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Ue, Meloni: “L’Italia porterà a casa il...

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Ue, Meloni: “L’Italia porterà a casa il risultato”

La presidente del Consiglio: "L'interesse nazionale per me viene prima di quello di partito"

Giorgia Meloni (Fotogramma/Ipa)

"C'è un governo capace di camminare a testa alta, di dire quello che pensa, di farlo lealmente di farlo senza sotterfugi e di farlo senza andare in giro con il cappello in mano". Lo dice Giorgia Meloni, in Senato per le repliche dopo le comunicazioni in vista del Consiglio Ue al termine del suo intervento. "L'Italia - assicura - porterà a casa il risultato".

"Io non penso che il presidente del consiglio dei ministri debba fare la cheerleader, né dell'uno né dell'altro, penso che debba difendere il suo interesse nazionale e questo sì vuol dire camminare a testa alta. Non l'ho visto accadere molto spesso, sicuramente lo vedo accadere adesso".

"Allo scorso Consiglio europeo io mi sono permessa di segnalare, rispetto a come si apriva quella riunione e come si svolgeva quella riunione, una questione di merito e una questione di metodo che intendo tornare a sottoporre all'attenzione del Consiglio europeo e che volentieri sottopongo di nuovo anche a voi. La questione di merito è la seguente: noi abbiamo fatto una campagna elettorale nella quale tutte le forze politiche in Italia e in Europa dicevano che qualcosa va cambiato, che le cose non funzionano perfettamente, che vale la pena di raddrizzare la rotta. Con toni diversi ma tutti quanti abbiamo detto 'c'è qualcosa che va fatto".

"Dopodiché si arriva al primo Consiglio europeo successivo" al voto dell'8 e 9 giugno "e questo dibattito non si apre. Nel primo Consiglio europeo successivo al voto con il quale i cittadini comunque hanno detto che qualcosa non va, perché questo dicono i risultati delle elezioni: 'non siamo convinti di dove sta andando l'Europa". Eppure, torna a denunciare Meloni, "al Consiglio europeo qualcuno prende la parola e propone chi debba ricoprire gli incarichi apicali dopo che alcuni partiti, i negoziatori di alcuni partiti, si sono visti e hanno stabilito quali sono i nomi che ricopriranno gli altri incarichi. Intanto io penso che sia una mancanza di rispetto nei confronti dei cittadini, a Roma si direbbe 'non fare neanche la parte' di interrogarsi su cosa vada modificato. In secondo luogo non capisco la ratio e la logica, perché non si parte da chi debba fare cosa? Di solito si parte da cosa si debba fare. E poi si cerca la persona più adeguata per quegli obiettivi. E quindi mi sono permessa di non condividere come si gestisce" la partita delle nomine.

Le opposizioni e l'Europa

"E' grave che le opposizioni dicano" in Europa "di non trattare con me, con il presidente del Consiglio italiano, io rappresento l'Italia" dice Giorgia Meloni, in Senato per le repliche dopo le comunicazioni in vista del Consiglio Ue. "L'interesse nazionale per me viene prima dell'interesse di partito", sottolinea, ricordando che anche loro sono "rappresentanti dell'Italia".

"Quello che noi vediamo oggi è che ci sono tre partiti che si considerano una maggioranza e che distribuiscono alcuni incarichi apicali. Maggioranza? Lo vedremo in Parlamento, senatore Delrio... Lo vedremo in Parlamento con il tempo". "Si considerano una maggioranza ma io credo che quella maggioranza sia molto fragile ma non è questo il tema che mi interessa. Il problema è che in teoria le istituzioni europee non funzionano così. Quando gli incarichi apicali delle istituzioni europee sono stati immaginati non sono stati immaginati in una logica di maggioranza e opposizione. Sono stati immaginati come incarichi neutrali che dovevano garantire tutti, oggi, i 27 Stati membri".

