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Cosa stanno facendo le aziende per sostenere il work life balance, e quali sono le prospettive future in tal senso?
Se ne è parlato oggi, 11 luglio, durante il nuovo appuntamento Adnkronos Q&A ‘La cura delle persone’, presso il Palazzo dell’informazione di Roma, in occasione della Giornata mondiale della Popolazione.

Alessandra Bocca, Mundys

Il panel è stato aperto dall’intervento di Alessandra Bocca, employer branding, capability acquisition & development, diverity & inclusion manager di Mundys: “Parlo a nome di Alessandra, donna, mamma di due bambine e dipendente di un’azienda in cui sono molto felice di lavorare. Oggi Mundys non ha bisogno di slogan per dire quanto sia importante il work life balance. È qualcosa su cui lavoriamo ogni giorno per far entrare work life balance in una cultura più inclusiva, perché questo aspetto riguarda soprattutto le donne”, esordisce Bocca.

Lo smart working e le timbrature

“Sicuramente lavoriamo in un contesto non convenzionale: essendo una holding internazionale, ci troviamo a lavorare con più fusi orari diversi. Per questo abbiamo abolito completamente le timbrature, lavoriamo in autonomia e in totale fiducia, che è un elemento fondamentale quando si parla di work life balance e di disconnessione.

In tal senso, “un altro punto importante è lo smart working. In Mundys abbiamo scelto insieme quale equilibrio instaurare tra lavoro in presenza e lavoro in smart working tramite una survey interna. La soluzione emersa è lavorare tre giorni a settimana in presenza e due in smart. Tra i commenti abbiamo rilevato che fosse richiesto non solo lo smart working ma anche una presenza all’interno degli uffici per cementare quelle relazioni umani che restano importanti per i dipendenti.

Se ho bisogno di restare quattro giorni a casa perché non so a chi lasciare le mie figlie, posso farlo. Allo stesso modo posso decidere di andare quattro giorni consecutivi in sede. Fiducia, autonomia e buon senso sono le nostre parole chiave per il work life balance”, spiega.

Canali di supporto

Un altro modo per sostenere il work life balance sono le reti di supporto. Penso a una delle nostre principali controllate ovvero Aeroporti di Roma che nel 2020 ha inaugurato un asilo nido aziendale a Fiumicino che può ospitare fino ai 60.000 bambini dai tre mesi ai tre anni ed è aperto dalle 8 alle 20. Immaginiamo che tipo di supporto possa essere per mamme che lavorano in una zona ovviamente decentrata e spesso e volentieri fanno lavori su turni”.

“Sosteniamo il work life balance lavorando sulla crescita economica e sulla crescita delle donne in posizioni manageriale. Cerchiamo di rompete tetto di cristallo integrando la strategia di sostenibilità alla finanza. Lo abbiamo fatto con l’emissione del Sustainability-linked bond: i tassi di interesse legati al debito o al credito aumentano o diminuiscono al raggiungimento di alcuni obiettivi Esg, tra cui le donne in posizione manageriale. Ad oggi le donne che ricoprono posizioni manageriali nel gruppo Mundys sono circa il 31%. Nel 2027 vogliamo portare questo numero al 33% e nel 2030 al 35%. Entro quell’anno, inoltre, vorremo anche colmare del tutto il divario retributivo di genere”.

Volontariato aziendale con “Ten days for”

Bocca illustra quindi un altro progetto con cui Mundys sostiene l’equilibrio tra vita privata e vita lavorativa, tra lavoratori e persone.
“Abbiamo lanciato il progetto ‘Ten days for’ grazie al quale i dipendenti della holding possono beneficiare di 10 giorni di volontariato, ovvero giorni di permessi retribuiti come se fosse una normale giornata di lavoro”. Bocca fa una riflessione: “Tutti noi facciamo zapping della nostra vita quando iniziamo la nostra giornata lavorativa. Ci siamo chiesti: come facciamo a portare quella parte più personale di noi al lavoro? La risposta è stata il volontariato aziendale che permette di sviluppare meta competenze che umanizzano l’azienda e sono alla base di tutte le competenze.

