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Parkinson, lo studio per diagnosticarlo in anticipo e la donna che fiuta il morbo
Da Londra arriva uno studio che punta a riconoscere il Parkinson sette anni prima che si verifichino i sintomi sui pazienti. Si tratta di una ricerca nelle sue fasi iniziali, che ha ottenuto già ottimi risultati. Un ulteriore passo avanti nel contrasto a un morbo sempre più diffuso. Una battaglia che viene perseguita con i metodi più tradizionali ma anche seguendo strade straordinarie.
La signora che annusa il Parkinson
Come quella della donna scozzese che riesce ad “annusare” il Parkinson grazie al suo olfatto. Una notizia che nell’era della tecnologia, anche medica, sembra più unica che rara, anche se, come vedremo, la donna è in buona compagnia. Chissà quale sarà stata la reazione di Joy Milne, oggi 74 enne di Perth, in Scozia, quando ha scoperto di poter riconoscere il morbo di Parkinson attraverso l’odore. Tutto nasce in famiglia, quando Joy nota un cambiamento nell’odore del marito che trova più sgradevole e vicino all’odore del muschio. Un cambiamento che la insospettisce, fiuta che qualcosa non va, ma il marito sta bene. Dodici anni dopo all’uomo verrà diagnosticato il Parkinson.
Per molti è impossibile trovare una relazione concreta dopo così tanto tempo, ma medici e ricercatori sono incuriositi, vogliono scoprire se l’olfatto di Joy Milne ha davvero una sensibilità rara e riesce a intercettare odori così precisi.
Joy inizia a collaborare con i ricercatori dell’Università di Manchester per sviluppare un test diagnostico basato sull’analisi del sebo della pelle. Durante questi studi, la donna scozzese dimostra la sua abilità in modo impressionante. In un esperimento, deve annusare magliette indossate da persone con e senza Parkinson. Il risultato è sconvolgente: Joy riesce a individuare tutti i pazienti con Parkinson. Non solo: riesce anche a segnalare una persona malata a cui però non era stata diagnosticata la malattia. Otto mesi dopo, a questo soggetto verrà diagnosticato il Parkinson. Di fronte a questi risultati, gli scienziati iniziarono a usare dei cotton fioc sui pazienti per cercare le molecole associate alla malattia.
La signora Milne, ex infermiera, riteneva “inaccettabile” che i pazienti con il morbo di Parkinson ricevessero una diagnosi solo quando la malattia aveva già causato dei danni neurologici importanti. “Penso che sia necessario riuscire a identificarla molto prima, proprio come avviene con il cancro e il diabete. Le diagnosi tempestive possono condurre a dei trattamenti più efficaci e a delle condizioni di vita migliori”, ha spiegato. Ha aggiunto che “è stato dimostrato che l’esercizio fisico e un cambio di regime alimentare possono fare una grande differenza”.
Nel 2019 questa collaborazione ha portato i primi risultati utili a sviluppare un test del tampone che può rilevare il morbo in appena tre minuti analizzando i composti organici volatili presenti nel sebo, che nei pazienti con Parkinson. Ora i ricercatori si stanno basando sulla scoperta per perfezionare il test per la diagnosi rapida e precoce del Parkinson. Nello studio pubblicato sul Journal of the American Chemical Society, gli esperti hanno confermato il ruolo determinante del sebo nella diagnosi del morbo.
Olfatto croce e delizia
Come tutti i “superpoteri”, anche l’olfatto di Joy Milne è fonte richiede sacrifici e provoca molti disturbi alla donna nella sua vita di tutti i giorni. “Devo andare a fare la spesa molto tardi, perché faccio fatica a sopportare i profumi indossati dalle persone. Inoltre, non posso andare nel reparto del supermercato dove ci sono tutti i prodotti chimici. Però sono stata in Tanzania per collaborare alle ricerche sulla tubercolosi e negli Stati Uniti, dove ho contribuito a degli studi preliminari sul cancro. Questo naso è una maledizione, ma non priva di benefici”, ha detto.
