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Taxi, a Roma sono la metà di Madrid: Parigi inarrivabile. Bittarelli: “Servono 300 licenze subito nella Capitale”

La Capitale può contare su 7.962 taxi e mille Ncc. Presidente itTaxi, Bittarelli: "Servono subito 300 licenze nella Capitale". General manager di Uber Italia Pireddu: "Con Giubileo ripensare con urgenza offerta". L'assessore capitolino Patanè: "Entro luglio bando per mille nuove licenze"

Taxi (Fotogramma)

Aspettando le nuove licenze 'doppie' del Campidoglio, Roma si trova evidentemente in una situazione di sofferenza, certificata da articoli di giornale e testimonianze dei viaggiatori: e i numeri raccontano appieno questa carenza di mezzi per la mobilità dei singoli. La Capitale infatti (con oltre 3 milioni di residenti più 15 milioni di turisti transitati solo nei primi sei mesi dell'anno) può contare su 7.962 licenze taxi attive, cui vanno aggiunti circa 1.000 Ncc. Si tratta praticamente - in base ai dati dell'Ufficio Studi Uritaxi - della metà dei 15.777 taxi censiti a Madrid con un numero di turisti molto simile, e costi mediamente più bassi (il viaggio dall'aeroporto al centro della città costa 30 euro contro i 50 da Fiumicino al cuore di Roma).

In realtà fra le grandi capitali europee è Parigi quella con l'offerta più forte con 19.124 taxi attivi, anche se con un numero di turisti superiore e un'area maggiore da coprire. Sopra quota 15 mila (15.127 per l'esattezza) anche Londra, che però conta quasi 9 milioni di residenti. Sui livelli romani (8100 taxi attivi) anche Berlino, dove però il numero di turisti atteso è quasi la metà di quello dell'Urbe. Forte anche l'offerta a Barcellona (10.521 'auto bianche', in realtà gialle e nere) e, considerando le dimensioni inferiori, Bruxelles (3250).

Ma è Atene il 'paradiso' di chi vuole affidarsi a un taxi: i 13.760 veicoli in circolazione giorno e notte, peraltro con tariffe assai ridotte rispetto alle altre grandi capitali, fanno dei taxi un sostituto efficace ed economico per muoversi sotto l'Acropoli e in tutta l'Attica.

L'assessore capitolino Patanè: "Entro luglio bando per mille nuove licenze"

“Non c'è dubbio che a Roma ci sia una carenza di Taxi e di Ncc e mi fa piacere che questo dato di fatto venga ormai riconosciuto univocamente". Lo dichiara l’assessore alla Mobilità di Roma Capitale, Eugenio Patanè. "Le licenze Taxi sono ferme al 2006 e quelle Ncc da molto prima e non raggiungono neanche le mille unità a fronte di un mercato la cui domanda viene servita quotidianamente da migliaia di Ncc rilasciati da altri comuni. Ci preme però sottolineare che la nostra amministrazione, a cui non fa difetto il coraggio, a valle di una lunga e serena concertazione con le organizzazioni sindacali di categoria che verte su tutti i temi cruciali del settore, da quello delle tariffe, a quello delle nuove prefrenziali, ai nuovi parcheggi taxi, alle licenze per il trasporto delle persone con disabilità, entro luglio pubblicherà l'avviso pubblico per mettere in strada 1000 nuove licenze taxi e 2000 autorizzazioni Ncc di Roma”.

“Nonostante - aggiunge Patanè - la carenza di offerta, i nostri taxi e Ncc, a cui va il mio ringraziamento per aver operato sotto organico e in condizioni difficili per i cantieri e per il rifacimento di tutti gli asset del trasporto pubblico, hanno servito la città e i turisti nel 2023 con più di 23 milioni di corse. Con le nuove licenze, autorizzazioni e con il meccanismo delle doppie guide l'offerta che metteremo in campo per il Giubileo crescerà almeno del 30% nel 2025”. “Voglio però ribadire a tutti coloro che sanno solo ripetere il mantra della necessità di nuove licenze come la panacea di tutti i mali - conclude Patanè - che i problemi del settore non si risolvono mettendo in capo ai comuni l'onere di aumentare l'offerta, ma c'è la necessità urgente di portare in approvazione una riforma organica del settore con una normativa che tenga conto della fase in cui viviamo, superando la vecchia legge del '92 che ormai appare inadeguata a rispondere sia alle esigenze degli utenti sia di chi svolge questo lavoro”.

Presidente di itTaxi: "Servono 300 nuove licenze a Roma"

''Sono due anni che diciamo che è necessario rilasciare immediatamente 300 licenze". Così Loreno Bittarelli, presidente di itTaxi e Uri-Unione dei RadioTaxi d’Italia all'Adnkronos dopo le ennesime denunce sui social, ultime in ordine di tempo dall'attrice Nancy Brilli e da Crispian Balmer, corrispondente della Reuters in Italia, sulla difficoltà di trovare i taxi a Roma.

