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Pillon offeso da uno spot in cui due giovani si baciano: vuole segnalarlo ma segnalano lui

“Perché? Perché nessuno pensa ai bambini?” La celebre battuta della preoccupatissima moglie del reverendo Lovejoy in una puntata del cartoon I Simpson viene subito alla mente di fronte alle proteste dell’ex senatore della Lega Simone Pillon per uno spot del portale immobiliare Idealista mandato in onda dalla Rai durante gli europei. E in occasione del mese del Pride, giugno.

Protagonisti del video, un gruppo di amici e tifosi colti nei festeggiamenti per un gol dell’Italia. Tra loro ci sono due ragazzi che presi dalla gioia si baciano. Nulla di spinto: un bacio sulle labbra, anche se indubbiamente appassionato. In ogni caso troppo per Pillon, lui sì che pensa ai bambini, che pertanto ha annunciato di voler segnalare lo spot a chi di competenza: “Non riprodurrò il disgustoso spot di un’immobiliare che per il Pride spara in prima serata le pomiciate gay. A quell’ora però davanti alla tv ci sono i bambini, che hanno il diritto di crescere senza frociaggine Lgbtq. Ecco perché segnalerò il post alle autorità preposte”, ha scritto su X.

Chi la fa l’aspetti: Pillon segnalato e post eliminato

Ma qualcuno ha fatto prima di lui e ad essere segnalato è stato proprio il suo post. Segnalazione accolta dalla piattaforma social, che ha oscurato il contenuto “con particolare riferimento alle seguenti basi giuridiche: illegal or harmful Speech”, come spiega la stessa X. Ovvero in quanto illegale o offensivo.

Ovviamente Pillon ha polemizzato con questa decisione, e sempre su X ha scritto: “Pensavo che Elon Musk (proprietario del social, ndr) avesse cacciato i censori LGBT da X e invece uno dei miei post è stato censurato. Mi stavo lamentando perché mostrano le pomiciate gay in prima serata sulla TV italiana. Non si tratta di incitamento all’odio, ma di libertà. Ehi Elon! Difendi la nostra libertà!

Una libertà un po’ strana, visto che lui ha facoltà di rivolgersi alle autorità preposte mentre gli altri non lo sono di essere offesi da certi termini usati, con consapevolezza e intenzionalità, oltre che con un evidente richiamo alle recenti esternazioni (involontariamente pubbliche) del Papa.

Un fotogramma dello spot Idealista per il Pride 2024

Anche la tutela dell’infanzia su cui si concentra Pillon sembra un po’ parziale: secondo lui bambini hanno diritto di crescere senza incappare in tv in baci tra due maschi o due femmine, ma, guardando la programmazione, non sembrano avere il diritto di essere al riparo dalle scene di violenza e sesso – etero – che vanno in onda di continuo. E sulle quali il fondatore del Family Day non si è espresso con tanta solerzia.

Insomma ci sarebbe da discutere molto sui concetti esternati dall’ex senatore, ma quello che è sicuro è che il tono usato è dividente ed escludente.

Rincarato dal commento a un post di Luciana Littizzetto che si occupava della rimozione del post:

“La Littizzetto è tutta felice perché X ha censurato il mio post in cui chiedevo la rimozione della pubblicità con pomiciata LGBT in prima serata. Cara Lucianina, il punto è proprio questo. 10 anni fa sarebbe stato impensabile sparare in TV in prima serata una pomiciata gay, visibile a bambini e ragazzini. Oggi la mandano a reti unificate, e censurano chi chiede di rimuoverla. Qualche domanda: Non possono pomiciare a casa loro o almeno in seconda serata, quando i bambini più piccoli sono a nanna? Quale sarebbe la minoranza discriminata? Non ha forse ragione Vannacci quando parla di mondo al contrario? Nella dittatura LGBT a essere discriminate sono le famiglie”.

Eppure, mentre Pillon attacca, lo spot di Idealista si proponeva tutt’altro. Col claim ‘L’amore gioca in casa’, nasce infatti con l’idea di essere inclusivo, come spiega il brand creativo Gibbo&Lori che ha lavorato alla campagna: il tema principale della clip è “l’accettazione tra amici, ma il linguaggio non è di denuncia, al contrario è emozionale e inclusivo. Siamo fiduciosi che questa storia possa essere di ispirazione per i giovani”.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Il movimento ‘No Bra’, perché sempre più donne non...

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Negli ultimi anni, il movimento “No Bra” ha guadagnato sempre più popolarità e attenzione mediatica. Ma cosa significa esattamente e perché è diventato un fenomeno così rilevante nel contesto moderno di uguaglianza sociale?