Altri casi simili
Ma Joy Milne non è da sola. Nella storia ci sono stati documentati altri casi di persone che riescono a percepire odori associati a diverse malattie. Il caso più avvalorato è il riconoscimento del diabete dall’odore “fruttato” dell’alito dei pazienti, causato dalla chetoacidosi diabetica quando c’è uno scompenso di glicemia.
Un altro esempio affascinante riguarda i cani addestrati per identificare odori associati a diverse patologie, inclusi vari tipi di cancro. Numerosi studi hanno dimostrato che i cani possono rilevare composti chimici volatili emessi dal corpo umano con una precisione straordinaria. Questi studi mostrano che il cancro emana composti chimici volatili che possono essere rilevati dall’olfatto canino, aprendo nuove possibilità per la diagnosi precoce e non invasiva di questa malattia.
La scienza sta iniziando a comprendere meglio come l’olfatto possa essere utilizzato per diagnosticare diverse malattie. Gli studi condotti finora dimostrano che il nostro corpo emette segnali chimici che possono essere rilevati dall’olfatto umano e animale. Questi segnali possono fornire informazioni preziose sulla nostra salute e aprire nuove strade per la diagnosi precoce e il trattamento di diverse patologie.
Joy riconosce che “Nessun medico di famiglia prenderebbe sul serio un paziente che si presenta di lui convinto di avere il Parkinson solo perché ha incontrato per strada una donna capace di fiutarlo! Forse in futuro le cose cambieranno, ma per ora è così”, chiosa.
Nuovi studi sul Parkinson
Intanto, continuano gli studi su questa patologia che in Italia interessa circa 300 mila persone e un trend in salita sia perché la popolazione è invecchiata, sia perché si fanno più esami e diagnosi.
Proprio in questi giorni, da Londra arrivano buone notizie sull’avanzamento degli studi. Oggi, le persone affette da Parkinson vengono trattate con la terapia sostitutiva della dopamina dopo che hanno già sviluppato sintomi come tremore, rallentamento nei movimenti e nell’andatura e problemi di memoria. Ma i ricercatori ritengono che una previsione e una diagnosi precoce sarebbero preziose per trovare trattamenti in grado di rallentare o fermare il Parkinson proteggendo le cellule cerebrali nel mirino della malattia.
Questo è l’obiettivo di un team di ricerca dell’University College di Londra, descritto in un articolo recentemente comparso sulle colonne di “Nature Communications”. Mediante l’impiego di modelli di apprendimento automatico, gli esperti sarebbero riusciti a individuare alcune spie della presenza della malattia nel sangue.
Man mano che diventano disponibili nuove terapie per il Parkinson, dobbiamo diagnosticare la patologia ai pazienti prima che sviluppino i sintomi”, osserva l’autore senior dello studio, Kevin Mills, dell’Ucl Great Ormond Street Institute of Child Health. Questo perché, evidenzia, “non possiamo far ricrescere le nostre cellule cerebrali, quindi dobbiamo proteggere quelle che abbiamo”.
Per verificare che il test fosse in grado di prevedere la probabilità di sviluppare la malattia, il team ha analizzato il sangue di 72 pazienti con disturbo del comportamento del sonno Rem. Questo disturbo fa sì che i pazienti mettano in atto fisicamente i propri sogni senza saperlo, facendo sogni vividi o violenti). È ormai noto che il 75-80% delle persone con questo disturbo svilupperanno una sinucleinopatia, un tipo di disturbo cerebrale causato dall’accumulo anomalo di una proteina chiamata alfa-sinucleina nelle cellule cerebrali e correlato al Parkinson. Quando lo strumento di apprendimento automatico ha analizzato il sangue dei pazienti, ha identificato che il 79% di loro aveva lo stesso profilo di una persona affetta dal morbo. Qualora i risultati di questo primo studio superassero il test della generalizzabilità, basterebbero delle semplici analisi del sangue per una diagnosi precoce e affidabile (clicca qui se vuoi approfondire).
La speranza dei ricercatori è di ottenere finanziamenti anche per creare un test eseguibile in maniera più semplice mettendo una goccia di sangue su una scheda da inviare al laboratorio.
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San Valentino per cuori infranti: quando l’ex diventa una...
