Esteri
Gaza, Turchia accusa Cipro: “E’ base operativa...
Gaza, Turchia accusa Cipro: “E’ base operativa contro la Striscia”
Ma Nicosia parla di accuse "assolutamente infondate" e "minacce contro la sovranità e lo status di uno Stato membro dell'Ue assolutamente inaccettabili"
Cipro è "una base operativa" nel contesto dell'offensiva militare israeliana contro Hamas nella Striscia di Gaza. Lo ha affermato la Turchia, avvertendo del rischio di allargamento del conflitto dopo le minacce dei giorni scorsi del leader degli Hezbollah libanesi, Hassan Nasrallah. Cipro parla di accuse "assolutamente infondate" e fonti diplomatiche greche sottolineano che "le minacce contro la sovranità e lo status di uno Stato membro dell'Ue sono assolutamente inaccettabili". In un'intervista a Haberturk, il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha detto che Ankara "ha avvertito sin dall'inizio gli attori europei sull'amministrazione greco-cipriota" e ha aggiunto che quest'area dell'isola "è diventata una base operativa".
"Vediamo costantemente dalle informazioni di intelligence che l'amministrazione greco-cipriota nel sud di Cipro è una base operativa contro Gaza", ha detto Fidan. E, ha proseguito, "il fatto che venga usata per operazioni in Medio Oriente non andrà a beneficio dell'amministrazione greco-cipriota né della Grecia".
Fidan ha accusato anche il governo di Israele di "usare Hamas come scusa per distruggere completamente il movimento di resistenza palestinese e legittimare e istituzionalizzare un'occupazione che va avanti da anni".
Per il ministro, resterà il rischio di allargamento del conflitto fin quando "Israele continuerà con il suo genocidio". "Adesso c'è il Libano all'ordine del giorno", ha proseguito, aggiungendo che "si presume che Israele attaccherà Hezbollah in Libano", appena "avrà raggiunto i suoi obiettivi militari principali" nelle operazioni contro Hamas.
Il portavoce del governo di Cipro, Konstantinos Letymbiotis, ha subito bollato come "assolutamente infondate" le dichiarazioni di Fidan. Nei giorni scorsi Nasrallah ha messo in guardia l'isola dal mettere a disposizione di Israele aeroporti e basi in caso di guerra con il movimento sciita libanese storicamente sostenuto dall'Iran.
Le minacce di Hezbollah a Cipro
Il 20 giugno scorso il leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, ha messo in guardia da una guerra “senza regole né limiti” nel caso di un’offensiva israeliana su vasta scala contro la milizia libanese, minacciando che Cipro potrebbe diventare un obiettivo se permetterà a Israele di usare il suo territorio in qualsiasi conflitto. "Siamo preparati allo scenario peggiore ed Israele lo sa", ha dichiarato nel suo discorso trasmesso dai media libanesi. "Il nemico israeliano sa già cosa lo aspetta", ha proseguito Nasrallah, sottolineando che sono pronti a mobilitarsi "più di 100mila combattenti".
"Ciò che abbiamo fatto su questo fronte non ha precedenti, è una sconfitta senza precedenti per l'entità. Abbiamo obiettivi chiari e la capacità di raggiungere bersagli che scuoteranno le fondamenta stesse dell'entità", ha aggiunto Nasrallah, secondo cui se Israele dovesse scatenare "una guerra totale" con il Libano, "la situazione nel Mediterraneo cambierà completamente". "Fate sapere ancora una volta al nemico che se venisse dichiarata guerra aperta al Libano, la condurremo senza limiti", ha scandito il leader di Hezbollah.
Nasrallah poi ha minacciato Cipro di rappresaglia se l'isola decidesse di mettere a disposizione di Israele i suoi aeroporti e le sue basi in caso di guerra con il movimento libanese alleato dell'Iran. "Aprire aeroporti e basi cipriote al nemico israeliano per prendere di mira il Libano significherebbe che il governo cipriota è parte della guerra e la resistenza lo considererà parte in guerra", ha affermato Nasrallah nel discorso trasmesso dai media libanesi.
