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Allarme invecchiamento: gli anziani sono quasi il doppio...
Allarme invecchiamento: gli anziani sono quasi il doppio dei giovani
L’Italia affronta un’emergenza demografica senza precedenti. Nel 2023, si contano 193,1 persone con almeno 65 anni ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Questo dato, noto come indice di vecchiaia, indica che la popolazione anziana è quasi il doppio di quella giovane. Il quadro è stato presentato dal direttore della direzione centrale Istat per l’analisi e la valorizzazione nell’area delle statistiche economiche, Stefano Menghinello, durante un’audizione alla commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale.
Il Mezzogiorno meno vecchio, ma non troppo
Il Mezzogiorno mostra valori leggermente inferiori rispetto alla media nazionale, con un indice di vecchiaia di 179,8 e un minimo di 175,8 nel Sud. Tuttavia, la popolazione anziana è predominante ovunque, con differenze significative: si passa dai 270,9 anziani per 100 giovani in Liguria ai 131,8 nella Provincia autonoma di Bolzano/Bozen.
Dal 2012, l’indice medio nazionale è aumentato di 44,7 punti, e di 61,4 punti dal 2002. Le regioni del Mezzogiorno hanno registrato gli incrementi più consistenti, complice anche i processi migratori. La variazione massima si è avuta in Sardegna, con un incremento di 88,3 punti. Questa regione, infatti, ha una delle popolazioni più longeve d’Italia e il tasso di fecondità più basso.
Declino della popolazione: Sud in testa
La popolazione italiana sta diminuendo. Nell’ultimo decennio (2012-2023), la popolazione residente è calata complessivamente dell’1,8%. Le regioni del Mezzogiorno hanno subito il declino più marcato, con una variazione media di -4,7%, dovuta in gran parte alle migrazioni interne. In contrasto, il Centro-Nord ha registrato una perdita trascurabile dello 0,3%.
Le regioni del Sud che mostrano le peggiori dinamiche demografiche sono il Molise (-7,4%) e la Basilicata (-7,2%). Tra le regioni del Centro-Nord, la Liguria ha subito un calo significativo (-5,2%), mentre il Veneto ha contenuto la perdita a -0,8%. Al contrario, il Trentino-Alto Adige/Südtirol, il Lazio, la Lombardia e l’Emilia-Romagna continuano a vedere una crescita della popolazione.
Un aspetto rilevante è l’incremento della componente straniera della popolazione, che ha rallentato il processo di invecchiamento grazie a una struttura per età più giovane. Nei grandi centri urbani del Nord come Milano, Torino e Genova, l’incidenza degli stranieri residenti è significativamente maggiore rispetto al Sud: 187,8 stranieri ogni mille abitanti a Milano, contro solo 38,4 a Palermo.
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Il movimento ‘No Bra’, perché sempre più donne non...
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Negli ultimi anni, il movimento “No Bra” ha guadagnato sempre più popolarità e attenzione mediatica. Ma cosa significa esattamente e perché è diventato un fenomeno così rilevante nel contesto moderno di uguaglianza sociale?
Basta con il reggiseno, il movimento “No Bra”
Il termine “No Bra” (termine internazionalmente utilizzato per indicare il reggiseno) si riferisce alla scelta di non indossare il reggiseno, un capo di abbigliamento che, per decenni, è stato considerato un elemento essenziale della moda femminile. Questa tendenza, tuttavia, va ben oltre una semplice scelta di stile. È un movimento che sfida le norme sociali e culturali legate all’abbigliamento femminile e promuove l’accettazione del corpo naturale delle donne.
Le origini del movimento
Il movimento “No Bra” ha le proprie radici nei movimenti femministi degli anni ‘60 e ‘70, quando le donne cominciarono a ribellarsi contro i rigidi standard di bellezza e le aspettative della società. Un momento iconico fu la protesta del 1968 a Miss America, dove alcune femministe gettarono simbolicamente reggiseni, corsetti e altri “strumenti di tortura femminile” in un “bidone della libertà”.
Negli ultimi anni, il movimento ha ripreso vigore grazie ai social media e alla crescente attenzione verso le questioni di uguaglianza di genere. Molte donne, tra cui influencer e celebrità, hanno abbracciato e promosso il “No Bra” come una forma di espressione personale e di protesta contro le norme di genere restrittive.