San Valentino è tradizionalmente la festa degli innamorati, quella data che celebra il romanticismo, il fiore della passione e l’inevitabile inondazione di cuori, fiori e cioccolatini. Tuttavia, non tutti la vedono con gli stessi occhi. Per chi ha attraversato il campo minato delle relazioni finite, questo giorno può trasformarsi in un promemoria di cuori infranti e promesse non mantenute. E se invece di lamentarsi, si trasformasse la delusione in risata? Ecco che interviene l’originale iniziativa proposta dallo zoo di Brookfield, Chicago, dove il protagonismo dell’ex può essere ripensato in chiave… entomologica!
Una blatta per San Valentino
Per chi desidera voltare pagina in modo simbolico (e forse un po’ provocatorio), lo zoo di Brookfield offre una proposta che mescola ironia, beneficenza e, ovviamente, insetti. Si tratta del programma “Name a Cockroach” che, in occasione di San Valentino, consente di dare il nome a una blatta fischiante del Madagascar – sì, proprio quel piccolo e resistente insetto che spesso evoca più paura che tenerezza. Ma perché proprio uno scarafaggio? La risposta è semplice: è l’insetto perfetto per celebrare un amore che non c’è più. Per soli 15 dollari, infatti, è possibile intitolare una di queste creature all’ex partner, simbolicamente “seppellendo” la relazione sotto il peso di una risata.
Il pacchetto proposto dal Brookfield Zoo include non solo la possibilità di scegliere il nome da dedicare alla blatta, ma anche un certificato di attestazione che può essere condiviso o conservato come ricordo personale. Ma l’ironia non finisce qui. Ogni blatta nominata verrà registrata sulla “Cockroach Naming Board” che sarà esposta all’esterno dell’Hamill Family Play Zoo, visibile al pubblico il giorno di San Valentino.
Al di là della risata, c’è un altro lato della medaglia che rende questa iniziativa più che un semplice scherzo: il sostegno alla conservazione degli animali. Il denaro raccolto grazie alle donazioni per “Name a Cockroach” va infatti a supportare le attività dello zoo, che contribuisce alla protezione e al benessere degli animali. Quindi, ogni nome che si aggiunge alla lista delle blatte non è solo un atto simbolico nei confronti di un ex, ma anche una piccola azione di supporto a una causa più grande.
La parte ironica non è certo l’unico aspetto a caratterizzare questa proposta: c’è una filosofia profonda anche nell’uso dell’insetto. Lo scarafaggio, noto per la sua resistenza e longevità, diventa il perfetto “compagno” per chi vuole rappresentare una relazione che non solo è finita, ma che ha avuto il coraggio di sopravvivere a tutto. La blatta fischiante del Madagascar, tra l’altro, è una specie che si distingue per la sua straordinaria capacità di adattamento, rendendola metafora perfetta di chi, nonostante le difficoltà, riesce a sopravvivere alla fine di una storia.
Altri zoo ‘in gara’
Brookfield Zoo non è certo l’unico parco a proporre un’iniziativa simile. Il Bronx Zoo, a New York, ha lanciato la sua versione di “Name a Roach” nel 2011, creando un evento annuale che ha conquistato numerosi partecipanti. Anche in questo caso, la donazione di 15 dollari consente di scegliere un nome per uno scarafaggio, con l’aggiunta di un certificato digitale che si può condividere con chi si vuole. E chi non si accontenta di un semplice nome può optare per uno dei pacchetti “deluxe” proposti dal Bronx Zoo, che includono peluche a forma di scarafaggio e calzini a tema, per un’esplosione di simpatico nonsense.
Se il Bronx e Chicago non sono abbastanza, un altro zoo della Pennsylvania ha lanciato una proposta decisamente più “carnivora” con il suo evento “Catch and Release“. Qui, non sono gli scarafaggi ad essere i protagonisti, ma i pesci, che vengono nominati e successivamente offerti come preda ai pinguini africani dello zoo. Per 15 dollari, i partecipanti potranno vedere il proprio pesce nominato “dopo di te, caro ex” divorato dai pennuti in un video che verrà inviato loro il giorno di San Valentino. Questa proposta ha sicuramente un appeal molto più drammatico, ma con un lato ironico altrettanto affascinante.
