Smog, nuovi studi inchiodano Pm 2.5: “Impatto su morti premature e cuori fragili”
Hanno "un impatto crescente sul rapido invecchiamento della popolazione" e quindi sulle morti premature. E diventano un problema in particolare per pazienti fragili come possono essere i malati di cancro, per il quali l'effetto è di vedere aumentare i rischi per il cuore. La scienza torna a mettere alla sbarra le polveri sottili Pm 2.5. Due nuovi studi si aggiungono al filone delle ricerche che stanno certificando le conseguenze negative di questa componente dello smog. Uno è un lavoro condotto sulla popolazione coreana da un team della Pohang University of Science and Technology (Postech) e pubblicato su 'Environmental Research', l'altro è firmato da scienziati cinesi ed è stato pubblicato su una rivista dell'American College of Cardiology, 'Jacc: CardioOncology'.
Lo studio coreano indica che il particolato fine, con diametro inferiore a 2,5 micrometri (Pm 2.5), aggrava l'impatto dell'invecchiamento della popolazione coreana. E a causa dell'invecchiamento della popolazione, gli autori prevedono che "le morti premature legate al Pm 2.5 saranno più di 3 volte superiori entro il 2050 rispetto a oggi" se i livelli di esposizione attuale a queste polveri ultrafini persistono. Il gruppo composto dal docente Hyung Joo Lee e da Na Rae Kim, studentessa della Divisione di scienze e ingegneria ambientali di Postech, ha proiettato il numero di morti entro il 2050 sulla base degli effetti combinati del Pm 2.5 e dell'invecchiamento della popolazione e hanno individuato la concentrazione di Pm 2.5 che manterrebbe l'attuale carico sanitario correlato a queste polveri. Gli anziani sono particolarmente sensibili a queste microparticelle che possono penetrare in profondità nei polmoni e contribuire a una serie di problemi di salute. "Poiché la popolazione coreana invecchia rapidamente, si prevede un crescente onere sanitario".
Il team ha inizialmente calcolato la concentrazione media di Pm 2.5 in un arco di 3 anni utilizzando i valori dal 2019 al 2021, incorporando dati sia pre che post pandemici per garantire una valutazione accurata. Nell'arco temporale considerato, la concentrazione media di Pm 2.5 in Corea è stata di circa 20 microgrammi/metro cubo, sopra lo standard annuale di qualità dell'aria del ministero dell'Ambiente (15 µg/m³) e significativamente più alta del livello raccomandato dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), pari a 5 µg/m³. Il team ha poi utilizzato i dati previsti sulla popolazione, rilevando un aumento degli anziani dal 16% nel 2020 a circa il 40% entro il 2050. L'analisi ha permesso di calcolare che, "se le concentrazioni di Pm 2.5 persistessero al livello osservato negli ultimi 3 anni, il numero previsto di decessi entro il 2050 potrebbe salire a circa 110mila, più che triplicando i 34mila decessi nel 2020". Anche scendendo alla soglia fissata dal ministero coreano, si stimano ancora 84mila decessi entro il 2050. Solo arrivare a circa 6 µg/m³ manterrebbe i livelli di mortalità del 2020 entro il 2050.
"Con il rapido invecchiamento della popolazione, il numero di persone vulnerabili agli esiti sanitari legati al Pm 2.5 è in aumento e, di conseguenza, questo" particolato ultrafine "rappresenta una minaccia significativa per la salute pubblica", avverte Hyung Joo Lee. Per cristallizzare la situazione ed evitare il peggioramento del carico per la sanità "dobbiamo ridurre le concentrazioni di Pm 2.5 a circa il 40% dello standard annuale", quindi "con azioni normative più rigorose di quelle attualmente in campo".