Le influencer e le celebrità che promuovono il “No Bra”
Numerose influencer e celebrità hanno giocato un ruolo cruciale nel promuovere il movimento “No Bra”. Tra queste ci sono:
Kendall Jenner: la modella ha spesso sfidato le convenzioni, apparendo in pubblico senza reggiseno e parlando apertamente del suo sostegno al movimento. “È una scelta di comfort e libertà,” ha dichiarato in un’intervista;
Kim Kardashian: la nota modella e influencer, sorella di Kendall, anche lei spesso senza reggiseno;
Miley Cyrus: con il suo approccio audace alla moda e alla vita, la cantante è una delle più note sostenitrici del “No Bra”. Una scelta che Miley Cyrus ha sintetizzato in maniera chiara: “Il mio corpo, le mie regole. Non voglio conformarmi a ciò che la società pensa che dovrei essere”;
Bella Hadid: la modella ha utilizzato la sua piattaforma per normalizzare l’assenza del reggiseno, sottolineando l’importanza di sentirsi a proprio agio nel proprio corpo;
Gillian Anderson: attrice conosciuta per ruoli in serie come The X-Files e Sex Education. Nel 2022 ha dichiarato in una diretta Instagram: “Non me ne frega niente se le mie tette arrivano all’ombelico, non indosso più il reggiseno perché è troppo scomodo”;
Jennifer Aniston: nel 2020 l’attrice è apparsa senza reggiseno sul red carpet dei SAG Awards in un abito vintage Dior. Ci sono voci sul fatto che anche il suo personaggio in Friends non indossasse mai il reggiseno;
Rihanna: la cantante e imprenditrice americana è tra le più note promotrici del movimento “No Bra”;
Queste sono solo alcune delle tante celebrità che con la loro notorietà cercano di diffondere un’idea diversa e libera del corpo femminile, rifiutando di indossare il reggiseno per comodità o come affermazione di libertà e accettazione del proprio corpo. Il fenomeno è diventato sempre più popolare negli ultimi anni.
Quando nasce il reggiseno
Il reggiseno come lo conosciamo oggi è una invenzione piuttosto recente. Prima della sua introduzione, le donne utilizzavano busti e corsetti per modellare il proprio corpo secondo gli standard dell’epoca. Il primo brevetto per un reggiseno moderno fu registrato da Mary Phelps Jacob nel 1914. Da allora, il reggiseno è diventato un capo d’abbigliamento standard per le donne, spesso associato a un senso di decoro e modestia.
Tuttavia, l’uso del reggiseno non è stato sempre la norma. In molte culture e per molti secoli, le donne hanno vissuto senza alcun tipo di supporto artificiale. Il ritorno al “No Bra” può quindi essere visto anche come un ritorno a un’epoca in cui i corpi delle donne non erano così rigidamente controllati e regolamentati.
Non solo una tendenza: una richiesta di parità
Il movimento “No Bra” non è solo una moda passeggera; rappresenta una richiesta di parità e di rispetto per le scelte individuali delle donne. La pressione sociale che impone alle donne di indossare il reggiseno è vista come un simbolo di oppressione e controllo sui corpi femminili. Scegliere di non indossare il reggiseno diventa quindi un atto di ribellione contro queste pressioni.
L’attrice Emma Watson ha dichiarato: “La libertà di scelta è fondamentale. Nessuno dovrebbe sentirsi costretto a indossare qualcosa per conformarsi agli standard degli altri.”
Il reggiseno è spesso visto come uno strumento per coprire i capezzoli femminili e quindi nascondere la sessualità delle donne in una cultura che tende ad attribuire la pulsione sessuale principalmente agli uomini.
Il reggiseno oggettizza la donna
Iris Marion Young, autrice femminista, ha scritto nel 2005 che il reggiseno “serve da barriera al tocco” e che una donna senza reggiseno è “deoggettalizzata”, eliminando quello che definisce l’aspetto “duro e appuntito che la cultura fallica pone come norma”. Senza reggiseno, i seni delle donne non sono oggetti dalla forma costante ma cambiano mentre la donna si muove, riflettendo il corpo naturale.
