Per la prima volta esposti al pubblico i 29 argenti delle antiche magistrature fiorentine
Nel Museo di Palazzo Vecchio nasce la Sala degli argenti: per la prima volta la raccolta degli argenti delle antiche magistrature fiorentine, risalente ai tempi della Signoria e quasi del tutto sconosciuta, viene esposta al pubblico in modo permanente nel nuovo allestimento della Sala della Cancelleria.
L'antica raccolta, oggi di proprietà del Comune di Firenze, si compone di un bossolo, una bigoncia, un bacile e 26 mazze da 'parata', di cui 12 da mazziere e 14 da comandatore: tutti oggetti utilizzati in passato dalle massime magistrature fiorentine per le votazioni e le funzioni pubbliche e per questo finora conservati nella Sala di Clemente VII, adibita a ufficio del sindaco. L'uso continuo nei secoli li ha esposti a danneggiamenti, riparazioni e aggiornamenti, ma anche preservati dal rischio di essere fusi o venduti, tramandando fino ai nostri giorni una raccolta unica per numero, funzione, antichità e valore storico e artistico degli oggetti di cui si compone. La raccolta entra ora a far parte del percorso museale, con un allestimento pensato per farla conoscere al pubblico e agli studiosi e conservarla più idoneamente in vetrine conformi ai moderni standard espositivi.
Il nuovo ordinamento della sala permette inoltre di valorizzare in modo migliore le due celebri effigi di Niccolò Machiavelli, segretario della prima Repubblica fiorentina, che già vi erano esposte: un antico busto in stucco policromo e un ritratto su tavola dipinto da Santi di Tito intorno al 1575. La raccolta degli argenti è stata interamente studiata e restaurata; i risultati di questo lavoro sono stati pubblicati in un volume a cura di Dora Liscia Bemporad e Serena Pini, intitolato "Gli argenti del Palazzo Vecchio di Firenze. Dal Tesoro della Signoria al Museo", edito da Edifir Edizioni Firenze.
Le origini della raccolta, giunta miracolosamente fino ai nostri giorni, risalgono all'epoca repubblicana di Firenze, quando la città era governata dai Priori delle Arti e dal Gonfaloniere di Giustizia che risiedevano nell'odierno Palazzo Vecchio. I primi tre manufatti, esposti al centro della Sala della Cancelleria, sono i rarissimi esemplari superstiti dell'antico corredo per votazioni della Signoria di Firenze: un grande bossolo attribuito alla bottega di Lorenzo Ghiberti e datato intorno al 1420, formato da due coppe unite da un fusto e decorate da formelle smaltate con le insegne storiche di Firenze, i vessilli dei sedici gonfaloni in cui era suddivisa la città, quattro per ciascuno dei suoi antichi quartieri, e gli stemmi delle sette Arti maggiori e delle quattordici Arti minori; una bigoncia a forma di vaso con manico, del 1450 circa, nella quale ritornano gli emblemi della Città, del Popolo e del Comune di Firenze; un bacile o piatto settecentesco che però reca al centro un umbone con il giglio fiorentino ascrivibile alla metà del XV secolo.
Durante le votazioni delle magistrature cittadine, si faceva girare il bossolo nel quale, a pugno chiuso, veniva inserita una fava, nera per il voto favorevole, bianca per quello contrario. Le fave venivano poi riversate nella bigoncia e quindi nel bacile, dove venivano contate. Come attestano gli inventari quattrocenteschi del Palazzo della Signoria, il corredo per votazioni era allora conservato nella sagrestia della cappella di San Bernardo, sotto la custodia di frati, insieme alle suppellettili sacre, ai perduti argenti della mensa dei Priori e alle mazze che venivano usate per accompagnarli nelle loro uscite solenni.
Questi argenti e altri oggetti e documenti di grande valore identitario custoditi nella cappella e nell’annessa sagrestia costituivano il tesoro della Signoria. Dopo la caduta dell'ultima Repubblica, nel 1532, passarono in uso al Magistrato Supremo, istituito dal primo duca di Firenze, Alessandro de' Medici, in sostituzione della Signoria.