Ma per il governo di Cipro si trattava di dichiarazioni lontane dalla realtà. "Le insinuazioni del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, non corrispondono alla realtà", ha detto all'emittente Rik il portavoce del governo cipriota Letymbiotis. Si tratta di "dichiarazioni sgradite e prenderemo tutte le misure a livello diplomatico", ha aggiunto. "Cipro non è in alcun modo coinvolta nelle ostilità", le parole del presidente di Cipro Nikos Christodoulidis in occasione delle prime minacce.
Cipro nei giorni scorsi ha poi rivendicato la sua neutralità rispetto al conflitto tra Israele e Hamas, sottolineando che ''non siamo coinvolti in alcuna guerra'', le parole di Letymbiotis intervistato dalla tv pubblica CyBc.
"Cipro non è coinvolta, e non sarà coinvolta, in alcuna guerra o conflitto", ha detto ancora. ''Pertanto, le dichiarazioni del leader di Hezbollah non corrispondono alla realtà'', ha aggiunto. Cipro ha relazioni ''eccellenti'' con il Libano e non permetterebbe a nessuno stato di utilizzare il suo territorio per operazioni militari contro un altro, ha dichiarato Letymbiotis.
Esteri
Ucraina, Kiev ha bisogno di 200mila soldati: anche detenuti...
Entro la fine dell'anno necessario integrare le forze armate e dare riposo a chi è in prima linea
L'Ucraina ha bisogno di 200mila soldati entro la fine dell'anno per tenere testa alla Russia nella guerra iniziata nel 2022. Kiev è alle prese con una cronica carenza di uomini che complica le operazioni al fronte, dove la pressione delle forze di Mosca rimane costante soprattutto lungo il fianco orientale, nel Donetsk.
Il piano (fallito): arruolare 50mila uomini ogni 3 mesi
Dalla Germania, Die Welt offre un quadro dell'emergenza che Kiev deve gestire nei prossimi mesi: entro la fine del 2024, secondo il quotidiano tedesco, il paese guidato dal presidente Volodymyr Zelensky deve mobilitare 200mila persone.
L'Ucraina deve colmare le lacune nei reparti e deve creare nuove brigate: secondo le stime del giornale, la chiamata alle armi deve coinvolgere almeno 50mila uomini ogni 3 mesi. Nell'ultimo periodo, però, la macchina bellica non ha marciato al ritmo stabilito, nonostante il varo di una legge per ampliare l'organico delle forze armate. Per recuperare il gap, nel secondo semestre del 2024 serve uno sforzo ulteriore.
Detenuti al fronte, ma non chi ha commesso 2 omicidi
In questo contesto, le autorità di Kiev hanno deciso di concedere la libertà ai detenuti nelle carceri ucraine se accetteranno di imbracciare le armi contro i russi. Una libertà condizionata che riguarda anche chi è in carcere per aver commesso un omicidio, ma non se ha ucciso due o più persone. Esclusi anche gli stupratori, chi ha commesso un reato di violenza sessuale oppure chi ha compiuto un crimine contro la sicurezza nazionale. Secondo le stime del ministero della Giustizia ucraino, circa 27mila detenuti su un totale di 42mila potrebbero potenzialmente avere diritto al nuovo programma militare.
La decisione di aumentare l'ingresso di uomini nell'esercito ucraino risponde alla necessità di far fronte alle crescenti perdite sul campo di battaglia e alla necessità di far riposare le truppe in prima linea. Per la prima volta, gli sforzi di reclutamento si sono rivolti alla popolazione carceraria del paese.
I prigionieri possono quindi ottenere la liberazione condizionata dopo un colloquio con i reclutatori dell'esercito, una visita medica e una revisione della loro condanna. Una volta selezionati, i detenuti in libertà vigilata vengono trasferiti d'urgenza nei campi di addestramento, dove imparano a maneggiare le armi e ad adottare altre tecniche di combattimento prima di unirsi alle loro unità. Il programma ucraino mira a integrare i detenuti nelle normali unità di prima linea differenziandosi dal piano russo che prevede l'invio dei detenuti a combattere nelle peggiori battaglie o a unirsi al gruppo Wagner.
