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Sanità: Schillaci su Fascicolo elettronico, ‘è super...

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Sanità: Schillaci su Fascicolo elettronico, ‘è super blindato, mai accessibile a fini commerciali’

Sanità: Schillaci su Fascicolo elettronico, 'è super blindato, mai accessibile a fini commerciali'

Sul Fasciolo sanitario elettronico (Fse), "voglio rassicurare i cittadini che questo Governo è molto attento alla sicurezza e alla tutela dei dati personali, soprattutto quando si tratta di settori particolari e sensibili come quelli che riguardano la salute. Nessun dato sarà mai accessibile a società commerciali o a terzi e lo ribadisco anche in questa sede: il Fascicolo sanitario elettronico è super blindato e da una lettura del decreto sul Fse 2.0 si capisce esattamente chi può avere accesso, a quali dati e a che titolo. E non sono certo soggetti terzi". Così il ministro della Salute Orazio Schillaci, nel suo intervento oggi a Roma al Forbes Healthcare Summit.

"Inoltre, lo stesso decreto stabilisce preventivamente il parere del Garante della privacy che assicura il rispetto della normativa in materia. Ed è importante che le Regioni applichino la disciplina del decreto - rimarca il ministro - Le finalità del Fse, lo ripeto, sono quelle di semplificare la vita dei cittadini che potranno accedere da remoto a servizi di base e di migliorare l'appropriatezza delle cure, l'aderenza terapeutica e l'efficienza del nostro servizio sanitario".

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Meno ospedale e attese, servizi più vicini ai cittadini:...

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Intervista ad Alessio Nardini, direttore generale Unità di missione del ministero della Salute: "Si agirà sulla comunità nel suo complesso"

Ospedale - Fotogramma

Come cambierà il Servizio sanitario nazionale dopo gli interventi del Pnrr? Nel 2026, una volta terminata la messa a terra della Missione 6 Salute del Piano di nazionale di ripresa e resilienza, il vecchio Ssn come lo conosciamo avrà un nuovo volto: servizi più vicini al cittadino, meno ricorso all'ospedale e meno liste d'attesa. Ma a che punto siamo? A fare il punto per l'Adnkronos Salute è Alessio Nardini, direttore generale Unità di missione per l'attuazione degli interventi del Pnrr del ministero della Salute. Tra i temi affrontati come cambierà la presa in carico dei cittadini, se ci sarà il personale per le nuove strutture che faranno da filtro all'ospedale, le Case di comunità e gli ospedali di comunità e infine se gli italiani hanno davvero capito come cambierà la sanità pubblica.

A metà 2024, a che punto siamo direttore Nardini? "Abbiamo raggiunto tutti i target per le Centrali operative territoriali (Cot), Case della Comunità (CdC) e Ospedali di comunità (OdC), che avevano scadenza nell’ultimo periodo del 2023. Nella fase attuale è in corso la rilevazione dei dati relativi allo stato di avanzamento fisico, procedurale e finanziario dei singoli interventi, con particolare interesse nei confronti delle progettualità riferite alle Cot. La rimodulazione complessiva del Piano, prevede la realizzazione e la messa in esercizio di almeno 480 Cot entro il 31 dicembre 2024. Al 20 giugno 2024, risultavano avviati i lavori e/o erano in corso di esecuzione le forniture per un totale di 1.104 interventi. Di questi 500 sono riferiti a progettualità relative a Cot, 468 a CdC e 136 a OdC".

