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Riforme, in Senato ultimo round premierato: Fdi-Lega-Fi vedono traguardo

Fdi-Lega-Fi vedono traguardo: alle 15.30 ci saranno le dichiarazioni di voto finali, poi l'Assemblea si esprimerà entro le 17.30. Al vaglio di Montecitorio invece il disegno di legge sull'autonomia differenziata. Pd, M5s, Avs e +Europa in Piazza Santa Apostoli contro la maggioranza

L'aula del Senato - (Fotogramma)

Dopo settimane di polemiche e risse sfiorate, torna in Aula al Senato oggi, martedì 18 giugno, il ddl Casellati, per l'ultimo atto prima del passaggio alla Camera. Al vaglio di Montecitorio invece il disegno di legge sull'autonomia differenziata. Una giornata che si preannuncia dunque già calda, con le opposizioni che si raduneranno In Piazza Santi Apostoli per protestare contro due delle riforme 'cavallo di battaglia' del centrodestra.

Il disegno di legge costituzionale per il passaggio al modello di governo del premierato, con l'elezioni diretta del presidente del Consiglio, verrà votato dai senatori nel pomeriggio: alle 15.30 ci saranno le dichiarazioni di voto finali, poi l'Assemblea si esprimerà, il tutto con termine entro le 17.30. Un voto che arriva al termine di settimane di tensione, prima in Commissione e poi in Aula, culminate lo scorso 13 giugno col l'Aventino di Pd, M5S e Avs che hanno lasciato i banchi del Senato, mentre si votavano gli ultimi articoli del testo.

Punta dritto all'obiettivo la maggioranza, come sottolinea il relatore del testo, il senatore di Fratelli d'Italia, Alberto Balboni: "Oggi-dice all'AdnKronos- festeggerò il via libera a questa legge del Senato e anche il mio compleanno...".

Nessuna nota lieta invece da parte delle opposizioni. "In Senato, con il nostro voto -dice all'AdnKronos, Francesco Boccia capogruppo del partito democratico- diremo no ad una riforma della Costituzione che sfascia gli equilibri su cui si basano le nostre istituzioni e denunceremo lo scambio politico inaccettabile che si sta realizzando nella maggioranza tra premierato e autonomia differenziata".

Pd, Avs e Azione votano no, M5s valuta uscita Aula e Iv opzione astensione

Dopo quanto successo lo scorso 29 maggio, con la rissa sfiorata in Aula, tra il senatore di Fdi, Roberto Menia e il pentastellato Marco Croatti, fermati a un passo dallo scontro fisico dall'intervento dei questori, tra cui anche l'anziano' Gaetano Nastri, collega di partito di Menia, la tensione nell'emiciclo non è mai mancata, pur senza arrivare a quanto visto alla Camera per l'autonomia. I questori restano allertati, ma l'andamento dei lavori non dovrebbe nascondere sorprese, anche per la deterrenza che avrà la diretta televisiva prevista per tutta la seduta.

"La destra sulle riforme sta dimostrando un atteggiamento aggressivo -accusa Boccia- confermato da quanto è avvenuto alla Camera la scorsa settimana e da molte dichiarazioni di esponenti del governo e della maggioranza. Per questo dopo il voto saremo in piazza con le altre forze di opposizione contro le riforme del governo di Giorgia Meloni. E se non si fermeranno lavoreremo per raccogliere le firme perché a decidere sia il popolo italiano''.

Tornando all'appuntamento dell'Aula, al voto finale sul Ddl Casellati, non è escluso che potrebbero non partecipare al voto i senatori del M5S ("votatevela da soli questa schifezza", aveva tuonato Alessandra Maiorino, la scorsa settimana dopo aver lasciato l'Aula). Ma la decisione finale del partito guidato da Giuseppe Conte verrà presa al termine della riunione dei gruppi, convocata per oggi.

Per quanto riguarda Italia Viva, si valuta l'opzione dell'astensione o del voto contrario, con i renziani che fatto sapere che il partito non sarà in piazza. No invece da Azione: "Abbiamo fatto opposizione per tutta la durata della discussione -ricorda il senatore Marco Lombardo all'AdnKronos- . Quindi voteremo contro la riforma del premierato".

Ddl autonomia torna in Aula dopo tensioni

 

 Sul ddl Calderoli l'intenzione della maggioranza sarebbe quella di provare a chiudere la prima partita il prima possibile. Secondo quanto si apprende da fonti parlamentari, infatti, domani potrebbe essere chiesta un'inversione dell'ordine dei lavori per partire subito con l'esame del disegno di legge sull'autonomia e non dal provvedimento su sindacati e forze armate, come prevede adesso l'agenda di Montecitorio. Per ora si tratta solamente di un'ipotesi, su cui i capigruppo della maggioranza starebbero riflettendo.