Altrettanto raro e da sempre conservato insieme agli argenti per votazioni, dai governi che si sono succeduti alla guida di Firenze, è l'ingente corredo di antiche mazze da mazziere e da comandatore, oggi scenograficamente esposto in altre due vetrine del nuovo allestimento della sala. I mazzieri e i comandatori facevano parte della cosiddetta Famiglia di Palazzo. In epoca comunale e repubblicana i mazzieri erano dodici, come le mazze in argento che le fonti quattrocentesche ricordano nella sagrestia della cappella dei Priori, vestivano di rosso e avevano il compito di fare le ambasciate della Signoria, radunare i cittadini e accompagnare le massime magistrature nelle loro uscite pubbliche.
Le dodici mazze che ci sono pervenute, in lamina di argento parzialmente dorata su anima in legno, con teste troncoconiche decorate dalle insegne di Firenze e dei rappresentanti del suo governo, risalgono all'epoca del principato mediceo, quando i mazzieri erano al servizio del Magistrato Supremo, salvo successivi parziali rifacimenti. Le sei più antiche sono ascrivibili al ducato di Alessandro de' Medici (1532-1537), di cui recano lo stemma nel disco delle teste, seminate di gigli di Francia, con scudi applicati, e originariamente decorate da smalti. Le rimanenti, con le teste lavorate a sbalzo e cesello, risalgono al periodo granducale, con datazioni comprese tra l'ultimo quarto del XVI e la metà del XVII secolo. Le mazze erano corredate di cordoni con nappe e venivano portate appoggiate su una spalla.
Le mazze da comandatori sono bacchette di legno rivestite di velluto rosso con tre ghiere di argento al centro e alle estremità, di cui quella superiore fregiata di stemmi. I comandatori in epoca repubblicana erano sette, deputati a stare all’ingresso della sala dell'Udienza e riportare le ambasciate a coloro che volevano parlare con la Signoria; ancora nel XVIII secolo, in numero inferiore, prestavano servizio per il Podestà, i Giudici di Ruota e il Magistrato Supremo, con il compito di invitarli alle funzioni pubbliche e farli accomodare ai loro posti. Il loro ruolo fu abolito nel 1784 dal granduca Pietro Leopoldo Asburgo-Lorena. Delle quattordici mazze da comandatore che ci sono pervenute, dodici sono settecentesche, riferibili al granducato lorenese, e due sono riproduzioni che il Comune fece realizzare nel secolo scorso per utilizzarle con funzioni diverse da quelle originarie.
La raccolta di mazze e argenti per votazioni oggi esposta nella Sala della Cancelleria venne ceduta alla Comunità di Firenze tre anni dopo la sua istituzione, quando nel 1784 questa fu incaricata dal granducato lorenese di provvedere ai bisogni del Magistrato Supremo. Dopo la soppressione di tale magistratura (1808), rimase in uso alla Comunità, seguendola nel suo trasferimento dal Palagio di Parte Guelfa al Palazzo Spini Feroni (1849), per tornare infine in Palazzo Vecchio quando l’amministrazione cittadina vi si insediò nel 1872.
Diversamente dai preziosi oggetti per votazioni, il cui uso è documentato fino all’ultimo decennio del XVIII secolo, le mazze, e in particolare quelle da mazziere, hanno continuato ad essere adoperate in numero variabile fino a tempi recenti, soprattutto a seguito dell'istituzione, nel 1902, della scorta d'onore in costumi quattrocenteschi, erede dell'antica Famiglia di Palazzo, che accompagna il Gonfalone del Comune di Firenze nelle sue uscite solenni.
Cultura
Napoli, al via G7 cultura: debutto per il neo ministro Giuli
Evento occasione di discutere di grandi rilevanza internazionale
Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, ha aperto oggi i lavori del G7 Cultura, nel Palazzo Reale di Napoli. Il neo ministro ha ricevuto le delegazioni della cultura dei sette grandi. Evento occasione di discutere di grandi rilevanza internazionale come intelligenza artificiale, protezione patrimonio culturale ucraino e altri.