Come ha sottolineato Young, il reggiseno viene usato anche per indottrinare le ragazze a pensare ai loro seni come oggetti sessuali.
Negli anni ’70, alcune femministe bruciarono reggiseni in segno di protesta contro la sessualizzazione del corpo femminile, con uno slogan che recitava: “Bruciate i corsetti!… No, non conservate nemmeno le stecche di balena, non ne avrete più bisogno. Fate un falò degli acciai crudeli che hanno dominato il vostro torace e addome per tanti anni e tirate un sospiro di sollievo, perché vi assicuro che da questo momento la vostra emancipazione è iniziata”.
In effetti, oggi sempre più donne, soprattutto tra la generazione dei Millennial e Gen Z, scelgono di non indossare il reggiseno, basando le proprie scelte più su ciò che vogliono loro e non sulle norme sociali che vorrebbero nascondere, controllare e mortificare la sessualità femminile.
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Molestie sul lavoro, una questione non solo femminile
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Quanto costa crescere i figli? Una questione di calcoli
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Hai presente quei momenti in cui trovi il frigo vuoto, le scarpe fuori posto e il portafoglio un po’ più leggero? Benvenuto nella realtà di cinque italiani su dieci, che convivono con i propri figli, molti dei quali maggiorenni e totalmente a carico. Un’avventura quotidiana fatta di spese impreviste e rinunce, come ci racconta il report FragilItalia ‘Il costo dei figli’, elaborato da Area Studi Legacoop e Ipsos.
Figli maggiorenni, tra condivisione e indipendenza economica
I figli maggiorenni sono una componente vitale delle famiglie italiane, influenzando non solo la quotidianità ma anche le decisioni economiche a lungo termine. Secondo il report FragilItalia, il 47% di questi giovani adulti continua a vivere sotto lo stesso tetto dei genitori senza contribuire economicamente, mettendo in luce una realtà diffusa che riflette le sfide che molti giovani italiani devono affrontare per raggiungere l’indipendenza economica.
Il fenomeno presenta diverse sfaccettature interessanti: molti giovani, pur avendo un lavoro, preferiscono rimanere a casa per risparmiare sui costi elevati dell’affitto e delle spese di mantenimento, evidenziando le difficoltà nel trovare soluzioni abitative accessibili e il desiderio di molti genitori di garantire un ambiente sicuro e confortevole per i propri figli.
D’altro canto, il 29% dei figli maggiorenni è attivamente impiegato e contribuisce alle spese familiari, rappresentando un esempio di partecipazione economica attiva all’interno della famiglia. Questa situazione non solo allevia il carico finanziario sui genitori, ma promuove anche un senso di responsabilità e reciprocità tra i membri della famiglia, rafforzando i legami familiari e generazionali.
La persistenza di un così alto numero di figli maggiorenni a carico dei genitori solleva anche domande più ampie riguardo alle politiche abitative, all’accesso al lavoro e all’istruzione superiore in Italia, con un impatto che si estende ben oltre le singole famiglie, influenzando le politiche pubbliche e la struttura economica e sociale del paese nel suo complesso.
Spese familiari: quanto pesano i figli?
Le spese per i figli rappresentano una sorta di avventura economica per molte famiglie italiane, un mix di sorprese e costi che possono far vacillare persino il bilancio più preparato. Secondo FragilItalia, i figli assorbono in media il 34% della spesa mensile familiare. Questo dato non fa solo riflettere, ma può anche far venire voglia di fare una rapida revisione del proprio budget.
Cosa include questa “avventura” economica? Principalmente, c’è l’abbigliamento, che rappresenta una vera e propria sfida per il 63% delle famiglie. Tra abiti, scarpe, borse e accessori, la moda dei figli può tranquillamente stravolgere qualsiasi budget mensile. Poi ci sono i libri scolastici, che rappresentano il 51% delle spese a loro dedicate.
Ma non finisce qui! L’attività sportiva è un’altra voce importante, incidendo sul 48% della spesa totale. Quindi, se il tuo bambino o la tua bambina è un futuro campione olimpico, preparati a investire in palestre, attrezzature e competizioni. E poi ci sono i pasti fuori casa, un piacere che per il 46% delle famiglie italiane è un lusso da concedersi ogni tanto, ma che può facilmente diventare una voce costante del bilancio familiare.