“Quando c’è stata guerra in Ucraina – esemplifica – ci siamo chiesti come poter aiutare chi veniva in Italia e per questo abbiamo deciso di convertire un asset di Mundys, una villa, in un luogo dove accogliere i rifugiati. Qui i bambini potevano giocare e le donne potevano studiare la lingua italiana e continuare a lavorare de remoto per l’Ucraina, anche potendo accedere a servizi di sostegno psicologico. Rendendoci utili per loro sul campo – spiega ancora Bocca – abbiamo allenato l’empatia nel giocare con i bambini, ascoltando storie anche tristi e conoscendo una cultura diversa dalla nostra”.

Ramón Palou de Comasema Sureda, Merck

A seguire l’intervento di Ramón Palou de Comasema Sureda, Presidente e amministratore delegato di Merck Serono Spa: “Sono qui anche come padre di 4 figli, capisco che quella del work life balance è davvero una sfida importante. In Merck sappiamo che il miglior asset per noi non è il know how ma le persone. Dobbiamo capire come trovare l’equilibrio tra i due ruoli che ciascuno di noi ha: la vita personale e la carriera.

Sotto il profilo dei problemi di fertilità, abbiamo cercato di capire come aiutare dipendente o collaboratore in un momento così difficile della sua vita familiare. Per rispondere a questa domanda, Merck ha realizzato una linea di auto psicologico non solo per i dipendenti ma per tutta la famiglia, in modo da trovare equilibrio in quel momento difficile della loro vita.

Lo sviluppo del professionista

“Penso che lo sforzo che noi facciamo per definire una carriera professionale sia molto individuale, tutti noi abbiamo un percorso molto specializzato in Merck. Abbiamo Merck University a livello globale, a cui Merck Italia partecipa in forma attiva con programmi di aiuti per dottorati in Italia. Il modo migliore per massimizzare i benefici del lavoro di ciascuno di noi è migliorare le competenze di ciascun dipendente. Questo passa anche dall’assicurare un programma di inclusione e di riqualificazione di base”.
Sotto il profilo della parità di genere, non basta avere un buon tasso di occupazione femminile, spiega Palou. Occorre che, come nel caso dell’azienda da lui rappresentata, le donne ricoprano ruoli manageriali senza alcuna discriminazione rispetto agli uomini.

“Un alto elemento di diversificazione è la diversa nazionalità: in Merck abbiamo dipendenti di 12 nazionalità diverse e questa è una grande ricchezza”.

Il terzo e ultimo elemento di diversificazione individuato da Palou è quello generazionale: “Per questo abbiamo sviluppato il programma “future” il cui obiettivo non è solo attrarre nuove generazioni ma anche trovare la sinergia tra le diverse generazioni in modo da farle dialogare”.

Raffaella Maderna, Ludbeck Italia

La parola passa quindi a Raffaella Madena, People & Communication Director di Ludbeck Italia “Sicuramente l’equilibrio vita personale-lavoro si basa su un processo molto dinamico che muta in continuazione”, esordisce Madena spiegando che: “Serve tanta energia e tenacia sia dalle aziende che dalle istituzioni e dalle persone soprattutto perché dalla pandemia in poi la vita personale è entrata in mondo molto massiccio nella vita professionale. Le organizzazioni devono tenere conto di questo aspetto perché una persona che sente di potersi esprimere al meglio è anche una persona che produce di più e in modo migliore”.

“La cultura dei Paesi nordici ci insegna tante cose a partire dal focus della genitorialità. Nella nostra casa madre (Lundbeck nasce in Danimarca, ndr.) viviamo esempi concreti dove i papà hanno un ruolo fondamentale nelle famiglie. La nostra organizzazione è al 53% rappresentata da donne, nonostante le professionalità più frequenti sia quello di rappresentante del farmaco che richiede di spostarsi continuamente. Questo significa che è possibile integrare le donne anche in questo tipo di lavoro” se la cura della famiglia viene ben distribuita.

