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Salute e Benessere
Aviaria, allo studio test per bovini e latte crudo in...
Aviaria, allo studio test per bovini e latte crudo in Italia: Iszv valutano rischi
![Aviaria, allo studio test per bovini e latte crudo in Italia: Iszv valutano rischi](https://www.adnkronos.com/resources/028f-1b4be7c33c30-130422cbb539-1000/format/big/senza_titolo.jpeg)
Test sperimentali per la ricerca del virus dell'aviaria su bovini e latte crudo, con l'obiettivo "di produrre dati scientifici utili a una valutazione del rischio e per una precisa diagnosi, qualora dovessero presentarsi eventuali riscontri sul territorio nazionale di casi analoghi a quelli statunitensi". In seguito all diffusione del virus influenzale H5N1 ad alta patogenicità negli allevamenti degli Stati Uniti, gli Istituti zooprofilattici sperimentali delle Venezie (Izsve) e della Lombardia ed Emilia-Romagna (Izsler), che fanno parte della Rete degli zooprofilattici sperimentali italiani, in accordo con il ministero della Salute, si sono infatti resi disponibili a organizzare test sperimentali.
Gli studi, si legge in una nota, "mirano ad ampliare il quadro delle conoscenze scientifiche attualmente a disposizione e a fornire una risposta efficace e tempestiva in caso di rischio sanitario, attraverso metodi di laboratorio validati". Ma, allo stato attuale "non vi è alcuna evidenza di infezione, neanche pregressa, nella popolazione bovina in Europa. La circolazione del virus H5N1 nelle vacche da latte ad oggi è stata segnalata solo negli Stati Uniti". Intanto "nelle ultime settimane il Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria (Crn-Ia) dell’Izsve ha messo a punto test virologici e sierologici per la corretta diagnosi di infezione da virus H5N1 Hpai nei bovini".
Attualmente, "il Centro sta eseguendo un’indagine sierologica per verificare se nei territori italiani dove nelle precedenti stagioni si sono concentrati i focolai di influenza aviaria nel pollame e nei volatili selvatici vi sia stata un’esposizione dei bovini da latte al virus H5N1 ad alta patogenicità, mediante la ricerca di anticorpi specifici nel loro sangue". Ad oggi, sono stati esaminati oltre 3.200 bovini delle province di Verona, Vicenza e Padova, tutti con esito negativo.
I risultati preliminari dell'attività sperimentale saranno comunicati nelle prossime settimane
Le analisi condotte negli Stati Uniti hanno evidenziato che l’infezione dei bovini da latte determina la presenza del virus nel latte prodotto durante l’infezione. Per prevenire la trasmissione del virus all’uomo, le autorità statunitensi hanno disposto che il latte e tutti i derivati provenienti dagli allevamenti infetti siano sottoposti a pastorizzazione. Questa misura di trattamento termico del latte è considerata idonea a rendere non attivo il virus infettante eventualmente presente. Nel nostro Paese vengono prodotti formaggi anche a partire da latte non pastorizzato, tra questi i formaggi a latte crudo stagionati, di grande rilevanza nel panorama agroalimentare nazionale e internazionale.
Il processo produttivo di questi formaggi prevede una serie di passaggi che, sulla scorta di numerosi studi condotti in precedenza su altri microrganismi, appaiono idonei a eliminare l’infettività del virus qualora anche allevamenti da latte italiani dovessero infettarsi. Queste fasi con potere inattivante sono la scrematura iniziale del latte, la coagulazione, la cottura e la giacenza sotto siero della cagliata, la salagione del formaggio e la sua stagionatura per molti mesi o persino anni. Al fine di fornire evidenze scientifiche della effettiva capacità di ridurre adeguatamente il rischio infettante, l’Izsler sta conducendo sperimentazioni per misurare l’abbattimento del virus nel processo di produzione dei formaggi a latte crudo stagionati.
I risultati preliminari indicano come già con la sola componente termica del processo si ottiene un deciso abbattimento della carica virale nel latte. Aggiornamenti sui risultati preliminari della sorveglianza negli animali e delle attività sperimentali sul latte crudo saranno comunicati nelle prossime settimane", continua la nota ribadendo che "sulla base delle informazioni fin qui raccolte l’Oms continua a ritenere basso il rischio attuale per la popolazione umana rappresentato dal virus H5N1 e da basso a moderato il rischio per le persone che possono essere esposte ad animali infetti, come allevatori, veterinari e operatori del settore".
Salute e Benessere
Estate, caldo e notti insonni, dalla sonnologa le scelte...
