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Esteri

Israele, scontri a protesta Gerusalemme: arresti e idranti...

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Israele, scontri a protesta Gerusalemme: arresti e idranti contro manifestanti

Emittente Kan rivela: documento del 19 settembre avvertiva del rischio irruzione Hamas su larga scala e presa ostaggi

Proteste a Gerusalemme (Afp)

Scontri e violenze durante la manifestazione di protesta vicino alla residenza del primo ministro Benjamin Netanyahu. Sono 9 gli arresti: secondo i media, ci sarebbe anche il parente di uno degli israeliani tenuti in ostaggio da Hamas. Filmati online mostrano la polizia usare idranti contro i manifestanti, la cui protesta è considerata illegale, e un medico colpito sarebbe finito in ospedale.

I manifestanti si sono recati a casa del premier dopo che decine di migliaia di persone si erano radunate davanti alla Knesset, chiedendo elezioni anticipate e un accordo sugli ostaggi con Hamas.

Documento del 19 settembre avvertiva del rischio irruzione Hamas su larga scala e presa ostaggi

Un documento redatto dalla Direzione dei servizi segreti militari dell'IDF meno di tre settimane prima del 7 ottobre avvertiva del fatto che Hamas si stava addestrando per un'invasione su larga scala di Israele durante la quale sarebbero stati presi ostaggi in massa. Lo riporta l'emittente pubblica Kan, citando fonti delle forze di sicurezza.

Il documento del 19 settembre stima in 200-250 il numero di ostaggi che sarebbero stati catturati. Durante l'attacco effettivo del 7 ottobre, sono stati presi 251 ostaggi, mentre altre 1.200 persone sono state uccise, per lo più civili. Il documento è stato portato all'attenzione di alti funzionari dell'intelligence, almeno di quelli della Divisione di Gaza. Il governo e i vertici militari hanno sostenuto di non essere stati avvertiti di un'imminente invasione programmata all'epoca, ricorda the Times of Israel.

Lo scenario più estremo a cui la Divisione di Gaza si era preparata prima del 7 ottobre, conclude il rapporto, era quello dell'irruzione di decine di terroristi che avrebbero violato il confine in tre punti, molti meno dei circa 3mila che sono poi entrati in Israele per l'assalto.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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La Russia avverte gli Stati Uniti, rischio escalation...

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(Fotogramma/Ipa)

Il ministro della Difesa russo Belousov ha messo in guardia gli Usa dal rischio di un'ulteriore escalation a causa della fornitura di armi americane alle forze ucraine nel corso di un colloquio telefonico con il suo omologo statunitense Austin mentre una risoluzione firmata da 26 Paesi dell’Ue condanna la Russia per aver bloccato l'accesso sul territorio russo ai siti di 81 media Ue, tra cui anche Repubblica, La Stampa, Rai e La7, in risposta ad analoghe misure adottate dalla Ue nei confronti dei russi Ria Novosti, Izvestia e Rossiyskaya Gazeta. L’Ungheria, però, ha votato contro la risoluzione. Nel frattempo il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov afferma che l'intenzione dell'amministrazione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden di infliggere una "sconfitta strategica" alla Russia è destinata al fallimento.

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Elezioni Iran,Vaez (Icg): “Vittoria riformisti...

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"Non vincerà chi sfida visione Khamenei, la vera partita è sulla sua successione"

Elezioni Iran,Vaez (Icg):

Sarebbe una "sorpresa" una vittoria del candidato riformista, Masoud Pezeshkian, alle elezioni presidenziali in Iran dal momento che appare improbabile che il regime di Teheran, in un contesto regionale così complesso, opti per un "cambiamento di rotta" che questo sviluppo implicherebbe. Anche nell'ottica a medio-lungo termine della "questione più importante" e che riguarda la successione all'attuale Guida Suprema, Ali Khamenei. E' quanto sottolinea in un'intervista all'Adnkronos, Ali Vaez, direttore dell'Iran Project presso l'International Crisis Group (Icg).

Secondo l'esperto, se davvero Pezeshkian diventasse presidente sarebbe una sorpresa "positiva" per due ragioni principali. La prima è che "non è un peso massimo, nemmeno nel campo riformista, e se riuscisse in un periodo di tempo così breve a generare abbastanza sostegno tra la base riformista che soffre di un alto grado di apatia politica sarebbe un bel risultato di per sé". La seconda ragione è che, in questo momento, "sento che la leadership non è interessata a correggere la rotta".

Vaez ritiene che consentire a un riformista di assumere la carica di presidente equivalga "a più di un aggiustamento di rotta, si tratterebbe proprio di una correzione" perché negli ultimi anni, almeno dal 2020, "c'è stato un chiaro consolidamento dei conservatori ai vertici del sistema politico". Quindi se Pezeshkian diventasse presidente, "sarei positivamente sorpreso, ma ciò implica anche che sono piuttosto scettico sul fatto che ciò accadrà".

Secondo Vaez, l'attuale presidente del Parlamento, il conservatore Mohammad Bagher Qalibaf, ha più probabilità anche perché ha una lunga e consolidata storia di "lealtà e obbedienza" nei confronti della Guida, mentre l'ex capo negoziatore nucleare, Saeed Jalili, il candidato degli ultraconservatori comunque accreditato di buone chance, "è anch'egli fedele al leader, ma non è così sottomesso".

