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‘Caravaggio. La verità della luce’ in mostra a Catania

L'esposizione presenta alcuni capolavori che scandiscono il percorso artistico di Michelangelo Merisi, dalla formazione in Lombardia all’affermazione a Roma e Napoli, fino agli ultimi anni della sua tragica esistenza. E promette un'immersione nel fenomeno del 'caravaggismo'

'Caravaggio. La verità della luce' in mostra a Catania

In mostra, per la prima volta in Sicilia, alcuni capolavori del Caravaggio che scandiscono il suo percorso artistico dalla formazione in Lombardia all’affermazione a Roma e Napoli, fino agli ultimi anni della sua tragica esistenza. E' 'Caravaggio. La verità della luce', l'esposizione, appena inaugurata e aperta fino al 6 ottobre, patrocinata dal ministero della Cultura, dalla presidenza della Commissione Cultura della Camera, dall'Assemblea Regionale Siciliana, dalla Regione Siciliana, dalla Città Metropolitana di Catania, prodotta e organizzata da Associazione MetaMorfosi in collaborazione con Demetra Promotion e curata da Pierluigi Carofano. La mostra sarà anche l’occasione per inaugurare lo spazio museale della Pinacoteca presso l’ex Monastero Santa Chiara, restituita alla città dopo l’intervento di riqualificazione, con uno straordinario recupero architettonico, operato con fondi comunitari dall’assessorato ai Lavori pubblici e Politiche comunitarie, retto da Sergio Parisi.

La mostra presenta un percorso espositivo ricco di 36 dipinti, permettendo inoltre al visitatore di percorrere un viaggio completo nel fenomeno del 'caravaggismo' con una ricca selezione di opere di Orazio Gentileschi, Guercino, Annibale e Ludovico Carracci, Simone Peterzano, Cavalier d’Arpino, Mattia Preti, Luca Giordano Giovanni Baglione, Fede Galizia e Orsola Maddalena Caccia e molti altri per i quali Caravaggio è stato il promotore di un grande cambiamento stilistico e culturale. "L’esposizione - spiega il curatore Pierluigi Carofano - si propone un duplice obiettivo: proporre al grande pubblico una selezione di opere di Caravaggio, dalla sua formazione milanese alla sua piena affermazione sino agli ultimi tempi della sua breve vita, arricchita dal confronto con artisti suoi contemporanei; e nuove riflessioni sullo stile e sul significato delle opere di Caravaggio (e dei caravaggeschi) rivolte nello specifico alla comunità scientifica attraverso lo strumento del catalogo". In mostra tre dipinti autografi del Caravaggio: 'Il ragazzo morso da un ramarro', il 'San Sebastiano' e 'Il Cavadenti'.

La mostra indaga inoltre il rapporto tra Caravaggio e i cosiddetti 'caravaggeschi', straordinario fenomeno artistico che, come conferma la mostra, ebbe anche caratteristiche internazionali, ma complessivamente di breve durata. Morto Caravaggio nel 1610, infatti, durò ancora soltanto una ventina d'anni grazie ad artisti che ancora per qualche tempo dipinsero adottando registri diversi a seconda della committenza, come ben testimoniano in mostra le opere di Luca Giordano e Mattia Preti. Ma per ricordare la resistenza di questo fenomeno all'interno di una rivoluzione travolgente quale fu l'affermazione del barocco, la mostra si chiude proprio con due opere di Jusepe de Ribera, San Girolamo e la tromba del giudizio e Il Profeta che ne testimonia appunto la longevità.

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Cultura

A Ravenna a Palazzo Guiccioli apre Museo Byron

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Oltre 2mila metri quadrati di una storica residenza dove abitò con l'amante, contessa Teresa Guiccioli. Grazie a un'importante opera di restauro, per iniziativa della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, tornano a rivivere le stanze dove Byron amò e scrisse ( 'Don Juan', l’ultimo canto del 'Childe Harold’s Pilgrimage', 'Marino Faliero', 'Sardanapalus', 'The Two Foscari', 'The Prophecy of Dante'), mentre l’experience interattiva e intermediale trasporta i visitatori nell’Ottocento ravennate

Lord Byron - (Foto Emanuele Rambaldi)

Riparte da Ravenna la storia del poeta-simbolo del Romanticismo con l’inaugurazione, il prossimo 29 novembre, del Museo Byron e del Risorgimento nella sede di Palazzo Guiccioli. L'imponente dimora storica è stata trasformata in un complesso museale in cui, su due piani e attraverso 2mila e 220 metri quadri e ventiquattro sale, si riannodano i fili del lungo soggiorno di Byron in città, l'amore che lo legò alla contessa Teresa Guiccioli, che guidò l’esule inglese a Ravenna, e la passione civile germogliata all’incontro con la Carboneria. Primo passo sulla strada che avrebbe portato il grande poeta a votarsi alla causa della libertà dei popoli e unirsi agli indipendentisti greci.