"Allo stato attuale sono 16 le CdC e 5 gli OdC per i quali è stato eseguito un collaudo della corretta esecuzione dei lavori e progressivamente si stanno attivando le strutture sul territorio, con la messa in opera delle diverse funzioni di erogazione dell’assistenza, sulla base degli standard delineati dal Dm 77/2022, in vista della scadenza attesa entro giugno del 2026 - prosegue - Per quanto riguarda le Cot, al 20 giugno 2024, ne risultavano collaudate 359 rispetto al target di almeno 480 operative e funzionanti entro dicembre 2024. Dati più aggiornati riferiti all’investimento, rilevano al 30 giugno 2024: l’avvio dei cantieri/delle forniture per 530 interventi (Cup o Codice unico di progetto); la conclusione dei lavori/esecuzione delle forniture per 457 interventi (Cup); il collaudo di 391 interventi (Cup). Abbiamo chiesto alle Regioni - precisa - chiarimenti circa la documentazione da produrre per soddisfare i meccanismi di verifica di cui agli Operational Arrangements, tesi a comprovare il raggiungimento del Target europeo M6C1-7, accompagnate da nota successiva contenente apposite check-list e format documentali necessari a comprovare il conseguimento del suddetto target. E’ in corso - osserva Nardini - di acquisizione la documentazione richiesta, che sarà oggetto di successiva valutazione. Allo stato attuale, quindi, si ritiene che non vi siano criticità ostative al raggiungimento dei target delineati".

Come cambierà la presa in carico dei cittadini? Direttore Nardini può farci un esempio concreto rispetto ai problemi che oggi hanno gli italiani sulle cronicità? "Il Dm 23 maggio 2022, numero 77, recante 'Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale', disegna di fatto un nuovo modello di organizzazione dell’assistenza. Il Regolamento non investirà unicamente il livello territoriale, per il quale delinea nuovi modelli e standard organizzativi oltre a chiarificare e ordinare gli standard per i setting assistenziali già esistenti. La costruzione di un archetipo organizzativo dell’assistenza che pone la persona al centro dell’intero sistema sanitario ne modificherà la presa in carico - risponde - La definizione di modelli organizzativi come le Case di comunità e di professionisti in queste ultime impiegati, quali gli Infermieri di comunità, prevedono di fatto la presa in carico di tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro capacità di percepire e/o esprimere un loro bisogno assistenziale - prosegue - Si prevede, infatti, di agire sulla comunità nel suo complesso, promuovendo una medicina di iniziativa che, grazie ai sopracitati modelli e standard, permetta sul lungo periodo di fornire risposte assistenziali anche ai bisogni sanitari e socio-sanitari inespressi. Ciò è ancora più vero quando si fa riferimento a condizioni di cronicità o multi-cronicità, eventi maggiormente presenti sul nostro territorio nazionale, soprattutto a seguito del progressivo invecchiamento della popolazione, ormai in corso da diversi decenni".

Un esempio concreto per la gestione della cronicità potrebbe essere rappresentato proprio dalle Centrali operative territoriali (Cot). "Questa centrale assolve al suo ruolo di raccordo tra i vari servizi attraverso le specifiche funzioni distinte interdipendenti, che riguardano il coordinamento della presa in carico della persona tra i servizi e i professionisti sanitari, coinvolti nei diversi setting assistenziali, oltre che il coordinamento degli interventi da erogare, provvedendo anche all’attivazione dei soggetti e delle risorse della rete assistenziale. La Cot - illustra Nardini - è quindi demandata anche al tracciamento e al monitoraggio delle transizioni da un luogo di cura all'altro o da un livello clinico assistenziale all'altro dell’assistito preso in carico, attraverso anche un supporto informativo e logistico ai professionisti della rete assistenziale. In tale contesto provvede, quindi, alla raccolta, alla gestione e al monitoraggio dei dati di salute, anche attraverso strumenti di telemedicina, dei percorsi integrati di cronicità (Pic), dei pazienti in assistenza domiciliare e alla gestione della piattaforma tecnologica di supporto per la presa in carico della persona. Per porre un esempio concreto, si pensi ad un assistito anziano in presenza di cronicità o multi-cronicità, per il quale è necessario più volte in un arco temporale riferito anche al breve periodo gestire il passaggio tra diversi livelli di assistenza: domiciliare; ospedaliera; residenziale".

"La Cot si occuperà nel concreto di intervenire coordinando tutti gli attori del sistema, sia personale di distretto sia ospedaliero, nonché di gestire i rapporti con la rete di emergenza/urgenza, per far fronte a tutte le esigenze dell’assistito. In questo contesto, gli operatori sanitari afferenti alla Cot (secondo gli standard di personale del Dm 77/2022: 1 Coordinatore infermieristico; 3-5 Infermieri; 1-2 unità di Personale di supporto) gestiranno il percorso riferito al paziente, avendo a disposizione la possibilità anche di monitorarne i dati di salute, anche attraverso strumenti di telemedicina, tracciando e monitorando gli ingressi e le dimissioni da un setting assistenziale all’altro".