In questo modo, San Valentino si trasforma da festa di cuore e rose rosse a un momento per ridere di se stessi e, magari, prendere una pausa dal romanticismo tradizionale. È un’occasione per dimostrare che, a volte, la miglior vendetta è una risata. E se c’è una cosa che le blatte e i pesci ci insegnano, è che, a volte, per andare avanti bisogna imparare a ridere di ciò che ci ha fatto soffrire.
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Cancro: in Europa ogni minuto 5 diagnosi, ma in Italia va...
Ogni minuto, cinque persone nell’Unione Europea ricevono una diagnosi di cancro e due muoiono a causa della malattia. Le statistiche sono impietose: i tassi di mortalità per cancro sono del 67% più alti tra gli uomini rispetto alle donne e colpiscono maggiormente le persone con un livello di istruzione più basso. E l’impatto della malattia è destinato a crescere. Tra il 2023 e il 2050, la spesa sanitaria per il cancro nell’Ue dovrebbe aumentare del 59%, mentre la riduzione della speranza di vita associata alla malattia è stimata in quasi due anni. Questi dati, riportati nei Country Cancer Profiles preparati dall’OCSE e dalla Commissione Europea, pongono l’accento sull’urgenza di potenziare la prevenzione e la diagnosi precoce. Oggi, in occasione della Giornata Mondiale contro il Cancro, promossa dalla Union for International Cancer Control (Uicc), è più che mai necessario riflettere su queste sfide e sull’importanza di interventi tempestivi e mirati.
L’Italia e il cancro, tra sfide e progressi
L’Italia si distingue in questo scenario con un risultato positivo: nell’ultimo decennio il tasso di mortalità per cancro nel nostro Paese è diminuito del 15%, attestandosi al di sotto della media europea. Questa riduzione testimonia i progressi compiuti nel contrasto alla malattia e si inserisce in un quadro più ampio di miglioramento della qualità delle cure oncologiche a livello europeo. Secondo le proiezioni del Sistema Europeo d’Informazione sul Cancro (European Cancer Information System – ECIS), nel 2022 si prevedevano in Italia 407.240 nuovi casi di tumore, con una leggera prevalenza tra gli uomini (52%) rispetto alle donne (48%). Il tasso di incidenza standardizzato per età risultava inferiore del 2% alla media Ue per gli uomini, ma superiore del 4% per le donne.
I tumori al seno, al colon-retto, ai polmoni e alla prostata rappresentavano quasi la metà dell’incidenza complessiva. Il cancro alla prostata è stato il principale tra gli uomini (18% dei casi), seguito da quello del colon-retto (14%) e del polmone (13%). Per le donne, il tumore al seno è stato il più comune (31%), seguito da quello al colon-retto (12%), al polmone (8%) e all’utero (5%). Tuttavia, l’ECIS stima che i casi di cancro in Italia aumenteranno del 18% tra il 2022 e il 2040, principalmente a causa dell’invecchiamento demografico.
La mortalità per cancro in Italia
Dopo le malattie cardiovascolari, il cancro rappresenta la seconda causa principale di morte in Italia, con oltre il 23% di tutti i decessi registrati nel 2021. Pur presentando un tasso di incidenza in linea con la media Ue il tasso di mortalità per cancro standardizzato per età è relativamente basso: con 222 decessi per 100.000 abitanti, l’Italia si attesta al di sotto della media Ue di 235 decessi per 100.000 abitanti. Tra il 2011 e il 2021, il tasso di mortalità per cancro nel nostro Paese è diminuito del 15%, superando il calo medio del 12% registrato nell’Ue.
Questa riduzione è stata particolarmente evidente tra gli uomini (-20%), riflettendo i progressi nella diagnosi precoce e nel trattamento, oltre che nella riduzione di fattori di rischio comportamentali come il fumo. La mortalità per cancro ai polmoni, per esempio, è diminuita di quasi un terzo tra gli uomini italiani nell’ultimo decennio, superando la media Ue. Tuttavia, il divario di genere resta evidente: i tassi di mortalità per cancro sono più elevati tra gli uomini, sebbene il gap sia inferiore rispetto alla media Ue.