"Adesso il Comune di Roma ha deciso di fare il bando oneroso sfruttando il decreto Bersani, in modo che il 20% del costo della licenza vada ai Comuni. Che senso ha assegnare la licenza a chi ha più soldi. E' la prima volta che si rilasciano le licenze col bando oneroso, Veltroni ne rilasciò 2.500 a titolo gratuito''. "Al momento a Roma le auto bianche sono circa 7.800. Fino ad ora ci siamo persi in chiacchiere, non è chiaro quante licenze rilascerà Gualtieri: 1000-1.500-2000? Sembra che il prezzo sarà di circa 70mila euro a licenza. Il bando ha avuto già l'ok dell'Art e dovrebbe uscire a luglio. Quello che noi suggeriamo invece è di andare per gradi ma di iniziare subito. Mentre entrano in circolazione nuovi taxi vanno adeguate le infrastrutture: ad esempio aumentare le piazzole e le corsie preferenziali''. Infine Bittarelli sottolinea un'altra criticità: ''Un elemento che non aiuta è il costo del servizio, non è possibile che la tariffa sia ferma da quasi 13 anni. Va adeguata ai costi di gestione, altrimenti l'incontro tra domanda e offerta si altera''.

Uber, Pireddu: "Bene aumento numero licenze, con Giubileo ripensare con urgenza offerta"

"Nel mese di maggio e giugno abbiamo registrato un afflusso turistico internazionale consolidato, conseguente una crescita progressiva e costante in 11 anni della nostra attività in Italia, con richieste di corse che sono cresciute di oltre il 40% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno". Ad affermarlo all'Adnkronos è Lorenzo Pireddu, general manager di Uber Italia facendo il punto sull'evoluzione della domanda nelle grandi città. "A questo si somma la crescita delle richieste dei cittadini italiani, soprattutto verso stazioni e aeroporti, che in un anno sono cresciute di oltre il 20%. Un trend che è destinato ad intensificarsi ulteriormente durante i mesi estivi e il risultato è che sulla nostra app circa il 40% delle richieste rimane inevasa".

"Oltre ai numeri della nostra App a livello internazionale, che conta 150 milioni di utenti attivi su base mensile a livello globale - sottolinea Pireddu-, abbiamo registrato un incremento delle richieste degli utenti nazionali che solo negli ultimi 12 mesi è stato pari a oltre il 20%. Questo grazie al fatto che siamo sempre più presenti sul territorio nazionale, di recente abbiamo lanciato la nostra applicazione nel nord est, Veneto e Friuli Venezia Giulia, abbiamo intensificato la nostra presenza in Sardegna, e a breve lanceremo in una nuova regione. E questo grazie al fatto che abbiamo da 2 anni ampliato il nostro portafoglio prodotti, offrendo diverse opzioni di mobilità, come i taxi che si sono aggiunti agli Ncc. Tale offerta combinata è stata particolarmente apprezzata dai nostri utenti". Da anni, aggiunge il general manager di Uber Italia, "offriamo la possibilità di muoversi attraverso la micromobilità di Lime, e di recente abbiamo siglato un'importante partnership con Italo, che ci consente di offrire un’esperienza di viaggio door-to-door sempre più semplice e che risponde alle esigenze di mobilità di cittadini e turisti".

"Il ministero sta varando dei decreti che limiteranno ulteriormente l'offerta di mobilità nelle città italiane e aggraveranno la situazione già critica che stiamo vivendo in tutta la nazione, come testimoniano le lunghe code di cittadini e turisti fuori dalle stazioni ed aeroporti. Se questi decreti saranno attuati andremo incontro a un collasso del sistema del trasporto nelle nostre città, con il risultato che sarà sempre più difficile spostarsi e si ritornerà ad un uso intensivo della propria auto, data la mancanza di alternative".

Alcuni taxi, sottolinea Pireddu, "lamentano una disparità di regole tra taxi e Ncc. La soluzione è garantire maggiore flessibilità per tutti affinché la concorrenza nel mercato possa produrre vantaggi per i consumatori, non adottare politiche protezionistiche dell’interesse economico di una categoria. Se l’obiettivo, come ha detto più volte il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, è che tutti lavorino meglio, la soluzione è rimuovere rigidità e non introdurne di nuove".

"Il Giubileo alle porte obbliga a ripensare con urgenza la qualità e la quantità dell’offerta di servizi di trasporto: al di là degli interventi infrastrutturali che sono in corso e stanno inevitabilmente causando dei disagi alla circolazione, nel breve periodo, la scelta annunciata dal Campidoglio di un aumento del numero delle licenze taxi e delle autorizzazioni Ncc è quanto mai necessaria".

"Come ha ribadito più volte la Corte Costituzionale, crediamo che al centro di qualunque ragionamento vada messo l’utente, che ricerca servizi di trasporto tramite applicazioni tecnologiche e sulla quale le due categorie, taxi e Ncc, devono confluire per soddisfare tali bisogni di mobilità senza barriere artificiali alla concorrenza". Per Pireddu "bisogna permettere alle persone di accedere a servizi di trasporto affidabili ed efficienti, che rispondano all’esigenza del momento e che garantiscano disponibilità e tempi di attesa ragionevoli".

"Noi - spiega - siamo pronti a mettere a disposizione la nostra tecnologia, come abbiamo già fatto in tanti paesi, come strumento in grado di comprendere il vero fabbisogno di mobilità delle nostre città adattando l’offerta di conseguenza, anche prevedendo meccanismi flessibili nella determinazione della tariffa e dei turni di servizio".

Tassisti Napoli: "Perché non si parla delle spese che noi sosteniamo?"