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Disturbi apprendimento, psicologa: “Più diagnosi ma...

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Disturbi apprendimento, psicologa:

Le diagnosi dei disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa) per i bambini e i ragazzi della scuola primaria e secondaria sono in costante e progressivo aumento da oltre 10 anni. Il numero di alunni con Dsa - secondo gli ultimi dati del ministero dell'Istruzione pubblicati nel 2022 - è passato dallo 0,9% dell’anno scolastico 2010/2011 (anno della legge sul tema) al 5,4% nel 2020/2021. "Questi dati evidenziano una crescita ma sarebbe un errore parlare di fenomeno 'esplosivo' o 'fuori controllo'. Sicuramente c'è più attenzione ma c'è anche molto sommerso ancora", spiega all'Adnkronos Salute Deny Menghini, responsabile Psicologia presso la Neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza all'ospedale Bambino Gesù di Roma.

Partiamo dalla dimensione del problema, suggerisce Menghini. "In Italia non esistono veri e propri dati epidemiologici. Ma abbiamo un importante lavoro di letteratura scientifica - pubblicato qualche anno fa su Plos one da un gruppo di ricercatori di diverse università italiane - che ha riportato un'analisi su 11.000 bambini. Valutando solo la presenza di dislessia, tra i piccoli dagli 8 ai 10 anni, si è arrivati ad una percentuale del 3,5%. I dati del del 2021, ultimi disponibili, basati sui certificati che vengono consegnati alla scuola e registrati, ci dicono che rispetto alla dislessia la certificazione fornita è del 2,8%. Siamo quindi ancora parecchio sotto la percentuale di diagnosi 'attese'. Se è vero che è aumentata la rilevazione e la percentuale di bambini che presentano la certificazione alla scuola, non abbiamo, nel complesso, una rilevazione completa dei bambini che hanno questo disturbo".

Inoltre, "gli unici dati della letteratura riguardano la sola dislessia, il solo il disturbo di lettura. Non sappiamo niente rispetto alla prevalenza del disturbo di scrittura o di calcolo in Italia". Difficile e poco utile anche utilizzare dati internazionali. "Per esempio non possiamo dire quanti bambini con dislessia ci sono nel mondo perché è un problema lingua-dipendente". Dal punto di vista della richiesta di certificazione, però, "sicuramente c'è la percezione generale di un aumento di diagnosi che non vuol dire, ribadisco, che il problema stia crescendo".

Rispetto al trend di crescita delle certificazioni è importante ricordare che, aggiunge Menghini, "prima del 2010 in Italia non avevamo una normativa ad hoc sui disturbi dell'apprendimento, avevamo solo delle circolari ministeriali. Molto raramente si presentavano certificazioni. C'era una risposta parziale alle richieste di genitori e scuola, non si potevano applicare misure dispensative e gli strumenti compensativi. In seguito, e in maniera costante, è aumentata la richiesta di valutazione, ma i dati, seppure parziali, ci dicono comunque che le percentuali non sono esagerate".

Va evidenziata però la disomogeneità territoriale. "Abbiamo, come in molti altri ambiti, una situazione a macchia di leopardo. La percentuale di diagnosi che ricevono le scuole, va - a seconda delle Regioni - dal 1% fino al 9%", rimarca.

In ogni caso oggi rileviamo "sicuramente più attenzione a questo tipo di disturbi, dalle elementari all'università. I dati del Miur indicano, poi, un numero superiore di certificazioni nella scuola secondaria rispetto alla scuola primaria. Questo vuol dire che quando ci dovremmo accorgere del problema non lo facciamo in tempo. Lo facciamo in ritardo. Questo è un elemento di riflessione importante", conclude.

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Aviaria, allo studio test per bovini e latte crudo in...