L’importanza dell’ascolto

“Sicuramente l’ascolto è un aspetto fondamentale che negli ultimi anni abbiamo potuto approfondire anche con l’occasione della certificazione di parità di genere da cui sono partiti diversi programmi. Uno riguarda l’intraprendenza della persona e la sua capacità di trasformare situazioni problematiche, come possono essere la genitorialità o il ruolo di caregiver, in esperienze positive attraverso la modalità di self coaching che tira fuori competenze costruttive per la persona e utili anche da un punto di vista lavorativo. Una piattaforma a cui hanno aderito con soddisfazione i nostri collaboratori”.

Dall’ascolto sono emerse anche delle criticità, spiega Maderna: “Da migliorare è l’aspetto del counseling psicologico. Abbiamo notato che questo aspetto è molto delicato e merita di essere ancora più diffuso tra i nostri collaboratori. Sicuramente c’è da lavorare su questo tema”.

Chiara Gnocchi, Novartis

Parola quindi Chiara Gnocchi, Head of Communication & Patient Engagement di Novartis Italia, intervenuta da remoto: “Più aziende lavorano nell’ottica di migliorare il work life balance, più riusciamo, insieme, a cambiare il sistema. Parto da una mia convinzione che ho ritrovato nell’azienda che rappresento: le aziende devono relazionarsi con i collaboratori non solo come professionisti ma come persone. Quando ampliamo il nostro raggio di attenzione alle nostre persone comprendiamo come il professionista a volte è un paziente, un caregiver, un neogenitore. In questo credo che le aziende oggi debbano mettere in pratica delle politiche per favorire un ambiente di lavoro dove le persone di sentano ispirate a dare il meglio di sé, a sperimentare, ad essere curiosi”.

Un concetto che riprende quello espresso prima da Palou di Merck: “La valorizzazione delle persone è una condizione indispensabile non solo per la realizzazione individuale ma anche per la realizzazione collettiva. Le aziende devono ormai ragionare su questo aspetto: il loro lavoro ha un impatto diretto sulla società”.

Intercettare i trend del prossimo futuro

“Non possiamo guardare solo al presente – continua Gnocchi – dobbiamo anticipare dei trend:

La cronicità: oggi il 22% della popolazione è over 65% nel 2050 diventerà oltre il 35%, quindi il nostro ruolo di caregiver diventerà importantissimo perché l’aspettativa di vita si allunga e sempre più;
Natalità: le aziende devono avere la responsabilità di porre in campo politiche pro natalità;
Nuove generazioni: dobbiamo capire che ci sono esigenze diverse, che le esigenze cambiano nel tempo. Se vogliamo garantire la massima realizzazione delle nostre persone dobbiamo tenere conto dei bisogni di oggi e del futuro. A tal proposito, sono totalmente d’accordo con Maderna sulla necessità dell’ascolto”.

Congedo parentale per uomini

Un altro aspetto fondamentale per Gnocchi è intendersi sul concetto di gender equity, che per essere tale “non deve essere solo per le donne, ma anche per gli uomini. Nel 2023 in Novartis abbiamo azzerato il gender pay gap e dico con orgoglio che Novartis è azienda al femminile, ma non è solo un discorso numerico. Non basta mettere le donne nei ruoli manageriali, dobbiamo permettere alle donne di esprimere la loro diversità”. Per avvicinare uomini e donne e redistribuire i carichi familiari “Abbiamo riconosciuto congedo parentale facoltativo per tutti dal 30% all’80% di retribuzione. Per i neopapà abbiamo applicato una politica che permette di prendere 5 mesi di congedo retribuiti al 100% rispetto ai 10 giorni previsti oggi dalla legge. Questo per me è il vero gender equity”.

Antonio Affinita, Moige

Continua il panel Antonio Affinita, che, in qualità del presidente del Moige, guarda dall’esterno e simultaneamente cosa fanno le aziende e cosa fanno le istituzioni: “I genitori sono in sciopero”, esordisce laconicamente. “Uno sciopero silenzioso ma raccontato dai numeri, ormai siamo fanalino di coda a livello mondiale insieme al Giappone che però sta intervenendo con un piano molto forte di risorse per la natalità. Il primo punto, quindi, è aiutare le famiglie e i nuclei genitoriali. C’è un problema di discriminazione fiscale: la famiglia non viene vista come un gruppo che produce futuro. Il ponte più importante non è il ponte di Messina, ma i nostri figli. Per chi facciamo tutti gli sforzi che realizziamo se non ci saranno i nostri figli pronti a raccoglierne i frutti?

