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Succede ad Andrea Prencipe, giunto alla scadenza del suo secondo mandato

Luiss, il CdA nomina Paolo Boccardelli nuovo Rettore

E' Paolo Boccardelli il nuovo rettore della Luiss. Lo ha nominato il Consiglio di Amministrazione dell'Università Guido Carli, su proposta del Presidente Luigi Gubitosi, a decorrere dal prossimo 26 giugno. Paolo Boccardelli succede ad Andrea Prencipe, giunto alla scadenza del suo secondo mandato. Il nuovo Rettore guiderà la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali per il triennio 2024/2027. Boccardelli, 52 anni, romano e Alumnus dell’Ateneo, vanta una importante esperienza di insegnamento e ricerca accademica. Attualmente, è Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese e Strategie di Impresa e dirige il Centro di Ricerca in Strategic Change “Franco Fontana” alla Luiss. In precedenza, è stato Direttore della Luiss Business School.

“Con la nomina del Prof. Paolo Boccardelli, la Luiss Guido Carli rinnova il proprio impegno verso l'eccellenza accademica, preparandosi ad affrontare le sfide future che attendono il mondo dell’alta formazione”, ha dichiarato Gubitosi, che ha poi ricordato come “Andrea Prencipe lascia un'eredità preziosa alla nostra Università, con significativi progressi nell'internazionalizzazione e nella ricerca. Durante il suo mandato, l'Ateneo è diventato un punto di riferimento a livello globale, capace di attrarre un numero sempre crescente di docenti e studenti internazionali, siglando accordi con 360 istituzioni accademiche tra le più importanti al mondo e lanciando 69 programmi di doppia e tripla laurea. Una strategia che intendiamo rafforzare nei prossimi anni anche grazie allo stretto rapporto con il nostro azionista”.

Negli ultimi sei anni - si sottolinea in una nota - "la didattica e la ricerca hanno continuato a essere pilastri fondamentali per la Luiss, con un costante focus sull'innovazione e l’interdisciplinarità dell'offerta formativa e un'intensa attività di osservatori e centri di ricerca, cresciuti in numero e rilievo accademico". L’Università ha, infatti, scalato le più importanti classifiche internazionali dell’alta formazione, confermandosi tra le migliori 20 al mondo e prima in Italia per gli Studi Politici e Internazionali secondo l’indagine QS World University Ranking by Subject 2024 e conquistando il 30° posto globale per la Laurea Magistrale in “Management” nell’ultimo ranking del Financial Times (era al 90° nel 2019).

L’Ateneo, promosso da Confindustria, ha consolidato, inoltre, il rapporto con il proprio ecosistema di riferimento, a partire dai partner istituzionali, dal mondo delle imprese e dal network degli Alumni. La rilevanza e l'influenza della Faculty è arricchita dal contributo e dall’esperienza di manager e professionisti provenienti da aziende, multinazionali, studi legali e pubblica amministrazione. Un legame diretto con il mercato del lavoro, dove il 96% dei laureati Luiss trova un’occupazione entro i primi dodici mesi dal conseguimento del titolo.

Andrea Prencipe, nell’esprimere gratitudine ai Vertici e all’Accademia, ha affermato: “Sono molto contento e pienamente soddisfatto dei risultati raggiunti dalla Luiss in termini di internazionalizzazione, interdisciplinarità ed innovazione. Auguro un buon lavoro al professor Paolo Boccardelli. Sono certo che, insieme alla nuova squadra dell’Università, saprà guidare l'Ateneo con continuità con l’obiettivo di consolidare i risultati raggiunti”.

Il nuovo Rettore ha spiegato che "per me un grande onore accettare questo incarico, per il quale ringrazio il Presidente e l'intero Consiglio di Amministrazione. Luiss è stata ed è un pezzo importante della mia vita e raccolgo con profondo senso di responsabilità ed emozione questo incarico. Ringrazio Andrea Prencipe per la passione e determinazione profuse in questi anni nello sviluppo del nostro Ateneo, confermato dalla crescita nei ranking internazionali". "Nel raccogliere il testimone - conclude Boccardelli - mi impegnerò a rafforzare ulteriormente il ruolo e il prestigio della Luiss in Italia e all'estero, in stretta collaborazione con i miei colleghi, i vertici dell’Ateneo e di Confindustria, ben consapevole del grande ruolo che la Luiss svolge come istituzione di questo Paese nella selezione e sviluppo della classe dirigente”.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Economia

Alberi monumentali, se ne contano 4.655 in Italia

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Il Masaf ha pubblicato l'elenco aggiornato e completo sul suo sito

Il ficus radicato nell’Orto botanico di Palermo con una chioma dal diametro di circa 50 metri. (foto Masaf)

Il ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste ha reso disponibile sul proprio sito l'Elenco aggiornato degli alberi monumentali d'Italia. Nel 2024, vengono inseriti 404 nuovi esemplari, mentre 37 alberi sono stati esclusi dall'elenco per morte naturale, abbattimento o elevato deperimento strutturale e fisiologico. Con queste modifiche, il numero totale di alberi o sistemi omogenei di alberi protetti e valorizzati sale a 4.655 unità.

