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Scuole, acqua, tpl e servizi sanitari in Italia: il divario tra Nord e Sud

Nel tessuto sociale e infrastrutturale italiano, emergono disuguaglianze significative che spaccano il paese tra Nord e Sud, secondo recenti dati dell’Istat presentati in un’audizione alla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale. Dall’accessibilità alle scuole fino alla disponibilità dei servizi sanitari, il divario persiste, delineando un quadro di disparità ben marcato.

Scuole

Il panorama educativo italiano evidenzia notevoli discrepanze tra le regioni settentrionali e meridionali, come rivelato dai dati recenti dell’Istat. Le scuole nel Centro-Nord godono di una maggior accessibilità rispetto al Mezzogiorno, dove persiste una significativa carenza di infrastrutture facilmente raggiungibili. Questo divario si riflette chiaramente nei servizi di trasporto urbano e interurbano, essenziali per garantire un accesso equo all’istruzione. Mentre nel Centro-Nord oltre il 86% delle scuole beneficia di buone condizioni di raggiungibilità, nel Mezzogiorno la situazione è meno favorevole, con il 36,4% delle scuole che presentano criticità di accesso, spesso necessitando del ricorso a mezzi di trasporto privati. Queste differenze non solo influenzano l’equità educativa, ma pongono una sfida significativa per la coesione sociale e lo sviluppo equilibrato del paese.

Acqua

Il servizio idrico rappresenta un altro nodo critico. Regioni come la Calabria e la Sicilia soffrono di gravi problemi di erogazione dell’acqua, con percentuali di famiglie che riportano interruzioni nel servizio molto superiori alla media nazionale. In Calabria, il 38,7% delle famiglie dichiara irregolarità nell’erogazione dell’acqua, mentre in Sicilia questa cifra supera il 29,5%, più del triplo rispetto alla media nazionale. Queste disparità sono amplificate ulteriormente dal confronto con realtà come quella della provincia autonoma di Bolzano, dove solo l’1,5% delle famiglie sperimenta interruzioni nel servizio idrico, evidenziando una netta differenza di qualità e continuità nell’approvvigionamento idrico tra le diverse regioni italiane.

Trasporto Pubblico Locale

Il Trasporto Pubblico Locale (TPL) rappresenta un chiaro esempio delle disparità territoriali in Italia. Mentre regioni del Nord come la Lombardia godono di un’offerta di TPL più del doppio rispetto alla media nazionale, altre aree come il Molise ne registrano un’offerta inferiore di oltre 12 volte. Questo divario non solo influisce sulla mobilità quotidiana dei cittadini, ma riflette anche una distribuzione ineguale delle risorse e degli investimenti infrastrutturali. Il miglioramento del TPL non è solo una questione di comodità, ma anche di equità sociale ed economica, poiché un trasporto efficiente è cruciale per l’accessibilità ai servizi, l’occupazione e la qualità della vita delle comunità locali. Affrontare queste disparità richiede strategie integrate che considerino le specificità regionali e mirino a migliorare l’accessibilità e l’efficienza del trasporto pubblico su tutto il territorio nazionale.

Servizi sanitari

La disparità nei servizi sanitari tra le regioni italiane è un tema cruciale che evidenzia profondi divari socio-economici. I dati dell’Istat sottolineano come la Campania si trovi in una posizione critica, con soli 19,5 posti letto residenziali per 10.000 abitanti, rappresentando un drastico -70% rispetto alla media nazionale. Questo contrasta marcatamente con realtà come la provincia autonoma di Trento, che gode di 152,8 posti letto, posizionandosi nettamente al primo posto nella graduatoria regionale.

Queste cifre non solo mettono in evidenza la carenza di risorse nel Sud Italia, ma pongono un forte focus sull’urgente necessità di investimenti mirati per migliorare l’accessibilità e la qualità dei servizi sanitari in tutto il paese. La disparità non riguarda solo la disponibilità di posti letto, ma si estende anche alla qualità dell’assistenza e all’accessibilità ai servizi specialistici, evidenziando una situazione complessa che richiede interventi strategici e un’azione coordinata a livello nazionale per garantire un’assistenza sanitaria equa e efficace per tutti i cittadini italiani.

In conclusione, il divario Nord-Sud in Italia non è solo una questione economica, ma si manifesta chiaramente anche nei servizi essenziali per i cittadini. Mentre il Nord gode di infrastrutture più avanzate e servizi più efficienti, il Sud continua a lottare con problemi di accessibilità, qualità e disponibilità.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Mytho, cosa cambia con la scoperta del gene anti-età?

