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Politica
Ue, venti giorni per ‘blindare’ von der Leyen:...
Ue, venti giorni per ‘blindare’ von der Leyen: astensione Meloni la aiuta
La presidente della Commissione, per essere rieletta, ha bisogno di almeno 361 voti
![Giorgia Meloni e Von der Leyen (Afp)](https://www.adnkronos.com/resources/028e-1b3e40479167-8ee224d1a06b-1000/format/big/giorgiameloni_vonderleyen_ipa_fg.jpeg)
Il 18 luglio a Strasburgo la legislatura 2024-29 potrà iniziare davvero. Quel giorno, come ha confermato la presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola a margine del Consiglio Europeo a Bruxelles, gli eurodeputati con ogni probabilità voteranno, a scrutinio segreto, sull’elezione della presidente della Commissione indicata dai leader, Ursula von der Leyen. L’astensione di Giorgia Meloni sulla candidata, e il suo voto contrario ad Antonio Costa, primo presidente del Consiglio Europeo del Sud Europa dopo due belgi e un polacco, e all’Alta Rappresentante Kaja Kallas, non appare affatto, visto da Bruxelles, come uno strappo impossibile da ricucire.
L’astensione su von der Leyen lascia aperta la via per una ricomposizione in Parlamento. Von der Leyen, per essere eletta, ha bisogno di almeno 361 voti: sulla carta Ppe, S&D e Renew ne hanno 399, ma i franchi tiratori potrebbero essere una sessantina, quindi, la base deve essere allargata, probabilmente sia a destra che a sinistra. Il premier olandese Mark Rutte, liberale, veterano del Consiglio Europeo e prossimo segretario generale della Nato, ha invitato a non drammatizzare troppo, dopo i voti di Meloni e Viktor Orban: "Penso che le cose si sistemeranno - ha detto - Meloni era chiaramente irritata dal fatto di non essere stata coinvolta, cosa che non è stata possibile perché non fa parte dei tre partiti centrali. Ma è la prima ministra dell’Italia ed è altamente rispettata".
Meloni, ha aggiunto Rutte, "ha le sue idee su come questo processo avrebbe dovuto essere condotto e le ha espresse con chiarezza totale. Ma gli stretti legami personali che abbiamo rimangono". Del resto, ha ricordato, "l’ultima volta, nel 2019, non abbiamo concordato all’unanimità sui top jobs", dato che Angela Merkel dovette astenersi su von der Leyen. E' un po’ diverso questa volta, ma "non è strano: succede", ha notato Rutte. Nel 2014 David Cameron e Viktor Orban votarono contro Jean-Claude Juncker, ma "nel 2019 il Regno Unito non c’era più, eppure non abbiamo votato all’unanimità" sul primo mandato di Ursula von der Leyen.
Non è solo Rutte a vedere laicamente l'astensione di Meloni. Anche se "non è chiaro esattamente che cosa vuole" la presidente del Consiglio, nota Janis Emmanoulidis, vice Ceo dello European Policy Centre, think tank con sede a Bruxelles, la sua astensione su von der Leyen, in realtà "è una buona notizia, un buon risultato" per la presidente della Commissione. Perché, "se Meloni avesse votato a favore, avrebbe creato problemi a von der Leyen in Parlamento", alienandole voti a sinistra. Se invece "avesse votato contro, avrebbe inviato un segnale chiaro a Fratelli d’Italia", che conta su ben 24 eurodeputati, "rispetto al quale sarebbe stato difficile fare marcia indietro".
Anche il voto contrario ad Antonio Costa e Kaja Kallas, secondo Emmanoulidis, si può comprendere, poiché "se von der Leyen dovesse fallire" e cadere nel voto al Parlamento Europeo, Meloni "potrebbe dire che lei era contraria a Kallas e Costa e che, quindi", caduta von der Leyen, "si dovrebbe riaprire l’intero pacchetto" delle cariche apicali. Per Fabian Zuleeg, Chief Executive dell’Epc, Meloni ha giocato una partita essenzialmente a fini interni. Per la premier e leader di FdI, "era molto importante dimostrare che difende l’Italia. Ma alla fine - sottolinea - non ha impedito" che le nomine passassero. Il fatto è, nota, che nell’Ue "c’è ancora una maggioranza centrista", composta da partiti che "non hanno remore a mostrare i muscoli". Tuttavia, osserva, "non sappiamo che cosa accade dietro le quinte, e sicuramente qualcosa sta succedendo".