"Non so cosa si intenda esattamente per forza disgreganti, ma penso di poter dire cosa penso io che sia disgregante. Io penso che sia disgregante la linea politica di chi ha come priorità o sembra avere come priorità all'interno della casa europea l'obiettivo di mettere all'angolo intere nazioni perché non si condividono i governi che i cittadini di quelle elezioni hanno scelto in libere elezioni. Penso che questo sia disgregante, penso che sia particolarmente sbagliato in un tempo politico come quello nel quale noi viviamo. Perché ne abbiamo di avversari, ne abbiamo parecchi. Si stanno organizzando e non credo che diciamo la cosa più intelligente da fare sia cercarne degli altri al nostro interno". "Io credo che la sfida di questa Europa sia invece lavorare con rispetto per unire le sue nazioni, per cercare punti di sintesi, per lavorare insieme il più possibile su alcune grandi materie. Quindi io continuo a non essere d'accordo con gran parte di quello che sento dire, non me ne vogliano i colleghi dell'opposizione, su come si leggono le politiche europee".

Lotta alle dipendenze

"La lotta alla droga e alle dipendenze patologiche è una priorità assoluta di questo Governo" dice la premier Meloni. "Fin dal nostro insediamento, siamo al lavoro, con costanza e determinazione, per ribadire alcuni messaggi chiari, per troppo tempo dimenticati: la droga distrugge la vita delle persone e le rende schiave e succubi; tutte le droghe fanno male, senza distinzioni, e sostenere il contrario è un inganno, che colpisce in particolare le giovani generazioni; il Governo e le Istituzioni, a ogni livello, non devono voltarsi dall'altra parte ma fare tutto quello che è nelle loro possibilità per combattere il traffico di droga e lo spaccio, investire nella prevenzione e sostenere i servizi pubblici e le comunità terapeutiche nella loro insostituibile azione di cura e recupero".

"Il Governo -ricorda la premier- ha puntato sulla prevenzione, ha promosso diverse campagne di comunicazione come quella in corso in questi giorni sulla Rai, l'Italia è tra le prime Nazioni in Europa ad attivare un piano a 360 gradi contro la diffusione del fentanyl e ha attivato nuovi strumenti per finanziare gli interventi in questo ambito, come la possibilità data ai cittadini di destinare l'8xmille dell'Irpef a diretta gestione statale". "Abbiamo davanti a noi tanto lavoro da fare per affrontare un'emergenza da troppo ignorata o sottovalutata, ma il cambio di passo c’è - conclude Meloni - e siamo in prima linea per consolidarlo e renderlo strutturale, con un gioco di squadra tra Dipartimento politiche antidroga, Ser.D., comunità e società scientifiche".

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Politica

Strage Viareggio, Mattarella: “Sicurezza trasporti e...

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La dichiarazione del Capo dello Stato per l'anniversario disastro ferroviario del 2009

Sergio Mattarella (Afp)

"La sicurezza nei trasporti, come quella sul lavoro, è un indicatore di civiltà che deve prevalere su qualsiasi logica di profitto, perché incide sulla vita delle persone. È questa una lezione che mai deve essere dimenticata". Lo sottolinea il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricordando che "la notte del 29 giugno 2009, Viareggio venne ferita dalle conseguenze di un disastro ferroviario che, oggi come allora, ci appare inaccettabile. Le immagini e la memoria di quella tragedia restano incancellabili". I morti furono 32 e un centinaio i feriti.

"Nel quindicesimo anniversario, la Repubblica -assicura il Capo dello Stato- è vicina ai familiari che videro i loro cari inaspettatamente strappati alla vita e che, nel dolore, seppero avviare un percorso civile per accertare le responsabilità di quanto accaduto e per promuovere, ovunque, maggiore sicurezza nei trasporti".

"Le reti infrastrutturali, e tra queste le ferrovie, sono condizione essenziale per la vita e lo sviluppo economico del Paese. La sicurezza è un presupposto irrinunciabile, oltre a essere un diritto primario di cittadini e utenti. Non si può derogare agli standard acquisiti, anzi -conclude Mattarella- il livello della sicurezza va elevato tramite controlli e tecnologie più efficaci e una crescita generale di consapevolezza".