Ma nonostante queste spese apparentemente esorbitanti, c’è sempre spazio per qualche sorriso. Ad esempio, il 17% delle famiglie riesce a gestire le spese per i figli con un budget che rappresenta solo il 10-20% del totale mensile. Sembra quasi un miracolo, vero? Eppure, questo ci ricorda che nonostante le sfide economiche, c’è sempre una soluzione se si pianifica con attenzione e si guarda con un po’ di creatività al modo di gestire le finanze familiari.
Facciamo due conti
Calcolare la spesa mensile media familiare destinata ai figli è cruciale per comprendere l’impatto finanziario che i figli hanno sul bilancio domestico. Secondo il report “Il costo dei figli”, la spesa destinata ai figli rappresenta in media il 34% della spesa media mensile familiare, la quale ipotizziamo essere di 2000 euro. Di conseguenza, la spesa mensile media per i figli ammonta a 680 euro.
Le famiglie italiane mostrano una varietà di distribuzioni nella spesa per i figli:
Famiglie che destinano tra il 21% e il 40% della spesa ai figli (51% delle famiglie):
Media: (21% + 40%) / 2 = 30.5%
Spesa media per figli: 30.5% di 2000 euro = 610 euro
Numero di famiglie: 51% di 2000 euro = 1020 euro
Famiglie che destinano tra il 40% e il 70% della spesa ai figli (32% delle famiglie):
Media: (40% + 70%) / 2 = 55%
Spesa media per figli: 55% di 2000 euro = 1100 euro
Numero di famiglie: 32% di 2000 euro = 640 euro
Famiglie che destinano tra il 10% e il 20% della spesa ai figli (17% delle famiglie):
Media: (10% + 20%) / 2 = 15%
Spesa media per figli: 15% di 2000 euro = 300 euro
Numero di famiglie: 17% di 2000 euro = 340 euro
Oltre alla percentuale della spesa, è importante considerare le voci di spesa che incidono maggiormente sul bilancio familiare. Le priorità di spesa delle famiglie italiane per i figli includono l’abbigliamento (63%), i testi e libri scolastici (51%), scarpe, borse e accessori e attività sportiva (48%), e i pasti fuori casa (46%). Inoltre, quattro su dieci famiglie (41%) affrontano anche spese per rette scolastiche, universitarie e asilo, aumentando ulteriormente il peso finanziario.
I sacrifici dei genitori e le rinunce dei figli
Le famiglie sono costrette a fare rinunce significative per sostenere queste spese, con il 66% dei genitori che rinuncia ad acquistare per sé stessi. Questo non è un gesto sporadico, ma una pratica regolare per molti, con il 31% che rinuncia spesso e il 34% occasionalmente.
Ma le rinunce non finiscono qui! Il 60% dei genitori ha dovuto dire addio alle cene al ristorante, mentre il 58% ha rimandato l’acquisto di un’auto nuova. E le vacanze? Sono diventate un lusso che il 60% delle famiglie ha dovuto limitare, con il 25% che ha addirittura accorciato i periodi di relax per far quadrare il bilancio.
Ma non è solo una via a senso unico. Anche i figli, consapevoli delle sfide economiche che la famiglia affronta, sono disposti a fare la loro parte. Il 37% di loro ha rinunciato a nuovi vestiti e scarpe di moda, dimostrando una maturità sorprendente. E cosa dire delle uscite con gli amici? Il 30% dei giovani ha dovuto ridimensionare la socialità per risparmiare, un gesto di responsabilità che parla del loro impegno nel sostenere la famiglia in tempi difficili.
Le spese familiari per i figli vanno ben oltre i numeri: sono un intricato mix di sacrifici, pianificazione e un continuo bilanciamento tra necessità e desideri, sia per genitori che per figli. Questa avventura economica è un percorso fatto di sfide e scelte oculate che influenzano non solo il presente ma anche il futuro delle famiglie italiane. È un viaggio che richiede creatività, responsabilità e un impegno costante nella gestione delle risorse, mantenendo sempre al centro il benessere e lo sviluppo dei giovani.