Cultura
Cultura, a Palazzo Reale a Milano la mostra ‘Picasso....
Si sviluppa attorno al concetto di accoglienza la mostra ‘Picasso. Lo straniero’, ospitata da Palazzo Reale a Milano e visitabile dal 20 settembre 2024 fino al 2 febbraio 2025. Proprio nella sale del Palazzo che affaccia su Piazza Duomo distrutte dai bombardamenti, l’artista spagnolo volle esporre nel 1945 la sua Guernica, per denunciare l’orrore della guerra. Le sue opere tornano oggi nello stesso luogo con un’esposizione che vuole essere un richiamo alle contraddizioni della nostra società che ancora oggi, troppo spesso, rifiuta lo straniero e le diversità.
Cultura
Da domani fino a 2 febbraio apre al pubblico mostra...
A cinquant’anni dalla scomparsa, l’opera di Picasso è indagata e raccontata attraverso la lente del suo stato di immigrato, rifiutato, censurato dalla nazione che lo ha visto crescere e raggiungere il successo, la Francia
Da domani e fino al 2 febbraio 2025, Palazzo Reale presenta la mostra “Picasso lo straniero”. A cinquant’anni dalla scomparsa, l’opera di Picasso è indagata e raccontata attraverso la lente del suo stato di immigrato, rifiutato, censurato dalla nazione che lo ha visto crescere e raggiungere il successo, la Francia. Promossa dal Comune di Milano - Cultura, la mostra nasce dall’idea originale di Annie Cohen-Solal, autrice della biografia “Picasso lo straniero” e curatrice scientifica del progetto espositivo, ed è prodotta da Palazzo Reale con Marsilio Arte grazie alla collaborazione del Musée National Picasso-Paris (MNPP), principale prestatore, del Palais de la Porte Dorée, del Musée National de l’Histoire de l’Immigration e della Collection Musée Magnelli Musée de la céramique di Vallauris. La mostra si avvale anche della curatela speciale di Cécile Debray, presidente del Mnpp. "Picasso lo straniero" presenta più di 90 opere dell’artista, oltre a documenti, fotografie, lettere e video, provenienti dal Mnpp, dal Musée National de l’Histoire de l’Immigration di Parigi e dalla Collection Musée Magnelli Musée de la céramique di Vallauris: un progetto che apre ad ampie e attualissime riflessioni sui temi dell’accoglienza, dell’immigrazione e della relazione con l’altro. "Questo progetto rappresenta un’occasione straordinaria per riflettere non solo sull’opera di uno dei più grandi artisti del Novecento, ma anche sulle dinamiche storiche e sociali che hanno influenzato la sua vita e il suo percorso creativo - ha dichiarato l'assessore alla Cultura Tommaso Sacchi -. Milano, con la sua tradizione di accoglienza e apertura culturale, si conferma ancora una volta un centro internazionale in cui l’arte diventa strumento di dialogo e inclusione. L’approccio innovativo di questa esposizione ci invita a riscoprire Picasso sotto una nuova luce, quella dell’uomo, oltre che dell’artista, segnato dall’esperienza dell’essere straniero".