Sono in tanti e lavorano poco, in media percorrendo cinque-sei tratte al giorno, qualcosa in più nei posteggi più battuti, in un turno di otto ore, dovendo procedere a rotazioni ampie per avere a bordo i clienti, nonostante il boom di presenze turistiche a Napoli, soprattutto, in questo periodo. Poi c'è la concorrenza delle note applicazioni per il trasporto privato e i costi di gestione. I dati sulle dichiarazioni dei redditi pubblicate da Il Sole 24 Ore nei giorni scorsi, secondo cui i tassisti napoletani in media dichiarano poco meno di 10.200 euro annui, trova conferma nelle parole di alcuni conducenti in attesa di chiamata, all'aeroporto di Capodichino, che produce ormai un intenso traffico di turisti a ogni ora del giorno. “Il sazio non crede al digiuno”, così esordisce, con una battuta espressa in napoletano all'Adnkronos Marco, tassista da 25 anni. “Si parla spesso senza sapere le cose. Noi sosteniamo spese ingenti, ci sono quelle per il carburante, c'è la concorrenza sleale degli abusivi, ci sono gli Ncc. Personalmente faccio un fondo cassa quotidiano per la manutenzione del taxi, poi pago circa 2.000 euro annui di assicurazione, il 40% in più di quanto costa a un privato, poi c’è il collaudo annuo di 80 euro, il costo di un test psicologico, si parla poco dei costi che sosteniamo”.

E se l'Antitrust nei mesi scorsi ha sollecitato anche il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, a incrementare il numero delle licenze, per i tassisti uno dei nodi è il mancato aumento delle tariffe: "Siamo fermi al tariffario di 20 anni fa, nel frattempo tutto è aumentato, così il nostro guadagno è sempre più basso", spiegano in coro, ammettendo che ci sono ancora colleghi che non emettono fatture. "Avviene in tutte le categorie professionali", incalzano alcuni. Gennaro, tassista 45enne, ammette che "con i turisti si guadagna di più ma ormai si guarda solo quello, c’è il tema dell’usura dell’auto, io incasso circa 30-40 euro al giorno in più, il fatturato quotidiano è di 70 euro circa".

Poi c'è la grande questione dei servizi di trasporto privato via app. “Si dice che le tariffe sono più basse, in realtà incassano anche di più, la differenza è fatta dalla prenotazione con lo smartphone, ma i turisti non sanno che pagano di più”, osserva Gennaro, che si serve di una delle più celebri piattaforme per prenotare un transfer diretto a Caserta: “Viene a costare 112 euro, io chiedo meno di 100 euro, ma ora per farci concorrenza queste aziende vengono a prelevare i clienti all’uscita principale dell’aeroporto, cosa che le forze dell’ordine a noi non consentono”.

Palermo verso doppia guida. Marra (Assoimpresa): "Qui niente code e caos"

Operare in un regime di doppia guida con la possibilità di estendere l’attività a un parente o a un collaboratore - regolarmente messi in regola - per un turno extra di 6-7 ore. E' l'ipotesi a cui guarda l'Amministrazione comunale di Palermo per venire incontro alle esigenze dei tassisti e ridurre eventuali disagi in vista della stagione turistica che si prepara ad entrare nel vivo. "Abbiamo incontrato nelle scorse settimane il sindaco Lagalla e l'assessore Forzinetti - dice all'Adnkronos Orazio Marra, presidente di Fitaxi Assoimpresa Palermo - per chiedere di avviare in città il regime di doppia guida e collaborazione familiare, l'amministrazione si è attivata per preparare la documentazione. L'obiettivo è rafforzare il servizio e colmare le criticità di eventuali chiamate inevase e attese". Attese che nel capoluogo siciliano, però, non superano i 15 minuti.

"Niente a che vedere con le quelle di ore che si registrano a Roma o Milano o con le code alla stazione Termini alla Capitale", sottolinea Marra, spiegando che "da noi il problema si pone solo in estate con l'arrivo dei turisti, i maggiori utilizzatori del servizio. E le attese non superano i 15-20 minuti". E spesso non perché manchino i taxi. "Nell'ultimo anno a Palermo è arrivato anche Uber, una sola cooperativa, però, ha deciso di aderire al servizio, circa 170 mezzi, la metà del parco taxi che circola a Palermo. L'app di Uber, però, è la più usata dai turisti stranieri". La conseguenza? "Che magari chiami Uber, in quel momento la cooperativa che aderisce al servizio non ha macchine a disposizione e la prenotazione viene rifiutata. Per il cliente è un disservizio, ma questo non significa che non ci siano taxi disponibili in città, ma solo che non c'è disponibilità su quella centrale operativa".

Con il Dl Asset il governo ha riformato le norme che disciplinano le licenze dei taxi. Per i comuni capoluogo di regione, sede di città metropolitana o di aeroporto, è consentito incrementare il numero delle licenze non più del 20 per cento rispetto a quelle già rilasciate. A Palermo i taxi sono 320. "Noi riteniamo - sottolinea ancora Marra - che la soluzione della doppia guida al momento sia la strada migliore per fronteggiare un eventuale aumento della domanda del servizio, che, lo ripeto, in città riguarda solo i mesi estivi. Prima di ampliare il numero delle licenze, anche alla luce della possibilità data agli Ncc di essere equiparati ai taxi, bisogna capire quanto realmente serve l'ampliamento, il rischio altrimenti è di trovarsi con un esubero di macchine".