Disparità socioeconomiche nella lotta al cancro
Come in altri Paesi europei, in Italia i tassi di mortalità per cancro sono più elevati tra le persone con livelli inferiori di istruzione. Il divario è particolarmente marcato tra gli uomini: rispetto ai laureati, i diplomati delle scuole superiori hanno un tasso di mortalità superiore del 26%, mentre chi ha un’istruzione primaria o inferiore registra un tasso più alto del 75%. Il cancro ai polmoni è il tumore più associato a queste disparità, rappresentando oltre un terzo dei decessi tra le persone con un livello di istruzione più basso.
Questi dati confermano le evidenze del progetto EU-CanIneq, che analizza le disuguaglianze socioeconomiche nelle cure oncologiche in tutta l’Ue. Tra il 2015 e il 2019, gli uomini italiani con il livello di istruzione più basso hanno registrato un tasso di mortalità per cancro superiore del 63% rispetto a quelli con istruzione più elevata. Per le donne, il divario è stato del 9%, tra i più contenuti in Europa. Questo suggerisce che, sebbene in Italia le donne siano generalmente meno colpite da disparità socioeconomiche rispetto agli uomini, resta fondamentale garantire un accesso equo alle cure per tutti.
La prevenzione resta la chiave
Secondo le stime europee, una strategia di prevenzione efficace potrebbe ridurre significativamente l’incidenza del cancro nei prossimi decenni, agendo su fattori di rischio noti come il fumo, il consumo di alcol, l’obesità e l’inquinamento atmosferico. Tuttavia, alcuni dati destano preoccupazione: in oltre due terzi dei Paesi Ue, più della metà degli adulti è in sovrappeso e il 70% non pratica sufficiente attività fisica. Ancora più allarmante è il calo delle adesioni ai programmi di screening: in metà dei Paesi Ue, i tassi di screening per il tumore al seno sono diminuiti, e i controlli per il tumore alla cervice uterina sono calati nei due terzi degli Stati membri.
L’Italia deve dunque affrontare una doppia sfida: mantenere i progressi ottenuti nella riduzione della mortalità oncologica e migliorare ulteriormente le strategie di prevenzione. Gli investimenti in centri specializzati, team multidisciplinari e linee guida cliniche uniformi rappresentano strumenti fondamentali in questa direzione. Allo stesso tempo, il potenziamento delle infrastrutture digitali per la raccolta e l’analisi dei dati potrà contribuire a migliorare la qualità delle cure e a individuare aree critiche su cui intervenire.
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Aborto, Trump vuole tornare nella Geneva Consensus...
Donald Trump, aborto: ci risiamo. Negli scorsi giorni, il presidente Usa ha annunciato l’intenzione di rientrare nella Geneva Consensus Declaration, il patto internazionale anti-aborto lanciato durante il primo mandato del tycoon. Questa mossa, comunicata dal segretario di Stato Marco Rubio, rappresenta un’inversione di rotta rispetto alle politiche adottate dall’amministrazione Biden, che aveva ritirato gli Stati Uniti dall’accordo.
Geneva Consensus Declaration, cosa è
La Geneva Consensus Declaration è stata istituita nell’ottobre 2020 con l’obiettivo di affermare che non esiste un diritto internazionale all’aborto e che i Paesi non sono obbligati a finanziare o supportare le procedure abortive. L’accordo è stato inizialmente sottoscritto da 32 nazioni, tra cui Stati Uniti, Brasile, Egitto, Ungheria, Indonesia e Uganda. Successivamente, il numero di firmatari è salito a 34.
Il documento riflette la visione conservatrice dei diritti riproduttivi e della struttura familiare più volte rilanciata dal leader Repubblicano. Questi i quattro obiettivi principali espressi nel testo:
- Garantire significativi progressi nella salute e nello sviluppo delle donne;
- Proteggere la vita in tutte le sue fasi;
- Dichiarare il diritto sovrano di ogni nazione di stabilire le proprie leggi a tutela della vita, senza pressioni esterne;
- Difendere la famiglia come fondamento di una società sana.