Il lavoro dedicato ai pazienti oncologici rileva un altro aspetto legato allo smog e in particolare alle polveri sottili: l'impatto sul cuore. Se le moderne terapie hanno allungato la vita di molti malati di cancro, tuttavia - evidenziano gli autori dello studio sul tema - i sopravvissuti alla malattia spesso convivono con problemi di salute cronici, comprese le malattie cardiovascolari. La nuova ricerca mostra che l'inquinamento atmosferico svolge un ruolo significativo nell'aumento proprio delle malattie cardiovascolari e della mortalità nei pazienti affetti da cancro e contribuisce alle disparità sanitarie legate a queste condizioni. "La revisione sottolinea la necessità fondamentale di considerare i fattori ambientali, in particolare l'inquinamento atmosferico, nella valutazione del rischio cardio-oncologico e nella gestione dei pazienti", osserva Xiaoquan Rao, autrice senior dello studio e cardiologa del Tongji Hospital, università di Wuhan, Cina.
Xiaoquan Rao rileva che l'inquinamento atmosferico è stato riconosciuto come un fattore di rischio significativo sia per le malattie cardiovascolari che per il cancro; tuttavia, sono state condotte poche ricerche per studiarne gli effetti, in particolare in cardio-oncologia o nella sovrapposizione di entrambe le malattie. Il nuovo studio è stato motivato dalla necessità di colmare questa lacuna.
Gli autori hanno esaminato gli articoli pubblicati tra il 2000 e il 2023: 8 lavori esploravano direttamente l'effetto combinato dell'inquinamento atmosferico sulle malattie cardiovascolari e sul cancro. I ricercatori hanno così scoperto che la maggiore esposizione al Pm 2.5 nell'aria era significativamente associata a tassi più elevati sia di incidenza che di mortalità per malattie cardiovascolari tra i pazienti affetti da cancro.
Xiaoquan Rao rimarca che l'esposizione allo smog sembra avere un impatto su molteplici fattori di rischio condivisi, compreso lo stress ossidativo e infiammatorio. Secondo gli scienziati, una scoperta sorprendente è stata che anche l'esposizione a breve termine ad alti livelli di inquinamento ha avuto un rapido impatto sulla salute cardiovascolare dei malati di cancro. "Ciò suggerisce che anche i deterioramenti temporanei della qualità dell'aria possono avere effetti negativi immediati sulle popolazioni vulnerabili", conclude l'autrice.
Il documento sottolinea anche come l'inquinamento atmosferico contribuisca alle disparità sanitarie in tutto il mondo. Le popolazioni svantaggiate sono esposte a livelli più elevati di inquinamento atmosferico e i malati di cancro con uno status socioeconomico inferiore affrontano un rischio maggiore di mortalità per malattie cardiovascolari legate all'inquinamento atmosferico rispetto al pubblico in generale, segnalano i ricercatori, ricordando la necessità di ulteriori ricerche più dettagliate.
Salute e Benessere
Sanità, ferie non godute, Consulcesi: “Azienda evita...
Dirigente medico indennizzato
Nella difesa dei diritti dei professionisti sanitari Consulcesi segna un altro importante traguardo, riferisce il gruppo. Un dirigente medico, giunto alla pensione senza aver potuto fruire di diversi giorni di ferie maturate durante il servizio, ha infatti raggiunto un accordo transattivo con la propria azienda, evitando così il processo. Il caso, preso in carico dall'area legale di Consulcesi - spiega una nota - ha coinvolto un medico che non aveva potuto godere, nel corso della sua carriera, di diversi giorni di ferie a causa delle esigenze di servizio e della cronica mancanza di personale. Nonostante i ripetuti tentativi di ottenere il pagamento dell'indennizzo, l'azienda aveva sempre rifiutato, appellandosi ad un'interpretazione giuridica della normativa di riferimento, ormai superata. Grazie all'intervento dei legali di Consulcesi, la situazione si è però risolta prima ancora della prima udienza in tribunale.
"Questo caso evidenzia quanto sia importante una difesa legale competente, proattiva e determinata al raggiungimento dello scopo - ha affermato l'avvocato del network Consulcesi - Siamo riusciti a ottenere un accordo vantaggioso per il nostro cliente in tempi brevi, evitando di dover attendere le lungaggini del processo". L'azienda, dopo aver ricevuto la notifica del ricorso davanti al Tribunale del Lavoro, è corsa ai ripari per trovare una soluzione che potesse evitare una sentenza probabilmente per sé sfavorevole. In pochi giorni, grazie alla mediazione dei legali di Consulcesi, si è quindi raggiunta una conciliazione che ha riconosciuto al medico il 90% dell'indennizzo richiesto, insieme alla regolarizzazione contributiva, che produrrà di fatto un adeguamento anche della sua pensione.