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Ue, venti giorni per ‘blindare’ von der Leyen:...

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La presidente della Commissione, per essere rieletta, ha bisogno di almeno 361 voti

Giorgia Meloni e Von der Leyen (Afp)

Il 18 luglio a Strasburgo la legislatura 2024-29 potrà iniziare davvero. Quel giorno, come ha confermato la presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola a margine del Consiglio Europeo a Bruxelles, gli eurodeputati con ogni probabilità voteranno, a scrutinio segreto, sull’elezione della presidente della Commissione indicata dai leader, Ursula von der Leyen. L’astensione di Giorgia Meloni sulla candidata, e il suo voto contrario ad Antonio Costa, primo presidente del Consiglio Europeo del Sud Europa dopo due belgi e un polacco, e all’Alta Rappresentante Kaja Kallas, non appare affatto, visto da Bruxelles, come uno strappo impossibile da ricucire.

L’astensione su von der Leyen lascia aperta la via per una ricomposizione in Parlamento. Von der Leyen, per essere eletta, ha bisogno di almeno 361 voti: sulla carta Ppe, S&D e Renew ne hanno 399, ma i franchi tiratori potrebbero essere una sessantina, quindi, la base deve essere allargata, probabilmente sia a destra che a sinistra. Il premier olandese Mark Rutte, liberale, veterano del Consiglio Europeo e prossimo segretario generale della Nato, ha invitato a non drammatizzare troppo, dopo i voti di Meloni e Viktor Orban: "Penso che le cose si sistemeranno - ha detto - Meloni era chiaramente irritata dal fatto di non essere stata coinvolta, cosa che non è stata possibile perché non fa parte dei tre partiti centrali. Ma è la prima ministra dell’Italia ed è altamente rispettata".

Meloni, ha aggiunto Rutte, "ha le sue idee su come questo processo avrebbe dovuto essere condotto e le ha espresse con chiarezza totale. Ma gli stretti legami personali che abbiamo rimangono". Del resto, ha ricordato, "l’ultima volta, nel 2019, non abbiamo concordato all’unanimità sui top jobs", dato che Angela Merkel dovette astenersi su von der Leyen. E' un po’ diverso questa volta, ma "non è strano: succede", ha notato Rutte. Nel 2014 David Cameron e Viktor Orban votarono contro Jean-Claude Juncker, ma "nel 2019 il Regno Unito non c’era più, eppure non abbiamo votato all’unanimità" sul primo mandato di Ursula von der Leyen.

Non è solo Rutte a vedere laicamente l'astensione di Meloni. Anche se "non è chiaro esattamente che cosa vuole" la presidente del Consiglio, nota Janis Emmanoulidis, vice Ceo dello European Policy Centre, think tank con sede a Bruxelles, la sua astensione su von der Leyen, in realtà "è una buona notizia, un buon risultato" per la presidente della Commissione. Perché, "se Meloni avesse votato a favore, avrebbe creato problemi a von der Leyen in Parlamento", alienandole voti a sinistra. Se invece "avesse votato contro, avrebbe inviato un segnale chiaro a Fratelli d’Italia", che conta su ben 24 eurodeputati, "rispetto al quale sarebbe stato difficile fare marcia indietro".

Anche il voto contrario ad Antonio Costa e Kaja Kallas, secondo Emmanoulidis, si può comprendere, poiché "se von der Leyen dovesse fallire" e cadere nel voto al Parlamento Europeo, Meloni "potrebbe dire che lei era contraria a Kallas e Costa e che, quindi", caduta von der Leyen, "si dovrebbe riaprire l’intero pacchetto" delle cariche apicali. Per Fabian Zuleeg, Chief Executive dell’Epc, Meloni ha giocato una partita essenzialmente a fini interni. Per la premier e leader di FdI, "era molto importante dimostrare che difende l’Italia. Ma alla fine - sottolinea - non ha impedito" che le nomine passassero. Il fatto è, nota, che nell’Ue "c’è ancora una maggioranza centrista", composta da partiti che "non hanno remore a mostrare i muscoli". Tuttavia, osserva, "non sappiamo che cosa accade dietro le quinte, e sicuramente qualcosa sta succedendo".