Grazie a un'importante opera di restauro, per iniziativa della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, tornano a rivivere le stanze dove Byron amò e scrisse (qui compose, fra gli altri, il 'Don Juan', l’ultimo canto del 'Childe Harold’s Pilgrimage', 'Marino Faliero', 'Sardanapalus', 'The Two Foscari', 'The Prophecy of Dante'), mentre l’experience interattiva e intermediale firmata da Studio Azzurro trasporta i visitatori nell’Ottocento ravennate, specchio di slanci poetici e patriottici che percorsero tutta l’Europa. Accanto ai memorabilia sentimentali di Teresa, edizioni pregiate e cimeli risorgimentali, inclusi quelli provenienti dalla Fondazione Spadolini Nuova Antologia e dalla Fondazione Bettino Craxi, Palazzo Guiccioli ospita anche il Museo delle Bambole - Collezione Graziella Gardini Pasini. Il Palazzo è inoltre diventato sede italiana della Byron Society.

"Romana, bizantina, ostrogota, dantesca… dei molti volti di Ravenna, forse la Ravenna ottocentesca è quella che fino a oggi ha trovato meno spazio nella biografia della Città – spiega Ernesto Giuseppe Alfieri della Italian Byron Society e della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, che ha curato l'iniziativa della 'svolta' museale di Palazzo Guiccioli - Con l’inaugurazione del complesso museale offriamo ai visitatori la possibilità di ‘camminare’ attraverso quel secolo, sulle tracce di Lord Byron, di Teresa Gamba Guiccioli e degli uomini e delle donne che sognarono e fecero l’Italia unita".

"L’amore per Teresa portò Byron a trasformarsi e, senza diventare un santo, cambiò vita. Andava a cavalcare nella foresta pinetale a Ravenna e qui incontrava i Carbonari che lo salutavano in dialetto ma dicevano di essere ‘americani’ – spiega il presidente della Cassa di Ravenna Antonio Patuelli – Non lo erano ovviamente, ma lui, incuriosito da questa stranezza, approfondì la conoscenza fino ad aiutare quel movimento che fu la prima semina del Risorgimento dopo il Congresso di Vienna, per quel raccolto che si sarebbe realizzato poi con Mazzini, Garibaldi e Cavour. In Palazzo Guiccioli - aggiunge- si coniugano un’esigenza e un sogno. L’esigenza era quella del Comune, che aveva ereditato il Palazzo, di destinarlo a un uso adeguato, il sogno era quello nostro di vederlo dedicato al suo più illustre abitante".

"Una nuova pagina della storia di Ravenna racchiusa in un gioiello architettonico nel cuore della città - sottolinea Michele de Pascale, sindaco di Ravenna – che offrirà a cittadini e turisti un’occasione imperdibile per conoscere e scoprire l’unico museo al mondo dedicato alla figura di Lord Byron, il museo del Risorgimento e il museo delle Bambole-Collezione Graziella Gardini Pasini".

Dimora nobiliare fra le più imponenti ed eleganti della città, nel cuore della città, Palazzo Guiccioli fu eretto a fine Seicento per l’ascesa al patriziato della famiglia Osio, all’alba dell’Ottocento fu acquisito da Alessandro Guiccioli. Byron vi soggiornò fra il 1819 e il 1821 (aveva seguito a Ravenna l’amata Teresa Gamba, moglie del Conte Alessandro, di quarant’anni più anziano), durante la sua permanenza giunse in visita Percy Shelley. Più tardi vi soggiornò anche Oscar Wilde.

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Cultura

Morta Adele Corradi, ‘la professoressa diversa’...