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![Estate, caldo e notti insonni, dalla sonnologa le scelte giuste per tornare a riposare](https://www.adnkronos.com/resources/028f-1b51eb0127ee-b539efdca7c6-1000/format/big/sonno.png)
Lo spot, con Luisa Ranieri, di una famosa marca di tè con il tormentone "Anto', fa caldo" è diventato il simbolo delle notti insonni e non solo degli italiani alle prese con l'afa. "D'estate si dorme sempre peggio rispetto all'inverno e il caldo non va d'accordo con il sonno. Mentre il freddo 'concilia' il riposo notturno, infatti quando si fa molto tardi ad un certo punto iniziamo a sentire un po' di freddo e questo è il segnale con cui il corpo ci dice di andare a dormire. Di solito accade alle 5 del mattino, ma lo stesso meccanismo si innesca intorno alle 15, la famosa 'pennichella' che vorremmo tanto fare, ma non possiamo. Questi sono i due momenti di maggior sonnolenza. Nel secondo caso si è convinti che la causa sia l'aver mangiato e l'inizio della digestione, ma non è così. Poi c'è anche una igiene del sonno che va rispettata e spesso non lo facciamo, al di là di chi soffre di insonnia". Così all'Adnkronos Salute Loreta Di Michele, pneumologa ed esperta di medicina del sonno dell'Ao San Camillo-Forlanini di Roma.
Come si può 'aiutare' a migliorare la qualità del sonno anche in estate? L'aria condizionata può essere una svolta o meglio lasciare le finestre aperte? "La tecnologia ci aiuta, ma dobbiamo usarla in modo intelligente - risponde Di Michele - L'aria condizionata sì, personalmente ritengo sia meglio la deumidificazione, ma attenzione per chi ha un apparato respiratorio labile, gli ex fumatori con enfisema o gli asmatici".
La climatizzazione "deve essere usata con criterio - raccomanda - perché una camera da letto bollente non va bene, ma lo sbalzo termico tra esterno e interno è peggio: la regola è che si può scendere di 6 punti, ma non si deve andare oltre. Ma spesso si abusa dell'aria condizionata e infatti d'estate come pneumologa vedo molte più tracheobronchiti che l'inverno. Recenti studi - ricorda - hanno evidenziato come il riscaldamento globale danneggi la struttura della mucosa respiratoria, le ciglia vibratili non funzionano più, e infatti l'asma bronchiale prenderà il sopravvento su altre patologie".
Ci sono alcune abitudini, come dormire con il proprio animale domestico o fare sport in tarda serata, che possono agevolare o danneggiare la dolce 'discesa' verso il sonno? "L'uomo è sempre un animale - risponde l'esperta di medicina del sonno - e quindi soggetto a riflessi sempre cadenzati. Quindi il rispetto degli orari, nel prepararsi alla notte, dei rituali insomma. Mettersi il pigiama, lavarsi i denti, ad esempio. Si inizia a percepire che la palpebra sta 'calando' e quindi ci si prepara al sonno. E' chiaro che il cellulare a letto non va bene, come l'esercizio fisico troppo intenso: eviterei di andare in palestra alle 21. Il sonno è deattivazione, l'isolamento da quello che accade intorno, ristabilisce un equilibrio".
E gli integratori? "La pasticca di melatonina non è un ormone, si può prendere e non fa male", illustra Di Michele. Il pet sdraiato accanto a noi nel letto "può fare compagnia e dare sicurezza a chi ha deficit affettivi o negli anziani". Una doccia fredda in una notte afosa può aiutarci a rilassarci e a prendere sonno? "A chi soffre di insonnia non è consigliata - precisa - mentre un tazza di latte che contiene triptofano può farci rilassare".
"In sintesi, dobbiamo anche ricordarci di assecondare il nostro metabolismo, se siamo 'allodole' (mattinieri) o 'gufi' (tiratardi). Non dobbiamo perdere la ciclicità, anche se un minimo di spostamento degli orari è tollerato. Magari in vacanza facciamo degli strappi, ma i ritmi biologici vanno rispettati. Capita spesso di curare gli insonni con una chiacchierata e non con i farmaci", conclude la pneumologa Di Michele.
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Caldo, medici pronto soccorso: “Iniziano primi...
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![Caldo, medici pronto soccorso:](https://www.adnkronos.com/resources/028f-1b51e298688c-2bf577cb6837-1000/format/big/images.jpeg)
"Al Nord l'estate non è ancora partita, ma in altre regioni sì e si iniziano a vedere i primi accessi al pronto soccorso. Spesso sono anziani, molto disidratati. E il sistema risponde perché all'emergenza caldo, se ci sarà, risponderemo come sempre fatto rispetto alle priorità, al di là del Codice calore tanto sbandierato mediaticamente". Lo afferma all'Adnkronos Salute Fabio De Iaco, presidente della Società italiana di medicina di emergenza urgenza (Simeu), intervenendo sull'attuazione da parte delle Regioni, attraverso le Asl e le aziende ospedaliere, dei Codici calore - una corsia preferenziale per gli anziani e i fragili colpiti dall'afa - nei pronto soccorso. Una richiesta arrivata anche dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, e sabato rimarcata da un appello alle Regioni del direttore della Prevenzione del ministero della Salute, Francesco Vaia.