Si tratterà soprattutto, dice Zuleeg, di vedere "quale portafoglio" avrà il commissario italiano e di "quanti soldi", cioè di che bilancio, potrà disporre. Ieri il ministro degli Esteri e vicepresidente del Ppe, Antonio Tajani, ha ripetuto che l’Italia mira ad avere un vicepresidente della Commissione, con un portafoglio di peso, possibilmente economico. In ogni caso, per Zuleeg la "narrativa" secondo la quale l’Ue non ascolta i cittadini è destinata a essere ripetuta sempre di più nei prossimi mesi, specie se ci sarà una seconda presidenza di Donald Trump negli Usa. L’accordo trovato sulle nomine lascia aperta la questione dei rinnovi di metà mandato del presidente del Consiglio Europeo e della presidente del Parlamento.
"Alla fine dei due anni e mezzo - ha spiegato il premier portoghese Luis Montenegro (Psd, gruppo Ppe) - ci sarà la ricandidatura" di Costa, "oppure un’altra personalità". Bisognerà vedere quale sarà la composizione del Consiglio Europeo tra due anni e mezzo: potrebbe essere molto diversa dall’attuale. Mentre il Parlamento Europeo è eletto e rimane fisso per cinque anni, il Consiglio Europeo, e soprattutto il Consiglio Ue, colegislatore dell'Unione, varia nel tempo, seguendo i cicli elettorali nazionali. Il Ppe, nota Emmanoulidis, ha "buone probabilità" di riprendersi "due grandi Paesi, la Germania e la Spagna".
Tajani ha chiarito che, se Costa avrà un secondo mandato, allora anche la maltese Roberta Metsola avrà diritto al terzo mandato alla guida del Parlamento, perché "è il Ppe che ha vinto le elezioni". Per il premier portoghese, comunque, l’accordo sulle nomine ha avuto nel Consiglio Europeo una maggioranza "schiacciante" e, pur "conoscendo la diversità di opinioni" tra le forze politiche, "ci sono tutte le condizioni per essere fiduciosi" in vista del voto in Parlamento. Per il premier del Psd "ci sono le condizioni per allargare" il consenso sulle cariche apicali, e in particolare su Ursula von der Leyen, "nelle prossime settimane".
Anche per Montenegro, i voti di Meloni (astenuta su von der Leyen, contraria a Kallas e Costa) e Viktor Orban (contro von der Leyen, astenuto su Kallas, a favore di Costa) non sono un dramma: "Trovare punti di contatto tra 27 Stati membri - osserva - è un compito enormemente difficile. E’ complicato mettere d’accordo i leader di 27 Paesi ed è ancora più difficile quando appartengono a famiglie politiche diverse". Non è strano, dunque, che ci siano stati voti difformi, ma "il compromesso, tra Stati e famiglie politiche, è largamente maggioritario" e "tale da poter attrarre altre famiglie politiche" nelle prossime settimane.
Montenegro pensa "per esempio" ai Verdi, che si sono già detti disponibili a votare von der Leyen, anche se un allargamento formale della maggioranza a loro creerebbe seri problemi interni al Ppe (la delegazione italiana, ha chiarito ancora ieri Tajani, è decisamente contraria). Oltre alle cariche apicali, il Consiglio Europeo ieri notte ha approvato 21 pagine di conclusioni, in materia di Ucraina, Medio Oriente, sicurezza e difesa, competitività, migrazioni, Mar Nero, Moldova, Georgia, minacce ibride, riforme interne, più l’agenda strategica per il 2024-29, che si estende per ben nove pagine.
In tutto il testo delle conclusioni, spicca l’assenza di riferimenti a come finanziare i tanti obiettivi comuni che l’Ue si prefigge, ad esempio nel campo della sicurezza e della difesa. Anche laddove queste esigenze facevano capolino, come al punto 26, il riferimento è stato opportunamente sfumato: il Consiglio Europeo, si legge, invita la Commissione a presentare "opzioni" per "il finanziamento pubblico e privato per rafforzare la base tecnologica e industriale e ad affrontare le deficienze di capacità". Invece di "affrontare", la bozza chiedeva di "colmare" le carenze di capacità, formulazione giudicata un po’ troppo esplicita.
Il motivo è sempre lo stesso e lo ha chiarito il prossimo segretario generale della Nato e leader uscente dei Frugali, Mark Rutte: gli Stati membri dell’Ue "devono guardare collettivamente a quello che si può fare" per rafforzare la difesa europea, ma "ci sono molte opzioni". Gli Eurobond, ha sottolineato Rutte, sarebbero "un passo enorme, un momento hamiltoniano. La Germania e alcuni altri Paesi non sono a favore". Per Zuleeg, tuttavia, "se due anni fa avessimo detto alle nostre industrie militari ‘compreremo le vostre munizioni, e poi troveremo il modo’" di pagarle, "certo sarebbe stato complicato e costoso", ma, "se lo avessimo fatto, non ci troveremmo in una situazione nella quale l’Ucraina non ha abbastanza proiettili e munizioni" per difendersi dall’invasore russo.