Basta con il reggiseno, il movimento “No Bra”

Il termine “No Bra” (termine internazionalmente utilizzato per indicare il reggiseno) si riferisce alla scelta di non indossare il reggiseno, un capo di abbigliamento che, per decenni, è stato considerato un elemento essenziale della moda femminile. Questa tendenza, tuttavia, va ben oltre una semplice scelta di stile. È un movimento che sfida le norme sociali e culturali legate all’abbigliamento femminile e promuove l’accettazione del corpo naturale delle donne.

Le origini del movimento

Il movimento “No Bra” ha le proprie radici nei movimenti femministi degli anni ‘60 e ‘70, quando le donne cominciarono a ribellarsi contro i rigidi standard di bellezza e le aspettative della società. Un momento iconico fu la protesta del 1968 a Miss America, dove alcune femministe gettarono simbolicamente reggiseni, corsetti e altri “strumenti di tortura femminile” in un “bidone della libertà”.

Negli ultimi anni, il movimento ha ripreso vigore grazie ai social media e alla crescente attenzione verso le questioni di uguaglianza di genere. Molte donne, tra cui influencer e celebrità, hanno abbracciato e promosso il “No Bra” come una forma di espressione personale e di protesta contro le norme di genere restrittive.

Le influencer e le celebrità che promuovono il “No Bra”

Numerose influencer e celebrità hanno giocato un ruolo cruciale nel promuovere il movimento “No Bra”. Tra queste ci sono:

Kendall Jenner: la modella ha spesso sfidato le convenzioni, apparendo in pubblico senza reggiseno e parlando apertamente del suo sostegno al movimento. “È una scelta di comfort e libertà,” ha dichiarato in un’intervista;
Kim Kardashian: la nota modella e influencer, sorella di Kendall, anche lei spesso senza reggiseno;
Miley Cyrus: con il suo approccio audace alla moda e alla vita, la cantante è una delle più note sostenitrici del “No Bra”. Una scelta che Miley Cyrus ha sintetizzato in maniera chiara: “Il mio corpo, le mie regole. Non voglio conformarmi a ciò che la società pensa che dovrei essere”;
Bella Hadid: la modella ha utilizzato la sua piattaforma per normalizzare l’assenza del reggiseno, sottolineando l’importanza di sentirsi a proprio agio nel proprio corpo;
Gillian Anderson: attrice conosciuta per ruoli in serie come The X-Files e Sex Education. Nel 2022 ha dichiarato in una diretta Instagram: “Non me ne frega niente se le mie tette arrivano all’ombelico, non indosso più il reggiseno perché è troppo scomodo”;
Jennifer Aniston: nel 2020 l’attrice è apparsa senza reggiseno sul red carpet dei SAG Awards in un abito vintage Dior. Ci sono voci sul fatto che anche il suo personaggio in Friends non indossasse mai il reggiseno;
Rihanna: la cantante e imprenditrice americana è tra le più note promotrici del movimento “No Bra”;

Queste sono solo alcune delle tante celebrità che con la loro notorietà cercano di diffondere un’idea diversa e libera del corpo femminile, rifiutando di indossare il reggiseno per comodità o come affermazione di libertà e accettazione del proprio corpo. Il fenomeno è diventato sempre più popolare negli ultimi anni.

Quando nasce il reggiseno

Il reggiseno come lo conosciamo oggi è una invenzione piuttosto recente. Prima della sua introduzione, le donne utilizzavano busti e corsetti per modellare il proprio corpo secondo gli standard dell’epoca. Il primo brevetto per un reggiseno moderno fu registrato da Mary Phelps Jacob nel 1914. Da allora, il reggiseno è diventato un capo d’abbigliamento standard per le donne, spesso associato a un senso di decoro e modestia.

Tuttavia, l’uso del reggiseno non è stato sempre la norma. In molte culture e per molti secoli, le donne hanno vissuto senza alcun tipo di supporto artificiale. Il ritorno al “No Bra” può quindi essere visto anche come un ritorno a un’epoca in cui i corpi delle donne non erano così rigidamente controllati e regolamentati.

Non solo una tendenza: una richiesta di parità

Il movimento “No Bra” non è solo una moda passeggera; rappresenta una richiesta di parità e di rispetto per le scelte individuali delle donne. La pressione sociale che impone alle donne di indossare il reggiseno è vista come un simbolo di oppressione e controllo sui corpi femminili. Scegliere di non indossare il reggiseno diventa quindi un atto di ribellione contro queste pressioni.

L’attrice Emma Watson ha dichiarato: “La libertà di scelta è fondamentale. Nessuno dovrebbe sentirsi costretto a indossare qualcosa per conformarsi agli standard degli altri.”

Il reggiseno è spesso visto come uno strumento per coprire i capezzoli femminili e quindi nascondere la sessualità delle donne in una cultura che tende ad attribuire la pulsione sessuale principalmente agli uomini.