Si tratterà soprattutto, dice Zuleeg, di vedere "quale portafoglio" avrà il commissario italiano e di "quanti soldi", cioè di che bilancio, potrà disporre. Ieri il ministro degli Esteri e vicepresidente del Ppe, Antonio Tajani, ha ripetuto che l’Italia mira ad avere un vicepresidente della Commissione, con un portafoglio di peso, possibilmente economico. In ogni caso, per Zuleeg la "narrativa" secondo la quale l’Ue non ascolta i cittadini è destinata a essere ripetuta sempre di più nei prossimi mesi, specie se ci sarà una seconda presidenza di Donald Trump negli Usa. L’accordo trovato sulle nomine lascia aperta la questione dei rinnovi di metà mandato del presidente del Consiglio Europeo e della presidente del Parlamento.

"Alla fine dei due anni e mezzo - ha spiegato il premier portoghese Luis Montenegro (Psd, gruppo Ppe) - ci sarà la ricandidatura" di Costa, "oppure un’altra personalità". Bisognerà vedere quale sarà la composizione del Consiglio Europeo tra due anni e mezzo: potrebbe essere molto diversa dall’attuale. Mentre il Parlamento Europeo è eletto e rimane fisso per cinque anni, il Consiglio Europeo, e soprattutto il Consiglio Ue, colegislatore dell'Unione, varia nel tempo, seguendo i cicli elettorali nazionali. Il Ppe, nota Emmanoulidis, ha "buone probabilità" di riprendersi "due grandi Paesi, la Germania e la Spagna".

Tajani ha chiarito che, se Costa avrà un secondo mandato, allora anche la maltese Roberta Metsola avrà diritto al terzo mandato alla guida del Parlamento, perché "è il Ppe che ha vinto le elezioni". Per il premier portoghese, comunque, l’accordo sulle nomine ha avuto nel Consiglio Europeo una maggioranza "schiacciante" e, pur "conoscendo la diversità di opinioni" tra le forze politiche, "ci sono tutte le condizioni per essere fiduciosi" in vista del voto in Parlamento. Per il premier del Psd "ci sono le condizioni per allargare" il consenso sulle cariche apicali, e in particolare su Ursula von der Leyen, "nelle prossime settimane".

Anche per Montenegro, i voti di Meloni (astenuta su von der Leyen, contraria a Kallas e Costa) e Viktor Orban (contro von der Leyen, astenuto su Kallas, a favore di Costa) non sono un dramma: "Trovare punti di contatto tra 27 Stati membri - osserva - è un compito enormemente difficile. E’ complicato mettere d’accordo i leader di 27 Paesi ed è ancora più difficile quando appartengono a famiglie politiche diverse". Non è strano, dunque, che ci siano stati voti difformi, ma "il compromesso, tra Stati e famiglie politiche, è largamente maggioritario" e "tale da poter attrarre altre famiglie politiche" nelle prossime settimane.

Montenegro pensa "per esempio" ai Verdi, che si sono già detti disponibili a votare von der Leyen, anche se un allargamento formale della maggioranza a loro creerebbe seri problemi interni al Ppe (la delegazione italiana, ha chiarito ancora ieri Tajani, è decisamente contraria). Oltre alle cariche apicali, il Consiglio Europeo ieri notte ha approvato 21 pagine di conclusioni, in materia di Ucraina, Medio Oriente, sicurezza e difesa, competitività, migrazioni, Mar Nero, Moldova, Georgia, minacce ibride, riforme interne, più l’agenda strategica per il 2024-29, che si estende per ben nove pagine.