Questo accordo - sottolinea Consulcesi - conferma non solo il diritto del medico a ricevere il pagamento dell'indennizzo per le ferie non godute, ma riflette anche il definitivo cambiamento del nostro panorama giurisprudenziale che, a seguito dei chiari moniti pervenuti dalla Corte di Giustizia europea, sta portando ad una apertura sempre più ampia per il mondo dei dipendenti pubblici in genere, e sanitari in particolare, delle opportunità di ottenere, finalmente, il giusto riconoscimento della monetizzazione di giorni di risposto non fruiti durante il rapporto di lavoro. Per l'azienda, l'accordo ha rappresentato invece il modo per evitare una probabile condanna in tribunale, con aggravamento dei costi gravanti sui nostri conti pubblici.
Il team legale Consulcesi assicura che "continuerà a tutelare sempre i diritti dei sanitari in tutta Italia, garantendo loro i giusti riconoscimenti, professionali ed economici, che meritano per l'impegno profuso durante il corso delle loro carriere. Questo caso è solo uno degli esempi del nostro costante lavoro in difesa dei professionisti della sanità".
L'azienda di riferimento in ambito legale e formativo e consulenziale per i professionisti sanitari - si legge in una nota - continua così a mietere successi nella sua battaglia per la monetizzazione delle ferie non godute, sia nelle aule dei tribunali che in sede conciliativa, grazie alla costante opera di negoziazione dei propri partner legali. L'ammontare degli indennizzi recuperati per i propri clienti ha da tempo superato la soglia dei 300mila euro, peraltro con tempistiche spesso rapide e con il rimborso delle spese legali sostenute.
Per i membri di Consulcesi Club è disponibile un'ampia gamma di servizi dedicati alla tema della monetizzazione delle ferie non godute. Oltre all'ampia gamma di contributi legali, che seguono incessantemente tutte le novità provenienti dal mondo giudiziario, viene offerta gratuitamente una dettagliata consulenza legale, con valutazione dei presupposti per la presentazione della richiesta di pagamento dell’indennità, nonché un tool per consentire a chiunque di avere un calcolo previsionale del credito potenzialmente reclamabile. In più, sono disponibili gratuitamente guide e webinar per approfondire il tema ed è possibile chiedere a professionisti esperti del tema tutti gli approfondimenti sul proprio caso personale.
Salute e Benessere
Liste attesa, Salutequità: “Diritto certezza accesso...
Le proposte e le osservazioni presentate in audizione al Senato
Dare certezza e garanzia al diritto del cittadino di accedere alle prestazioni nei tempi massimi previsti dalla norma rispettando i codici di priorità. E' questo, secondo Salutequità, l'aspetto su cui il disegno di legge sulle liste di attesa deve parlare chiaro. "Per farlo - ha spiegato Tonino Aceti, presidente di Salutequità, durante un'audizione al Senato (X Commissione) nell'ambito dell'esame del Ddl sulle prestazioni sanitarie - è indispensabile dettagliare meglio il meccanismo di garanzia e rendere questo diritto effettivamente cogente. Come? Stabilendo nella legge che l'operatore Cup (il Centro unico di prenotazione) che prende in carico la persona deve essere responsabile dall'inizio alla fine di gestire il caso e chiuderlo nel modo previsto dalla Regione in un tempo di 48 ore. Se al momento del contatto con il cittadino il Cup non ha la capacità di dare una data rispettosa dei tempi, si prende 48 ore, si coordina con la direzione generale o altro personale dedicato della Asl e con questo analizza e trova una soluzione al problema. Se la soluzione non c'è nel servizio pubblico, si dà l'autorizzazione ad andare in libera professione intramoenia o nel privato accreditato pagando il solo ticket".
