Salute e Benessere
Test Covid sì o no? E quando? Lo studio per capire il...
Test Covid sì o no? E quando? Lo studio per capire il momento giusto
La ricerca Usa, pubblicata su 'Science Advances', cerca di fare chiarezza grazie a un nuovo modello matematico
In questo strano inizio d'estate, con l'Italia spaccata in due dal meteo, Covid sembra rialzare la testa. Un aumento dei casi che, secondo gli ultimi dati ufficiali, riguarda la maggior parte delle regioni ed è particolarmente evidente nel Lazio. Tornano dunque attuali antiche domande: fare il test oppure no? E se sì, quando? L'esame rapido è affidabile? E come comportarsi in caso di positività? Negli Usa uno studio dell'università di Colorado (Cu) di Boulder, pubblicato su 'Science Advances', cerca di fare chiarezza grazie a un nuovo modello matematico che offre indicazioni utili non solo per l'infezione da Sars-CoV-2, ma anche per altre malattie trasmissibili come l'influenza o il virus respiratorio sinciziale Rsv. E c'è un consiglio che salta all'occhio: in caso di sintomi sospetti, meglio aspettare 2 giorni prima di fare il test Covid.
Test covid, quando farlo?
"Per il Covid - sottolinea Casey Middleton, prima autrice del lavoro - abbiamo scoperto che, se si fa un solo test, per usarlo è preferibile attendere 2 giorni dalla comparsa dei sintomi. Perché prima è improbabile che il virus sia rilevabile". In altre parole, facilmente il test non produrrà un risultato affidabile. Al contrario, "per influenza e Rsv è meglio fare il test rapido quando si avvertono i primi sintomi", aggiunge Middleton, dottoranda del dipartimento di Informatica alla Cu Boulder, programma IQ Bio, che ha sviluppato il nuovo modello con l'autore senior Daniel Larremore, docente di Informatica presso il BioFrontiers Institute dell'ateneo.
Test covid sì o no?
A chi si chiede 'test Covid, sì o no?', quest'ultimo risponde convinto: "Se vuoi andare al club del libro o alla serata bingo con i nonni, testarsi è davvero una buona idea". Come a dire che anche oggi, archiviata l'emergenza pandemica, è sempre meglio sapere di essere stati infettati prima di entrare in contatto con persone fragili. Ciò premesso, "il Covid è cambiato - precisa Larremore - ogni variante si comporta in maniera diversa e diverso potrebbe essere il modo con cui interagisce con i test".
E infatti, quando insieme a Middleton ha inserito nel nuovo modello computazionale informazioni sulle varianti Omicron ormai ubiquitarie, sul comportamento dei pazienti e su altri fattori, si è visto che se un contagiato Covid viene sottoposto a test rapido immediatamente, ai primi sintomi, il falso negativo è quasi certo: l'infezione sfugge in una percentuale di casi che arriva al 92%. Aspettando 2 giorni i falsi negativi scendono invece al 70%. Se poi c'è la possibilità di fare un secondo test il terzo giorno, calano al 66%: un'infezione su 3 viene rilevata. Potrà sembrare poco, ma nella pratica è sufficiente: "Diagnosticare un terzo delle infezioni - assicura Larremore - può comunque ridurre sostanzialmente la trasmissione" di Covid. I test rapidi sono stati infatti progettati per intercettare i positivi con la maggior carica virale. I più contagiosi.
Le nuove varianti di Sars-CoV-2 - spiegano gli autori - considerando anche che la maggior parte delle persone ha ormai sviluppato un certo grado di immunità per Covid, si replicano un po' più lentamente rispetto al nuovo coronavirus originario. Accade pertanto che "i sintomi si manifestano prima, ma ci vuole più tempo perché nell'organismo venga raggiunta una carica virale tale poter essere rilevata" con il test rapido, puntualizza Middleton. Per l'infezione da Rsv e l'influenza, invece, il virus si moltiplica così rapidamente che già ai primi sintomi ce n'è abbastanza per far risultare positivo il test. Nasce quindi un altro dilemma, osserva Larremore: "Se ci si testa subito per tutto", cioè per Sars-CoV-2, virus influenzali e virus sinciziale, "potrebbe andare bene per influenza e Rsv, ma essere troppo presto per Covid"; all'opposto, "se si aspetta qualche giorno potrebbe essere il momento giusto per Covid, ma troppo tardi per influenza e Rsv".
