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Welfare, Guidi (FdI): “No a mito della guarigione, giustifica esperimenti spericolati”

"Fondamentali serenità e un rapporto paritetico tra chi cura e chi viene curato"

Antonio Guidi (FdI), ex ministro della Famiglia e oggi membro della X Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato

"Non bisogna avere l'ansia di guarire, e poi guarire da cosa? Dal male di vivere, da un tumore, da una malattia dell'animo o del corpo? L'importante è dare la certezza laica e leggera di curare e magari di guarire. Sbagliato poi parlare di malattie incurabili, semmai bisogna dire inguaribili ma curabili perché essere certi di non far sentire sola la persona che soffre è un nostro compito. Il mito della guarigione ci attanaglia troppo l'anima e giustifica qualsiasi spericolato esperimento. Fondamentali, invece, sono leggerezza, serenità e un rapporto paritetico tra chi cura e chi viene curato. La cura deve servire non solo a chi sta male ma anche a chi assiste la persona malata per aumentare le libertà, l'autodeterminazione, la possibilità di decidere un po' di più della sua vita". Lo ha detto il senatore Antonio Guidi (FdI), ex ministro della Famiglia e oggi membro della X Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato intervendo al nuovo appuntamento Adnkronos Q&A 'La cura delle persone', al Palazzo dell’Informazione, in occasione della Giornata mondiale della popolazione.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Economia

Ora solare, ecco perché i costi superano i benefici: la...

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Carlo Rienzi 'boccia' lo spostamento delle lancette che avverrà questa notte. "Contrario l'80% degli italiani"

Orologi -

Ora solare, ci siamo. Questa notte, intorno alle 3 le lancette dell'orologio verranno spostate un'ora indietro. Una consuetudine bocciata dal Codacons che punta il dito contro un'operazione detestata dalla maggioranza degli italiani e che vedrebbe sul piatto della bilancia più costi che benefici.

"Da circa 20 anni chiediamo di eliminare il passaggio da ora legale a ora solare - ricorda il presidente Carlo Rienzi - e in base ai nostri sondaggi l’80% dei cittadini italiani si dice contrario al cambio delle lancette dell’orologio da eseguire due volte l’anno".

Costi e benefici

"I costi relativi al passaggio all’ora legale a quella solare e viceversa sono decisamente superiori ai benefici: lo sfasamento di un’ora determina conseguenze sia a livello di umore, sia a livello fisico per circa il 15% dei cittadini, e produce disturbi del sonno in un bambino su due. Risintonizzare i ritmi biologici provoca un disagio per l’organismo, anche negli individui adulti: non è certo un caso se in farmacia, a seguito del cambio ora solare/ora legale, si impennino puntualmente anche le vendite di prodotti contro il jetlag. Senza contare - aggiunge Rienzi - i disagi per l’intera popolazione legati all’aggiustamento dell’orario: aggiornamenti sistemi informatici, orari dei treni, termostati temporizzati, dvd, agende elettroniche, radiosveglie, orologi nelle auto, problemi nelle transazioni finanziarie".

"Il passaggio ora legale/ora solare, dunque, determina costi sociali e perdite produttive decisamente superiori ai benefici determinati dal cambio orario, e anche sul fronte della spesa energetica - conclude il Codacons - adottare l’ora legale tutto l’anno consentirebbe notevoli risparmi sui consumi, come attestano i dati di Terna".

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Economia

Concordato preventivo biennale, patto fiscale alla prova...

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Il concordato preventivo biennale non sarà immutabile. Chi aderirà al patto con il Fisco dovrà confrontarsi con le cause di decadenza che, in ogni caso, non ridurranno il conto delle imposte dovute

Concordato preventivo biennale, patto fiscale alla prova delle cause di decadenza

L’adesione al concordato preventivo biennale richiede un monitoraggio costante della presenza di successive cause di decadenza.

Dal mancato versamento delle imposte dovute, alla presenza di redditi non dichiarati superiori alla soglia del 30%, sono diverse le casistiche che potranno portare al venir meno del patto con il Fisco.

Un effetto da valutare nel biennio del concordato preventivo biennale e che in ogni caso non ridurrà il “conto” dovuto.

Un’analisi dei casi da attenzionare e delle conseguenze pratiche.

Le cause di decadenza dal concordato preventivo biennale

La data ultima per aderire al concordato preventivo biennale è fissata al 31 ottobre, termine sul quale appare ormai chiuso ogni spiraglio per il rinvio.

Chi è intenzionato a siglare il patto fiscale, che consentirà di accedere anche al ravvedimento speciale, dovrà tener presenti le regole che ex post potranno modificare il piano concordato con l’Agenzia delle Entrate.