"Milano, come Roma, è una città di transito, ci sono fiere, congressi, eventi. Tutto l'anno. Qui a Palermo, invece, viviamo soprattutto di turismo e, finita la stagione turistica, alberghi e ristoranti si svuotano. I palermitani di certo non prendono il taxi per spostarsi. In inverno un tassista può arrivare a effettuare 5-6 corse. Numeri diversi si registrano con l'arrivo dei turisti, la differenza di incasso tra le due stagioni è del 30-40%". Quello su cui, invece, occorrerebbe focalizzare l'attenzione per il presidente di Fitaxi Assoimpresa Palermo, è il contrasto all'abusivismo. "In città è molto diffuso, servirebbero maggiori controlli per tutelare chi è in regola perché ogni ordinanza e regolamento senza controlli è cartastraccia", sottolinea. E poi ci sono le tariffe. "Una corsa dalla stazione centrale a via Notarbartolo, a Palermo, costa dai 10 ai 15 euro in base al traffico. Sono tariffe bassissime, non aggiornate ai tempi. A un tassista mediamente a Palermo, tolte le spese, restano 15-18mila euro l'anno".

A Milano 450 licenze in arrivo

Milano non ha il Giubileo, ma ha le 'week', i grandi eventi e tanti turisti che come nella Capitale spesso faticano a trovare un taxi. Tra mezzanotte e le quattro del mattino nei fine settimana il numero di chiamate inevase superava già nel 2018 il 40%. Da allora, eccezion fatta per gli anni della pandemia, la situazione non è certo migliorata. Per questo l'amministrazione comunale punta ad ampliare l'offerta dei 4.855 taxi in circolazione a Milano città (5.404 nel bacino aeroportuale) con mille licenze in più: le prime 450, dopo il bando lanciato in primavera, potrebbero arrivare a breve, "appena dopo l'estate", dice parlando all'Adnkronos da "ottimista senza pari" l'assessora alla Mobilità Arianna Censi. In ogni caso "entro l'anno, anche perché - ricorda - abbiamo avuto 700 richieste, quindi ragionevolmente ne troveremo 450 che andranno a regime".

Dopodiché il Comune lancerà il secondo bando, nonostante le resistenze della categoria, già 'sconfitta' al Tar della Lombardia e al Consiglio di Stato. "Io sono sempre stata convinta che essendo il bando una cosa di buon senso, avrebbe ottenuto il favore di chiunque fosse stato chiamato a giudicarla". Per questo nonostante il ricorso "noi non abbiamo mai minimamente rallentato la nostra tabella di marcia", assicura Censi. Certo però - osserva - "i tempi della pubblica amministrazione, soprattutto se hai sempre qualcuno che temi ti farà ricorso, diventano quasi un esercizio amanuense, perché devi fare le cose non bene, ma benissimo".

Nell'attesa dei nuovi taxi, Palazzo Marino ha deciso di liberalizzare i turni negli orari serali dal venerdì alla mezzanotte fino a fine luglio. Fasce particolarmente critiche in una città che negli ultimi anni ha anche scoperto una vocazione turistica. "Il nostro obiettivo è offrire un servizio che risponda sempre più alla domanda", dice l'assessora.

Muoversì: "Paese ostaggio lobby auto bianche, serve riforma"

“Le parole del corrispondente della Reuters fanno male ma si limitano a fotografare la realtà" dice all'Adnkronos Andrea Romano, presidente di MuoverSì Federazione Ncc e Mobilità. "L’offerta di taxi e di trasporto pubblico non di linea nelle nostre città non è assolutamente in grado di rispondere all’enorme crescita dei flussi turistici che l'Italia sta registrando (lo scorso 4 giugno il Ministero del Turismo ha diffuso dati molto chiari: nel 2023 rispetto al 2022 si sono registrati 16 milioni di arrivi in più e oltre 39 milioni di presenze in più). Il risultato è davanti ai nostri occhi ogni giorno: file inaccettabili di cittadini e turisti di fronte alle stazioni e agli aeroporti in attesa di prendere un taxi, giornali italiani e stranieri piene di storie tutte uguali a quella raccontata oggi da Crispian Balmer''.

''Con la nuova stagione turistica l’Italia ripeterà la pessima figura che ha già fatto la scorsa estate, essendo l’unico grande paese europeo dove un cittadino o un turista non può muoversi liberamente - aggiunge - La responsabilità di questo scandalo è solo e soltanto di una politica che non riesce a superare il ricatto della lobby dei tassisti, che è sempre riuscita a bloccare qualsiasi ipotesi di riforma tenendo in ostaggio il parlamento, il governo e il paese di fronte all’evidentissima necessità di un intervento di riforma''. ''La responsabilità più grande è oggi del ministro dei trasporti Salvini che, invece di avviare il cantiere per una nuova legge-quadro che sostituisca le disposizioni di oltre trent’anni fa e che finalmente permetta all’offerta di trasporto pubblico non di linea di rispondere a una domanda sempre crescente, ha recentemente varato decreti attuativi che riescono nel capolavoro di peggiorare una situazione già catastrofica: puniscono il Noleggio con Conducente, unica alternativa alla penuria di taxi, e ampliano i privilegi della casta dei tassisti'', aggiunge.

''Un esempio macroscopico di assoluta cecità della politica, che passa sopra l’interesse nazionale e la credibilità del nostro paese nel mondo pur di premiare una lobby incapace di garantire servizi pubblici all’altezza - conclude - MuoverSì ribadisce, persino di fronte a questo ennesimo esempio di cecità politica, la propria totale disponibilità a interloquire con il governo e con tutto il parlamento per contribuire a riscrivere le regole del servizio pubblico non di linea: nell’interesse dei cittadini, dei turisti, delle nostre aziende e del buon nome dell’Italia”.