Nato nel 1881 a Malaga in Spagna, Picasso giunge per la prima volta a Parigi da Barcellona nell’ottobre 1900 in occasione dell’Esposizione Universale, senza conoscere una sola parola in francese. Nel 1901 viene schedato per sbaglio con il numero 74.664 come anarchico sottoposto a sorveglianza speciale. Nel 1904 si stabilisce definitivamente a Parigi, dove si affermerà come leader dell’avanguardia cubista. Nonostante la Francia diventi la sua casa e la sua fama cresca oltre i confini nazionali, l’artista non otterrà mai la cittadinanza francese. Durante la guerra civile in Spagna, l’artista realizza Guernica (1937), l’immensa tela destinata a diventare il vessillo universale della resistenza antifascista, così il 3 aprile 1940, temendo di essere in pericolo in un Paese in cui l’invasione nazista è imminente e lui è solo uno straniero non gradito, inoltra allo stato francese la domanda di naturalizzazione, che gli viene rifiutata. Risale al 1929 il gran rifiuto che il Louvre oppose alla donazione delle “Demoiselles d’Avignon” e così, fino al 1947, nelle collezioni pubbliche francesi erano presenti solo due opere di Picasso, nonostante la sua fama fosse affermata in tutto il mondo. Il clima di sospetto e di esclusione di cui fu vittima non gli impedì di stabilirsi nel 1955 nel sud della Francia, preferendo la provincia alla capitale e ancorandosi così definitivamente allo spazio mediterraneo al quale ha sempre appartenuto. Come ha fatto Picasso, in un secolo caratterizzato da così grandi turbolenze politiche, in un mondo dilaniato da nazionalismi di ogni specie, in un paese in cui gli apparati di sicurezza, le istituzioni museali e gran parte dell’ambiente artistico-culturale diffidavano di lui, a imporre le sue rivoluzioni estetiche? L’esposizione di Milano risponde a queste domande, al di là dell’aspetto puramente formalista dell’opera dell’artista: grazie a un approccio multidisciplinare e alla ricerca negli archivi della polizia francese, i curatori danno vita a un avvincente percorso nella vita e nell’opera di Pablo Picasso, con documenti inediti e opere mai viste prima in Italia.
Il percorso espositivo si snoda in ordine cronologico, dal 1900 al 1973, e le opere selezionate sono testimonianza della travagliata condizione di esule e straniero di Picasso in Francia, esperienza che ha che influenzato radicalmente la sua pratica artistica. Nel dipinto “La lettura della lettera” (1921), ad esempio, Picasso rappresenta sé stesso accanto a un amico, che potrebbe essere il poeta Guillaume Apollinaire o il poeta Max Jacob, oppure Georges Braque: ma ciò che emerge è l'importanza che l’artista - proprio a causa della fragilità della sua condizione di straniero - attribuisce ai legami e alle amicizie che ha costruito nel corso degli anni. Tre le oltre quaranta opere per la prima volta esposte in Italia - tra dipinti, disegni, sculture -, una piccola gouache “Gruppo di donne” del 1901: Picasso nei primi mesi a Parigi lavora moltissimo, eseguendo a tempo di record sessantaquattro opere che ci pongono di fronte a personaggi sconcertanti, ritratti con colori violenti, con ampi tocchi di rosso che spiccano come ferite. È il popolino di Parigi osservato nei bassifondi della città, nei caffè e nelle stradine di Montmartre, insieme al gruppo accogliente dei catalani del quale adesso anche Picasso fa parte. “Guardato con sospetto come straniero, uomo di sinistra, artista d’avanguardia, Picasso si destreggia con abilità e acume politico in un paese che poggia su due grandi istituzioni: la police des étrangers e l’Académie des beaux-arts, che tutelano ossessivamente la ‘purezza della nazione’ e il ‘buon gusto francese’ - racconta la curatrice -. Nella mia ricerca appare costantemente l'immagine di un Picasso vulnerabile e precario, perché sapeva di poter essere espulso in qualsiasi momento. Tuttavia, seppe navigare da grande stratega contro la xenofobia diffusa”. A Palazzo Te di Mantova è già aperta, fino al 6 gennaio 2025, la mostra “Picasso a Palazzo Te. Poesia e salvezza”, in dialogo con gli affreschi di Giulio Romano, che presenta circa 50 opere del Maestro simbolo del Novecento, tra disegni, documenti, sculture e dipinti, alcuni eccezionalmente esposti in Italia per la prima volta. Entrambi i progetti nascono dalla collaborazione con il MNNP e sono curati da Annie Cohen-Solal. Con il biglietto di ingresso della mostra a Milano i visitatori potranno accedere alla mostra di Mantova con il biglietto ridotto e viceversa.