Si tratta di alberi secolari che si distinguono per il loro valore biologico ed ecologico, storico e culturale, oltre che per la loro rarità e il ruolo che svolgono come habitat per alcuni animali. Le specie arboree monumentali più numerose sono la roverella (614 esemplari) e il faggio (243 esemplari). Le regioni con il maggiore numero di alberi monumentali sono il Friuli - Venezia Giulia (511 esemplari), la Lombardia (431) e la Sardegna (426 esemplari); i Comuni d'Italia dove è stato censito il maggior numero di patriarchi verdi sono Napoli (53 alberi), Caserta (51 alberi), Trieste e Priverno (48 alberi).

Tra i vari alberi monumentali italiani si segnala il ficus radicato nell’Orto botanico di Palermo con una chioma dal diametro di circa 50 metri (vedi foto) che è stato eletto albero italiano dell’anno 2022 ed è l’albero più grande d’Europa. È un Albero monumentale d’Italia di circa 200 anni di età, avente numerosissime radici aeree e tabulari, lunghi rami, folta chioma e da solo forma un boschetto che ospita vari uccelli, rettili e insetti. E poi un altro maestoso patriarca, eletto albero italiano dell’anno 2021, con i suoi circa 4.000 anni di età è il castagno dei cento cavalli radicato nel comune di Sant’Alfio, in provincia di Catania. E' uno degli alberi più vecchi d’Europa e con la circonferenza di 11 metri del suo tronco principale è uno degli alberi più grandi del mondo. Per immaginare la sua dimensione basta ricordare la leggenda che dà il nome a questo albero che narra della regina Giovanna d’Aragona che, sorpresa da un temporale durante una battuta di caccia, si rifugiò con il suo seguito di cento cavalieri e dame sotto le fronde di questo maestoso castagno.

Tra i nuovi aggiunti all'Elenco ufficiale troviamo per il suo valore ecologico, la sua età di circa 900 anni e la sua rarità botanica, il castagno nel comune di Grosio (So); il balga, situato presso l'Orto Botanico della Reggia Borbonica di Portici (Na), è una pianta originaria dell'Australia, con un'età superiore ai 200 anni, nota per la sua crescita estremamente lenta. C'è anche l'olivastro di Castelsardo (Ss), che può ospitare fino a 200 persone sotto la sua chioma, e il leccio di Bagno a Ripoli (Fi), si distingue per la sua chioma ampia e il portamento elegante. L'Elenco ufficiale degli alberi monumentali d'Italia è frutto di un'intensa attività di catalogazione realizzata, in modo coordinato e sinergico, dalla Direzione generale delle foreste del Masaf, dai Corpi e Servizi forestali regionali e delle Province autonome e dai Comuni.

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Economia

Elezioni Usa, dalla guerra dei dazi alle spese militari:...

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Gli economisti all’AdnKronos: la spinta protezionistica di Trump potrebbe mettere in difficoltà l’industria americana e creare frizioni nel triangolo commerciale Ue-Usa-Cina. Sul Welfare si prospettano forti tagli al welfare a beneficio della difesa, penalizzando la working class

Donald Trump

La guerra dei dazi, i rapporti commerciali con la Cina e le implicazioni che si celano per l’Europa, l’aumento della spesa militare e i tagli a quella sociale, il futuro dell’Ucraina nel lungo conflitto con la Russia di Putin. La vittoria di Donald Trump nell'infuocata corsa alla Casa Bianca contro Kamala Harris porta con sé una serie di sfide, rischi e interrogativi sulla direzione delle politiche economiche e industriali non solo americane, ma globali, che mettono sul chi vive governi e istituzioni, economisti e studiosi, che cercano di prevedere che forma avrà la seconda era della ‘Trumpeconomics’.

I Dazi, lo spettro della guerra delle tariffe

Dopo una campagna elettorale ''aggressiva'', fatta di annunci reboanti di aumenti delle tariffe fino al 60% sulle merci cinesi e dal 10 al 20% per tutti gli altri paesi importatori, ora il tycoon dovrà effettivamente concretizzare le 'minacce' - rivolte soprattutto a Pechino - dei mesi passati. Ma bisogna fare i conti con gli industriali americani: ''Se la 'bomba dazi' esplode, Trump si ritroverà l'industria contro. Alla fine, dovrà abbassare la guardia'', spiega all'AdnKronos Edoardo Reviglio, docente di economia e presidente dell'International University College di Torino, già capo economista di Cassa Depositi e Prestiti e attualmente visiting professor a Yale. L'industria Usa, operando in un mondo ancora globale e interconnesso, potrebbe accusare pesantemente l'annunciato incremento, rendendo il reshoring “possibile ma solo parzialmente, perché una politica di tariffe aggressive metterebbe l'industria americana in difficoltà'', precisa Reviglio, ipotizzando un dietrofront o quantomeno una attenuazione dello scenario prospettato in campagna elettorale.