Il reggiseno oggettizza la donna

Iris Marion Young, autrice femminista, ha scritto nel 2005 che il reggiseno “serve da barriera al tocco” e che una donna senza reggiseno è “deoggettalizzata”, eliminando quello che definisce l’aspetto “duro e appuntito che la cultura fallica pone come norma”. Senza reggiseno, i seni delle donne non sono oggetti dalla forma costante ma cambiano mentre la donna si muove, riflettendo il corpo naturale.

Come ha sottolineato Young, il reggiseno viene usato anche per indottrinare le ragazze a pensare ai loro seni come oggetti sessuali.

Negli anni ’70, alcune femministe bruciarono reggiseni in segno di protesta contro la sessualizzazione del corpo femminile, con uno slogan che recitava: “Bruciate i corsetti!… No, non conservate nemmeno le stecche di balena, non ne avrete più bisogno. Fate un falò degli acciai crudeli che hanno dominato il vostro torace e addome per tanti anni e tirate un sospiro di sollievo, perché vi assicuro che da questo momento la vostra emancipazione è iniziata”.

In effetti, oggi sempre più donne, soprattutto tra la generazione dei Millennial e Gen Z, scelgono di non indossare il reggiseno, basando le proprie scelte più su ciò che vogliono loro e non sulle norme sociali che vorrebbero nascondere, controllare e mortificare la sessualità femminile.

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Molestie sul lavoro, una questione non solo femminile

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Le molestie sul lavoro e al di fuori di esso rappresentano un fenomeno allarmante e diffuso in Italia, come evidenziato dal recente report dell’Istat per il biennio 2022-2023. I dati sono inequivocabili: il 13,5% delle donne italiane tra i 15 e i 70 anni ha dichiarato di aver subito molestie sessuali sul posto di lavoro durante la propria vita.

La situazione è particolarmente preoccupante tra le giovani donne, con una percentuale che raggiunge il 21,2% tra coloro che hanno tra i 15 e i 24 anni. Tuttavia, anche gli uomini non sono esenti da questo problema, con il 2,4% di loro che ha segnalato esperienze di molestie sul lavoro. Le forme di molestie variano da sguardi offensivi e offese verbali a proposte indecenti e, in casi più gravi, a molestie fisiche.

LEGGI L’ARTICOLO COMPLETO QUI: Le molestie sul lavoro non sono solo un problema femminile

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Quanto costa crescere i figli? Una questione di calcoli

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Hai presente quei momenti in cui trovi il frigo vuoto, le scarpe fuori posto e il portafoglio un po’ più leggero? Benvenuto nella realtà di cinque italiani su dieci, che convivono con i propri figli, molti dei quali maggiorenni e totalmente a carico. Un’avventura quotidiana fatta di spese impreviste e rinunce, come ci racconta il report FragilItalia ‘Il costo dei figli’, elaborato da Area Studi Legacoop e Ipsos.

Figli maggiorenni, tra condivisione e indipendenza economica

I figli maggiorenni sono una componente vitale delle famiglie italiane, influenzando non solo la quotidianità ma anche le decisioni economiche a lungo termine. Secondo il report FragilItalia, il 47% di questi giovani adulti continua a vivere sotto lo stesso tetto dei genitori senza contribuire economicamente, mettendo in luce una realtà diffusa che riflette le sfide che molti giovani italiani devono affrontare per raggiungere l’indipendenza economica.

Il fenomeno presenta diverse sfaccettature interessanti: molti giovani, pur avendo un lavoro, preferiscono rimanere a casa per risparmiare sui costi elevati dell’affitto e delle spese di mantenimento, evidenziando le difficoltà nel trovare soluzioni abitative accessibili e il desiderio di molti genitori di garantire un ambiente sicuro e confortevole per i propri figli.

D’altro canto, il 29% dei figli maggiorenni è attivamente impiegato e contribuisce alle spese familiari, rappresentando un esempio di partecipazione economica attiva all’interno della famiglia. Questa situazione non solo allevia il carico finanziario sui genitori, ma promuove anche un senso di responsabilità e reciprocità tra i membri della famiglia, rafforzando i legami familiari e generazionali.

La persistenza di un così alto numero di figli maggiorenni a carico dei genitori solleva anche domande più ampie riguardo alle politiche abitative, all’accesso al lavoro e all’istruzione superiore in Italia, con un impatto che si estende ben oltre le singole famiglie, influenzando le politiche pubbliche e la struttura economica e sociale del paese nel suo complesso.

Spese familiari: quanto pesano i figli?

Le spese per i figli rappresentano una sorta di avventura economica per molte famiglie italiane, un mix di sorprese e costi che possono far vacillare persino il bilancio più preparato. Secondo FragilItalia, i figli assorbono in media il 34% della spesa mensile familiare. Questo dato non fa solo riflettere, ma può anche far venire voglia di fare una rapida revisione del proprio budget.