Detassare le famiglie con figli

Il problema principale è che la famiglia non viene vista come un’azienda che produce, genere ed educa il nostro futuro, ovvero i nostri figli. Finché tutte le spese che i genitori sostengono per i figli, tra i 10 e i 15 mila euro ogni, non vengono detratti dalla tassazione, aumenterà la povertà familiare, come dicono anche gli ultimi dati. Arriviamo al paradosso per cui alla famiglia povera viene sottratto un figliò che viene messo in una casa famiglia al costo di 70-150 euro al giorno. Houston, abbiamo un problema!”.

Il Presidente del Moige approfondisce quindi la tassazione in Italia: “L’articolo 53 della nostra Costituzione prevede che la tassazione sia in base alla capacità contributiva – ricorda – e invece in Italia la tassazione è fatta in base alla capacità retributiva! Per questo è fondamentale la leva della tassazione per rilanciare la natalità, come abbiamo esposto anche nei nostri confronti con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti”.

Un plauso alle aziende e l’aiuto alla genitorialità fragile

Infine, un plauso alle aziende: “Dico grazie a chi sta facendo tanto su questo tema che sono le aziende nell’ambito dei loro dipendenti e della responsabilità sociale di impresa. Un caso concreto che stiamo sviluppando punta a sostenere 500 genitori fragili che vengono affiancati per un anno da genitori esperti. Si tratta del progetto Generazione G che stiamo portando avanti insieme a Prénatal ed è una goccia che arricchisce la dinamica della genitorialità”.

“Se consideriamo la famiglia come un asset centrale nelle politiche del lavoro, immettiamo nel sistema die batteri positivi che mirano al cambiamento. Io credo che la capacità di trasformazione delle aziende sia maggiore di quelle delle istituzioni. Se lanciamo insieme un programma di emergenza e di azioni, possiamo iniziare a dare una svolta a questo ponte fondamentale che sono i nostri figli”.

Affinita quindi conclude: “Come Moige siamo vicini alle aziende offrendo una serie di attività di formazione e di coaching nell’abito di una progettualità di welfare aziendale e familiare. Lo stiamo facendo perché ci è arrivata come richiesta dai nostri stakeholder. Siamo tutti su uno stesso aereo e non possiamo sbagliare l’atterraggio”.

Lura Bernini, Confcommercio

Il panel si conclude quindi con Laura Bernini, responsabile del settore welfare pubblico e privato di Confcommercio: “Vogliamo che le imprese supportino le famiglie – spiega in prima battuta – Vogliamo che il work life balance sia sempre più strategico all’interno delle strategie aziendali e supportiamo le aziende in questo senso. Non si tratta solo di flessibilità orario, ma più in generale di costruire un insieme di servizi di welfare che siano tesi alla inclusività, al coinvolgimento e al benessere loro e delle loro famiglie”.

Bernini passa quindi in rassegna alcune buone iniziative pro natalità e famiglia, evidenziandone anche i limiti strutturali: “In questo momento si sta concludendo la prima fase dei tavoli che riguarda l’Osservatorio sulle famiglie in cui si parla anche degli interventi che la Legge di bilancio e il Decreto coesione hanno sviluppato. Mi riferisco alla decontribuzione per lavoratrici madri, gli sgravi per l’assunzione delle donne, il potenziamento strutturale per gli asili nido, oltre che l’erogazione di bonus e interventi specifici sul welfare elevando il tetto fringe benefit non tassabili fino a 2.000 euro per le famiglie con figli a carico”.

L’importanza di interventi strutturali

La nota negativa riguarda i tempi, spiega Bernini: “Come Confcommercio apprezziamo questi interventi ma sono interventi temporanei di un anno o poco più che non consentono alle famiglie di fare dei piani strutturali e a lungo termine per la natalità. Credo che una chiave sia la sinergia tra il welfare pubblico e quello privato per sviluppare compiutamente tutte le iniziative. Da questo punto di vista – ricorda Bernini – non posson non citare il rinnovo del Ccnl che va in questa direzione: garantire maggiore flessibilità nei congedi parentali, nei congedi per le donne vittime di violenza e potenziare la certificazione di parità per le donne”.