Artusa (Sistema Trasporti): "Diventi vero servizio pubblico e più autorizzazioni a Ncc"

''I tassisti dovrebbero diventare un servizio pubblico a tutti gli effetti. Oggi non lo sono, sono un ibrido. Di fatto quello del taxi è un servizio pubblico in mano ai privati'' dice all'Adnkronos Francesco Artusa, presidente di 'Sistema Trasporti'. ''Se anche mettessero 200 o 300 licenze in più, il problema non sarebbe risolto. Intanto sarebbero metà della Roma e metà della Lazio - ironizza - e quindi quando c'è il derby in giro non ci sarebbe nessuno. Ma anche la sera, la notte e nei weekend la situazione non cambierebbe. In Atac non sono gli autisti che decidono quando andare a lavorare: quindi se i tassisti hanno il pregio di definirsi servizio pubblico ci vorrebbe che il Comune ne potesse disporre. Molto spesso la gente non trova i taxi alla stazione perché lì non vanno perché la tratta è poco redditizia. Con un banalissimo collegamento satellitare si potrebbe dire ai 200 tassisti fermi da una parte di andare nei luoghi, dove magari ci sono 200 persone in fila e applicare sanzioni a chi si sottrae''.

''Il problema è che alle soluzioni, come ai cavi dell'alta tensione, non ci si avvicina nessuno: sindaci governatori, ministri e presidenti del Consiglio'', sottolinea. ''C'è un ministero dei Trasporti impegnato ad aggravare questa situazione andando a colpire l'unica alternativa che c'era una volta ovvero il Noleggio con conducente - aggiunge -. Se stiamo vivendo questa emergenza dal 2021 in poi è perché nel frattempo è calata la capacità del noleggio con conducente di fare supplenza. Noi abbiamo contribuito alla mobilità fino al 2019 poi sono arrivate le nuove norme che hanno bloccato le autorizzazioni per gli Ncc. Normalmente siamo più competitivi sulle tratte più lunghe rispetto al transfer cittadino ma quando ci sono scioperi ad esempio il cliente lo sa, si muove per tempo e prenota anche spostamenti più piccoli. L'unica condizione per noi è partire dalla rimessa. Adesso però siamo sotto organico, non siamo riusciti neanche a rimpiazzare quelli che hanno cambiato lavoro dopo la pandemia. E questo perché c'è il blocco da parte del governo a rilasciare le autorizzazioni e c'è un inasprimento delle norme''.

''Il problema vero è che né ai tassisti né al governo interessa se la gente sta a piedi - conclude -. Se un cliente prova a lamentarsi con un tassista del fatto che sta aspettando da 30 minuti lui risponderà: ma perché lei alla posta non aspetta? Per loro è assolutamente fisiologico il fatto che siano pochi. Che lo sia per loro posso anche capirlo ma che lo sia anche per il ministero e per il governo...''.

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Esteri

Ue, la ricetta di Orban: “Ve lo dico io come deve...

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Il premier ungherese alla vigilia del Consiglio europeo di oggi illustra il suo piano tra guerra in Ucraina e immigrazione. "Senza i Balcani l’Europa non sarà mai completa", afferma e in agenda "competitività al primo posto"

Viktor Orban - Fotogramma

Viktor Orban, primo ministro ungherese e ‘bestia nera’ del consensus bruxellese, arriva a Strasburgo e, alla vigilia del dibattito con gli eurodeputati che si tiene oggi 9 ottobre, illustra la sua ‘ricetta’ su come l’Ue dovrebbe evolversi e fornendo a tratti anche una certa prospettiva storica sull’evoluzione che l’Unione ha subito in questi ultimi anni.

Escluso decisamente che il suo Paese possa seguire l’esempio del Regno Unito: l’Ungheria, ha detto, "non ha alcuna intenzione" di lasciare l'Unione Europea. Orban è uno dei leader politici più longevi d’Europa: è primo ministro ininterrottamente dal 2010, e in precedenza aveva ricoperto la stessa carica dal 1998 al 2002. Nel 2011, all’epoca della prima presidenza ungherese del Consiglio Ue, ha ricordato, “avevamo a che fare con le primavere arabe e con l’incidente nucleare di Fukushima”, in Giappone, quindi “non era neanche quello un periodo facile”. Ma oggi “l’Ue è in situazione molto più seria”, con “gravi conflitti” nel Medio Oriente, in Africa e in Ucraina, che si ripercuotono sull’Europa.

Competitività

Al primo posto, nell’agenda della presidenza ungherese, c’è la “competitività”, della quale si parlerà a Budapest, nel Consiglio Europeo informale dell’8 novembre, con l’ex presidente della Bce Mario Draghi. L’Europa, ha ricordato Orban, “perde costantemente competitività”, come “ha detto Draghi”. Anche il presidente Emmanuel Macron, ha ricordato il premier, ha avvertito che l’Europa “potrebbe morire”. E quindi “in tempi come questi è nostro dovere mostrare al Parlamento Europeo la via: l’Europa deve cambiare”. Il nostro obiettivo è avere “un’Europa competitiva”.

Immigrazione

Il premier magiaro ha parlato a lungo di migrazioni, uno dei punti sui quali l’Ue ha finito negli ultimi anni per avvicinarsi a posizioni non molto lontane dalle sue. Secondo lui, la “crisi migratoria non è finita”. Dal 2015, ha notato, “mi danno o dell’idiota o del malvagio”, quando si parla di politiche migratorie, ma alla fine, prevede, “tutti concorderanno con me, alla fine: servono hotspot esterni”. Per Orban, la politica migratoria europea “non funziona” e l’immigrazione “illegale” aumenta “il livello di antisemitismo, la violenza sulle donne e anche l’omofobia”. Visto che la politica migratoria Ue “non funziona”, i Paesi membri “tentano di difendere” le loro frontiere, reintroducendo i controlli di confine. Per Orban, come per l’area euro esiste l’Eurosummit, anche i leader dei membri dell’area Schengen “dovrebbero riunirsi regolarmente”.