"Nei pronto soccorso si continua a lavorare anche d'estate con i codici di priorità stabiliti - sottolinea De Iaco - indipendentemente dal caldo, dal freddo o da una pandemia. I medici di emergenza-urgenza lavorano nella stessa maniera stante le difficoltà che oggi viviamo nei pronto soccorso, con il personale ridotto all'osso anche per le ferie. La macchina dei dipartimenti d'emergenza è tarata per rispondere a tutte le necessità. Credo che forse - osserva il presidente Simeu - il Codice calore abbia più senso sul territorio e nella medicina di prossimità, per il pronto soccorso non cambia nulla. Se arriva un paziente con un colpo di calore e comorbidità, avrà una priorità rispetto ad altri in attesa. Noi - conclude - continuiamo a stratificare le risposte e le priorità sulla base dei parametri clinici seguendo un protocollo di triage codificato da linee guida nazionali".
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Fecondazione, inquinamento riduce nascite da Pma:...
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![Fecondazione, inquinamento riduce nascite da Pma: l'allarme](https://www.adnkronos.com/resources/028f-1b51d6a848b4-6a3bed30d699-1000/format/big/nerviano_central_sciences_istituto_di_ricerca_farmaceutica.jpeg)
L'inquinamento atmosferico è nemico degli aspiranti genitori. L'esposizione al particolato fine (Pm), prima del prelievo degli ovociti durante la fecondazione in vitro, può ridurre le probabilità di arrivare alla nascita di un bimbo di quasi il 40%. Lo rivela uno studio pionieristico, presentato al 40.esimo congresso annuale dell'Eshre, la Società europea di riproduzione umana ed embriologia, in corso ad Amsterdam, e pubblicato su 'Human Reproduction'.
Negli ultimi anni è emerso con sempre maggiori evidenze il legame fra inquinamento e salute riproduttiva. Una nuova prova arriva ora da questo studio australiano, che ha analizzato l'esposizione al Pm10 nelle due settimane precedenti la raccolta degli ovociti, scoprendo che le probabilità di un nato vivo diminuivano del 38% confrontando il quartile più alto di esposizione (da 18,63 a 35,42 µg/m3) a quello più basso (da 7,08 a 12,92 µg/m3). In pratica, maggiore è il particolato fine che si respira, minori sono le chance di arrivo del bebè.
Per ottenere questi risultati i ricercatori hanno esaminato, nell’arco di otto anni a Perth, 3.659 trasferimenti di embrioni congelati da 1.836 pazienti. L'età media delle donne era di 34,5 anni al momento del prelievo degli ovociti e di 36,1 anni al momento dell'impianto. Sono state valutate le concentrazioni di inquinanti atmosferici nell’arco di quattro periodi di esposizione prima del prelievo degli ovociti (24 ore, 2 settimane, 4 settimane e 3 mesi), con modelli creati per tenere conto delle co-esposizioni. Anche l'aumento dell'esposizione al Pm2,5 nei 3 mesi precedenti il prelievo degli ovociti è stato associato a una diminuzione delle probabilità di nati vivi. Non solo. I ricercatori evidenziano che "l'impatto negativo dell'inquinamento è stato osservato nonostante l'eccellente qualità complessiva dell'aria durante il periodo considerato, con livelli di Pm10 e Pm2,5 che superavano i valori soglia dell'Oms solo nello 0,4% e nel 4,5% dei giorni di studio".
"Questo è la prima ricerca - spiega l'autore principale Sebastian Leathersich, specialista in fertilità e ginecologo al King Edward Memorial Hospital della donna di Subiaco - che ha utilizzato cicli di trasferimento di embrioni congelati per analizzare separatamente gli effetti dell'esposizione agli inquinanti durante lo sviluppo degli ovociti, nel periodo dell'impianto degli embrioni e all'inizio della gravidanza. I nostri risultati rivelano un’associazione lineare negativa tra l’esposizione al particolato durante le 2 settimane e i 3 mesi precedenti alla raccolta degli ovociti e i successivi tassi di natalità da quegli ovociti. E dunque suggeriscono che l'inquinamento influisce negativamente sulla qualità degli ovociti e non solo sulle prime fasi della gravidanza, effetto che non era stato segnalato in precedenza".
Se la correlazione tra inquinamento e risultati riproduttivi peggiori è orami chiara, i meccanismi alla base sono ancora oscuri. "Il cambiamento climatico e l'inquinamento rimangono le maggiori minacce per la salute umana, e la riproduzione non ne è immune - prosegue Leathersich - Anche in una parte del mondo con una qualità dell’aria eccezionale, dove pochissimi giorni superano i limiti massimi di inquinamento accettati a livello internazionale, esiste una forte correlazione negativa tra i livelli di polveri sottili e il tasso di natalità nei cicli di trasferimento di embrioni congelati. Ridurre al minimo l’esposizione agli inquinanti deve essere una priorità chiave per la salute pubblica".
Si tratta di una priorità anche per il presidente eletto dell'Eshre, Anis Feki. "Questo importante studio evidenzia un legame significativo tra l'inquinamento atmosferico e tassi di successo della fecondazione in vitro più bassi - commenta - con una notevole riduzione dei nati vivi associata a una maggiore esposizione al particolato prima del prelievo degli ovociti. Questi risultati sottolineano la necessità di un’attenzione continua ai fattori ambientali nella salute riproduttiva”.