La partita per la presidenza, continua Vaez, è legata a quella che, inevitabilmente per ragioni anagrafiche, si aprirà per la successione a Khamenei. "Penso che in questo momento della storia della Repubblica Islamica, in cui la questione più importante è la successione al leader, sia importante che il regime si assicuri che non ci sia nessuno ai vertici del sistema politico che possa in alcun modo sfidare la visione della Guida - spiega - Questo implica che è improbabile che il regime permetta a qualcuno come Jalili, che ha una propria base e non è così sottomesso a Khamenei, di servire come presidente. In ogni caso dobbiamo aspettare e vedere. Attualmente, se si guardano i sondaggi, Jalili e Pezeshkian ottengono risultati migliori di Qalibaf, ma in Iran, in occasione delle elezioni, tutto può cambiare fino all'ultimo minuto. Quindi rimane tutto abbastanza imprevedibile".

L'analista di Icg commenta quindi le dichiarazioni concilianti di quasi tutti i candidati sulla necessità di risolvere il problema delle sanzioni e, in particolare, l'apertura esplicita di Qalibaf a un negoziato con gli Stati Uniti.

"Penso che, a parte Jalili, tutti gli altri due seri contendenti, Pezeshkian e Qalibaf, ammettano che l'alleggerimento delle sanzioni è fondamentale affinché l'economia iraniana possa passare dalla modalità di sopravvivenza a quella di crescita effettiva", evidenzia, sostenendo che ci sia in quasi tutti - tranne Jalili che "insiste nel continuare sulla via della resistenza" - la consapevolezza che una crescita sostenibile non sia possibile senza la revoca delle sanzioni e parlino quindi della necessità di una "soluzione diplomatica".

"Qalibaf è l'unico candidato che ha effettivamente proposto una via da seguire, il 'Reciprocal Step by Step Process'. Persino Pedeshkian, che ha l'ex ministro degli Esteri Zarif come suo principale consigliere per la politica estera, non ha elaborato un piano concreto", rimarca Vaez, precisando che il piano di Qalibaf prevede sostanzialmente che l'Iran rimarrebbe dov’è, "sulla soglia del dotarsi di armi nucleari".

In cambio di non oltrepassare le linee rosse verso l'atomica, aggiunge l'esperto, "otterrebbe la revoca di sanzioni specifiche e misurabili da parte degli Stati Uniti sotto forma di capacità di esportare petrolio e far rientrare asset all'estero". Per Vaez, quello che vuole Qalibaf non è "perseguire un accordo nucleare globale o un accordo che vada oltre la questione nucleare. Sembra che stia cercando accordi transazionali molto ristretti, ma è l'unico candidato che ha almeno avanzato un'idea concreta".

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Esteri

Elezioni Usa, Biden prepara il duello tv contro Trump: ecco...

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Come anticipa il team elettorale del presidente democratico l'obiettivo è di attaccare il suo avversario come "un pregiudicato con una campagna sfrenata tesa ad ottenere potere e vendetta"

Joe Biden e Donald Trump

Joe Biden arriva al duello tv con Donald Trump con l'obiettivo di attaccare il suo avversario come "un pregiudicato con una campagna sfrenata tesa ad ottenere potere e vendetta". E' lo stesso team elettorale del presidente democratico ad anticipare la posizione tutta di attacco che Biden terrà nei 90 minuti del primo dibattito presidenziale che andrà in onda domani sulla Cnn.

"Il dibattito di giovedì sarà uno dei primo momenti della campagna presidenziale in cui una grande fetta dell'elettorato americano potrà vedere la netta scelta tra Joe Biden, che lotta per gli americani, e Donald Trump che lotta per se stesso, un pregiudicato con una campagna sfrenata tesa ad ottenere potere e vendetta", ha dichiarato il direttore della comunicazione della campagna di Biden, Michael Tyler.

La linea dell'attacco frontale a Trump è destinata ad accontentare chi, tra i vertici democratici, ritiene che Biden deve smettere di rivendicare successi della sua prima amministrazione - una linea che sembra non avere successo, visti i cattivi risultati nei sondaggi - e passare ad attaccare tutti i punti deboli, a cominciare dalle pendenze giudiziarie, dell'ex presidente.

I rischi di questa strategia però sono molti - fa notare un commento della Cnn - a cominciare dal fatto che Trump, con la sua nota scaltrezza, potrebbe togliere terreno alle accuse dell'avversario, mostrandosi nel dibattito insolitamente controllato e ragionevole. E' questo per esempio il consiglio che gli arriva da Kar Rove, lo stratega delle vittorie elettorali di George Bush figlio: "non deve mostrarsi senza controllo o arrabbiato, le parole 'elezioni truccate' non dovrebbe mai arrivare sulle labbra, deve mantenere la calma e non parlare solo di se stesso".

Suggerimenti in questo senso sono arrivati anche da fedelissimi dell'ex presidente. La governatrice del South Dakota, Kristi Noem, considera il dibattito "una grande opportunità per il presidente Trump di mostrare come le sue politiche quando era alla Casa Bianca siano state positive per ogni famiglia, avevano più soldi in tasca, i prezzi per la spesa, per la benzina sono scesi", ha detto, aggiungendo: "non credo che debba andare sul personale".

Con Trump, comunque, molto probabilmente non mancheranno le sorprese. E già in questi giorni precedenti al dibattito è interessante notare come il suo staff, che da mesi descrive Biden come un presidente troppo vecchio per mettere due parole insieme, ora invece mette in guardia dalle sue capacità quando si tratta di dibattiti. "Sarà pronto ad andare, ha una certa memoria automatica che entra in funzione visto che fa questo da 50 anni", ha detto il consigliere di Trump, Jason Miller.

Intanto, da parte dei democratici si spera che invece "Donald Trump faccia il Donald Trump", come ha detto la senatrice Elizabeth Warren, descrivendo un candidato che si rivolge "alla sua base estremista e dice ai suoi finanziatori super ricchi che se daranno più soldi alla sua campagna, gli regalerà enormi tagli fiscali e taglierà le regole per la lotta ai cambiamenti climatici".

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