Una spinta protezionistica, quella dell'amministrazione Trump, destinata ad investire anche l’Europa, osserva inoltre Domenico Lombardi, direttore del Policy Observatory e docente di economia alla Luiss Guido Carli di Roma. Se infatti da un lato porterà a delle frizioni nel 'triangolo' commerciale Ue-Usa-Cina, dall'altro costringerà l'Unione a porsi ''delle domande impellenti sul proprio futuro, accelerando processi di integrazione già in atto'' sia sul fronte commerciale che su quello della difesa. Nonostante le politiche protezionistiche in Usa siano ormai bipartisan, il neoeletto presidente ''utilizzerà i dazi in modo proattivo, rimodulandoli come strumento di pressione - anche sugli alleati - e come leva di sostegno alla proiezione geopolitica di Washington nel mondo'', e questo ''porterà a contenziosi''. Se gli States chiudono la porta, Pechino virerà verso l'Europa e così si arriverà a ''un inevitabile elemento di tensione: l'America farà pressione sull'Ue perché si uniformi alle sue regole di ingaggio, cercando di comprimerne l'autonomia strategica, mentre la Cina cercherà di inglobarla nella sua sfera di interessi, generando un cortocircuito di cui l'Ue subirà le implicazioni'', avverte Lombardi. Ma c'è un altro lato della medaglia. ''Con Trump - ha affermato il direttore - si accelereranno certe dinamiche in atto in Ue”, costringendo l'Europa a porsi finalmente “come soggetto politico”, sia per l'evoluzione delle politiche commerciali di americane e cinesi, sia sul piano della difesa, perché “gli spazi per la spesa militare nella finanza pubblica - dei Paesi Nato ndr – cresceranno”, comportando la necessità di “più sinergie e condivisione per un'efficace difesa dei confini regionali, un maggiore sforzo per armonizzare i meccanismi di coordinamento''.

Welfare, addio alla Bideneconomics

Meno tasse per i ricchi e deficit che sale, una significativa sforbiciata alla spesa sociale a beneficio di quella militare, lasciando 'guasto' l'ascensore sociale americano che da oltre quarant'anni ha smesso di funzionare. L'arrivo di The Donald a Washington segna anche l'addio alla 'Bideneconomics', con cui l'ormai ex presidente degli Stati Uniti Joe Biden si era riproposto di sanare le fratture sociali interne al Paese. Ma sono proprio i destinatari di quelle politiche - la working class che dà corpo alla 'pancia' degli States - ad aver scelto il tycoon: ''Non hanno capito che votando Trump hanno votato contro loro stessi, dandosi la zappa sui piedi'', evidenzia ancora Edoardo Reviglio. La debolezza della classe media ha radici antiche che sommano quattro decadi di tagli al welfare - dalla sanità ai fondi per i college pubblici - fino ad arrivare all'oggi in cui ''il 70% della società Usa, in larga parte composta peraltro da bianchi, ha difficoltà a mandare i propri figli al college, permettendogli così di 'salire' in una fascia sociale più alta'', ha spiegato. Per uscire da questo stallo servirebbero ''misure strutturali da 80-100 miliardi di dollari l'anno''. Nel corso del suo mandato, Biden aveva tentato di arrivare ad una ''società meno divisa'', sia con l'Infrastructure Investment and Jobs Act, che includeva programmi di sostegno alla scuola, all'università, agli ammortizzatori sociali e alla crescita dei salari (poi sensibilmente ridotti nel passaggio tra Senato e Congresso, con l'altolà delle grandi lobby), ha ricordato il docente di economia. Ma ora ''non è certo che, con Trump, queste misure strutturali proseguano''. Anzi, una svolta sul fronte fiscale, con il taglio delle tasse prospettato dal nuovo presidente, potrebbe causare un ''problema fiscale che rischia di mettere l'economia in sofferenza, riducendo così i margini di spesa''.