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Una ricerca guidata dall’Italia ha identificato un nuovo gene anti-età, chiamato Mytho, che svolge un ruolo chiave nella longevità. Attivando questo gene, infatti, è possibile mantenere un invecchiamento in salute, rallentando il processo di senescenza cellulare.

Lo studio, durato 9 anni e pubblicato sul ‘Journal of Clinical Investigation’, è stato co-finanziato dal Pnrr nell’ambito del partenariato Age-It ‘Ageing Well in an Ageing Society’ ed è stato portato avanti da un team internazionale di ricerca. L’identificazione e la caratterizzazione di Mytho porta la firma di Marco Sandri, docente del Dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Padova e principal investigator dell’Istituto veneto di Medicina Molecolare (Vimm) con la collaborazione di Eva Trevisson, genetista del Dipartimento di Salute della donna e del bambino dell’università di Padova.

Attraverso esperimenti su modelli animali, i ricercatori hanno dimostrato che l’inibizione di Mytho accelera l’invecchiamento, mentre la sua attivazione migliora la qualità della vita. Questo gene agisce regolando l’autofagia, un processo biologico che permette la rimozione di proteine e organelli danneggiati, migliorando l’omeostasi cellulare. La scoperta apre quindi a nuove prospettive per comprendere i meccanismi molecolari dell’invecchiamento e sviluppare possibili terapie per contrastarlo. Inoltre, fornisce informazioni preziose sulla funzione di geni ancora sconosciuti nel nostro genoma, di cui fanno parte oltre 5.000 proteine.

“Dopo anni di studi, siamo arrivati a conoscere qualcosa del nostro genoma, ma la funzione della maggior parte del nostro codice genetico è ancora ignota. Un esempio sono i geni che codificano le proteine, di cui più di 5mila su un totale di 20mila sono completamente sconosciuti. Per questo negli ultimi anni abbiamo impiegato risorse ed energie per caratterizzare questo sconosciuto mondo del nostro Dna”, ha spiegato Sandri.

Le principali funzioni di Mytho

Le principali funzioni del gene Mytho nelle cellule muscolari dipendono dalla sua capacità di regolare l’autofagia muscolare: diversi studi hanno dimostrato che l’espressione di Mytho è indotta in condizioni di stress catabolico, come digiuno, cachessia da cancro, denervazione e sepsi. La traduzione di autofagia (dal greco “autos”, “da solo” + “fago”, “mangiare”) esprime bene la possibilità del gene di eliminare da solo le cellule correlate all’invecchiamento.

Secondo le conclusioni dei ricercatori, grazie alla sua capacità di intervento sulle cellule muscolari, Mytho potrebbe avere un ruolo chiave nella regolazione della longevità.

Nuovi approcci terapeutici dal gene Mytho

La scoperta del gene Mytho e del suo ruolo chiave nell’invecchiamento apre nuove prospettive per lo sviluppo di possibili terapie anti-età. Ecco alcuni degli approcci terapeutici che potrebbero essere esplorati.

Modulazione farmacologica di Mytho

Uno degli approcci più diretti sarebbe quello di sviluppare farmaci in grado di modulare l’attività del gene Mytho. Questo potrebbe essere fatto attraverso:

Attivatori di Mytho: Identificare composti in grado di aumentare l’espressione o l’attività della proteina Mytho potrebbe permettere di rallentare il processo di invecchiamento. Ciò potrebbe essere ottenuto attraverso screening di librerie di composti chimici o di prodotti naturali;

Inibitori di regolatori negativi di Mytho: Un’altra strategia potrebbe essere quella di identificare e inibire i fattori di trascrizione o le vie di segnalazione che normalmente reprimono l’espressione di Mytho. Ciò potrebbe portare a un aumento dell’attività di Mytho e a un miglioramento della salute durante l’invecchiamento.

Questi approcci richiedono di comprendere in dettaglio come questo gene venga regolato nelle cellule (cosiddetta ‘caratterizzazione’ del gene), nonché studi preclinici e clinici per valutare l’efficacia e la sicurezza dei composti identificati.