Esteri
Elezioni Francia, piano anti Le Pen non decolla. Macron:...
Il presidente spinge per un fronte repubblicano che al secondo turno fermi RN
Il 'fronte anti Le Pen' ancora non decolla, mentre la Francia si avvia al secondo turno delle elezioni legislative che il 7 luglio potrebbero consegnare le redini del paese al Rassemblement National e il governo all'estrema destra. RN esce dal primo turno con il 33% e la possibilità teorica di arrivare alla maggioranza assoluta di 289 deputati. Se Le Pen e il suo delfino Jordan Bardella, leader di RN, possono permettersi di aspettare il voto del 7 luglio con appelli ordinari all'elettorato, dall'altra parte dell'agone politico si procede tra fibrillazioni e trattative. La costruzione di un 'fronte repubblicano' non procede in maniera fluida, le posizioni non si allineano e i distinguo non mancano.
"E' l'estrema destra che si appresta ad arrivare alle più alte cariche, nessun altro", avrebbe detto il presidente francese Emmanuel Macron all'Eliseo davanti ai suoi ministri, secondo quanto rivelato da uno dei presenti a Bfmtv. Due ministri hanno raccontato di una riunione "tesa". Macron ha ribadito l'auspicio di un "grande" blocco "chiaramente democratico e repubblicano" in vista del secondo turno di domenica prossima. La priorità, come ha ribadito il premier Gabriel Attal, è arginare il Rassemblement National.
Tutto per fermare Le Pen? C'è chi dice no
Dalla compagine governativa, però, sono arrivate nelle stesse ore le parole del ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire che esclude di sostenere il voto per un candidato della France Insoumise anche laddove sia l'unica opzione realistica per fermare un candidato di Rn. "Lfi è un pericolo per la nazione", ha dichiarato Le Maire a France Inter. Pur essendo disposto a incoraggiare gli aventi diritto al voto a scegliere altri partiti del Nuovo Fronte popolare laddove un candidato di centro si ritirerà in vista del servono turno, non chiederà "mai" un voto per Lfi.
I candidati dei vari schieramenti hanno tempo fino alle 18 di oggi per depositare - o meno - la candidatura. Un fronte repubblicano compatto prevederebbe il ritiro dei candidati che non hanno chance di battere gli esponenti di RN: in questo modo, i voti verrebbero convogliati sul nome più credibile per sconfiggere il rappresentante dell'estrema destra. Secondo i rumors, al momento circa 160 candidati avrebbero dato la disponibilità a ritirarsi dal secondo turno per far decollare il 'piano Macron'.
L'esponente socialista Raphaël Glucksmann, artefice della creazione del Nuovo Fronte popolare e del programma moderato dell'alleanza su Israele e Ucraina, ha sollecitato tutti i candidati arrivati terzi nelle diverse circoscrizioni con triangolazione a ritirarsi "immediatamente". "La storia ci guarda e ci giudica. Ognuno di noi deve assumersi le proprie responsabilità. Non è solo una elezione legislativa: è un referendum. Vogliamo, sì o no, che l'estrema destra prenda il potere al ballottaggio per la prima volta? E' l'unica cosa che conta. Tutte le identità politiche, sinistra e destra, svaniscono di fronte a questa clamorosa questione", ha affermato. "Siamo preparati a consegnare il nostro Paese, il Paese di Victor Hugo, Voltaire, Rabelais, alla famiglia Le Pen" E' l'unica questione importante. Per questo chiediamo anche agli aventi diritto di votare, senza ambiguità e senza esitazione, per i repubblicani democratici, che siano di destra o di sinistra, per fermare il Rn. Abbiamo sette giorni per evitare una catastrofe tale che la Francia non ha mai dovuto affrontare nella sua storia".
