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Niente aborto nelle conclusioni del G7. Questo è lo scenario più plausibile oggi, all’inizio del summit. Aborto sì o aborto no? Questo è il vero dilemma. Fonti italiane hanno chiarito che non c’è stata nessuna richiesta di eliminare il punto sul diritto a garanzia dell’interruzione di gravidanza. E, ad esprimersi “ufficiosamente” sulla presunta mancanza di un riferimento a tale diritto nelle conclusioni del summit, è stato il ministro dell’Agricoltura e sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, che ha detto: “Non so se a un G7 a cui partecipa anche il Papa fosse opportuno”.

Ma perché è importante parlare dell’accesso effettivo e sicuro all’aborto? “Se hanno scelto di non metterlo ci sarà un perché e una ragione più che condivisibili”.

Aborto, tema marginale?

Le tematiche da trattare sono diverse. Un prestito da 50 miliardi di dollari a Kiev è la prima questione. L’uso degli asset russi congelati per aiutare l’Ucraina è la seconda. Il rischio che i tassi possano scendere generando minori extraprofitti è la terza. E cosa potrebbe accadere se alle elezioni americane dovesse vincere Trump è la quarta. Parola d’ordine: pace. Pace che viene espressa anche con la presenza del Papa, di cui parlava il ministro Lollobrigida, ma che impedirebbe di trattare di una tematica senz’altro calda. La Francia pare abbia chiesto di rafforzare il concetto del diritto d’aborto rendendolo più incisivo. Una richiesta che ha generato una querelle all’Italia, la cui presidenza al G7 in Puglia, non contribuisce a sbrogliare la matassa.

Sulle presunte voci che vedrebbero l’Italia convolta nel blocco alla citazione del diritto nelle conclusioni si sono già espresse diverse realtà. La prima è la Cgil che ha chiesto al Governo di chiarire la “sua posizione su aborto libero e sicuro”: “Stiamo assistendo sconcertate all’ennesima grave messa in discussione della libertà di scelta delle donne sul loro stesso corpo – ha affermato la segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione -. Uno scambio del governo Meloni fatto sulla nostra pelle che ribadisce come, per la premier, i nostri diritti valgano poco o nulla e che delimita ancora più chiaramente l’area internazionale ed europea di riferimento dell’attuale Esecutivo, che porta il Paese lontano dalla cultura europea di ampliamento dei diritti e delle libertà – e ancora -. Chiediamo alla prima Presidente del Consiglio donna della storia del nostro Paese di fare chiarezza sulla posizione del Governo rispetto al diritto all’aborto libero e sicuro e agli altri diritti delle donne”.

Ma è davvero così importante parlare di aborto con i capi di Stato e di Governo di Francia, Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Giappone e Canada? La risposta è “Sì”. Vediamo perché.

Diritto (costituzionalmente) garantito a metà

La legge 194 è una legge a contenuto costituzionalmente vincolato. Come molte leggi è, cioè, espressione di diritti costituzionali, Il riferimento va all’art. 2 sull’inviolabilità dei diritti umani e all’art. 32 che tutela il diritto alla salute. Non la si può abrogare neppure via referendum perché significherebbe violare la Costituzione, come ha sancito la Consulta con la sentenza n. 35 del 1997: “L’articolo 1 della legge n. 194 del 1978 afferma un principio di contenuto più specificamente normativo, quale è quello per cui l’interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite […] Non è pertanto ammissibile un referendum diretto all’abrogazione dell’art.1. Analoghe considerazioni valgono per le altre disposizioni investite dalla richiesta referendaria”.

La presenza di questo diritto non è mai stata messa in dubbio. La sua applicabilità sì. Perché, se non ci sono i mezzi e gli strumenti per realizzarlo, il problema sussiste. Il 12 settembre 2023 è stata trasmessa al Parlamento la relazione contenente i dati definitivi 2021 sull’attuazione della legge 194/78 contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza. I dati più recenti relativi all’aborto vedono 63.653 interruzioni volontarie nel 2021. Un tasso di abortività pari a 5,3 interruzioni ogni mille donne tra i 15 e i 49 anni, numero in calo rispetto agli anni passati e tra i più bassi a livello globale.