In tutto il testo delle conclusioni, spicca l’assenza di riferimenti a come finanziare i tanti obiettivi comuni che l’Ue si prefigge, ad esempio nel campo della sicurezza e della difesa. Anche laddove queste esigenze facevano capolino, come al punto 26, il riferimento è stato opportunamente sfumato: il Consiglio Europeo, si legge, invita la Commissione a presentare "opzioni" per "il finanziamento pubblico e privato per rafforzare la base tecnologica e industriale e ad affrontare le deficienze di capacità". Invece di "affrontare", la bozza chiedeva di "colmare" le carenze di capacità, formulazione giudicata un po’ troppo esplicita.

Il motivo è sempre lo stesso e lo ha chiarito il prossimo segretario generale della Nato e leader uscente dei Frugali, Mark Rutte: gli Stati membri dell’Ue "devono guardare collettivamente a quello che si può fare" per rafforzare la difesa europea, ma "ci sono molte opzioni". Gli Eurobond, ha sottolineato Rutte, sarebbero "un passo enorme, un momento hamiltoniano. La Germania e alcuni altri Paesi non sono a favore". Per Zuleeg, tuttavia, "se due anni fa avessimo detto alle nostre industrie militari ‘compreremo le vostre munizioni, e poi troveremo il modo’" di pagarle, "certo sarebbe stato complicato e costoso", ma, "se lo avessimo fatto, non ci troveremmo in una situazione nella quale l’Ucraina non ha abbastanza proiettili e munizioni" per difendersi dall’invasore russo.

La stessa agenda strategica, come nota Emmanoulidis, non è affatto "strategica", dato che è stata fatta la "scelta consapevole" di "tenere tutti a bordo". Il risultato è che, "con l’ambizione dell’unità, si mina l’ambizione". Leggendo le nove pagine dell’agenda, si resta colpiti dall’abbondanza di obiettivi, anche assai ambiziosi: per esempio, si assicura che "costruiremo le nostre capacità in settori chiave e tecnologie chiave per il futuro, come difesa, spazio, intelligenza artificiale, tecnologie quantiche, semiconduttori, 5G e 6G, salute, biotecnologie, tecnologie per emissioni zero, mobilità, farmaceutica, chimica e materiali avanzati".

Tutti, o quasi, settori in cui l’Ue ha accumulato notevoli ritardi rispetto a Usa e Cina, per recuperare i quali occorrerebbero investimenti massicci. Ma questo aspetto cruciale nell’agenda strategica non viene menzionato: la stessa von der Leyen, l’anno scorso, ha dovuto rapidamente seppellire la sua idea di istituire un fondo sovrano Ue, per la decisa contrarietà di Germania e nordici. Si attende il rapporto di Mario Draghi, che più volte ha ‘fustigato’ i dirigenti europei su questo punto chiave ("please, do something", disse ai presidenti di commissione del Parlamento, nella primavera scorsa). Ma Zuleeg dubita che i rapporti possano smuovere le capitali: "Sono sicuro che conterrà molte cose giuste - dice - ma sono molto scettico sul fatto che vedremo una qualsiasi azione concreta. Perché qualsiasi azione concreta - conclude - comporta costi politici".

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Politica

Ue, Fratelli d’Italia difende linea Meloni:...

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"Non ci saranno contraccolpi sul ruolo dell'Italia nella prossima Commissione europea"

Giorgia Meloni (Afp)

"E' il suo schema di gioco preferito, quello che le riesce meglio. Come col governo Draghi, ma anche col Conte uno: nessun sostegno, ma con la schiena dritta sull'Ucraina" con l'ex numero 1 della Bce, "e pronti a sostenere i decreti sicurezza" dell'esecutivo M5S-Lega. A sentire chi è vicino alla premier Giorgia Meloni, lo strappo consumatosi ieri in Consiglio europeo - col no ad Antonio Costa e Kaja Kallas, ma la mano tesa della presidente del Consiglio Ursula von der Leyen - non avrà contraccolpi sul ruolo dell'Italia nella prossima Commissione europea.