“La previdenza complementare ha un ruolo importante per giovani e donne che hanno carriere discontinue. Altro punto interessante silver economy: è importante che i servizi presenti rispondano alle diverse fasce della popolazione e tengano conto dell’evoluzione demografica”.

Le donne nel terziario

La responsabile del settore welfare pubblico e privato di Confcommercio conclude con qualche numero che fotografa il ruolo delle donne nel terziario: “In Italia abbiamo 1 milione e 200 mila imprenditrici di cui 800 mila appartengono al settore terziario. Sono mediamente più giovani e più istruite degli uomini in base alle analisi del nostro centro studi e come confermato anche da altre ricerche”. Numeri e specificità che la società non può più ignorare “In un quadro di questo tipo – conclude Bernini – vogliamo continuare a migliorare il quadre regolamentare delle nostre imprese, sempre tenendo conto delle differenze che le riguardano”.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Denatalità, Bilotta: “Infertilità per il 15% di coppie, ma...

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Circa il 15% delle coppie in Italia non è fertile. Il numero medio di figli per donna negli ultimi sessant’anni è sceso dal 2,70 a 1,20. Da quarant’anni il tasso di fertilità non supera l’1.5. E l’infertilità è una delle cause.

Le crescenti difficoltà di concepimento nelle coppie che desiderano avere un figlio rischiano di contribuire all’aumento della denatalità. Il 22 settembre si celebra la Giornata nazionale della salute riproduttiva. Per quell’occasione, il Professor Pasquale Bilotta, direttore del Centro Fecondazione Assistita “Alma Res” di Roma, ha spiegato quali sono e come si possono superare tali difficoltà.

Le cause della denatalità

La dimensione del fenomeno della denatalità è evidente. Con appena 379mila bambini venuti al mondo, il 2023 ha evidenziato nel nostro Paese l’ennesimo minimo storico di nascite, l’undicesimo di fila dal 2013. Il trend non si è fermato sin dal 2008 (577mila nascite), determinato sia da un’importante contrazione della fecondità (numero di figli per donne in età riproduttiva) sia dal calo del numero di donne in tale fascia di età (per l’invecchiamento della popolazione).

E se nel 1964 il numero di figli per donna si assestava sui 2.70, nel 2023 era pari a 1.20. Il bassissimo numero medio di figli per donna interessa tutto il territorio nazionale. Nel dettaglio, il Nord Italia ha una media di 1.21 figli per donna, il Centro 1.12 e Sud e Isole, 1.24. Fino a trent’anni fa la fecondità era molto superiore nel Sud rispetto al Centro e al Nord: basti pensare che nel 1964 era 3.30 nel Mezzogiorno, 2.38 nel Centro e 2.37 nel Nord.

Diverse sono le cause che hanno contribuito in questi anni a peggiorare la situazione:
Cause economico-sociali: come stipendi bassi, aumento del costo della vita, mancanza di servizi a sostegno delle famiglie
• Crescenti difficoltà di concepimento nelle coppie che desiderano avere un figlio.

In Italia è stata istituita la Giornata nazionale della salute riproduttiva (22 settembre), proprio con l’obiettivo di promuovere l’attenzione e l’informazione sul tema della fertilità.

“Infertilità? C’è soluzione”

“Secondo le stime dell’Istituto Superiore di Sanità – afferma il Professor Pasquale Bilotta, direttore del Centro Fecondazione Assistita “Alma Res” di Roma -, in Italia circa il 15% delle coppie è infertile e questa condizione può dipendere in egual misura sia dalla donna che dall’uomo. Non esistono in Italia dati specifici sulla prevalenza di questo fenomeno. Generalmente si parla di infertilità di coppia in caso di mancato raggiungimento della gravidanza dopo un anno di rapporti sessuali regolari e non protetti”.
Tra le cause primarie, spiega Bilotta, vi è senz’altro il fattore età: “Dai 40 anni in poi la percentuale di fertilità media è il 20% rispetto a quella riscontrata a 25 anni”. Ma non solo. A pesare sull’infertilità ci sono “anche abitudini non sane, come fumo, consumo di alcol oppure condizioni psicologiche limitanti, quali ansia e stress da ritmi di vita/lavoro troppo frenetici”.