Terapia genica basata su Mytho

Un approccio più avanzato potrebbe essere quello di utilizzare la terapia genica per modulare direttamente l’espressione di Mytho. Ciò potrebbe essere fatto attraverso:

– Terapia sostitutiva genica: introdurre il gene Mytho in cellule o tessuti bersaglio, utilizzando vettori virali o non virali, potrebbe permettere di aumentare i livelli della proteina Mytho e ottenere gli effetti benefici sull’invecchiamento;

Editing genetico di Mytho: tecnologie di editing del genoma, come CRISPR-Cas9, potrebbero essere utilizzate per modificare direttamente la sequenza del gene Mytho e potenziarne l’attività. Ciò richiederebbe però un’attenta valutazione dei rischi e degli effetti off-target.

Queste strategie di terapia genica sono ancora in fase di sviluppo e richiederebbero un’approfondita valutazione della sicurezza e dell’efficacia prima di poter essere applicate nell’uomo.

Terapie combinate

Infine, un approccio ancora più completo potrebbe essere quello di combinare diverse strategie, come la modulazione farmacologica di Mytho e la terapia genica. Ciò potrebbe permettere di ottenere effetti sinergici e di massimizzare i benefici terapeutici.

Come è cambiata l’aspettativa di vita nel mondo dal 1900 ad oggi

Ma come è cambiata l’aspettativa di vita nella storia recente dell’umanità?

Nel 1900, l’aspettativa di vita media globale era di soli 32 anni. Oggi, nel 2021, è più che raddoppiata, raggiungendo i 71 anni. Questo straordinario aumento è il risultato di una serie di progressi in campo medico, sanitario e del benessere, come gli avanzamenti in nutrizione, acqua potabile, igiene, cure neonatali, antibiotici e vaccini. Tutte le regioni del mondo hanno registrato un aumento significativo dell’aspettativa di vita. Nel 1800, nessuna regione superava i 40 anni di aspettativa di vita, mentre oggi la media globale è superiore a qualsiasi Paese del 1950. Nonostante le disuguaglianze persistenti, il mondo diviso del 1950 si sta gradualmente riducendo.

In Europa

Anche l’Europa ha sperimentato un notevole aumento dell’aspettativa di vita tra il XX e il XXI secolo. Nel 1900, l’aspettativa di vita era di circa 43 anni, mentre nel 2021 ha raggiunto i 79 anni. Paesi come Norvegia, Svezia e Danimarca erano tra i primi ad avere un’aspettativa di vita superiore a 40 anni già negli anni ‘40 del XIX secolo. Nel 1950, l’Europa occidentale aveva un’aspettativa di vita di oltre 60 anni, mentre in Europa orientale la situazione era peggiore.

Oggi, le differenze regionali persistono, con gli spagnoli di Madrid che possono aspettarsi di vivere fino a 85 anni, mentre i bulgari della regione di Severozapaden solo fino a 73 anni. Questi divari sono dovuti in gran parte a stili di vita malsani, a partire da una sbagliata alimentazione e da una scarsa o inesistente attività fisica. Influiscono sull’aspettativa di vita anche la salute mentale e i fattori ambientali, a partire dall’inquinamento atmosferico.

In Italia

L’Italia ha seguito il trend globale, registrando un significativo aumento dell’aspettativa di vita nel corso del XX secolo. Nel 1870, l’aspettativa di vita era di poco inferiore ai 30 anni, mentre nel 2020 ha raggiunto gli 83 anni. Questo miglioramento è dovuto a una serie di fattori, tra cui il progresso medico-sanitario, il miglioramento delle condizioni di vita e la riduzione della povertà. Inoltre, l’Italia ha beneficiato di un sistema sanitario pubblico universale, introdotto nel 1978 che oggi, complice la crisi demografica, sta attraversando molte difficoltà.

Chiaramente, l’invecchiamento della popolazione comporta anche delle sfide, come l’aumento delle malattie croniche legate all’età. La particolarità di Mytho e che, secondo i ricercatori, non ha effetti solo sulla durata della vita, ma anche sulla qualità della vita stessa. Anzi, la maggiore durata della vita è solo una naturale conseguenza di un invecchiamento sano e attivo.

Implicazioni per la silver economy

La scoperta di geni anti-età come Mytho potrebbe avere importanti implicazioni per la Silver Economy, ovvero l’insieme di attività economiche legate all’invecchiamento della popolazione.