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Aveva 99 anni. Aiutò il sacerdote negli anni difficili e avvincenti della Scuola di Barbiana

Don Milani e i ragazzi di Barbiana - Fotogramma /Ipa

Adele Corradi, la professoressa che dal 1963 aiutò don Lorenzo Milani a fare scuola nel piccolo borgo di Barbiana, nel comune di Vicchio del Mugello (Firenze) fino 1967, anno della scomparsa del sacerdote, è morta questa mattina all'età di 99 anni a Firenze, dove era nata il 9 dicembre 1924. Corradi seguì anche l'intero lavoro di redazione collettiva del volume "Lettera a una professoressa", firmato come Scuola di Barbiana. Sulla sua esperienza e conoscenza di don Milani, negli anni più difficili e avvincenti della Scuola, Corradi, che per tutta la vita lavorativa è stata insegnante di scuola media fino all'età di 67 anni, ha pubblicato il libro "Non so se don Lorenzo" (Feltrinelli, 2012). Era "la professoressa diversa da tutte le altre", a cui don Milani dedicò una copia della più celebre delle sue lettere.

L'annuncio della scomparsa è stato dato dalla Fondazione don Lorenzo Milani con un comunicato sul proprio sito internet: "Ci stringiamo intorno al dolore della grande famiglia del priore di Barbiana e di quanti hanno voluto bene ad Adele, consigliera ed anche per noi maestra". "Adele Corradi ha voluto bene al suo priore ed ha passato tutta la sua esistenza a difenderlo dalle periodiche accuse, a fare conoscere il suo insegnamento e la sua scuola", aggiunge la Fondazione.

Nel suo libro "Non so se don Lorenzo" si legge a tal proposito: "A me pare orribilmente offensivo anche soltanto tentare di difenderlo. Don Milani si difende da solo. Con tutto quello che ha fatto. E con tutto quello che ha scritto. Ma bisogna leggerlo tutt’intero, non limitarsi a estrapolare una frasetta interpretandola a vanvera. Leggendo il suo testamento, si comprende che per don Lorenzo l’amore di Dio si potesse vedere solo attraverso l’amore per le sue creature. A Barbiana si viveva nell’attenzione: don Lorenzo i suoi ragazzi non li perdeva mai di vista. E, nonostante la fortissima personalità del maestro, non si creava mai dipendenza psicologica".

Adele Corradi ha raccontato: "Mi diedero una supplenza, la prima supplenza della scuola statale, per l'appunto a Borgo San Lorenzo. La preside mi parlò di questa scuola di Barbiana, dove i ragazzi facevano cose straordinarie: studiavano, facevano orario continuato". Così ebbe il desiderio di visitare quella scuola e quando arrivò per la prima volta a Barbiana, don Milani, come sempre il pomeriggio, iniziò la lezione con la lettura del giornale. "Volevo conoscere questa scuola perché ero lì a combattere con ragazzi che non avevano voglia di far nulla e mi chiedevo: come fa questo tizio a ottenere questi risultati, ha qualche ricetta? Un mese dopo ci tornai. Arrivai che stavano facendo lezione e mi misi seduta ad ascoltare. Mezz'ora dopo, i ragazzi facevano dieci minuti di pausa. Don Milani mi disse: 'Ha qualche ragione particolare, signora, per essere ritornata oggi?' 'Sì' - dissi - 'vi volevo chiedere come fate a insegnare a scrivere l'italiano' - perché in un articolo avevo letto: 'nella nostra scuola si scrive quando siamo ispirati. Non insegna nessuno'".

Così Adele chiese aiuto a don Milani e lui gli rispose che proprio quel giorno avrebbero iniziato un metodo di scrittura che sarebbe servito a qualcosa: "Stavano iniziando la lettera a Mario Lodi. Nella lettera dei ragazzi si descrive cos'è Barbiana. In quella di don Milani si spiega com’era stata scritta". Adele cominciò a seguire la scuola di Barbiana e don Milani però volle farle capire che non era importante solo il metodo. "Una delle cose che si imparavano era la scrittura collettiva, che rispettava il pensiero degli altri. E così sono rimasta a Barbiana". Infatti, poco dopo, si trasferì in una casa vicino alla parrocchia. La mattina la passava nella scuola media di Borgo San Lorenzo e la sera insegnava a Barbiana.

Di sé stessa Corradi aveva detto: "Per tutta la mia vita lavorativa sono stata insegnante di lettere nella scuola media. Sono andata in pensione a 67 anni. Devo confessare che ero un'insegnante identica alla destinataria della 'Lettera ad una professoressa'. I rimproveri che i ragazzi di Barbiana rivolgono a quell'insegnante me li meritavo tutti. Per questo non c'è una parola della 'Lettera' che non sottoscriverei. L'incontro con la Scuola di Barbiana e con don Milani ha scavato un solco nella mia vita. Mi sono vista come non mi ero mai vista. E non solo come insegnante, ma come persona". (di Paolo Martini)

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Cultura

ASP —Massimiliano Ossini: “Sul K2 ho capito il...