Spesso, quest’ultime, sono patologie prevenibili facilmente curabili: “Per questo è molto importante una corretta informazione”, ha aggiunto il professore.

Prevenzione e possibili soluzioni all’infertilità

Ricorrere a trattamenti di fecondazione assistita è una soluzione. Stando ai dati più recenti dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2021, oltre 86.000 donne in Italia si sono sottoposte a questo tipo di procedure. La fascia d’età più rappresentata è quella tra i 35 e i 40 anni, seguita dalla fascia tra i 30 e i 35 anni.

Il tasso di successo delle procedure varia in base all’età della donna e alla tecnica utilizzata, con una media nazionale del 25% di gravidanze per ciclo di trattamento di fecondazione in vitro. Le donne sotto i 35 anni hanno registrato i tassi di successo più alti, con una percentuale che raggiunge il 40%, mentre per le donne sopra i 40 anni il tasso di successo scende al 15%.

“Non esiste un percorso universalmente valido per tutte le coppie – ha spiegato il Professor Bilotta – Per questo, l’obiettivo primario del nostro Centro è ricercare approcci personalizzati, basati su caratteristiche genetiche e biologiche individuali. Non solo: puntiamo al miglioramento delle tecniche di congelamento e scongelamento di ovociti ed embrioni e investiamo nello sviluppo di nuove metodologie per la diagnosi precoce di malattie genetiche rare”.

Secondo il prof. Bilotta – tra i primi ricercatori in Italia che, nel 1980, realizzarono su coppia infertile il prelievo, la fecondazione dell’ovocita ed il trasferimento embrionario in utero – è fondamentale continuare a migliorare il quadro normativo per assicurare un accesso equo e sicuro per tutti: “Nel Lazio, per esempio, le coppie che decidono di ricorrere alla fecondazione assistita tramite Sistema sanitario nazionale si recano in altre regioni. Le motivazioni sono legate alla scarsa offerta pubblica o convenzionata nel territorio regionale, lunghe liste d’attesa e costi elevati. Con altri 21 Centri autorizzati privati, stiamo costituendo un Coordinamento a livello regionale: auspichiamo la creazione di un Network di centri pubblici e privati, disponibili a erogare prestazioni in convenzione con il Servizio sanitario nazionale, in modo da aumentare l’offerta e garantire alle coppie un maggiore accesso ai trattamenti di fecondazione assistita”.

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La voce dei giovani: una lettera aperta alla Scuola

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Cosa pensano i giovani della Scuola? A rispondere a questa domanda c’è il collettivo “Nubi Pe(n)santi”, composto da ragazzi e ragazze della provincia di Torino, che ha deciso di scrivere una lettera aperta a questa istituzione.

Utilizzando il metodo maieutico, gli studenti hanno riflettuto profondamente sul tema dell’educazione. La lettera è stata presentata durante il Caffè pedagogico con Daniele Novara (premio ricevuto durante il convegno Cpp “La scuola non è una gara” a cui i ragazzi e le ragazze hanno partecipato con una rappresentanza).

La Scuola è una seconda casa?

La scuola è spesso definita come una “seconda casa” per i giovani, ma non sempre ciò corrisponde al vero. “La maggior parte di noi non sente questo luogo simile a una casa perché nel percorso scolastico gli aspetti negativi prevalgono rispetto a quelli positivi.” Questo mette in luce come molti studenti non percepiscano la scuola come un luogo sicuro e di supporto.

Un sondaggio condotto da Unisona Live e Unicef ha rilevato che il 75% degli studenti associa il proprio malessere a episodi legati alla scuola. Questo dato sottolinea quanto sia cruciale creare un ambiente scolastico positivo per il benessere degli studenti. La percezione di un ambiente accogliente è fondamentale per la salute mentale degli studenti.