Trump, l’aborto e la reazione delle donne americane
Il rientro degli Stati Uniti nella Geneva Consensus Declaration avviene in un momento in cui il dibattito sull’aborto è particolarmente acceso negli Stati Uniti. Nel 2022, con il caso Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, la Corte Suprema ha annullato la storica sentenza Roe v. Wade, che garantiva il diritto costituzionale all’aborto, permettendo ai singoli Stati americani di imporre restrizioni significative o vietare completamente la procedura. Dopo quella decisione, diversi Stati a guida repubblicana hanno introdotto leggi che limitano severamente l’accesso all’aborto.
Il tema era stato al centro dello scontro tra Donald Trump e Kamala Harris nel primo e unico confronto televisivo tra i due candidati alla Casa Bianca: per il tycoon la sentenza del 2022 è merito “del genio, del cuore e della forza di sei giudici della Corte Suprema” che sono riusciti a trasferire la decisione sul diritto di aborto ai singoli Stati concludendo una battaglia durata cinquantadue anni (la sentenza Roe v. Wade è del 1973). Per l’allora vicepresidente Kamala Harris, invece, la dinamica è stata più controversa: “Donald Trump ha scelto personalmente tre membri della Corte Suprema degli Stati Uniti con l’intenzione che avrebbero annullato le protezioni di Roe v. Wade. E hanno fatto esattamente quello che lui intendeva”.
Per la candidata repubblicana le conseguenze per le donne sono state devastanti: “Ora, in più di 20 Stati, ci sono divieti sull’aborto voluti da Trump, che rendono criminale per un medico o un’infermiera fornire assistenza sanitaria. In uno Stato, si prevede l’ergastolo per i medici”.
Nonostante il successo della candidata democratica in quel dibattito televisivo, Trump ha stravinto le elezioni americane. La reazione delle donne americane è stata immediata: subito dopo il trionfo elettorale del tycoon, in America c’è stato il boom della vendita di pillole abortive. Aid Access, tra i principali fornitori di mifepristone negli Stati Uniti, ha dichiarato di aver ricevuto circa 10.000 ordini del farmaco nelle 24 ore successive alla vittoria elettorale di Trump: un numero che è quasi venti volte maggiore rispetto alle 600 richieste giornaliere abituali.
Il dato si consolida con le informazioni riportate da Just the Pill, un’organizzazione no-profit che prescrive la pillola tramite consulti di telemedicina, che ha visto aumentare le richieste a 125 ordini in pochi giorni. Tra le donne che vi hanno fatto richiesta, alcune non sono neppure in gravidanza ma preferiscono fare una scorta, nel timore che il farmaco diventi inaccessibile nell’immediato futuro.
Altre decisioni anti-aborto
Oltre al rientro nella Geneva Consensus Declaration, l’amministrazione Trump ha adottato ulteriori misure per rafforzare la sua posizione anti-aborto. Tra queste, il congelamento degli aiuti esteri, ad eccezione di quelli destinati a Israele ed Egitto, e la reintroduzione della “Mexico City Policy”, che vieta il finanziamento federale alle organizzazioni non governative internazionali che forniscono o promuovono servizi abortivi.
Trump contro l’aborto, gli effetti sulla salute e sui rapporti internazionali
Le reazioni a queste iniziative sono state polarizzate.
I gruppi anti-abortisti hanno accolto con favore le misure, vedendole come passi significativi nella protezione della vita nascente. Al contrario, i sostenitori dei diritti riproduttivi e numerose organizzazioni internazionali hanno espresso preoccupazione per le possibili conseguenze negative sulla salute delle donne, sia negli Stati Uniti che a livello globale. La reintroduzione della “Mexico City Policy”, ad esempio, potrebbe portare alla chiusura di cliniche che offrono servizi essenziali per la salute riproduttiva in Paesi in via di sviluppo, aumentando il rischio di aborti non sicuri e complicazioni correlate.