"Questo deve essere automatico, perché il cittadino ha diritto alla prestazione nei tempi stabiliti e non deve più assolutamente ricorrere di tasca propria al privato o rinviare se non rinunciare alla prestazione: un grande elemento di iniquità nel servizio sanitario", ha evidenziato Aceti. L'accesso tempestivo alle cure, ha ricordato, "è uno degli obiettivi mancati oggi nel Ssn. l'Istat dice che 4,5 milioni di cittadini nel 2023 hanno rinunciato alle cure per liste d'attesa e solo poche regioni nel 2023 sono tornate dopo l'emergenza Covid a livelli più bassi del 2019 rispetto alla rinuncia alle cure. Cresce però la spesa sanitaria privata da parte delle famiglie ed è la Corte dei conti a dirlo: nel periodo 2021-2023 si passa da 41 miliardi a 43, con un'incidenza sul Pil ormai che ha raggiunto il 2,1%".
Secondo il presidente di Salutequità, oggi accade che "il cittadino chiami il Cup, ad esempio, con un codice di priorità di 30 o 60 giorni e questo dà una data su tutta la regione che non è rispettosa dei tempi massimi a volte anche di molti mesi. Poche regioni si salvano da questa situazione. A questo punto il Cup inserisce il cittadino nelle cosiddette liste di garanzia: si prende nome e cognome dell'assistito con l'impegno di richiamarlo entro 3-4 giorni, che diventano spesso una settimana, anche 10 giorni, oppure non è proprio richiamato. Il meccanismo non funziona - ha avvertito Aceti - e quando in caso richiamano, dicono spesso che la prestazione in quei tempi non c'è, si lascia il cittadino solo con la prescrizione e il problema e lì si chiude la possibilità di cura per la persona nel servizio pubblico".
Altri aspetti importanti delle osservazioni di Salutequità - che ha trasmesso alla X Commissione una nota dettagliata nel merito - riguardano la necessità di accelerare i tempi di applicazione della legge con l'emanazione dei decreti attuativi, "perché sono tutti in ritardo rispetto alla tabella di marcia - ha rimarcato Aceti - e questo è un elemento di criticità: quel provvedimento, se può portare effetti, lo può fare solo se i decreti attuativi raggiungono il traguardo e lo fanno nel più breve tempo possibile".
L'esperto ha poi segnalato alla commissione la necessità di un intervento deciso sul depotenziamento del testo del decreto-legge originario nella legge di conversione sulle cosiddette 'agende bloccate'. "Un depotenziamento - ha illustrato - che c'è stato in fase di conversione dove una delle prerogative della piattaforma nazionale di Agenas era di individuare le cosiddette agende bloccate. Questo elemento è una criticità, un depotenziamento del provvedimento che oggi invece tornerebbe molto utile. Per questo chiediamo che nel Ddl si ridia ad Agenas la prerogativa di mappare anche le agende bloccate". Secondo il presidente di Salutequità, poi, ci sono aspetti da maneggiare con prudenza e mettendo paletti molto chiari per non mettere sotto pressione ancor di più i redditi delle famiglie per curarsi o lasciare indietro i più fragili. E' il caso della previsione di oneri a carico degli utenti per lo svolgimento in telemedicina di prestazioni laboratoristiche, per le quali non si specifica se le stesse saranno alternative alle 'prestazioni tradizionali' o aggiuntive. Nel primo caso ci troveremmo in presenza di uno spostamento inaccettabile dei costi dei Lea, Livelli essenziali di assistenza, dal Ssn alle famiglie. Così come della possibilità, anche per le persone con scarse o nulle competenze digitali, di potersi avvalere e concorrere al Registro delle segnalazioni, prevedendo un accesso anche telefonico ad esempio.