In Italia, però, si fa ancora fatica ad accedere ad un aborto senza tribolazioni. Nel nostro Paese, secondo i dati del ministero della Salute relativi sempre al 2021 (gli ultimi disponibili diffusi a ottobre 2023), gli obiettori di coscienza sono circa il 63,4% dei ginecologi, il 40,5% degli anestesisti e il 32,8% del personale non medico. Con il termine “obiettori di coscienza” ci si riferisce al personale sanitario che, per motivi etici, rifiuta di praticare l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) a una paziente entro i primi 90 giorni di gestazione come previsto dalla legge. In altri termini, non renderebbe accessibile tale pratica a chi ne avesse volontà o necessità, costringendo una donna a rivolgersi altrove o a doversi spostare anche in un’altra Regione per trovare una struttura nella quale abortire.

Perché gli altri Stati vogliono che l’Italia sia chiara sul tema?

Tra obiettori di coscienza e Papa Francesco, l’Italia è riluttante a parlare di aborto al G7. E mentre ciò avviene nel nostro Paese, altri fanno passi da gigante sul tema. In primis, il Parlamento europeo a votato lo scorso 4 novembre per includere il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. La proposta è già stata presentata nel 2022 ed è stata ripresa dopo che la Costituzione francese ha incluso il diritto all’aborto all’inizio del 2024.

Con 336 voti a favore, 163 contrari e 39 astensioni, il Parlamento ha votato a favore della modifica della Carta. Prima che questa modifica possa diventare realtà, serve l’unanimità dei 27 Stati membri. A sostenere la modifica sono stati i Socialisti e Democratici, il Partito Verde/Efa e i partiti Renew e Sinistra, mentre il Ppe si è diviso a metà. Con rare eccezioni, gruppi conservatori e riformisti e di Identità e democrazia, tra cui il partito di Giorgia Meloni, si sono opposti alla modifica.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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6 genitori su 10 vogliono più supporto psicologico: i dati...

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La ricerca di Nestlé e Unobravo certifica le difficoltà di essere genitore in Italia. L’azienda offre tre sedute gratuite ai genitori

Sempre meno italiani decidono di avere figli. Tra quelli che lo fanno, molti si sentono abbandonati di fronte a una sfida piena di incertezze, paure e ansie mai affrontate prima.

La conferma arriva dalla survey “Genitori ai primi passi” condotta da Nestlé e Unobravo. L’indagine ha coinvolto oltre 1.100 genitori o aspiranti tali per comprendere le difficoltà emotive, psicologiche e pratiche del diventare genitori oggi.

Genitori chiedono supporto mentale

L’esito più netto riguarda la salute mentale: il 60% dei genitori afferma di volere un supporto psicologico per affrontare le sfide della genitorialità, ma solo il 4% si rivolge effettivamente a un professionista, segnalando un notevole divario tra il bisogno percepito e l’azione.

Un dato particolarmente preoccupante è quello legato alla salute mentale delle madri. Solo il 35% delle madri dichiara di sentirsi bene fisicamente e mentalmente, rispetto al 52% dei padri. Questa disparità conferma il gender gap domestico per cui le madri tendono a sacrificare il proprio benessere (e spesso anche la carriera) per concentrarsi sul bambino e sulla cura della casa.
Negli ultimi anni, qualcosa sta cambiando, ma la differenza tra le responsabilità della donna e quelle dell’uomo è ancora evidente.

Il ruolo del partner e il sostegno reciproco

Il contesto economico non consente a tutti di rivolgersi allo psicologo, anche perché già mantenere un figlio costa e gli incentivi, pur esistenti, non bastano.

La maggior parte dei genitori (il 67%) dichiara di rivolgersi al proprio partner per chiedere aiuto nei momenti critici, sottolineando l’importanza della collaborazione nella coppia. Il 69% dei genitori si sente adeguatamente supportato dal proprio partner, un segnale positivo che evidenzia come la condivisione delle responsabilità genitoriali sia in crescita. Tuttavia, nonostante questo miglioramento, molte coppie sentono la necessità di un ulteriore sostegno per affrontare le pressioni quotidiane.

La percezione del controllo

Un altro dato emerso dalla ricerca di Nestlé e Unobravo è che solo il 32% dei genitori sente di avere sotto controllo le sfide della genitorialità. La sensazione di non riuscire a gestire la situazione, unita all’enorme responsabilità nei confronti dei figli, crea un circolo vizioso: più i genitori si sentono sopraffatti, più aumenta lo stress e la sensazione di inadeguatezza.

Questo fenomeno è strettamente connesso alle alte aspettative sociali e alle opinioni altrui, vissute come un peso da quasi il 40% dei genitori.