Ma i fatti di mercoledì hanno lasciato strascichi e non solo a livello di sanzioni disciplinari (sono 11 i deputati sospesi temporaneamente dai lavori dopo i disordini). Le immagini della bagarre con l'aggressione ai danni del deputato pentastellato Leonardo Donno hanno fatto il giro del mondo. Per questa ragione, scongiurare il ripetersi di episodi simili è diventata la premura di tutti i gruppi parlamentari. In casa Fdi giovedì, all'indomani della rissa, i vertici del gruppo parlamentare di Montecitorio avevano invitato i deputati meloniani a non cadere in provocazioni e a mantenere la calma.

Non si registrano appelli o moral suasion ma c'è chi ricorda le parole pronunciate dalla premier Giorgia Meloni nella conferenza stampa finale del G7: "E' molto grave che esponenti della maggioranza cadano in provocazioni, che prevedo aumenteranno. Credo che i cittadini italiani si debbano interrogare su quale sia l'amore che hanno per le loro Nazione esponenti politici che cercano di provocare proprio mentre gli occhi del mondo sono puntati su di noi. Ma neanche questo è riuscito a rovinare l'ottima riuscita di questo vertice", ha detto sabato scorso la presidente del Consiglio a margine del vertice pugliese.

Per quanto riguarda Forza Italia, ai parlamentari sarebbe stato rivolto un invito a essere presenti in Aula sin dall'inizio dei lavori per evitare problemi di numeri. Non teme defezioni, invece, la Lega, che vuole portare a casa quanto prima il ddl autonomia e mettere una spunta accanto a una delle principali promesse contenute nel suo programma elettorale.

In piazza opposizione 'large', ma senza Renzi e Calenda

In contemporanea con il voto in Senato, a Santi Apostoli, indimenticata 'scenografia' delle vittorie dell'Ulivo, il centrosinistra si ritrova nel pomeriggio rispondendo alla chiamata di Pd, M5s, Avs e Più Europa. "Il governo Meloni sta forzando la mano e prova a minare le basi democratiche della nostra Costituzione", si legge nella convocazione dell'evento in programma a partire dalle 17,30. Sul palco i leader dei partiti promotori: Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli, Riccardo Magi (con Benedetto Della Vedova). "È ora di dire basta. Basta alle aggressioni e alla violenza, basta ai simboli e riferimenti fascisti in Parlamento, basta alla distruzione dell'unità del Paese. Non permetteremo alla destra di calpestare la nostra Costituzione. Chiediamo a tutte e tutti di partecipare domani", spiega Bonelli con un chiaro riferimento al 'caso Donno' e alla rissa della scorsa settimana alla Camera proprio in occasione del voto sull'autonomia.

La scaletta dell'evento di Santi Apostoli è un 'work in progress'. Ma di ora in ora le adesioni stanno crescendo per allargarsi a società civile, sindacati, associazioni e altri partiti. Tra questi Anpi, Cgil, Acli la Rete degli studenti medi, l’Unione degli universitari, Volt. Ci sarà anche il Psi: "Chi ha a cuore la nostra democrazia ha il dovere di esserci", ha spiegato il segretario socialista Enzo Maraio.

Il campo largo di Santi Apostoli però non sarà extra large. Da Italia viva, infatti, hanno fatto sapere che il partito di Matteo Renzi non sarà in piazza. Assente anche Azione: Carlo Calenda sarà in Senato per intervenire contro il premierato e Matteo Richetti sarà alla Camera contro autonomia, è la posizione ufficiale del partito. Niente opposizione in piazza ma in Parlamento è, insomma, la posizione di Azione. Anche se fino all'ultimo gli organizzatori non disperano di avere una delegazione in piazza.

 

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Politica

M5S, Conte: “Grillo è il papà ma non può esercitare...

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Il leader del M5S parla dello scontro con il garante: "Non vedo scissioni, se Grillo continua con le pec risponderanno gli avvocati"

Giuseppe Conte (Fotogramma)

"Grillo dice che non è il padrone del Movimento 5 Stelle ma il papà. Certo, è il fondatore del Movimento, ha avuto quest'opera meritoria di lancio del Movimento... Però il papà non può pensare di avere un telecomando in mano e di esercitare il parental control decidendo cosa dobbiamo vedere, perché siamo una comunità di adulti". Lo ha detto Giuseppe Conte, leader del M5S, parlando dello scontro con Beppe Grillo a '4 di sera' su Rete 4.