Record di 'triangolari' se non si ritirano candidati
In un quadro in evoluzione, senza un vero patto di desistenza tra gli anti Le Pen si profilano almeno 306 triangolari e anche un quadrangolare nel secondo turno: un record. Basti pensare che sono stati otto i triangolari nelle elezioni legislativi francesi del 2022 e solo uno nel 2017. Le Figaro spiega come si sia arrivati a una cifra del genere illustrando che per accedere al secondo turno delle elezioni legislative i candidati devono ottenere almeno il 12,5% dei voti degli elettori registrati. Con una partecipazione record alle urne domenica 30 giugno, pari 66,71% degli aventi diritto, la percentuale di voti ''espressi'' necessaria per qualificarsi al secondo turno è inferiore a quella delle elezioni precedenti, attorno al 19%. Pertanto, molti candidati hanno superato questa soglia.
Esteri
Francia, Ue avanti con nomine: Le Pen avanza ma non sfonda
Le reazioni del ‘consensus’ bruxellese al voto in Francia divergono e come trattare, in Europa, l’ascesa dell’estrema destra è da tempo oggetto di discussione
L’Unione Europea reagisce con l'usuale understatement, ufficialmente, al risultato del primo turno delle elezioni legislative in Francia che, se attestano che il Rassemblement National è ampiamente il primo partito del Paese, confermano anche che l’estrema destra è lontana dalla maggioranza assoluta nell’Assemblea Nazionale, il Parlamento francese. “Non commentiamo mai i risultati delle elezioni negli Stati membri”, si è limitato a dire il portavoce della Commissione Europea Eric Mamer. Occorre aspettare la sera del 7 luglio, ma se con le desistenze la ‘tagliola’ del doppio turno farà il suo lavoro, appare poco probabile, allo stato, che Jordan Bardella, il giovane figlio di immigrati italiani scelto da Marine Le Pen come ‘delfino’, possa arrivare a conquistare il governo del secondo Paese dell’Ue. Le buone notizie per l’Europa, tuttavia, finiscono qui.
Il presidente Emmanuel Macron, uno dei politici centrali dell’establishment Ue, esce indebolito dal voto da lui voluto all’indomani delle europee, anche se resta all'Eliseo (il suo secondo mandato termina nel 2027). Il voto ha confermato la larga impopolarità in Francia delle politiche centriste, allineate con il ‘consensus’ Ue. Un dato, questo, che era emerso con chiarezza già all’epoca della ‘jacquerie’ dei Gilets Jaunes. Il resto dell’arco politico francese, a sinistra del Rassemblement National, è profondamente diviso, tanto da rendere difficile, allo stato, immaginare un governo di centro-sinistra.
L’Ue, comunque, prosegue spedita con la nomina delle cariche apicali e del programma della maggioranza, ma le reazioni del ‘consensus’ bruxellese al voto in Francia divergono. C’è chi, come l’eurodeputato di Renew Europe Sandro Gozi, eletto Oltralpe, osserva che è comunque “una buona notizia” per l’Ue che all’Assemblea Nazionale esista una “maggioranza” di forze pro-europee, fatta eccezione per “alcuni” esponenti della France Insoumise di Jean-Luc Mélénchon.
C’è chi invece, come l’economista tedesco Daniel Gros, direttore del think tank bruxellese Ceps, osserva che la probabile instabilità politica che deriverà dalle elezioni non è una buona notizia per l’Unione, se non altro perché la Francia, che è un grande Paese dell’Ue, tenderà a non decidere e soprattutto a non agire sul fronte dei conti pubblici, perché comporterebbe dei costi politici. E’ un tema, quello delle finanze pubbliche, che preoccupa molto, tradizionalmente, la Germania. Parigi finirà sotto procedura per deficit eccessivo, come l’Italia e altri Paesi, e ha un debito pubblico pari ad oltre il 110% del Pil, destinato a salire quest’anno al 112,4% e l’anno venturo al 113,8%, secondo le stime della Commissione.
In assenza di azioni volte a raddrizzare i conti, il debito francese è destinato a salire, cosa che potrebbe preoccupare i mercati finanziari, e avere ripercussioni anche sui rendimenti dei titoli di Stato di altri Paesi, come l’Italia. Come trattare, in Europa, l’ascesa dell’estrema destra è da tempo oggetto di discussione: continuare con la conventio ad excludendum, oppure cercare di sfruttare le divisioni tra i diversi nazionalismi per cooptarne una parte? La dirigenza del Ppe sembra aver scelto questa seconda strada, tracciando tre linee rosse (dialoga con chi è pro Ue, pro Ucraina e pro Stato di diritto), che sia Manfred Weber che Ursula von der Leyen hanno indicato chiaramente.