La stessa agenda strategica, come nota Emmanoulidis, non è affatto "strategica", dato che è stata fatta la "scelta consapevole" di "tenere tutti a bordo". Il risultato è che, "con l’ambizione dell’unità, si mina l’ambizione". Leggendo le nove pagine dell’agenda, si resta colpiti dall’abbondanza di obiettivi, anche assai ambiziosi: per esempio, si assicura che "costruiremo le nostre capacità in settori chiave e tecnologie chiave per il futuro, come difesa, spazio, intelligenza artificiale, tecnologie quantiche, semiconduttori, 5G e 6G, salute, biotecnologie, tecnologie per emissioni zero, mobilità, farmaceutica, chimica e materiali avanzati".
Tutti, o quasi, settori in cui l’Ue ha accumulato notevoli ritardi rispetto a Usa e Cina, per recuperare i quali occorrerebbero investimenti massicci. Ma questo aspetto cruciale nell’agenda strategica non viene menzionato: la stessa von der Leyen, l’anno scorso, ha dovuto rapidamente seppellire la sua idea di istituire un fondo sovrano Ue, per la decisa contrarietà di Germania e nordici. Si attende il rapporto di Mario Draghi, che più volte ha ‘fustigato’ i dirigenti europei su questo punto chiave ("please, do something", disse ai presidenti di commissione del Parlamento, nella primavera scorsa). Ma Zuleeg dubita che i rapporti possano smuovere le capitali: "Sono sicuro che conterrà molte cose giuste - dice - ma sono molto scettico sul fatto che vedremo una qualsiasi azione concreta. Perché qualsiasi azione concreta - conclude - comporta costi politici".
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Ustica, Quirinale: “Sul web ignobili e vergognose...
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"Sul segreto di Stato nessuna competenza del presidente della Repubblica"
![Sergio Mattarella](https://www.adnkronos.com/resources/028e-1b3f34b1bfb2-6b80f7db189a-1000/format/big/mattarella_afp.png)
"La notizia è palesemente falsa. Il Presidente della Repubblica non ha alcuna competenza sul segreto di Stato. Il Presidente Mattarella non ha mai pronunciato le parole che gli vengono attribuite". Lo sottolinea l’Ufficio stampa del Quirinale in riferimento ai post pubblicati sui social riguardanti una presunta apposizione del segreto di Stato sulle vicende di Ustica da parte del Presidente della Repubblica.
“È ignobile e vergognoso -prosegue la nota- far circolare sul web tali menzogne. Il contenuto del post e dei relativi commenti sono stati segnalati alle autorità competenti per accertare se sussistano estremi di reato”.
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Camera delle deputate e dei deputati, nuovo nome per...
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La proposta di legge costituzionale per cambiare la denominazione dell'Assemblea, a presentarla gli esponenti del Pd Gian Antonio Girelli e Sara Ferrari.
![Camera delle deputate e dei deputati, nuovo nome per Montecitorio](https://www.adnkronos.com/resources/028e-1b413e05d544-84d10cc257f1-1000/format/big/clipboard.png)
Non solo premierato e separazione delle carriere. I progetti di modifica della Costituzione si arricchiscono di un'altra proposta, quella presentata da Gian Antonio Girelli e Sara Ferrari del Pd, che chiedono di intervenire sull'articolo 55 della Carta per cambiare la denominazione della Camera dei deputati in Camera delle deputate e dei deputati. A corollario di questa ipotesi la necessità di correzioni anche agli articoli 56, 65 e 126 per affiancare la dicitura deputate a quella attualmente presente di deputati.
Obiettivo della proposta, spiegano gli autori, "promuovere già attraverso il nome di tale ramo del Parlamento, una concreta parità di genere. Non si tratta però di una proposta meramente nominalistica, bensì di un intervento che vuole prendere atto dei cambiamenti che la società ha conosciuto nel corso del tempo. La nostra Istituzione, infatti, deve non solo rispecchiare, ma addirittura guidare le evoluzioni sociali e culturali in atto. Cambia la realtà, cambia la cultura, cambia la lingua che serve a descrivere il mondo nel quale viviamo".
"La Camera dei deputati necessita essa stessa di essere 'smaschilizzata' -insistono i due deputati Dem- sottolineando già nella sua denominazione l’importanza dell’opera quotidiana svolta dalle donne e del loro diritto a essere riconosciute. Attraverso questo intervento, di portata tutt’altro che meramente nominalistica, il Parlamento italiano potrebbe, dunque, farsi pioniere di un vero e proprio cambiamento di paradigma".