Che fare in caso di test positivo?
Ipotizzando di aver centrato la finestra ideale e di avere in mano un test Covid positivo, che fare? Isolarsi sarebbe un gesto responsabile, ma per quanto tempo? "Supponendo di avere a disposizione abbastanza tamponi da ripetere a domicilio", gli autori dello studio suggeriscono che ricorrere alla vecchia "strategia del 'test di uscita'", quella che prevede di "eseguirlo nuovamente per decidere se tornare al lavoro e alla vita sociale, può prevenire più infezioni e con disagi minori" rispetto all'approccio dei "5 giorni di isolamento che fino a marzo era il consiglio standard dei Cdc" americani, i Centers for Disease Control and Prevention. "Questa politica ha costretto le persone a isolarsi troppo a lungo nella maggior parte dei casi", afferma Middleton. Meglio la strategia "test-to-exit", che "libera prima chi non trasmetterà più il virus, trattenendo in casa soltanto chi ha una carica virale alta".
La speranza di Larremore e Middleton è che il loro modello matematico possa aiutare le aziende a sviluppare test migliori per Covid, influenza e Rsv, i medici a consigliare meglio i pazienti e le autorità sanitarie - in caso di nuova pandemia - ad adottare una politica di test agile e basata sulle evidenze.
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Vaccini, Castelli (Federfarma Lombardia): “Anti Rsv...
Il segretario del Comitato Rurale dei farmacisti: "In siringa preriempita risolve molti problemi a medici e farmacisti"
“Il fatto di poter rendere disponibile un vaccino” come l’anti virus respiratorio sinciziale (Rsv) “a una popolazione su larga scala e di poterlo produrre con maggior velocità e con minori costi non può che essere un elemento vincente per la buona riuscita di una campagna vaccinale”. Lo ha detto Dario Castelli, segretario del Comitato Rurale di Federfarma Lombardia, oggi a Milano, all’expert advisory panel ‘virus respiratorio sinciziale: dalla prevenzione, a nuovi modelli sostenibili, ai vaccini’, organizzato da Summeet Con il contributo non condizionato di Moderna.
Con la tecnologia ad mRna, usata già per la prevenzione del Covid19, è stato sviluppato e approvato in Europa un vaccino per prevenire le infezioni respiratorie da Rsv, quindi i ricoveri in terapia intensiva e i decessi.
“Il fatto di poter avere un vaccino in siringa preriempita - conclude Castelli - sicuramente risolve molti problemi logistici per il medico di medicina generale e per il farmacista stesso che possono così avere più tempo a disposizione per poter fare più vaccini alla popolazione”.
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Tragedia Priverno. Balzanelli: “Subito i Punti di...
Un uomo muore per malore improvviso, 24 ore prima era stato al Pat. Il presidente della Sis 118: "Qualsiasi quadro clinico acuto può celare insidie mortali, va gestito e filtrato da strutture esperte in medicina di emergenza-urgenza". Carucci: "Altrimenti assisteremo sempre di più a morti evitabili"
"Qualunque quadro clinico acuto, anche il più sfumato, può celare insidie che, da un momento all'altro, possono dimostrarsi in grado di uccidere. Sollecitiamo perciò il legislatore a evitare l'invenzione, che peraltro si sta dimostrando su più territori ampiamente fallimentare, di altri moduli organizzativi concepiti quali 'strutture intermedie' di filtro dell'acuzie. E a ripristinare o, dove esistenti, a potenziare ulteriormente, con massima celerità, l'operatività dei Punti di primo intervento del sistema di emergenza territoriale 118. Quando si vuole davvero evitare le morti potenzialmente evitabili, potrebbe definirsi saggio e rispettoso del vero tener conto, nei fatti, dell'antico detto latino 'unicuique suum', a ciascuno il suo". Questo il monito di Mario Balzanelli, presidente della Sis 118, commentando all'Adnkronos Salute il tragico episodio accaduto a Priverno, dove un 37enne è morto in un locale, davanti agli amici, aspettando i soccorsi. Appena 24 ore prima l'uomo si era recato al Pat (Punto di assistenza territoriale) di Priverno accusando un dolore toracico, ma era stato dimesso.
