce lo spostamento a destra del ‘consensus’ Ue in materia di migrazioni. Il vertice, depennato l’Eurosummit, è stato concentrato in una sola giornata e si è chiuso con l’adozione delle conclusioni su almeno due dei temi che più hanno impegnato i leader (guerra in Ucraina e migrazioni), mentre quelle sul Medio Oriente sono al momento ancora in lavorazione. Il via libera alle conclusioni sulle migrazioni era in forse, per via delle divisioni che esistono tra i 27 su una materia che sin dalla crisi del 2015 è diventata politicamente esplosiva.

La ricerca di “soluzioni innovative” sui rimpatri di coloro che non hanno diritto di restare sul suolo Ue, che l’Olanda, un Paese fondatore, sta pensando di deportare in Uganda, conferma che il pendolo è andato decisamente a destra, su una materia che non molti anni fa veniva regolarmente evitata nei Consigli europei perché considerata troppo divisiva. Oggi le divisioni restano, ma il ‘consensus’ tra i leader è slittato a destra e difficilmente tornerà indietro, sicuramente non a breve: è l’effetto dell’avanzamento elettorale delle destre nazionaliste e della conseguente volontà del Ppe di non lasciare loro il monopolio di queste tematiche.

Come ha spiegato la presidente del Parlamento Roberta Metsola, “senza una politica di rimpatri non ci può essere una politica migratoria coerente. E allora le forze estremiste diranno che non abbiamo fatto nulla, per avanzare ancora a livello elettorale. Per me, che sono di centro, è essenziale avere tutti i pilastri” della politica migratoria.

Le soluzioni 'innovative'

Proprio sulle migrazioni si è svolta, prima del vertice, una riunione di 11 Paesi membri, organizzata da Italia, Danimarca e Olanda, cui ha partecipato anche la presidente Ursula von der Leyen. Nell’incontro, con un gruppo di Paesi ampio (la formula verrà ripetuta nel Consiglio di dicembre), si è parlato del bisogno di trovare “soluzioni innovative”, in particolare per quanto riguarda i rimpatri, da tempo tallone d’Achille delle politiche migratorie europee. Tra le soluzioni “innovative” c’è l’idea cui sta seriamente lavorando l’Olanda, quella di allestire in Uganda degli ‘hub’ per i richiedenti asilo, provenienti dalla regione, la cui domanda sia stata già respinta nell’Ue, in attesa di poterli rimpatriare. Il premier olandese Dick Schoof ha definito l’idea “seria”; Kampala non avrebbe chiuso la porta, secondo fonti diplomatiche europee.

All’Aja il Pvv di Geert Wilders, dei Patrioti, è in maggioranza, ma in materia di migrazioni lo slittamento a destra in Europa è bipartisan. La prima ministra danese, Mette Frederiksen, che è socialdemocratica ma sulle migrazioni tiene non da oggi una linea assai dura e guarda al Kosovo come destinazione per i suoi detenuti di nazionalità straniera, si è rallegrata del fatto che “finalmente” i Paesi Ue discutono seriamente di cambiare la politica di asilo. Dal punto di vista danese, ha osservato, è uno sviluppo “molto positivo”. Anche se “nessuno pensa che le persone scappino per diletto” dai propri Paesi di origine, “non possiamo continuare ad accogliere così tante persone” in Europa, ha detto.

L'accordo tra Italia e Albania

Nell’incontro che ha preceduto il Consiglio si è parlato anche dell’accordo tra Italia e Albania sulle migrazioni, che stamani ha ricevuto l’appoggio del Ppe, come ha sottolineato il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Se il premier portoghese Luis Montenegro, del Ppe, riconosce che occorre “disincentivare” chi migra in modo illegale, il collega belga Alexander De Croo è scettico: la storia insegna che queste soluzioni, ha detto, sono “costose” e difficilmente raggiungono numeri significativi. Quello che “funziona”, per De Croo, sono gli accordi con i Paesi terzi, come quelli siglati con Egitto, Mauritania e Tunisia. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha escluso che gli hub esterni per i rimpatri possano essere una soluzione praticabile per un Paese grande come la Germania. Nella sala dei leader c’era “ampio sostegno” per le conclusioni su migration, ha spiegato una fonte Ue, ma il premier polacco Donald Tusk ha puntato i piedi, per inserire una frase che riconoscesse la situazione particolare in cui si trova la Polonia, che ha sospeso la concessione del diritto d’asilo per via degli arrivi dalla Bielorussia. L'ha ottenuta: nel testo si esprime "solidarietà alla Polonia e agli Stati membri" che devono affrontare queste sfide e si riconosce che "situazioni eccezionali" richiedono "misure appropriate". Alcuni Stati spingevano per anticipare l'attuazione di talune parti del patto Ue sulle migrazioni e l'asilo, ma "i Paesi che hanno votato contro" quel patto, come ad esempio l'Ungheria, "difficilmente" sarebbero a favore di anticiparne parzialmente l'attuazione.

La richiesta sui 'Dublinanti'

Resta inoltre molto “controversa” la richiesta dei Paesi nordici a Italia e Grecia di riprendersi i cosiddetti ‘Dublinanti’, i richiedenti asilo che si sono spostati verso nord, tema che non a caso “non è mai entrato” nelle conclusioni del Consiglio Europeo. Sulle migrazioni c’è stata una discussione “lunga e approfondita” tra i leader, che “raccomandano una “cooperazione maggiore” con i Paesi di origine e di transito, attraverso “partnership mutualmente benefiche”. Nelle conclusioni si esorta ad agire in modo “determinato” a “tutti i livelli” per “aumentare e velocizzare i rimpatri”, materia alla quale serve un “nuovo approccio”. Il Consiglio europeo, nelle conclusioni, ribadisce anche l’impegno ad “assicurare il controllo efficace dei confini esterni dell’Ue con tutti i mezzi disponibili” e suggerisce di “valutare nuovi modi per contrastare l’immigrazione irregolare, in linea con il diritto internazionale”.

Il presidente lituano Gitanas Nauseda ha spiegato che il suo Paese vive una situazione particolare, dato che dalla Bielorussia arrivano migranti spediti appositamente da Minsk. Vilnius ha chiesto alla Commissione di adeguare il quadro giuridico, per avere gli strumenti per contrastare queste aggressioni ‘ibride’. In ogni caso, ha riconosciuto Nauseda, “ci vorrà tempo” per avere nuove soluzioni.

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