L’Ucraina, la ‘terza prova’ dell’Ue

Infine, il dossier Ucraina, "la terza prova" per l'Ue dopo il primo mandato del tycoon e l'invasione russa, come la definisce Daniel Gros, direttore del Ceps, think tank con sede nella capitale belga, che si dice però scettico sulla capacità di Bruxelles di fare quanto serve. “La prima prova è stato il primo mandato di Donald Trump, che l'Ue ha gestito abbastanza bene con Jean-Claude Juncker. Nel complesso non è successo nulla di grave. La seconda prova per l'Europa è stata l'invasione russa dell'Ucraina. In quel caso la reazione è stata molto forte per gli standard del passato remoto, ma insoddisfacente per come si è sviluppata la situazione". Adesso "si accavallano due sfide: Vladimir Putin e Donald Trump. Magari l'Ue farà meglio delle aspettative, ma dubito che faccia quello che è necessario". Per Gros "naturalmente" c'è il rischio che ora Kiev si trovi costretta a negoziare con Mosca privata degli aiuti militari Usa, quindi in posizione di debolezza di fronte alla Russia di Putin: potrebbe ripetersi, come è stato scritto, la dinamica che portò la Russia bolscevica a chiudere con gli Imperi Centrali la pace di Brest-Litovsk nel marzo 1918. L'esercito sovietico era in rotta: al tavolo negoziale, ogni volta che i russi si opponevano ad una richiesta della Germania, i tedeschi attaccavano, e Mosca non poteva fare altro che cedere. La pace fu chiusa da Lenin e Trotzky al prezzo di cospicue cessioni territoriali. (Di Martina Regis)

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Economia

Canone Rai, cartelle e rottamazione: le ipotesi sul tavolo

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Sono 382 i progetti di modifica depositati

Sede Rai (Fotogramma)

Dal taglio del canone Rai alle possibile riapertura della rottamazione Quater fino alla alla riduzione dello stock dei crediti fiscali inesigibili. Sono queste, a quanto apprende l'Adnkronos, alcune misure proposte in alcuni emendamenti al decreto fiscale, collegato alla manovra in esame in commissione Bilancio al Senato. In tutto sono 382 i progetti di modifica depositati dalle forze politiche. Le inammissibilità saranno comunicate il 12 novembre con l'obiettivo di approvare il decreto in prima lettura al Senato e convertirlo in legge entro il 18 dicembre. Contestualmente alla Camera è in corso l'iter della manovra.

L'emendamento della Lega

La Lega ha annunciato un emendamento per riportare il canone Rai a 70 euro dai 90 euro, reintrodotti con la legge di Bilancio. Un altro emendamento, annunciato dal presidente della commissione Finanze Massimo Garavaglia, punta a recuperare parte del magazzino di crediti inesigibili da 1.247 miliardi di euro, appartenenti a soggetti falliti o deceduti. L'ipotesi iniziale (ma bisognerà vedere la versione finale dell'emendamento) sarebbe quella di riproporre la cartolarizzazione dei crediti da affidare a un soggetto pubblico. Un decreto ministeriale, firmato dal ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, ha istituito intanto una commissione ad hoc, chiamata a titolo gratuito a definire gli indirizzi per cancellare i vecchi crediti non riscossi.

Riapertura della rottamazione Quater?

Altre ipotesi sul fronte fiscale allo studio prevedono la riapertura dei termini della rottamazione Quater che finora interessa i carichi, affidati alla riscossione entro il 30 giugno 2022. Si tratterebbe di una sanatoria de facto per chi non è riuscito a onorare il pagamento di tutte le rate che eventualmente potrebbe trovare spazio tra gli emendamenti del dl fiscale o alla manovra. C'è attesa, infine, per una possibile riapertura dei termini per aderire al concordato preventivo, scaduti il 31 ottobre scorso con un incasso di circa 1,3 miliardi di euro. La scadenza potrebbe essere prorogata al 15 dicembre con un decreto ad hoc.

Il costo del mancato taglio del canone Rai

Il mancato taglio del canone Rai, denuncia il Codacons, costerebbe alle famiglie italiane tra i 420 e i 430 milioni di euro nel 2025. Il canone di abbonamento alla televisione, ricorda l'associazione in una nota, è dovuto da chiunque abbia un apparecchio televisivo, e dal 2016 è stata introdotta la presunzione di detenzione dello stesso apparecchio nel caso in cui esista un’utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui una persona ha la propria residenza anagrafica.

I titolari di utenza elettrica per uso domestico residenziale sono, quindi, tenuti al pagamento del canone mediante addebito nella fattura della luce, spiega il Codacons. Prima dello sconto da 90 a 70 euro, il canone Rai generava introiti per circa 1,9 miliardi di euro annui: questo significa che, in caso di mancata proroga del taglio, le famiglie italiane a partire dal 2025 dovranno mettere in conto una maggiore spesa complessiva tra i 420 e i 430 milioni annui a titolo di canone. “Riteniamo tuttavia che i tempi siano oramai maturi per procedere ad una abolizione totale del canone Rai, considerato il nuovo scenario del mercato televisivo italiano e la possibilità per la Rai di concorrere ad armi pari con le altre reti attraverso la raccolta pubblicitaria”, conclude il presidente, Carlo Rienzi.

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