Sicurezza e agricoltura

Anche la “politica di sicurezza” europea per la presidenza ungherese “è importante” e “ne parleremo al Consiglio Europeo” di Budapest in novembre. Inoltre, per l’Ungheria “senza i Balcani l’Europa non sarà mai completa”. Sono “vent’anni”, ha ricordato Orban, che l’Ue ha promesso a quei Paesi di poter entrare. E “senza la Serbia, il processo non sarà mai completo”. E qui ha sottolineato che Romania e Bulgaria dovrebbero finalmente entrare nell’area Schengen, dato che “sono pronte a difendere i confini esterni dell’’Ue”. Orban ha poi ricordato che per la presidenza ungherese “l’agricoltura è molto importante” e sarà tra le priorità di Budapest, per “rendere l’Europa di nuovo grande”, ha detto evocando il Maga di Donald Trump.

Sulle prossime elezioni presidenziali Usa, non si è nascosto dietro formule diplomatiche: “Se tornerà Trump stapperemo diverse bottiglie di champagne”, ha assicurato. Perché “ci sono differenze ovvie” tra l’approccio alla politica estera dei Democratici e dei Repubblicani. Se Trump vincerà le elezioni, ha detto ancora Orban, “agirà immediatamente” sulla guerra tra Russia e Ucraina, “ancora prima di insediarsi”, quindi in Europa “non avremo molto tempo” come europei per prepararci. Per l’Ungheria “sarebbe comunque un giorno fantastico”.

Guerra in Ucraina

Anche sulla guerra in Ucraina ha detto chiaramente come la pensa, pur riconoscendo di essere “in forte minoranza” nell’Ue. In Ungheria "abbiamo un'opinione diversa dalla maggioranza degli altri Paesi" sulla guerra in Ucraina.

"L'intenzione è avere un cessate il fuoco il prima possibile, perché non è possibile vincere sul campo di battaglia. Quello che stiamo facendo è perdere, perdere, perdere". "La strategia europea - ha continuato - non è una buona strategia. Non è mai successo nella storia che nella guerra non ci fosse comunicazione" tra i belligeranti. "Quello che facciamo è irrazionale. Sono in minoranza nell'Ue, ma essere in minoranza non è una ragione per rinunciare alle proprie convinzioni. Questa strategia non funziona, come si vede. Ne serve una nuova”.

E a Budapest, ha aggiunto, “abbiamo esperienza con i russi”. L'Ungheria oggi “fortunatamente è nella Nato. Per molto tempo siamo stati una zona cuscinetto”. In Russia e in Ucraina, ha detto Orban che ha incontrato sia Vladimir Putin che Volodymyr Zelensky, "entrambi i leader sono convinti che il tempo sia dalla loro parte. Quindi non vogliono un cessate il fuoco e la pace: vogliono continuare a combattere. Il che non è positivo per l'Europa”. Quindi, “dovremmo creare un ambiente internazionale che li spinga a comunicare, verso un negoziato".

Ma “la mia proposta - ha continuato Orban - è stata rigettata. Ora la situazione è che la maggioranza del mondo è per la pace e l'Ue è per la guerra. Noi pensiamo di essere la maggioranza morale del pianeta, ma non è così. Prima della mia missione, parlare" di queste cose "era tabù. Quando parlavo di pace, mi dicevano che ero il cavallo di Troia di Putin. Credo che dobbiamo continuare a lavorare per convincere i belligeranti" a parlarsi, per arrivare ad un cessate il fuoco. Non solo.

Il "problema élite europea"

Orban ha detto che, a suo modo di vedere, il problema è “l’élite europea”, che “si definisce mainstream” e che “tenta di gestire la politica europea”, vivendo nella “bolla” bruxellese. Per lui, i popoli “non sono d’accordo” con le politiche del mainstream europeo, che “si cinge di una cintura protettiva”. Quindi, l’élite europea “ci vede, noi Patrioti o l’Ecr, come pericolosi, perché rappresentiamo la volontà del popolo”.

Il cordone sanitario nel Parlamento Europeo, per Orban, è un’espressione di questo atteggiamento: “In Ungheria - ha notato - non esiste che un partito di opposizione non ottenga una presidenza di commissione”. Quindi, ha proseguito, “suggerisco che ci calmiamo tutti” e che dialoghiamo, perché “servono grandi cambiamenti” in Europa. Se “la bolla” non sarà in grado di produrre quei cambiamenti “dovremo metterla da parte”, ma “anche loro potrebbero essere parte del cambiamento: nessuno vuole buttarli fuori”. Perché “persino le élite capiscono che servono cambiamenti nelle migrazioni, nell’agricoltura, nella competitività. Non è ideologia, è buon senso. Come Patrioti continueremo a crescere, crescere, crescere. Ma qui parliamo di politica europea, non di questioni di partito”.

E ha aggiunto che, secondo lui, nel 2015-2016 nell’Ue “è cambiato tutto”. "Il 2015 - ha detto Orban - è stato l'anno in cui le cose sono cambiate. Prima di tutto, le migrazioni non sono un problema tecnico, ma rivelano come la pensi sulla tua comunità nazionale e sugli stranieri. E' una materia molto verticale. Sfortunatamente, invece di lasciare ogni Paese con la sua politica, i pesi massimi hanno deciso che serviva un pacchetto comune sulle migrazioni".