"Spero che la questione finisca qui - ha aggiunto - Se continueranno le pec da parte di Grillo o le diffide formali, vuol dire che risponderanno gli avvocati. Io non rispondo più. Ho già detto che questo processo è irreversibile e nessuno lo può fermare. Scissioni non ne vedo: una scissione si fa quando non c'è un'occasione di discussione".

Il presidente M5S ha parlato anche dell'ondata di maltempo che ha colpito l'Emilia Romagna. "Dobbiamo evitare - ha sottolineato - quello che è successo in passato, con la presidente Meloni in stivali pronta a intervenire a favore di telecamere ma poi i ristori non sono ancora arrivati ed è passato tantissimo tempo".

"Ho sentito il ministro Musumeci scaricare le responsabilità sulle autorità regionali o addirittura rimpallare responsabilità con un altro ministero del governo. Questa è una cosa che non va fatta. Se durante la pandemia di Covid avessi fatto la stessa cosa, il Paese sarebbe collassato. Bisogna lavorare a tutti i livelli: governo, regioni e comuni". ha scandito Conte.

Poi su Open Arms: "Non auguro la condanna a nessuno, nemmeno a un avversario politico. Ma le mie posizioni sul caso Open Arms, attraverso le lettere scritte, sono state chiare. Dire 'io difendo i confini nazionali' è un concetto fondamentale. Ma qui non erano confini terrestri, erano confini marittimi. E se ci sono persone in condizioni critiche bisogna intervenire".

"Eravamo a cavallo di Ferragosto. Su quella nave c'erano anche minori. Spettava a Salvini consentire l'attracco. Salvini aveva già la prospettiva di uscire dal governo, quindi assunse un tono muscolare", ha aggiunto Conte ricordando le fasi critiche della vicenda Open Arms.

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Politica

Lega, Vannacci: “Partito mio? Invenzione stampa di...

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"Rosicate quanto volete, ma il governo italiano dura"

Roberto Vannacci (Afp)

Roberto Vannacci non fonderà un partito suo, non adesso perlomeno. A dirlo è stato lo stesso europarlamentare eletto nelle file della Lega alla platea di poco più di 300 persone che, dalla prima festa organizzata in suo onore a Viterbo, sarebbe stata ben felice di accogliere una creatura politica solo del generale.

Prima di dirlo coram populo, però, Vannacci lo rivela ai giornalisti che durante l'arco della giornata hanno provato a carpirlo dall'organizzatore della kermesse, Umberto Fusco, e dal presidente de 'Il mondo al contrario', Fabio Filomeni. "Il partito è un’altra invenzione della stampa di sinistra, io non l'ho mai detto, ma non escludo nulla", chiarisce prima di sottolineare che lui sta bene nella Lega. E davanti a tutti aggiunge che il suo obiettivo è di "essere fedele, coerente con le idee che ho espresso. Non mi interessano le poltrone, mi interessa portare avanti idee, che ora sono condivise" con il partito di Matteo Salvini, con cui non c'è nessuna frizione, insomma.

D'altronde, i temi che affronta sul palco sono molto simili a quelli che porta avanti il Carroccio, i migranti e la sicurezza su tutti. L'Italia, dice infatti, diventerebbe una nuova Svizzera se la sicurezza fosse garantita al 100%, perché "siamo il Paese più bello del mondo". Un Paese che, forse, dice ancora, non dovrebbe svendere la cittadinanza, che invece dovrebbe essere concessa solo a determinate condizioni.

Vannacci parla anche dell'Ucraina, dei missili e della costruzione di un processo di pace, che dovrebbe partire da quell'Unione europea di cui lui ora è un esponente, e che sì, esiste. Parla della comunità Lgbt, di cui non capisce alcune cose, delle donne e del supporto alla maternità. Esprime anche un parere sul governo: "Durerà, anche se rosicate", afferma tra gli applausi dei presenti, ma si dispensa dal commentare l'operato del ministro della Difesa, Guido Crosetto.

L'occasione, però, è utile per scagliarsi contro i giornalisti, facendo nome e cognome. Se, infatti, deve essere grato a Matteo Pucciarelli di Repubblica, che ha scovato il suo libro e ha fatto in modo che diventasse famoso, non arrivano parole di stima nei confronti di un cronista de La Stampa e di uno del Giornale. E anche per alcuni colleghi, due su tutti Maurizio Gasparri e Chiara Gribaudo, arrivano frecce appuntite.