La firma del patto con il Fisco non sarà definitiva e secondo quanto previsto dall’articolo 22 del decreto legislativo n. 13/2024 sarà immediata la decadenza dal concordato preventivo biennale in caso di:

accertamento di attività non dichiarate (o inesistenza o indeducibilità di passività dichiarate) superiori al 30 per cento dei ricavi dichiarati;

● presentazione di una dichiarazione dei redditi integrativa che comporti una quantificazione diversa ai fini delle imposte sui redditi e del valore della produzione ai fini IRAP;

omesso versamento delle imposte dovute a seguito dell’adesione al concordato.

Per quel che riguarda l’ultimo punto, l’omesso versamento delle somme dovute per effetto dell’adesione al concordato preventivo biennale potrà essere regolarizzato mediante ravvedimento operoso, a patto però che non siano “iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore o i soggetti solidalmente obbligati abbiano avuto formale conoscenza.”

Tra le condizioni che inibiscono il ravvedimento vi è anche la ricezione di avvisi bonari da parte dell’Agenzia delle Entrate, fattore che conseguentemente porterà alla decadenza automatica dal concordato.

L’incrocio tra controlli e decadenza

Le ipotesi di decadenza si legano anche alle attività di controllo da parte del Fisco, che non saranno interrotte del tutto nel corso del biennio oggetto di accordo.

Il patto con il Fisco verrà infatti meno in caso di violazioni gravi non solo nel biennio ma anche nei tre anni precedenti all’ammissione al concordato, così come in caso di errata o incompleta comunicazione dei dati ISA che incidono più del 30% sulla determinazione del reddito e, in aggiunta, in caso di mancata presentazione delle dichiarazioni negli anni del concordato.

La possibilità di applicare il concordato si incrocia poi con le verifiche in materia di IVA. Ad esempio, è prevista la decadenza in caso di mancata, errata o tardiva memorizzazione dei corrispettivi per un numero di violazioni pari o superiore a 3, omessa installazione o manomissione dei registratori di cassa telematici o rifiuto di esibire documenti, registri o scritture contabili in caso di accertamento.

Dai debiti superiori a 5.000 euro alle condanne per reati tributari: gli ulteriori casi di decadenza

Il venir meno del concordato preventivo biennale dovrà essere valutato anche monitorando il verificarsi di una delle cause di esclusione.

Se ad esempio dopo l’adesione dovesse verificarsi la presenza di debiti tributari e contributivi di importo superiore a 5.000 euro (non oggetto di rateazione o sospensione), o in caso di condanna per reati tributari gravi, riciclaggio, impiego di denaro di provenienza illecita o autoriciclaggio, verrà meno il patto siglato con il Fisco.

Decadere dal concordato preventivo biennale per pagare meno non sarà possibile

Il venir meno dell’accordo siglato comporterà l’annullamento dei benefici accordati, tra cui il ravvedimento speciale, ma non ridurrà le imposte dovute.

La norma prevede infatti che anche in caso di decadenza restano dovute le imposte e i contributi determinati tenendo conto del reddito e del valore della produzione netta concordati, se maggiori di quelli effettivamente conseguiti.

Nella pratica, se sulla base del reddito concordato le imposte dovute risulteranno più alte rispetto a quelle effettive, basate sul reddito “reale” conseguito nell’anno, sarà in ogni caso necessario versare quanto già stabilito dall’Agenzia delle Entrate.

Effetto decadenza a favore di Erario anche in caso di reddito effettivo superiore: in tal caso il calcolo delle imposte dovute abbandonerà la via del concordato, per tornare a seguire le regole ordinarie.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Economia

Altroconsumo, quantum su reddito imponibile fiscale riduce...

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Il problema vero è capire su quale imponibile vengono calcolati bonus previsto in busta paga

Foto di repertorio - (MILANO - 2005-12-08, Letizia Mantero)

La manovra di Bilancio che è attualmente in discussione, e che potrebbe quindi essere modificata prima dell’approvazione a fine anno, ha ritoccato il taglio del cuneo fiscale, ovvero quanto rimane nello stipendio del lavoratore dopo aver tolto tasse e contributi versati per suo conto dall’azienda. Ma, secondo Altroconsumo, non è tutto oro quello che luccica: passare dalla riduzione dei contributi per la pensione a erogare un quantum sul reddito imponibile fiscale cambia le carte in tavola, riducendo, di fatto, lo stipendio netto.