"Avremo quel che ci spetta", è la convinzione, nonostante Roma abbia giocato nella notte il ruolo del 'bastian contrario'. Certo, da qui al 18 luglio - data della Plenaria che, salvo sorprese, dovrebbe incoronare Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione, consegnandole il bis - ad attendere la presidente del Consiglio giorni complessi, di strategie e trattative sotto traccia. Con l'obiettivo fermo di portare a casa una vicepresidenza e un commissario con un portafoglio di peso. Raffaele Fitto? "Sì, è sempre in pista - spiegano le stesse fonti -. Ma è chiaro che un eventuale ruolo deve rispecchiare la partita che Raffaele sta giocando in casa da un anno e mezzo ormai". Ovvero Pnrr, coesione territoriale e nuovi strumenti finanziari in capo all'Unione.

"Così da oliare da Bruxelles - il ragionamento - il dialogo con Roma, che dovrebbe fare a meno di Raffaele su materie fondamentali". Perché non è un segreto che la premier si fidi ciecamente del ministro salentino, e le costi molto privarsi di un super fedelissimo con 4 deleghe all'attivo. Che, viene inoltre ribadito dai beninformati, non verrebbe mai sostituito dando vita a un rimpasto di governo: semmai Fitto dovesse fare la valigie per Bruxelles, le sue deleghe verranno ridistribuite, con un ruolo di peso per Palazzo Chigi e i suoi due sottosegretari, Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari. E un sottosegretario agli Affari europei di nuova nomina da individuare anche più avanti.

Nella notte, al termine del Consiglio europeo che ha dato il via libera alle nomine, la premier ha provato a difendersi dalle critiche di chi le attribuiva la responsabilità di aver isolato l'Italia con la sua scelta di non avallare il 'pacchetto' dei top jobs: "Penso che il ruolo dell'Italia non sia quello di aspettare quello che fanno gli altri e accodarsi. Io sono sempre stata convinta che la leadership è quando qualcuno si accorge che tu esisti", le parole di Meloni. Non la pensano così le opposizioni e in particolare il leader del M5S Giuseppe Conte, secondo il quale Meloni ieri al Consiglio europeo "ha condannato l'Italia all'irrilevanza rispetto al nuovo governo europeo".

Dalla pattuglia parlamentare di Fdi al Parlamento europeo arrivano invece parole positive per il lavoro di Meloni. Per Carlo Fidanza, quello dell'isolamento è "un ritornello stanco": l'eurodeputato rivendica con orgoglio il fatto che Meloni sia stata l'unica leader dei 27 a non votare per nessuno dei 3 candidati, "con buona pace di chi diceva che si era fatta normalizzare". Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo dei Conservatori e riformisti europei, evidenzia "il segnale chiaro" inviato da Meloni all'Europa: "La Ue - spiega - non può continuare ad essere guidata dal circolo chiuso delle stesse forze politiche, ignorando il voto dei cittadini che ha spostato l'asse politico più a destra e facendo finta che nulla sia cambiato".

E tra le file dei Conservatori non manca chi lancia frecciate all'indirizzo del premier ungherese Viktor Orban, che ha votato contro il bis di von der Leyen dicendo sì a Costa e astenendosi invece su Kallas. Naufragata la trattativa per un eventuale ingresso del primo ministro sovranista nella famiglia politica europea di Meloni, quella di Ecr, ora il partito di Orban (Fidesz) potrebbe dar vita insieme ai polacchi del Pis - che attualmente fanno parte dei Conservatori - a una nuova formazione politica di stampo sovranista: "Orban - osserva una fonte - ha votato a favore dell'unico socialista della triade, che è Costa. Quindi che gruppo intende fare, se vota il più socialista di tutti? Strano come voto, da parte di uno che vorrebbe formare un gruppo delle ultra-destre...". In Ecr viene dato un relativo peso alle minacce dei polacchi, che per bocca dell'ex primo ministro polacco Mateusz Morawiecki hanno paventato un possibile addio a Ecr: "Stanno trattando posizioni all'interno del gruppo".

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