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Il conduttore racconta la sua scalata della 'montagna selvaggia' nel suo ultimo libro

Massimiliano Ossini

Un'esperienza al limite della sopravvivenza. Un viaggio duro, difficile, pericoloso. Una scalata che mette alla prova la capacità di resistere. Un'avventura da mozzare il fiato che, però, ha molto da insegnare e che nasconde un messaggio prezioso. Ovvero che, nella vita di tutti i giorni così come nelle prove più estreme, è necessario a volte rinunciare a compiere quel passo in più che "potrebbe essere fatale" e fermarsi. È l'insegnamento che Massimiliano Ossini, volto noto del piccolo schermo, ha tratto dalla 'prova impossibile' cui si è dedicato nello scorso mese di luglio: documentare in prima persona la spedizione di alcune alpiniste italiane e pakistane che hanno scelto di sfidare gli 8.611 metri della seconda montagna della Terra, il K2. Un'esperienza che il conduttore di 'Unomattina' su Rai 1 e ora concorrente di 'Ballando con le Stelle' descrive nel libro 'K2. Un passo dalla vetta, un passo dalla vita', pubblicato da Rai Libri e sugli scaffali da pochi giorni.

Questa esperienza, racconta Ossini all'AdnKronos, insegna il valore "di saper rinunciare e di fermarsi in qualsiasi situazione: in una scalata in montagna o nella vita di tutti i giorni. I social vorrebbero che fossimo i primi in tutto, in tutte le situazioni, a scuola o al lavoro. Ci vorrebbero tutti supereroi, stravolgendo la realtà. Ecco, durante questo viaggio, abbiamo capito sulla nostra pelle quanto sia importante la rinuncia che non è sinonimo di sconfitta ma di intelligenza". Ossini ricorda, a questo proposito: "Io sono stato benissimo, non ho avuto problemi ma ho deciso di arrivare al 75% delle mie potenzialità, tornando indietro. C'erano tante persone che mi aspettavano a casa e non volevo neanche mettere a rischio il gruppo con cui ho fatto l'impresa. Ho deciso di fermarmi ad un passo dalla vetta".

A settant’anni dalla storica prima ascensione del K2, Ossini si è confrontato con 'la Montagna Selvaggia', come viene definito il K2. "Ho accompagnato - dice - otto donne, quattro ragazze italiane e quattro pakistane. Per la prima volta al mondo due Paesi hanno celebrato i settant'anni dalla prima ascesa sul K2. Abbiamo voluto portare in cima i padroni di casa, le quattro pakistane insieme alle ragazze italiane, ricordando i primi che salirono su quella vetta: gli alpinisti Achille Compagnoni e Lino Lacedelli che compirono l'impresa nel 1954 con l'aiuto fondamentale di Walter Bonatti. È stato - prosegue Ossini - un viaggio molto fisico: è una delle esperienze più difficili al limite della sopravvivenza. Purtroppo, nel corso della spedizione, ci sono state delle persone che non ce l'hanno fatta, altre si sono dovute ritirare perché hanno avuto edemi polmonari e cerebrali".

La scalata del K2, infatti, non è stata accompagnata soltanto da disagi improponibili ma anche, e soprattutto, da tragedie che hanno scandito la lenta e faticosa ascesa verso la vetta. "Un ragazzo, un portatore, purtroppo è morto. Ha avuto un edema cerebrale. È uscito dalla tenda, ed è morto per ipotermia". Non solo: "Tra le pakistane c'era Samira che aveva già raggiunto per quattro volte gli ottomila metri. Nel corso della spedizione, arrivati al campo base è stata male. Ha avuto anche lei un edema polmonare ed è stata accompagnata d'urgenza al primo villaggio con un asino e la bombola d'ossigeno facendo 60 chilometri. Due giapponesi, che avevano una tenda accanto alla nostra, stavano provando a raggiungere la cima dalla parte occidentale. Purtroppo sono caduti ed entrambi sono morti".

D'altro canto, conclude Ossini, è stata anche una prova "psicologica: abbiamo vissuto per un mese facendo 190 chilometri. Abbiamo dormito sempre in tenda, non ci potevamo fare la doccia. L'unico momento in cui si stava insieme al caldo era quando eravamo vicino al fornello a cucinare". Un'avventura, afferma il conduttore, durante la quale "ci siamo spogliati di tutto, lasciando a casa tutti gli orpelli della vita quotidiana".(di Carlo Roma)

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