Sono le ultime, però. Il generale, acclamato fin dal suo arrivo con un po' di ritardo, si congeda firmando le copie dei suoi libri. Poi chissà se arriverà davvero un partito prima o poi.

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Politica

Rai, sudoku nomine ancora senza soluzione: ‘fumata...

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Dopo la visita di Roberto Sergio ieri a Palazzo Chigi per un faccia a faccia con Giorgia Meloni, salgono i rumors su una sua permanenza in Viale Mazzini, seppur nelle vesti di direttore generale

Sede Rai (Fotogramma/Ipa)

C'è chi si dice convinto che il sudoku verrà risolto 24 ore prima del voto del Parlamento, non un minuto prima. La deadline per l'elezione del Cda Rai si avvicina - il 26 settembre il giorno X - ma maggioranza e opposizione navigano ancora a vista, seppur sia convinzione diffusa che la fumata bianca arriverà senza colpi di scena o nuovi rinvii. Dopo la visita di Roberto Sergio ieri a Palazzo Chigi per un faccia a faccia con Giorgia Meloni, salgono i rumors su una sua permanenza in Viale Mazzini, seppur nelle vesti di direttore generale. L'incarico di amministratore delegato, salvo sorprese, dovrebbe andare a Giampaolo Rossi, in quota Fdi, anche se, raccontano i beninformati, il suo nome nei mesi scorsi avrebbe 'ballato' anche in seno al partito di via della Scrofa oltre che nei piani alti di Palazzo Chigi.

E se sui vertici la soluzione sembrerebbe ormai a portata di mano, l'affaire Cda al momento è lungi dall'esser risolta. Per la presidenza serve infatti l’ok dei due terzi della Commissione di Vigilanza Rai, quindi un accordo con almeno una parte dell'opposizione. Il Cda Rai è composto da sette membri: due vengono eletti dalla Camera e due dal Senato, altri due vengono indicati dal ministero dell'Economia (uno è l'amministratore delegato, l'altro il presidente che appunto deve passare per il gradimento della Vigilanza) e un altro membro viene eletto dai dipendenti dell'azienda.

Dopo il passaggio di Maria Stella Gelmini nelle file di Noi Moderati, al centrodestra mancano due voti per portare a casa la partita, vale a dire il raggiungimento del quorum dei due terzi necessario per l'entrata in carica del presidente. Forza Italia continua a puntare su Simona Agnes, che farà sì parte del Cda - su indicazione del Mef o del Parlamento, semmai dovesse servire un piano B - ma che difficilmente la spunterà come guida del Consiglio d'amministrazione. In caso di indicazione parlamentare, i piani di Meloni e del centrodestra, che attualmente prevedono un nominato in quota Fdi (Valeria Falcone) e uno in quota Lega verrebbero scompaginati. A dare le carte potrebbe essere ancora una volta Matteo Renzi, potenziale ago della bilancia visti i due membri in quota Iv. Ma è soprattutto il M5S che potrebbe fare la differenza, mentre Pd e Avs minacciano l'Aventino.

Giuseppe Conte ha aperto alla possibilità di convergere su un nome di garanzia, qualora "ci fosse un presidente autorevole, assolutamente non riconducibile a logiche partitiche". Un identikit che però non corrisponde, secondo i pentastellati, al profilo di Agnes: "Per noi - spiegano fonti M5S vicine al dossier Rai - non si tratta di un veto sulla persona, ma di un problema di metodo. Agnes non può essere un presidente di garanzia" in quanto "espressione di Fi": un mix di fattori che renderebbe per i 5 Stelle "molto difficile" esprimere un voto a favore della figlia di Biagio Agnes.

La palla, sottolineano nel Movimento, è nelle mani della maggioranza: "Serve uno sforzo comune per trovare un nome condiviso". Negli ultimi giorni sono tornate ad affacciarsi diverse ipotesi alternative per la presidenza Rai, come Antonio Di Bella e Gianni Minoli, due figure interne all'azienda con alle spalle una lunga carriera nel servizio pubblico. Nei sondaggi interni al M5S, Di Bella verrebbe preferito a Minoli alla luce del contenzioso milionario (ormai chiuso, ndr) che vedeva contrapposti il padre di Mixer e Viale Mazzini sui diritti di 'La storia siamo noi'. Altra ipotesi gradita per il Movimento guidato da Giuseppe Conte sarebbe Milena Gabanelli.

Se non dovesse arrivare un accordo, ipotesi da non escludere, la soluzione sarebbe la nomina a presidente del membro più anziano: il timone del cda spetterebbe a quel punto ad Antonio Marano, ex direttore di Rai2 ma anche un passato da deputato nelle file della Lega.

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