Cosa include questa “avventura” economica? Principalmente, c’è l’abbigliamento, che rappresenta una vera e propria sfida per il 63% delle famiglie. Tra abiti, scarpe, borse e accessori, la moda dei figli può tranquillamente stravolgere qualsiasi budget mensile. Poi ci sono i libri scolastici, che rappresentano il 51% delle spese a loro dedicate.

Ma non finisce qui! L’attività sportiva è un’altra voce importante, incidendo sul 48% della spesa totale. Quindi, se il tuo bambino o la tua bambina è un futuro campione olimpico, preparati a investire in palestre, attrezzature e competizioni. E poi ci sono i pasti fuori casa, un piacere che per il 46% delle famiglie italiane è un lusso da concedersi ogni tanto, ma che può facilmente diventare una voce costante del bilancio familiare.

Ma nonostante queste spese apparentemente esorbitanti, c’è sempre spazio per qualche sorriso. Ad esempio, il 17% delle famiglie riesce a gestire le spese per i figli con un budget che rappresenta solo il 10-20% del totale mensile. Sembra quasi un miracolo, vero? Eppure, questo ci ricorda che nonostante le sfide economiche, c’è sempre una soluzione se si pianifica con attenzione e si guarda con un po’ di creatività al modo di gestire le finanze familiari.

Facciamo due conti

Calcolare la spesa mensile media familiare destinata ai figli è cruciale per comprendere l’impatto finanziario che i figli hanno sul bilancio domestico. Secondo il report “Il costo dei figli”, la spesa destinata ai figli rappresenta in media il 34% della spesa media mensile familiare, la quale ipotizziamo essere di 2000 euro. Di conseguenza, la spesa mensile media per i figli ammonta a 680 euro.

Le famiglie italiane mostrano una varietà di distribuzioni nella spesa per i figli:

Famiglie che destinano tra il 21% e il 40% della spesa ai figli (51% delle famiglie):

Media: (21% + 40%) / 2 = 30.5%
Spesa media per figli: 30.5% di 2000 euro = 610 euro
Numero di famiglie: 51% di 2000 euro = 1020 euro

Famiglie che destinano tra il 40% e il 70% della spesa ai figli (32% delle famiglie):

Media: (40% + 70%) / 2 = 55%
Spesa media per figli: 55% di 2000 euro = 1100 euro
Numero di famiglie: 32% di 2000 euro = 640 euro

Famiglie che destinano tra il 10% e il 20% della spesa ai figli (17% delle famiglie):

Media: (10% + 20%) / 2 = 15%
Spesa media per figli: 15% di 2000 euro = 300 euro
Numero di famiglie: 17% di 2000 euro = 340 euro

Oltre alla percentuale della spesa, è importante considerare le voci di spesa che incidono maggiormente sul bilancio familiare. Le priorità di spesa delle famiglie italiane per i figli includono l’abbigliamento (63%), i testi e libri scolastici (51%), scarpe, borse e accessori e attività sportiva (48%), e i pasti fuori casa (46%). Inoltre, quattro su dieci famiglie (41%) affrontano anche spese per rette scolastiche, universitarie e asilo, aumentando ulteriormente il peso finanziario.

I sacrifici dei genitori e le rinunce dei figli

Le famiglie sono costrette a fare rinunce significative per sostenere queste spese, con il 66% dei genitori che rinuncia ad acquistare per sé stessi. Questo non è un gesto sporadico, ma una pratica regolare per molti, con il 31% che rinuncia spesso e il 34% occasionalmente.

Ma le rinunce non finiscono qui! Il 60% dei genitori ha dovuto dire addio alle cene al ristorante, mentre il 58% ha rimandato l’acquisto di un’auto nuova. E le vacanze? Sono diventate un lusso che il 60% delle famiglie ha dovuto limitare, con il 25% che ha addirittura accorciato i periodi di relax per far quadrare il bilancio.

Ma non è solo una via a senso unico. Anche i figli, consapevoli delle sfide economiche che la famiglia affronta, sono disposti a fare la loro parte. Il 37% di loro ha rinunciato a nuovi vestiti e scarpe di moda, dimostrando una maturità sorprendente. E cosa dire delle uscite con gli amici? Il 30% dei giovani ha dovuto ridimensionare la socialità per risparmiare, un gesto di responsabilità che parla del loro impegno nel sostenere la famiglia in tempi difficili.

Le spese familiari per i figli vanno ben oltre i numeri: sono un intricato mix di sacrifici, pianificazione e un continuo bilanciamento tra necessità e desideri, sia per genitori che per figli. Questa avventura economica è un percorso fatto di sfide e scelte oculate che influenzano non solo il presente ma anche il futuro delle famiglie italiane. È un viaggio che richiede creatività, responsabilità e un impegno costante nella gestione delle risorse, mantenendo sempre al centro il benessere e lo sviluppo dei giovani.

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