"Se, da un lato, non è possibile entrare nel merito specifico del tragico episodio di cronaca, la cui valutazione complessiva spetta ora all'autorità competente - premette Balzanelli - è invece possibile, e doveroso, fare alcune considerazioni essenziali di appropriatezza specifica del percorso gestionale che ha caratterizzato l'evento. In caso di insorgenza improvvisa di un dolore toracico, per una valutazione diagnostica differenziale vanno prese in considerazione una pluralità di cause, a partire da quelle più severe e immediatamente minacciose per la vita, che meritano un percorso di valutazione e osservazione clinica completo e temporizzato. Le acuzie, proprio perché nascondono a volte minacce potenzialmente mortali, anche nelle situazioni che all'inizio sembrano rassicuranti, devono essere assolutamente gestite e filtrate sul territorio dal Sistema di emergenza territoriale - scandisce - l'unica struttura della sanità nazionale specificamente preposta dallo Stato a gestire le emergenze (codici rossi), le urgenze (codici gialli) ma anche le acuzie che sembrano minori (codici verdi)".
Il Punto di primo intervento del 118 è "l'unica struttura stanziale territoriale a gestione medico-infermieristica esperta in medicina di emergenza-urgenza, molto più che collaudata in 32 anni di storia della sanità nazionale e - rimarca Balzanelli - in grado, h 24, di effettuare con immediatezza valutazione clinica e terapia di emergenza-urgenza, nonché di impostare un appropriato percorso diagnostico in contesto operativo tempo dipendente, che può prevedere, a seconda delle specifiche necessità, anche il trasporto immediato del paziente nell'ospedale ritenuto più idoneo. Allo stato attuale e con i dati alla mano, è inutile e fallimentare inventarsi altro", chiosa il presidente della Sis 118.
Sui fatti accaduti a Priverno "corre obbligo fare due considerazioni fondamentali", aggiunge Rossella Carucci, vicepresidente nazionale Sis 118. "Il Pat a questo punto è diventato un pericolo pubblico, un pericolo per la pubblica utilità, perché mandare a casa, se così sarà dimostrato, un paziente con dolore precordiale senza i necessari approfondimenti - rileva - è un comportamento che non è possibile accettare nel 2024. Seconda considerazione: il medico a bordo dell’auto medica non può mancare, se non c'è è omissione di soccorso". "Dobbiamo, dunque, intervenire su due fronti - spiega Carucci -ripristinare i Punti di primo intervento del 118, se vogliamo che esistano queste strutture di prossimità che diano risposte in condizioni di emergenza alla popolazione e cancellare i Pat. E dobbiamo ridare dignità professionale al 118 che è stato completamente abbandonato in 10 anni dall’amministrazione regionale uscente. Faccio un appello come Sis 118 nazionale all’amministrazione regionale in carica, affinché faccia queste due cose ad oggi irrinunciabili, per dare assistenza ai nostri territori in condizioni di emergenza. Altrimenti assisteremo sempre di più a morti evitabili".
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Salute, diabete e occhio secco: campagna evidenzia bassa...
L'iniziativa 'Se hai il diabete apri gli occhi sulla secchezza oculare', ideata da Alcon con Fand, conferma dati studi recenti
L'esperienza raccolta durante la campagna 'Se hai il diabete apri gli occhi sulla secchezza oculare', ideata da Alcon in collaborazione con Fand, Associazione italiana diabetici Odv - che si è svolta tra febbraio e aprile 2024 nelle città di Milano, Roma e Bari - evidenzia non solo quanto registrato da altre ricerche sulla possibile relazione tra diabete e occhio secco, ma anche la bassa consapevolezza della complicanza.