Pressioni sociali e perfezionismo

Dalla ricerca, emerge che la pressione di dover essere “genitori perfetti” è una delle principali fonti di ansia per molti neogenitori. “C’è una convinzione diffusa che tutto debba essere perfetto per accogliere un bambino, ma voler tendere alla perfezione potrebbe significare rincorrere una condizione irrealizzabile”, spiega Valeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e direttore clinico del servizio di psicologia online Unobravo. Più del 59% dei genitori si sente stressato dall’opinione altrui, il che contribuisce ad alimentare l’ansia di non essere all’altezza delle aspettative sociali.

Nestlé lancia il progetto “Genitori ai primi passi”

In risposta ai dati emersi dalla survey, Nestlé ha lanciato il progetto “Genitori ai primi passi”, un’iniziativa che offre supporto psicologico gratuito ai neogenitori, in collaborazione con Unobravo. L’obiettivo del progetto è fornire un sostegno pratico, che si traduce in tre sedute gratuite di supporto psicologico, per aiutare i genitori a superare le difficoltà emotive e a prevenire il senso di solitudine e inadeguatezza. “Il sostegno di chi ci circonda è importante, ma a volte da solo non basta”, afferma Perris. “Per questo – aggiunge – è fondamentale sensibilizzare i neo-genitori sull’importanza di chiedere un aiuto professionale in una fase così delicata”.

Molti genitori rischiano di auto sabotarsi, di sentirsi sbagliati, inadatti alla situazione. Invece, conclude Perris, “Considerare l’ansia o la preoccupazione come una parte naturale del percorso può aiutare a proiettarsi in questo ruolo con maggiore serenità e sicurezza”.

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Denatalità, Bilotta: “Infertilità per il 15% di coppie, ma...

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Circa il 15% delle coppie in Italia non è fertile. Il numero medio di figli per donna negli ultimi sessant’anni è sceso dal 2,70 a 1,20. Da quarant’anni il tasso di fertilità non supera l’1.5. E l’infertilità è una delle cause.

Le crescenti difficoltà di concepimento nelle coppie che desiderano avere un figlio rischiano di contribuire all’aumento della denatalità. Il 22 settembre si celebra la Giornata nazionale della salute riproduttiva. Per quell’occasione, il Professor Pasquale Bilotta, direttore del Centro Fecondazione Assistita “Alma Res” di Roma, ha spiegato quali sono e come si possono superare tali difficoltà.

Le cause della denatalità

La dimensione del fenomeno della denatalità è evidente. Con appena 379mila bambini venuti al mondo, il 2023 ha evidenziato nel nostro Paese l’ennesimo minimo storico di nascite, l’undicesimo di fila dal 2013. Il trend non si è fermato sin dal 2008 (577mila nascite), determinato sia da un’importante contrazione della fecondità (numero di figli per donne in età riproduttiva) sia dal calo del numero di donne in tale fascia di età (per l’invecchiamento della popolazione).

E se nel 1964 il numero di figli per donna si assestava sui 2.70, nel 2023 era pari a 1.20. Il bassissimo numero medio di figli per donna interessa tutto il territorio nazionale. Nel dettaglio, il Nord Italia ha una media di 1.21 figli per donna, il Centro 1.12 e Sud e Isole, 1.24. Fino a trent’anni fa la fecondità era molto superiore nel Sud rispetto al Centro e al Nord: basti pensare che nel 1964 era 3.30 nel Mezzogiorno, 2.38 nel Centro e 2.37 nel Nord.

Diverse sono le cause che hanno contribuito in questi anni a peggiorare la situazione:
Cause economico-sociali: come stipendi bassi, aumento del costo della vita, mancanza di servizi a sostegno delle famiglie
• Crescenti difficoltà di concepimento nelle coppie che desiderano avere un figlio.

In Italia è stata istituita la Giornata nazionale della salute riproduttiva (22 settembre), proprio con l’obiettivo di promuovere l’attenzione e l’informazione sul tema della fertilità.