Il peso del giudizio

Uno dei temi principali emersi è il giudizio costante a cui sono sottoposti gli studenti. “Essere valutati e valutate e avere un voto che giudichi il nostro operato non può che generare in ognuno di noi un vorticoso senso di ansia e frustrazione.

I voti e le valutazioni generano ansia e frustrazione, distogliendo l’attenzione dal vero obiettivo dell’educazione: l’apprendimento e la crescita personale. Lo ha dimostrato un’indagine Ocse-Pisa che ha rilevato che gli studenti italiani manifestano ansia e disagio in situazioni legate al rendimento scolastico, con il 56% degli alunni che dichiara di diventare particolarmente nervoso durante le verifiche. Questo evidenzia l’importanza di un ambiente scolastico che supporti non solo l’apprendimento, ma anche il benessere emotivo degli studenti.

Incoerenza e preferenze

Il collettivo torinese ha, inoltre, criticato la mancanza di coerenza tra i professori, che inviano messaggi contraddittori riguardo all’importanza dei voti. “Ci insegnano che il giudizio personale negativo non va bene, ma invece perché quello positivo va bene?”. La risposta è “No”. Il fenomeno si chiama “ansia da prestazione” e ha portato centinaia di studenti a soffrire di disturbi di vario tipo o, spesso, anche al suicidio.

L’American College Health Association (Acha), ritiene che ansia e depressione siano i principali ostacoli al rendimento negli studi. Questo espone i soggetti ad un maggiore rischio di abuso di sostanze tossiche e a pensieri suicidi. Secondo i dati, il 65,7% degli studenti ammette di aver provato “ansia travolgente” raddoppiata negli ultimi 10 anni.

Inoltre, nella lettera è emerso quanto gli studenti percepiscano i favoritismi e i pregiudizi, che influenzano negativamente il clima scolastico e i rapporti tra pari. Studi hanno dimostrato che le percezioni degli insegnanti riguardo alla motivazione e all’impegno degli studenti possono influenzare significativamente i risultati scolastici.

Competizione e conformismo

La scuola per i giovani del collettivo viene poi descritta come un ambiente competitivo e conformista, dove gli studenti sono spinti a competere tra loro piuttosto che a collaborare. “Si innesca una competizione ‘sgomitante, muscolare, darwiniana’ in cui si perde di vista il significato originario di ‘cumpetere: procedere insieme, correre insieme verso la stessa meta’”.

Questo sistema promuove una standardizzazione che annulla il pensiero critico e la crescita individuale, favorendo un conformismo opprimente. Un’analisi del Centro Studi Erickson ha esaminato l’inclusione scolastica e sociale in Italia, evidenziando come la competizione possa creare un ambiente meno inclusivo e aumentare il rischio di esclusione per gli studenti.

Il Registro Elettronico: tra controllo e fiducia

Il registro elettronico, sebbene utile, è stato descritto come uno strumento di controllo che riduce l’autonomia degli studenti e la comunicazione tra loro e i genitori. “I nostri genitori vengono costantemente informati di quello che facciamo, i voti che prendiamo, dove siamo, annullando la comunicazione tra genitori e studenti“.

Questo sistema, infatti, tende a ridurre la comunicazione diretta e immediata, fondamentale per il funzionamento delle relazioni umane, soprattutto quando si parla di figli in età scolare.

Non è la prima volta che l’uso di strumenti digitali influenzi negativamente l’autonomia degli studenti e la loro capacità di autoregolarsi. Ma se si parla sempre dei cellulari e del loro divieto nelle scuole, si deve considerare anche valido poter mettere in discussione anche gli strumenti di controllo e non solo di “distruzione di massa” (come definito dal ministro italiano Valditara).

Il collettivo “Nubi Pe(n)santi” è costituito da un gruppo di adolescenti residenti nella ValMessa, Bassa Val di Susa, che si interrogano, negli spazi dell’Associazione LiberAmente, concessi dal Comune di Almese, in collaborazione con la Consulta Giovani, su argomenti a loro cari, su cui hanno necessità di esprimersi liberamente, senza giudizio, scambiando pensieri ed emozioni, utilizzando diversi linguaggi.