Se attivare Mytho permettesse di rallentare l’invecchiamento e mantenere una migliore salute nelle persone anziane, ciò potrebbe ridurre i costi sanitari e assistenziali, liberando risorse per altri settori. L’Italia, inoltre, ha una elevata dipendenza dai lavoratori over 50, che mediamente hanno più problemi di salute e una produttività inferiore rispetto ai lavoratori più giovani. Un trend che il Paese, fanalino di coda in Ue per produttività, non può certo permettersi.

La ricerca Mytho potrebbe spingere più in avanti l’invecchiamento e rendere meno faticoso il lavoro per chi è più in là con l’età.

Inoltre, la ricerca su Mytho potrebbe portare allo sviluppo di nuovi farmaci e terapie anti-età, creando opportunità per l’industria farmaceutica e biotecnologica. Questo potrebbe stimolare l’innovazione e la crescita di un settore in rapida espansione, come dimostrato dall’interesse del Pnrr per la ricerca sull’invecchiamento. Una vita duratura non è sempre sinonimo di qualità, come dimostra il fatto che le donne vivano più a lungo ma peggio rispetto agli uomini. Insistere sulla qualità della vita è un pilastro centrale della ricerca.

Chissà che un domani il “Vorrei incontrarti fra cent’anni” non resterà solo il titolo di un capolavoro musicale, ma una concreta possibilità per gli esseri umani.

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Il movimento ‘No Bra’, perché sempre più donne non...

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Negli ultimi anni, il movimento “No Bra” ha guadagnato sempre più popolarità e attenzione mediatica. Ma cosa significa esattamente e perché è diventato un fenomeno così rilevante nel contesto moderno di uguaglianza sociale?

Basta con il reggiseno, il movimento “No Bra”

Il termine “No Bra” (termine internazionalmente utilizzato per indicare il reggiseno) si riferisce alla scelta di non indossare il reggiseno, un capo di abbigliamento che, per decenni, è stato considerato un elemento essenziale della moda femminile. Questa tendenza, tuttavia, va ben oltre una semplice scelta di stile. È un movimento che sfida le norme sociali e culturali legate all’abbigliamento femminile e promuove l’accettazione del corpo naturale delle donne.

Le origini del movimento

Il movimento “No Bra” ha le proprie radici nei movimenti femministi degli anni ‘60 e ‘70, quando le donne cominciarono a ribellarsi contro i rigidi standard di bellezza e le aspettative della società. Un momento iconico fu la protesta del 1968 a Miss America, dove alcune femministe gettarono simbolicamente reggiseni, corsetti e altri “strumenti di tortura femminile” in un “bidone della libertà”.

Negli ultimi anni, il movimento ha ripreso vigore grazie ai social media e alla crescente attenzione verso le questioni di uguaglianza di genere. Molte donne, tra cui influencer e celebrità, hanno abbracciato e promosso il “No Bra” come una forma di espressione personale e di protesta contro le norme di genere restrittive.

Le influencer e le celebrità che promuovono il “No Bra”

Numerose influencer e celebrità hanno giocato un ruolo cruciale nel promuovere il movimento “No Bra”. Tra queste ci sono:

Kendall Jenner: la modella ha spesso sfidato le convenzioni, apparendo in pubblico senza reggiseno e parlando apertamente del suo sostegno al movimento. “È una scelta di comfort e libertà,” ha dichiarato in un’intervista;
Kim Kardashian: la nota modella e influencer, sorella di Kendall, anche lei spesso senza reggiseno;
Miley Cyrus: con il suo approccio audace alla moda e alla vita, la cantante è una delle più note sostenitrici del “No Bra”. Una scelta che Miley Cyrus ha sintetizzato in maniera chiara: “Il mio corpo, le mie regole. Non voglio conformarmi a ciò che la società pensa che dovrei essere”;
Bella Hadid: la modella ha utilizzato la sua piattaforma per normalizzare l’assenza del reggiseno, sottolineando l’importanza di sentirsi a proprio agio nel proprio corpo;
Gillian Anderson: attrice conosciuta per ruoli in serie come The X-Files e Sex Education. Nel 2022 ha dichiarato in una diretta Instagram: “Non me ne frega niente se le mie tette arrivano all’ombelico, non indosso più il reggiseno perché è troppo scomodo”;
Jennifer Aniston: nel 2020 l’attrice è apparsa senza reggiseno sul red carpet dei SAG Awards in un abito vintage Dior. Ci sono voci sul fatto che anche il suo personaggio in Friends non indossasse mai il reggiseno;
Rihanna: la cantante e imprenditrice americana è tra le più note promotrici del movimento “No Bra”;

Queste sono solo alcune delle tante celebrità che con la loro notorietà cercano di diffondere un’idea diversa e libera del corpo femminile, rifiutando di indossare il reggiseno per comodità o come affermazione di libertà e accettazione del proprio corpo. Il fenomeno è diventato sempre più popolare negli ultimi anni.