Inoltre, la decisione di rientrare nella Geneva Consensus Declaration potrebbe isolare ulteriormente gli Stati Uniti dagli storici alleati degli Usa, molti dei quali sostengono il diritto all’aborto come parte integrante dei diritti umani. La dichiarazione è stata firmata principalmente da nazioni con governi conservatori o autoritari, il che potrebbe influenzare la percezione internazionale degli Stati Uniti riguardo ai diritti delle donne e alle politiche sanitarie.
Il rapporto con l’Ue
Il deterioramento dei rapporti con l’Unione europea non arriva a sorpresa. Già la nomina di J.D. Vance come vicepresidente, aveva fatto presagire che Trump sarebbe tornato ad affermare le posizioni antiabortiste con ancora più decisione rispetto al primo mandato.
Per approfondire: La scelta di Vance preoccupa l’Ue su tre fronti: Ucraina, commercio e diritti civili
Intanto, l’11 aprile 2024, gli eurodeputati hanno chiesto al Consiglio di inserire il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Una decisione non vincolante con cui l’Ue ha ribadito la propria posizione progressista in materia di diritti civili. Con la risoluzione, gli eurodeputati (336 favorevoli, 163 contrari e 39 astenuti) hanno invitato ai Paesi membri a depenalizzare completamente l’aborto in linea con le linee guida dell’Oms del 2022 e a combattere gli ostacoli all’aborto. In particolare, si invitano Polonia e Malta ad abrogare le leggi e le altre misure nazionali che ne limitano il diritto. Nelle valutazioni dell’Europarlamento emergono criticità anche sull’Italia, e sulle posizioni assunte dal governo Meloni (molto vicina a Trump) in materia di aborto.
Melania Trump pro aborto
Non solo alleati storici dell’America, la decisione di Trump non sarà piaciuta neanche a sua moglie Melania Trump che, prima delle elezioni d’Oltreoceano, aveva invitato le donne a sentirsi libere di decidere sul proprio corpo: “È fondamentale garantire che le donne abbiano autonomia nel decidere se avere figli, in base alle proprie convinzioni, libere da qualsiasi intervento o pressione da parte del governo”, ha scritto la First Lady nel suo libro di memorie.
“Perché qualcuno diverso dalla donna stessa dovrebbe avere il potere di determinare cosa fare con il proprio corpo? Il diritto fondamentale di una donna alla libertà individuale, alla propria vita, le garantisce l’autorità di interrompere la gravidanza se lo desidera”, ha scritto ancora Melania Trump secondo cui “Limitare il diritto di una donna a scegliere se interrompere una gravidanza indesiderata equivale a negarle il controllo sul proprio corpo. Ho portato questa convinzione con me per tutta la mia vita adulta”.
Precedenti storici e politiche correlate
La Geneva Consensus Declaration non è l’unica iniziativa dell’amministrazione Trump volta a limitare l’accesso all’aborto. Durante il suo primo mandato, Trump ha implementato diverse politiche con l’obiettivo di ridurre il supporto federale per le procedure abortive. Tra le mosse più significative c’è stata la reintroduzione e l’espansione della “Mexico City Policy”, nota anche come “Global Gag Rule”, istituita dall’amministrazione Reagan nel 1984. La misura vieta di utilizzare fondi federali per finanziare organizzazioni non governative internazionali che forniscono servizi abortivi o che promuovono l’aborto come metodo di pianificazione familiare.
La politica è stata revocata e reintrodotta da successive amministrazioni, a seconda dell’orientamento politico del presidente in carica. Sotto la presidenza del tycoon, la politica è stata ampliata per includere quasi tutti i programmi di assistenza sanitaria globale finanziati dagli Stati Uniti, influenzando miliardi di dollari in aiuti e numerose organizzazioni sanitarie in tutto il mondo.
Un’altra misura significativa è stata la modifica del Titolo X, il programma federale di pianificazione familiare. Nel 2019, l’amministrazione Trump ha introdotto una regola che proibiva ai fornitori di servizi sanitari finanziati dal Titolo X di riferire le pazienti a servizi abortivi. Questa modifica ha portato diverse organizzazioni, tra cui Planned Parenthood, a rinunciare ai fondi del Titolo X piuttosto che conformarsi alla nuova regola, riducendo l’accesso ai servizi di pianificazione familiare per molte donne a basso reddito.