“Infertilità? C’è soluzione”

“Secondo le stime dell’Istituto Superiore di Sanità – afferma il Professor Pasquale Bilotta, direttore del Centro Fecondazione Assistita “Alma Res” di Roma -, in Italia circa il 15% delle coppie è infertile e questa condizione può dipendere in egual misura sia dalla donna che dall’uomo. Non esistono in Italia dati specifici sulla prevalenza di questo fenomeno. Generalmente si parla di infertilità di coppia in caso di mancato raggiungimento della gravidanza dopo un anno di rapporti sessuali regolari e non protetti”.
Tra le cause primarie, spiega Bilotta, vi è senz’altro il fattore età: “Dai 40 anni in poi la percentuale di fertilità media è il 20% rispetto a quella riscontrata a 25 anni”. Ma non solo. A pesare sull’infertilità ci sono “anche abitudini non sane, come fumo, consumo di alcol oppure condizioni psicologiche limitanti, quali ansia e stress da ritmi di vita/lavoro troppo frenetici”.

Spesso, quest’ultime, sono patologie prevenibili facilmente curabili: “Per questo è molto importante una corretta informazione”, ha aggiunto il professore.

Prevenzione e possibili soluzioni all’infertilità

Ricorrere a trattamenti di fecondazione assistita è una soluzione. Stando ai dati più recenti dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2021, oltre 86.000 donne in Italia si sono sottoposte a questo tipo di procedure. La fascia d’età più rappresentata è quella tra i 35 e i 40 anni, seguita dalla fascia tra i 30 e i 35 anni.

Il tasso di successo delle procedure varia in base all’età della donna e alla tecnica utilizzata, con una media nazionale del 25% di gravidanze per ciclo di trattamento di fecondazione in vitro. Le donne sotto i 35 anni hanno registrato i tassi di successo più alti, con una percentuale che raggiunge il 40%, mentre per le donne sopra i 40 anni il tasso di successo scende al 15%.

“Non esiste un percorso universalmente valido per tutte le coppie – ha spiegato il Professor Bilotta – Per questo, l’obiettivo primario del nostro Centro è ricercare approcci personalizzati, basati su caratteristiche genetiche e biologiche individuali. Non solo: puntiamo al miglioramento delle tecniche di congelamento e scongelamento di ovociti ed embrioni e investiamo nello sviluppo di nuove metodologie per la diagnosi precoce di malattie genetiche rare”.

Secondo il prof. Bilotta – tra i primi ricercatori in Italia che, nel 1980, realizzarono su coppia infertile il prelievo, la fecondazione dell’ovocita ed il trasferimento embrionario in utero – è fondamentale continuare a migliorare il quadro normativo per assicurare un accesso equo e sicuro per tutti: “Nel Lazio, per esempio, le coppie che decidono di ricorrere alla fecondazione assistita tramite Sistema sanitario nazionale si recano in altre regioni. Le motivazioni sono legate alla scarsa offerta pubblica o convenzionata nel territorio regionale, lunghe liste d’attesa e costi elevati. Con altri 21 Centri autorizzati privati, stiamo costituendo un Coordinamento a livello regionale: auspichiamo la creazione di un Network di centri pubblici e privati, disponibili a erogare prestazioni in convenzione con il Servizio sanitario nazionale, in modo da aumentare l’offerta e garantire alle coppie un maggiore accesso ai trattamenti di fecondazione assistita”.

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La voce dei giovani: una lettera aperta alla Scuola

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Cosa pensano i giovani della Scuola? A rispondere a questa domanda c’è il collettivo “Nubi Pe(n)santi”, composto da ragazzi e ragazze della provincia di Torino, che ha deciso di scrivere una lettera aperta a questa istituzione.

Utilizzando il metodo maieutico, gli studenti hanno riflettuto profondamente sul tema dell’educazione. La lettera è stata presentata durante il Caffè pedagogico con Daniele Novara (premio ricevuto durante il convegno Cpp “La scuola non è una gara” a cui i ragazzi e le ragazze hanno partecipato con una rappresentanza).

La Scuola è una seconda casa?

La scuola è spesso definita come una “seconda casa” per i giovani, ma non sempre ciò corrisponde al vero. “La maggior parte di noi non sente questo luogo simile a una casa perché nel percorso scolastico gli aspetti negativi prevalgono rispetto a quelli positivi.” Questo mette in luce come molti studenti non percepiscano la scuola come un luogo sicuro e di supporto.

Un sondaggio condotto da Unisona Live e Unicef ha rilevato che il 75% degli studenti associa il proprio malessere a episodi legati alla scuola. Questo dato sottolinea quanto sia cruciale creare un ambiente scolastico positivo per il benessere degli studenti. La percezione di un ambiente accogliente è fondamentale per la salute mentale degli studenti.