Il Rassemblement National di Marine Le Pen non rispetta queste ‘linee rosse’, dato che in passato ha ricevuto finanziamenti bancari dalla Russia, anche se Jordan Bardella, come ricorda Gros, sull’Ucraina ha detto recentemente che, se andrà al governo, la sua Francia non permetterà alla Russia di “assorbire” il Paese vicino. Per chi aspira a governare un Paese membro della Nato (nonché l'unica potenza nucleare dell’Ue) sarebbe difficile dire il contrario. Le posizioni filorusse dell’Rn sono state per anni un grosso ostacolo al progetto di unire le destre europee in un unico gruppo, dato che il Pis polacco, forza di assoluto rilievo del campo nazionalista, è ferocemente antirusso, per ragioni storiche. Von der Leyen ha citato espressamente Le Pen tra le forze con cui non intende parlare, diversamente da Giorgia Meloni, che ha schierato Fratelli d’Italia a sostegno dell’Ucraina.
Per Daniel Gros, “alla lunga” la conventio ad excludendum non fa altro che portare consensi all’estrema destra e induce la pubblica opinione a interrogarsi sul funzionamento della democrazia, dato che il primo partito di Francia resta lontano dal governo (un tentativo di avvicinamento dei Républicains fatto da Eric Ciotti ha portato ad un’insurrezione nel partito gollista). Per l’economista tedesco, sarebbe meglio lasciar governare il Rassemblement National, “e poi vediamo se fanno come Meloni” oppure no. Francia o non Francia, l’Ue ha fretta di chiudere la partita delle nomine.
Lo stesso Macron, che aveva espresso pubblicamente dubbi sul principio dello Spitzenkandidat, ha rapidamente avallato la riconferma di Ursula von der Leyen. Se il 18 luglio a Strasburgo la tedesca nata a Ixelles riceverà almeno 361 voti, la presidenza della Commissione Europea, istituzione che detiene il monopolio dell’iniziativa legislativa Ue, per i prossimi cinque anni sarà messa al riparo. Nel Parlamento Europeo le destre hanno guadagnato terreno, ma in misura minore alle attese e senza compromettere la maggioranza centrista, dove il Ppe ha guadagnato terreno, i Socialisti hanno sostanzialmente tenuto, mentre i Liberali hanno perso una ventina di seggi.
I cambiamenti, nei prossimi cinque anni, potrebbero farsi sentire a livello di Consiglio Ue, l’istituzione che riunisce, nelle sue varie formazioni, i ministri dei Paesi membri e che è colegislatore dell’Ue. E’ lì che si ‘scaricheranno’ i cambiamenti politici che potrebbero avvenire a livello nazionale. Un governo del Rassemblement National in Francia, che è il secondo Paese dell’Ue, cambierebbe decisamente gli equilibri nel Consiglio e renderebbe probabilmente più difficoltoso il lavoro legislativo. Sulla carta, Italia, Francia, Austria, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia insieme possono bloccare qualsiasi voto a maggioranza qualificata.
In Austria per ora governano i Popolari, con il cancelliere Karl Nehammer, ma le europee hanno attestato che l’Fpoe è il primo partito. E a fine settembre in quel Paese si vota. Il primo settembre andranno alle urne anche due importanti Laender tedeschi, Sassonia e Turingia: in Germania l’Afd è arrivata seconda alle europee, ampiamente sotto la Cdu/Csu ma sopra ciascuno dei tre partiti della coalizione semaforo, a partire dall’Spd di Olaf Scholz, che ha registrato la peggior performance della sua storia. E a novembre ci saranno le presidenziali Usa, dove un ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca non sembra affatto improbabile, dopo la performance del presidente in carica Joe Biden, classe 1942. Tutti ottimi motivi per chiudere in fretta la partita delle cariche apicali Ue.