Il diabete mellito - si legge in una nota - è una delle malattie croniche più diffuse al mondo, che porta a diverse complicazioni, inclusi problemi agli occhi. Tra questi, la malattia dell'occhio secco è una delle condizioni più comuni, caratterizzata da sintomi quali secchezza, irritazione, sensazione di corpo estraneo e disturbi visivi che possono influire significativamente sulla qualità della vita. Una recente metanalisi che ha raccolto dati da diverse pubblicazioni scientifiche tra il 2000 e il 2018 - 4 studi per un totale di 2.504.794 persone - suggerisce una possibile relazione tra il diabete e il rischio di sviluppare l'occhio secco, con un aumento del rischio del 30% nei pazienti diabetici rispetto a quelli non diabetici. Questo sarebbe dovuto a diversi fattori, tra cui la neuropatia corneale diabetica, un danno causato dal diabete a carico delle fibre nervose periferiche, che porta al rilascio di neuromediatori, cioè mediatori dell'infiammazione, e che produce un'infiammazione cronica della superficie oculare.
Nel dettaglio, la campagna ha coinvolto l'oculista presso i centri Fand con l'obiettivo di sensibilizzare i pazienti sull'importanza della salute oculare e del rischio di sviluppare la malattia dell'occhio secco a causa del diabete. Sono stati coinvolti 46 pazienti nel corso di tre giornate a Milano, Roma e Bari. La maggior parte aveva diabete di tipo 1 e 2 e presentava sintomi di occhio secco. Inoltre, è emersa una scarsa conoscenza di questa patologia, nonostante le visite oculistiche periodiche. La campagna sottolinea quindi l'importanza di valutare in modo completo i pazienti diabetici, considerando la possibilità di patologie secondarie che possono influenzare la loro qualità di vita come ad esempio la salute oculare. "Parlando della salute degli occhi in senso più generale, la prevenzione per i pazienti diabetici è fondamentale - afferma Emilio Augusto Benini, presidente Fand - Purtroppo, nonostante sia accertato l'impatto che il diabete possa avere sulla vista, ad oggi c'è ancora poca consapevolezza nei pazienti. Solo il 30-40% dei diabetici si reca in uno dei 600 centri specializzati di diabetologia presenti sul nostro territorio nazionale, comportando che una quota importante di persone non sia seguita in modo specialistico. Si creano così dei vuoti informativi che, se opportunamente gestiti, potrebbero fare la differenza, come questa campagna ha messo in evidenza".
Un approccio multidisciplinare è fondamentale nella gestione dei pazienti affetti da diabete, prosegue la nota. L'oculista gioca un ruolo essenziale non solo nel trattare le patologie oculari associate al diabete, come l'occhio secco, ma anche nel monitoraggio e nella gestione efficace di tali condizioni. Tale strategia integrata migliora la qualità dell'assistenza e aiuta a prevenire complicanze più gravi, garantendo che ogni aspetto della salute del paziente venga trattato in maniera adeguata
"Il discomfort oculare aumenta con l'aumentare dello scompenso glicemico e del numero di anni di malattia - sottolinea Antonio Di Zazzo, professore associato di Malattie dell'apparato visivo presso la Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma - E' importante non sottovalutare il discomfort oculare nei pazienti con diabete, poiché potrebbe rappresentare un indicatore di un danno neuropatico più significativo. Una volta rilevata la presenza dell'occhio secco, è fondamentale intervenire con colliri specifici a base di acido ialuronico o Hp-guar (idrossipropilguar) o di carbossimetilcellulosa per ripristinare la struttura del film lacrimale, oltre a monitorare costantemente e gestire efficacemente lo scompenso glicemico".
La campagna 'Se hai il diabete apri gli occhi sulla secchezza oculare' ha risposto a un bisogno di informazione, come dimostrato dal forte gradimento della popolazione, confermando che sostenere iniziative di sensibilizzazione è la strada giusta. E' essenziale per i pazienti diabetici tenere sotto controllo la vista per intercettare per tempo eventuali segnali e intervenire tempestivamente, garantendo così una migliore gestione della patologia e una migliore qualità della vita.