Il peso del giudizio

Uno dei temi principali emersi è il giudizio costante a cui sono sottoposti gli studenti. “Essere valutati e valutate e avere un voto che giudichi il nostro operato non può che generare in ognuno di noi un vorticoso senso di ansia e frustrazione.

I voti e le valutazioni generano ansia e frustrazione, distogliendo l’attenzione dal vero obiettivo dell’educazione: l’apprendimento e la crescita personale. Lo ha dimostrato un’indagine Ocse-Pisa che ha rilevato che gli studenti italiani manifestano ansia e disagio in situazioni legate al rendimento scolastico, con il 56% degli alunni che dichiara di diventare particolarmente nervoso durante le verifiche. Questo evidenzia l’importanza di un ambiente scolastico che supporti non solo l’apprendimento, ma anche il benessere emotivo degli studenti.

Incoerenza e preferenze

Il collettivo torinese ha, inoltre, criticato la mancanza di coerenza tra i professori, che inviano messaggi contraddittori riguardo all’importanza dei voti. “Ci insegnano che il giudizio personale negativo non va bene, ma invece perché quello positivo va bene?”. La risposta è “No”. Il fenomeno si chiama “ansia da prestazione” e ha portato centinaia di studenti a soffrire di disturbi di vario tipo o, spesso, anche al suicidio.

L’American College Health Association (Acha), ritiene che ansia e depressione siano i principali ostacoli al rendimento negli studi. Questo espone i soggetti ad un maggiore rischio di abuso di sostanze tossiche e a pensieri suicidi. Secondo i dati, il 65,7% degli studenti ammette di aver provato “ansia travolgente” raddoppiata negli ultimi 10 anni.

Inoltre, nella lettera è emerso quanto gli studenti percepiscano i favoritismi e i pregiudizi, che influenzano negativamente il clima scolastico e i rapporti tra pari. Studi hanno dimostrato che le percezioni degli insegnanti riguardo alla motivazione e all’impegno degli studenti possono influenzare significativamente i risultati scolastici.

Competizione e conformismo

La scuola per i giovani del collettivo viene poi descritta come un ambiente competitivo e conformista, dove gli studenti sono spinti a competere tra loro piuttosto che a collaborare. “Si innesca una competizione ‘sgomitante, muscolare, darwiniana’ in cui si perde di vista il significato originario di ‘cumpetere: procedere insieme, correre insieme verso la stessa meta’”.

Questo sistema promuove una standardizzazione che annulla il pensiero critico e la crescita individuale, favorendo un conformismo opprimente. Un’analisi del Centro Studi Erickson ha esaminato l’inclusione scolastica e sociale in Italia, evidenziando come la competizione possa creare un ambiente meno inclusivo e aumentare il rischio di esclusione per gli studenti.

Il Registro Elettronico: tra controllo e fiducia

Il registro elettronico, sebbene utile, è stato descritto come uno strumento di controllo che riduce l’autonomia degli studenti e la comunicazione tra loro e i genitori. “I nostri genitori vengono costantemente informati di quello che facciamo, i voti che prendiamo, dove siamo, annullando la comunicazione tra genitori e studenti“.

Questo sistema, infatti, tende a ridurre la comunicazione diretta e immediata, fondamentale per il funzionamento delle relazioni umane, soprattutto quando si parla di figli in età scolare.

Non è la prima volta che l’uso di strumenti digitali influenzi negativamente l’autonomia degli studenti e la loro capacità di autoregolarsi. Ma se si parla sempre dei cellulari e del loro divieto nelle scuole, si deve considerare anche valido poter mettere in discussione anche gli strumenti di controllo e non solo di “distruzione di massa” (come definito dal ministro italiano Valditara).

Il collettivo “Nubi Pe(n)santi” è costituito da un gruppo di adolescenti residenti nella ValMessa, Bassa Val di Susa, che si interrogano, negli spazi dell’Associazione LiberAmente, concessi dal Comune di Almese, in collaborazione con la Consulta Giovani, su argomenti a loro cari, su cui hanno necessità di esprimersi liberamente, senza giudizio, scambiando pensieri ed emozioni, utilizzando diversi linguaggi.

La loro lettera rappresenta una voce critica e riflessiva sul sistema scolastico attuale. I giovani esprimono il desiderio di un cambiamento radicale, basato su una maggiore comunicazione, empatia e comprensione reciproca. La loro speranza è che, attraverso il dialogo e la riflessione, sia possibile rendere la scuola un luogo migliore per tutti.

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