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Aviaria, allo studio test per bovini e latte crudo in Italia: Iszv valutano rischi

Test sperimentali per la ricerca del virus dell'aviaria su bovini e latte crudo, con l'obiettivo "di produrre dati scientifici utili a una valutazione del rischio e per una precisa diagnosi, qualora dovessero presentarsi eventuali riscontri sul territorio nazionale di casi analoghi a quelli statunitensi". In seguito all diffusione del virus influenzale H5N1 ad alta patogenicità negli allevamenti degli Stati Uniti, gli Istituti zooprofilattici sperimentali delle Venezie (Izsve) e della Lombardia ed Emilia-Romagna (Izsler), che fanno parte della Rete degli zooprofilattici sperimentali italiani, in accordo con il ministero della Salute, si sono infatti resi disponibili a organizzare test sperimentali.

Gli studi, si legge in una nota, "mirano ad ampliare il quadro delle conoscenze scientifiche attualmente a disposizione e a fornire una risposta efficace e tempestiva in caso di rischio sanitario, attraverso metodi di laboratorio validati". Ma, allo stato attuale "non vi è alcuna evidenza di infezione, neanche pregressa, nella popolazione bovina in Europa. La circolazione del virus H5N1 nelle vacche da latte ad oggi è stata segnalata solo negli Stati Uniti". Intanto "nelle ultime settimane il Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria (Crn-Ia) dell’Izsve ha messo a punto test virologici e sierologici per la corretta diagnosi di infezione da virus H5N1 Hpai nei bovini".

Attualmente, "il Centro sta eseguendo un’indagine sierologica per verificare se nei territori italiani dove nelle precedenti stagioni si sono concentrati i focolai di influenza aviaria nel pollame e nei volatili selvatici vi sia stata un’esposizione dei bovini da latte al virus H5N1 ad alta patogenicità, mediante la ricerca di anticorpi specifici nel loro sangue". Ad oggi, sono stati esaminati oltre 3.200 bovini delle province di Verona, Vicenza e Padova, tutti con esito negativo.

I risultati preliminari dell'attività sperimentale saranno comunicati nelle prossime settimane

Le analisi condotte negli Stati Uniti hanno evidenziato che l’infezione dei bovini da latte determina la presenza del virus nel latte prodotto durante l’infezione. Per prevenire la trasmissione del virus all’uomo, le autorità statunitensi hanno disposto che il latte e tutti i derivati provenienti dagli allevamenti infetti siano sottoposti a pastorizzazione. Questa misura di trattamento termico del latte è considerata idonea a rendere non attivo il virus infettante eventualmente presente. Nel nostro Paese vengono prodotti formaggi anche a partire da latte non pastorizzato, tra questi i formaggi a latte crudo stagionati, di grande rilevanza nel panorama agroalimentare nazionale e internazionale.

Il processo produttivo di questi formaggi prevede una serie di passaggi che, sulla scorta di numerosi studi condotti in precedenza su altri microrganismi, appaiono idonei a eliminare l’infettività del virus qualora anche allevamenti da latte italiani dovessero infettarsi. Queste fasi con potere inattivante sono la scrematura iniziale del latte, la coagulazione, la cottura e la giacenza sotto siero della cagliata, la salagione del formaggio e la sua stagionatura per molti mesi o persino anni. Al fine di fornire evidenze scientifiche della effettiva capacità di ridurre adeguatamente il rischio infettante, l’Izsler sta conducendo sperimentazioni per misurare l’abbattimento del virus nel processo di produzione dei formaggi a latte crudo stagionati.

I risultati preliminari indicano come già con la sola componente termica del processo si ottiene un deciso abbattimento della carica virale nel latte. Aggiornamenti sui risultati preliminari della sorveglianza negli animali e delle attività sperimentali sul latte crudo saranno comunicati nelle prossime settimane", continua la nota ribadendo che "sulla base delle informazioni fin qui raccolte l’Oms continua a ritenere basso il rischio attuale per la popolazione umana rappresentato dal virus H5N1 e da basso a moderato il rischio per le persone che possono essere esposte ad animali infetti, come allevatori, veterinari e operatori del settore".

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