Quando nasce il reggiseno

Il reggiseno come lo conosciamo oggi è una invenzione piuttosto recente. Prima della sua introduzione, le donne utilizzavano busti e corsetti per modellare il proprio corpo secondo gli standard dell’epoca. Il primo brevetto per un reggiseno moderno fu registrato da Mary Phelps Jacob nel 1914. Da allora, il reggiseno è diventato un capo d’abbigliamento standard per le donne, spesso associato a un senso di decoro e modestia.

Tuttavia, l’uso del reggiseno non è stato sempre la norma. In molte culture e per molti secoli, le donne hanno vissuto senza alcun tipo di supporto artificiale. Il ritorno al “No Bra” può quindi essere visto anche come un ritorno a un’epoca in cui i corpi delle donne non erano così rigidamente controllati e regolamentati.

Non solo una tendenza: una richiesta di parità

Il movimento “No Bra” non è solo una moda passeggera; rappresenta una richiesta di parità e di rispetto per le scelte individuali delle donne. La pressione sociale che impone alle donne di indossare il reggiseno è vista come un simbolo di oppressione e controllo sui corpi femminili. Scegliere di non indossare il reggiseno diventa quindi un atto di ribellione contro queste pressioni.

L’attrice Emma Watson ha dichiarato: “La libertà di scelta è fondamentale. Nessuno dovrebbe sentirsi costretto a indossare qualcosa per conformarsi agli standard degli altri.”

Il reggiseno è spesso visto come uno strumento per coprire i capezzoli femminili e quindi nascondere la sessualità delle donne in una cultura che tende ad attribuire la pulsione sessuale principalmente agli uomini.

Il reggiseno oggettizza la donna

Iris Marion Young, autrice femminista, ha scritto nel 2005 che il reggiseno “serve da barriera al tocco” e che una donna senza reggiseno è “deoggettalizzata”, eliminando quello che definisce l’aspetto “duro e appuntito che la cultura fallica pone come norma”. Senza reggiseno, i seni delle donne non sono oggetti dalla forma costante ma cambiano mentre la donna si muove, riflettendo il corpo naturale.

Come ha sottolineato Young, il reggiseno viene usato anche per indottrinare le ragazze a pensare ai loro seni come oggetti sessuali.

Negli anni ’70, alcune femministe bruciarono reggiseni in segno di protesta contro la sessualizzazione del corpo femminile, con uno slogan che recitava: “Bruciate i corsetti!… No, non conservate nemmeno le stecche di balena, non ne avrete più bisogno. Fate un falò degli acciai crudeli che hanno dominato il vostro torace e addome per tanti anni e tirate un sospiro di sollievo, perché vi assicuro che da questo momento la vostra emancipazione è iniziata”.

In effetti, oggi sempre più donne, soprattutto tra la generazione dei Millennial e Gen Z, scelgono di non indossare il reggiseno, basando le proprie scelte più su ciò che vogliono loro e non sulle norme sociali che vorrebbero nascondere, controllare e mortificare la sessualità femminile.

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Molestie sul lavoro, una questione non solo femminile

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Le molestie sul lavoro e al di fuori di esso rappresentano un fenomeno allarmante e diffuso in Italia, come evidenziato dal recente report dell’Istat per il biennio 2022-2023. I dati sono inequivocabili: il 13,5% delle donne italiane tra i 15 e i 70 anni ha dichiarato di aver subito molestie sessuali sul posto di lavoro durante la propria vita.

La situazione è particolarmente preoccupante tra le giovani donne, con una percentuale che raggiunge il 21,2% tra coloro che hanno tra i 15 e i 24 anni. Tuttavia, anche gli uomini non sono esenti da questo problema, con il 2,4% di loro che ha segnalato esperienze di molestie sul lavoro. Le forme di molestie variano da sguardi offensivi e offese verbali a proposte indecenti e, in casi più gravi, a molestie fisiche.

LEGGI L’ARTICOLO COMPLETO QUI: Le molestie sul lavoro non sono solo un problema femminile

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