Infine, va rafforzato molto il sistema di monitoraggio e "se il contrasto alle liste d'attesa è una strategia portante del Ssn - ha concluso Aceti - dovrà contare su risorse strutturali per il loro abbattimento. Queste potrebbero essere anche trovate all'interno degli obiettivi del Piano sanitario nazionale (ovvero obiettivi strategici e prioritari sui quali far convergere, in accordo con le Regioni, una quota del Fondo sanitario nazionale), che oggi presentano più di qualche criticità, mancando da anni il Piano sanitario nazionale, all'interno del sistema stesso".
Salute e Benessere
Cervello ‘riacceso’ un’ora dopo la morte,...
I test sui maiali possono favorire il recupero di pazienti dopo un arresto cardiaco
Un team di scienziati in Cina è riuscito a 'rianimare' dei cervelli di maiale, deceduti anche da quasi un'ora, ripristinando l'attività dopo che la circolazione era cessata. Il risultato è stato ottenuto nell'ambito di uno studio supervisionato dal medico Xiaoshun He della Sun Yat-Sen University e rappresenta un passo avanti nella comprensione di come ripristinare la funzione cerebrale dopo che un paziente ha subito un arresto cardiaco improvviso. Il lavoro è stato pubblicato su 'Embo Molecular Medicine'.
La notizia dell'impresa scientifica è rimbalzata sui media internazionali e la ricerca, come riporta 'Science Alert', suggerisce che i medici in futuro potrebbero essere in grado di ampliare la breve finestra per una rianimazione di successo dei pazienti dopo un arresto cardiaco.
Il 'trucco' degli scienziati
Il trucco usato? Incorporare il fegato illeso del paziente, l'organo che il corpo usa per purificare il sangue, nel sistema di supporto vitale usato per rianimare il cervello dopo che un certo lasso di tempo era trascorso. L'arresto cardiaco improvviso causa molti problemi. Il calo della circolazione in alcune parti del corpo è chiamato ischemia e, quando si verifica nel cervello, può causare danni gravi e irreparabili in pochi minuti. Ecco perché la finestra di rianimazione è così breve. Negli ultimi anni, gli scienziati hanno utilizzato modelli di maiali per testare metodi per limitare i danni cerebrali.
Utilizzando 17 maialini tibetani allevati in laboratorio, il team ha condotto una serie di esperimenti. Due gruppi di maiali sono stati sottoposti a ischemia cerebrale per 30 minuti e uno dei gruppi è stato anche sottoposto a ischemia epatica, mentre l'altro no. Un gruppo di controllo invece non ha subito alcuna ischemia. Dall'analisi è emerso che il gruppo non sottoposto a ischemia epatica mostrava danni cerebrali significativamente inferiori rispetto all'altro sottoposto a ischemia epatica.
La fase successiva della ricerca ha comportato il tentativo di incorporare un fegato non danneggiato nel sistema di supporto vitale, rianimando un cervello che era stato rimosso completamente. È improbabile che questo sia uno scenario per curare gli esseri umani, ma aiuta gli scienziati a comprendere le finestre in cui la rianimazione potrebbe essere praticabile. Il sistema di supporto vitale di base prevedeva cuore e dei polmoni artificiali per aiutare a pompare il fluido attraverso il cervello. Per un gruppo, però, il fegato di un maiale è stato integrato nel sistema in questione.
Il test
Il team ha collegato i cervelli al sistema assistito dal fegato a intervalli di 30, 50, 60 e 240 minuti dalla morte. L'intervallo più lungo che si è dimostrato promettente è stato 50 minuti dopo che i cervelli erano stati privati del sangue: il cervello ha riavviato l'attività elettrica ed è stato mantenuto in quello stato per 6 ore, fino alla chiusura del test.
È degno di nota che nei cervelli rimasti privi di ossigeno per 60 minuti, l'attività sia tornata solo per tre ore prima di scemare: suggerisce un intervallo critico in cui la rianimazione può avere successo con l'aggiunta di un fegato funzionante. Questi risultati, affermano i ricercatori, evidenziano che il fegato svolge un ruolo importante nello sviluppo di lesioni cerebrali in seguito ad arresto cardiaco. E suggeriscono nuove strade per la ricerca, inseguendo il sogno di migliorare tassi di sopravvivenza e risultati di recupero per i pazienti umani in futuro.
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