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Biden, Follini: “Rinuncia sarebbe prova di...
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Il punto di vista di Marco Follini per Adnkronos
![Marco Follini - Fotogramma](https://www.adnkronos.com/resources/028d-1afab903f5a0-b2c89b8fbc00-1000/format/big/follini_conbanner_fg_ipa_20231202173324.jpeg)
"Cosa muove (e cosa nobilita) la politica, il carattere o la visione? Chiediamo ai leader che si provano a governarla di essere forti, tenaci, combattivi? Oppure chiediamo loro di gettare lo sguardo oltre le vicissitudini personali, oltre la loro biografie, oltre la loro stessa resilienza dinanzi alle difficoltà in cui prima o poi vengono a trovarsi? Tutte queste domande hanno ovviamente a che vedere con il duello televisivo dell’altra notte tra Biden e Trump, due attempati signori che sembrano affrontare la sfida che li oppone in vista della Casa Bianca quasi solo nella chiave della loro forza, del loro carisma, della loro popolarità -o di quel che ne resta. Finendo per aderire tutti e due a quel codice personalistico che sembra voler ridurre la contesa politica a un duello quasi fisico e alla prestanza personale dei candidati.
L’argomento, ovviamente, riguarda soprattutto Biden. Che ha mostrato tutte le esitazioni gli smarrimenti, la confusione che abbiamo potuto vedere l’altra notte, mettendo in grande allarme il suo stesso partito e inducendo tutto il mondo a chiedersi se egli a questo punto non sia davvero 'unfit', inadatto cioè a governare il mondo libero una volta chiarito che non appare più in grado di governare neppure se stesso.
Si vedrà fin nelle prossime ore da che parte penderà la bilancia. Se prevarrà nell’inner circle della Casa Bianca la tenacia nel portare a termine la candidatura, o se alla fine si farà largo la preoccupazione di non lasciare a Trump il vantaggio di potersi misurare con un antagonista in piena decadenza fisica. E cioè, se avrà la meglio il partito del 'carattere' o quello della 'visione'.
Nel frattempo, chi opera nella sfera politica e chi ne è anche solo incuriosito farebbe bene a misurare la portata degli anni che passano, del mondo che cambia, dei nuovi argomenti e delle nuove figure che si stagliano all’orizzonte. Già, perché l’istinto di tutti noi è quello di immaginare che, sotto sotto, il mondo sia sempre quello. E dunque che il potere sia pressoché eterno, e si tratti solo di conservarlo il più a lungo possibile. Mentre poi la storia ci insegna -a volte in modi addirittura impietosi- che il destino della forza politica è quasi sempre quello di indebolirsi, declinando mano a mano che passano gli anni e cambiano gli scenari.
'Il sole del potere è splendido, ma tramonta a mezzogiorno nel disprezzo generale', ammoniva Shakespeare facendolo dire a un immaginario Tommaso Moro avviato al patibolo nell’Inghilterra medievale. Come a volerci ricordare che ogni avventura politica, anche la più gloriosa e meritoria, conosce infine un punto di caduta oltre il quale diventa poco conveniente, e perfino poco dignitoso, cercare di spingersi.
Eppure, contro questa saggezza letteraria e politica, militano un’infinità di storie che si sono andare concludendo sotto il segno di una scelta fin troppo testarda. Perché il leader non sa mai davvero quando cambia il vento. E se la sua consuetudine con il potere diventa una confortevole abitudine, egli è inevitabilmente indotto a pensare che il declino appartenga sempre a un tempo ancora lontano.
Così, è probabile che Biden cercherà di resistere. Contando che quella metà di elettori che considerano Trump come un diavolo (con qualche buona ragione) si rassegnino a votare per il suo antagonista, ancorché malamente invecchiato. Calcolo improbabile, stando ai sondaggi. Eppure forse non del tutto campato per aria.
E’ probabile anche che Biden consideri un suo dovere, inesorabile e quasi tassativo, dar prova di tutta la tenacia e la resilienza di cui la sua attitudine al mestiere (chiamiamolo così) lo rende capace. La sua famiglia, il suo staff, a quanto pare lo starebbero spingendo in questa direzione. Ma soprattutto, quella sua lunga, lunghissima esperienza di palazzo, durata più di mezzo secolo, sembra a sua volta guidarlo come per istinto verso l’ennesima conferma di sé. Privandolo così della possibilità di compiere quel gesto di rinuncia che sarebbe, questa sì, una prova di straordinario talento politico". (di Marco Follini)