Per i redditi da lavoro dipendente fino a 20.000 euro l’anno, il bonus in busta paga previsto è una sorta di somma calcolata in rapporto al reddito: 7,1% per i redditi fino a 8.500 euro, 5,3% tra 8.500 e 15.000 e 4,8% da 15.000 a 20.000. Sopra i 20.000 euro si trasforma in una detrazione d’imposta di 1.000 euro che scende fino ad azzerarsi per i redditi sopra i 40.000 euro. Il problema vero è capire su quale imponibile vengono calcolati questi bonus.

Come è noto, ogni lavoratore dipendente possiede una Ral, il reddito lordo annuo, che è stabilito per contratto, e da essa si tolgono prima i contributi per la pensione, poi si applicano imposte e detrazioni. La Ral non è altro che il reddito previdenziale lordo annuo, sul quale fino a quest’anno (2024), per i redditi più bassi, sono applicati degli 'sconti' su quanto devono versare di contributi. In particolare, a oggi, i lavoratori dipendenti con reddito lordo annuo previdenziale fino a 35 mila euro versano il 3,49% di contributi, contro l’ordinario 9,49%; mentre fino a 25 mila euro versano il 2,49% di contributi, contro il contro il 9,49%. La novità è che nel 2025 questa riduzione non ci sarà più. Questa cosa impatta ovviamente anche sul calcolo del reddito imponibile fiscale.

Ad esempio, se nel 2025 il dipendente prende un reddito fiscale di 15.000 euro, è perché ha un reddito imponibile previdenziale di 16.573 euro (16.573 – 9,49% = 15.000). Nel 2024 chi ha un imponibile previdenziale di 16.573 euro, ha un imponibile fiscale di 16.160 euro (16.573 – 3,49% = 16.160), non di 15.000 euro. Allo stesso risultato si arriva se, ad esempio, nel 2024 il dipendente prende un reddito fiscale di 25.000 euro, perché nuovamente entrano in gioco i contributi previdenziali, che faranno ridurre l’imponibile fiscale nel 2025. Quindi un reddito fiscale di 25.000 euro nel 2024 corrisponde a un reddito fiscale di 23.446 euro nel 2025 che equivalgono a una riduzione mensile della busta paga di 4 euro. Non si possono quindi considerare per i conti lo stesso imponibile fiscale, ma si deve partire dallo stesso imponibile previdenziale, altrimenti significa che il lavoratore ha ridotto la propria Ral. In definitiva, chi ha un guadagno reale è chi ha uno stipendio di poco più di 2.000 euro al mese netti, poiché non beneficiava lo scorso anno del taglio dei contributi. Pertanto, chi già nel 2024 aveva una Ral tra 35.001 euro a 40.000 euro otterrà un reale e certo contributo in busta paga, infatti sia nel 2024 che nel 2025 il reddito viene decurtato da contributi previdenziali di uguale importo, portando quindi a un reddito imponibile fiscale invariato.

Il vero conguaglio verrà comunque fatto con la dichiarazione dei redditi e, se il contribuente ne possiede altri oltre quelli da lavoro, si devono rifare nuovamente i conti e ci si può trovare a dover restituire la parte di detrazione ottenuta in busta paga, riducendo ancora di più il reddito netto. Infatti, le variabili sono parecchie perché la manovra di bilancio parla di reddito complessivo e bisogna tener conto della composizione di questo: se sia tutto da lavoro dipendente oppure no.

"Bisogna aprire gli occhi su cosa significhi realmente questa manovra per gli stipendi delle persone ed in particolare sul fatto che saranno proprio i redditi più bassi ad essere intaccati negativamente in quanto è per quelle soglie che i calcoli si tradurranno in una perdita di reddito mensile. Sappiamo bene che i consumatori stanno già facendo grandi sforzi, nel tentativo di far fronte alle spese essenziali, come le bollette, l'alimentazione o le cure. Per molti a fine mese rimane poco, con effetti negativi anche sui risparmi, come confermato dall'ultimo Termometro Altroconsumo, che annualmente fotografa la capacità di spesa degli italiani. Certo la situazione cambia per i redditi superiori a 35.000 euro ma di fronte alla sfida del crescente costo della vita a fronte della diminuzione del potere d'acquisto per un gran numero di italiani, non è un segnale incoraggiante quello che viene dal Governo che sembra non prestare sufficiente attenzione alle fasce più vulnerabili. Auspichiamo che nella fase di discussione parlamentare possano essere messi dei correttivi rafforzando il sostegno delle fasce più deboli, purtroppo allargatesi negli anni, e della loro reale capacità di spesa e consumo", dichiara Federico Cavallo, responsabile Relazioni Esterne di Altroconsumo.

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