Anche la Brexit “ha cambiato tutto - ha continuato Orban - perché l'Ue era sempre stata basata sull'equilibrio. I francesi, i tedeschi, e probabilmente la maggioranza dei membri fondatori, stavano da una parte, quelli dell'est e i britannici dall'altra parte”. Insomma, prima della Brexit “c’era un equilibrio naturale”, ma poi “i britannici sono usciti”. E “ora viviamo un momento molto difficile, perché molte proposte che vengono dalla Commissione vorrebbero centralizzare sempre di più" le politiche, "e a noi questa cosa non piace".

"Le istituzioni non bastano, servono leader forti, eletti"

Il premier magiaro ha detto di non avere mai aspirato a diventare "un politico internazionale", ma "sono i liberali che mi hanno reso famoso", ha sostenuto. E sulla leadership in Europa, ha proseguito, "ho una teoria: noi consideriamo le istituzioni come la cosa più importante. Se vengono gestite bene, tutto è a posto. Ma, quando arrivano i problemi, le istituzioni" non bastano. "Servono leader forti, eletti, che siano determinati". Il problema non è "la mancanza di qualità dei leader", perché dirlo “non sarebbe giusto”, ma "la cultura della bolla. Io non sono più coraggioso degli altri: la differenza è che noi in Ungheria abbiamo una stabile maggioranza. Se avessero la nostra forte maggioranza Germania, Francia, Spagna e Italia potrebbero fornire leader".

Orban, infine, ha rivendicato il diritto di proporre le sue ricette in Europa, senza essere ostracizzato e ridotto al silenzio: “Non sta scritto da nessuna parte che il primo ministro ungherese debba stare sempre zitto. Sono qui a rappresentare l'interesse nazionale degli ungheresi e vorrei fare accordi e compromessi con gli altri", ha concluso.

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Regole, fasce orarie e temperatura massima: cosa c'è da sapere

Un termosifone (Fotogramma)

In condominio può succedere che si verifichino delle dispute tra chi si lamenta di avere freddo e chi lamenta di avere caldo o di voler risparmiare sulle spese di riscaldamento diminuendo il numero di ore in cui i termosifoni sono in funzione. Ma chi decide in merito al riscaldamento in un condominio? Chi è che sceglie l’orario per l’accensione e lo spegnimento dei termosifoni?

Ecco chi decide

"In merito a condomini con riscaldamento centralizzato - spiega Giovanna Ferraresi di Immobiliare.it - la regola vuole che a scegliere sia l’amministratore che però si rifà alle leggi nazionali. Il riscaldamento deve essere acceso nella data stabilita a livello nazionale, in base alla zona climatica di appartenenza, ma che può subire una differenza a livello regionale, se non addirittura comunale. Davanti alla necessità di risparmiare energia, alcuni Comuni italiani hanno deciso di posticipare la data di accensione dei termosifoni sia ad uso pubblico sia residenziale".

"In genere comunque - fa notare - la data di accensione è divisa per regioni in base alle caratteristiche climatiche. Anche le ore giornaliere di riscaldamento vengono stabilite a livello nazionale. Ne segue che il singolo inquilino può scegliere di diminuire gli orari di accensione e di spegnimento dei suoi termosifoni, ma solo entro queste soglie. Gli orari di accensione e spegnimento del riscaldamento sono riportati sul regolamento di condominio, all’interno della fascia oraria nazionale. Per determinare di comune accordo gli orari in cui tenere in funzione il riscaldamento centralizzato si potrà: organizzare un’assemblea di condominio e votare; lasciare all’amministratore di condominio la decisione se manca la delibera dell’assemblea".

Fasce orarie e temperatura massima

"Lo spegnimento dei termosifoni - precisa - deve rispettare alcune fasce orarie stabilite a livello nazionale. Il riscaldamento centralizzato può restare attivo dalle 5 del mattino alle 23. In questo spazio di tempo, il condominio può scegliere quando accendere e quando preferire spegnere. Chi possiede un impianto di riscaldamento autonomo potrà, invece, scegliere di accendere all’orario che vuole senza limitazioni. Resta però invariata la normativa che limita a 19 gradi la temperatura massima nelle abitazioni private e anche negli spazi pubblici. E', inoltre, possibile modificare gli orari di accensione e spegnimento del riscaldamento centralizzato, all’interno delle fasce orarie nazionali. Per farlo, andrà convocata una nuova assemblea che all’ordine del giorno avrà questa discussione. A seguito della votazione degli inquilini, si potranno modificare gli orari".

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Esteri

Ucraina-Russia, aiuti a Kiev nel limbo: Ramstein ultima...

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Il Paese resta fortemente dipendente dagli Usa dal punto di vista degli armamenti militari, ma questo sostegno - a meno di un mese dalle elezioni per la Casa Bianca - resta incerto

Volodymyr Zelensky - (Afp)

Volodymyr Zelensky e l'Ucraina al bivio. Kiev, da oltre 950 giorni in guerra con la Russia, ha a disposizione una delle ultime chance per sperare in una svolta, uscire dal limbo e ottenere un sostegno concreto per l'attuazione del suo 'Piano per la Vittoria'. Nella base tedesca di Ramstein, venerdì 11 ottobre, va in scena un summit cruciale: Zelensky avrà una nuova chance per presentare il suo Piano davanti agli alleati e convincerli della necessità di un ulteriore salto di qualità nell'assistenza a Kiev.

L'Ucraina resta fortemente dipendente dagli Usa dal punto di vista degli armamenti militari, ma questo sostegno - a meno di un mese dalle elezioni per la Casa Bianca - resta incerto, mentre l'attenzione sulla guerra va via via scemando, sostituita dalla nuova escalation in Medio Oriente.

Zelensky e la chance dopo il (mezzo) flop Usa

La visita di Zelensky a Washington non ha avuto gli effetti sperati per il governo ucraino. Il presidente Joe Biden - che rinvia la partenza per la Germania a causa dell'emergenza legata all'uragano Milton - non ha cambiato idea sul divieto di usare i missili a lungo raggio forniti dagli Stati Uniti per colpire in territorio russo.

Zelensky, inoltre, si è trovato intrappolato in un fuoco politico incrociato ed è stato criticato o snobbato da esponenti repubblicani. L'incontro con il candidato del Gop alla Casa Bianca, Donald Trump - il primo dall'inizio della guerra - c'è stato, ma si è svolto in tutta fretta e dopo che inizialmente il tycoon aveva espresso l'intenzione di non incontrare il presidente ucraino.

"Nessuno ha intenzione di abbandonare l'Ucraina, ma l'Ucraina non è sicuramente tra le prime tre questioni principali per gli Stati Uniti in questo momento", ha affermato Mykola Davydiuk, un esperto politico di Kiev. Ecco perché l'incontro dell'Ukraine Defense Contact Group a Ramstein, al quale parteciperà anche la premier Giorgia Meloni, assume un'importanza fondamentale per Zelensky in quanto, secondo un diplomatico occidentale, potrebbe permettere all'Ucraina di raccogliere nuove forme di aiuti. A cominciare dal rafforzamento delle sue difese aeree, un tasto su sui il leader ucraino continua a battere.

"È importante che i grandi Paesi che dispongono delle armi necessarie siano davvero grandi nel proteggere la vita, non tenendo queste armi da qualche parte nei magazzini o nei depositi", ha dichiarato Zelensky su Telegram.

Le richieste di Zelensky

Il presidente, in un altro post, ha specificato che "non si tratta solo di ciò che abbiamo già realizzato o di ciò che stiamo producendo attualmente, ma anche di proposte per i nostri partner: investire nella produzione ucraina, principalmente nella realizzazione di droni e sistemi di guerra elettronica. Anche questo fa parte del nostro pacchetto per il prossimo incontro 'Ramstein' ".

Secondo Zelensky, la determinazione degli alleati e il rafforzamento dell'Ucraina sono ciò che può fermare l'aggressione russa. Nella base tedesca, tuttavia, i Paesi della Nato - secondo sempre il diplomatico occidentale - potrebbero anche fare nuovi passi avanti riguardo le garanzie sulla futura adesione dell'Ucraina all'Alleanza, anche se probabilmente ancora al di sotto del livello richiesto dall'ex Repubblica sovietica. L'iter per portare Kiev nella Nato è stato al centro di ipotesi negli ultimi giorni: il Financial Times ha prospettato uno scenario, escluso a stretto giro da Zelensky, in cui l'avvicinamento dell'Ucraina alla Nato si accompagni alla cessione di territori alla Russia.

Al momento, il timore principale per i funzionari ucraini è che le imminenti elezioni presidenziali Usa, e una nuova Amministrazione indipendentemente dal loro esito, possano mettere in dubbio la futura assistenza alla sicurezza dell'Ucraina.

Il team di Zelensky ha cercato di convincere Biden a sostenere il 'Piano per la Vittoria', anche per garantirsi il sostegno di Washington al di là di chi sarà il nuovo inquilino della Casa Bianca. Ma ora è improbabile che il presidente intraprenda qualsiasi azione che possa risultare impopolare e mettere a repentaglio la campagna di Kamala Harris.

Intanto Anton Grushetskyi, direttore del Kyiv International Institute of Sociology, sostiene che sebbene Zelensky e il suo governo continuino ripetutamente a escludere di cedere porzioni di territorio alla Russia, che ora occupa più del 20% del Paese, tra la popolazione continui a rafforzarsi l'idea fare compromessi temporanei sull'integrità territoriale in cambio dell'adesione alla Nato o di garanzie di sicurezza da parte degli alleati.

Cosa succede al fronte

Il sentimento pubblico in Ucraina, infatti, è cambiato nell'ultimo anno. I cittadini lontani dal fronte hanno dovuto fare i conti con blackout continui a causa del bombardamento della rete elettrica da parte di Mosca. La Russia ha ripreso l'iniziativa lungo il fronte, mentre l'esercito ucraino si sta affrettando a rimpinguare i suoi reparti con una campagna di mobilitazione.

La sorprendente incursione nella regione russa di Kursk durante l'estate ha dato una spinta a livello morale ed è suonata come una dichiarazione agli alleati che l'Ucraina è ancora in grado di ottenere guadagni sul campo di battaglia. Ma quell'offensiva si è in gran parte fermata, mentre le forze di Kiev continuano a perdere terreno nell'est. Con la guerra che sembra sempre più in una situazione di stallo, anche il sostegno dei partner occidentali dell'Ucraina è stato più moderato. "Nel 2023 c'erano grandi speranze, ma nel 2024 ci sono molte delusioni e non è chiaro cosa accadrà in futuro: questo è un dato di fatto", ha affermato il deputato all'opposizione, Oleksiy Goncharenko.

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