La loro lettera rappresenta una voce critica e riflessiva sul sistema scolastico attuale. I giovani esprimono il desiderio di un cambiamento radicale, basato su una maggiore comunicazione, empatia e comprensione reciproca. La loro speranza è che, attraverso il dialogo e la riflessione, sia possibile rendere la scuola un luogo migliore per tutti.

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Vincent Cassel papà per la quarta volta: ma quali sono i...

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Vincent Cassel, 57 anni, diventa papà per la quarta volta. A dare il dolce annuncio è la fidanzata Narah Baptista, 27 anni, che con una foto sui social ha fatto sapere della gravidanza.

La modella brasiliana ha condiviso su Instagram le prime foto col pancione scrivendo: “Mamma ti aspetta. Fotografie scattate dalla nonna”. L’attore ha risposto con un dolce “Sono fortunato ad averti nella mia vita”. I due sono legati da poco più di un anno. E se per la modella è la prima gravidanza, per Cassel è la quarta volta.

L’attore è già padre di tre figlie, Deva e Leonie, rispettivamente 20 e 14 anni, nate dal matrimonio con Monica Bellucci. Poi cinque anni fa, con la seconda moglie Tina Kunakey, altrettanto 27enne, è venuta al mondo Amazonie.

E mentre l’attore diventerà papà per la quarta volta, c’è qualche collega che ha ampiamente superato questo record. Scopriamo alcuni dei papà vip “più proliferi”.

I papà vip più proliferi: ieri e oggi

Se prendessimo esempio da questi papà famosi, il problema della denatalità sarebbe estinto. Quantomeno non si può dire che non abbiano contribuito alla messa al mondo di un numero di figli tale sufficiente a mantenere alto il ricambio generazionale (almeno quello delle proprie famiglie). Perché mentre il tasso di natalità crolla a picco, alcune personalità dello showbiz hanno fatto la differenza e sono passate alla storia per essere dei papà proliferi, maternità surrogate incluse.

Di un’altra epoca, ma un evergreen della genitorialità rinomata per la quantità, c’è Marlon Brando. L’attore, noto per la sua tumultuosa vita privata, sia con partner maschili che con quelli femminili, ha messo al mondo e riconosciuto 12 figli, avuti da tre mogli diverse e donne sconosciute al grande pubblico e ne ha adottati altri tre, per un totale di 15.

Elon Musk, il miliardario fondatore di Tesla e SpaceX, ha 12 figli da diverse relazioni. L’imprenditore, di quasi 53 anni, ha accolto il terzo figlio con la compagna attuale Shivon Zilis, di 38 anni, lo scorso giugno.

A seguire, Eddie Murphy, con i suoi dieci figli: i primi due, li avuti da due donne diverse, sono nati prima di sposare la modella Nicole Mitchell, dalla quale ne ha poi avuto altri cinque. Dopo il divorzio nasce Angel Iris, riconosciuta grazie al test del Dna, dalla relazione con la Spice Girl Mel B. Infine, ha avuto gli ultimi due figli dalla modella Paige Butcher.

Ma c’è anche, Mel Gibson con i sette figli, tutti nati dalla stessa madre, l’infermiera Robyn Moore, con cui il matrimonio è durato ben 26 anni e poi altri due figli, una avuta dalla musicista russa Oksana Grigorieva, e l’ultimo con la sceneggiatrice televisiva Rosalind Ros.

Rimanendo in tema non si possono non considerare altrettanto “proliferi” anche gli attori Robert De Niro, Brad Pitt e Jude Law. Tutti e tre hanno in comune le carriere costellate di successi e sei figli, nel caso di Pitt, tre adottati insieme alla moglie e collega Angelina Jolie.

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Papà-vip italiani

Spostandoci in Italia, invece, celebri sono diventate le parole dell’attore Christian De Sica che sul padre Vittorio ha dichiarato: “Mio padre ci ha lasciato in eredità anche la scoperta di numerosi fratelli e sorelle nascoste. La mia non era una famiglia, ma una cooperativa. Gli uomini erano maschilisti e lui era innamorato di tutte quelle donne”. Dalla stessa mamma è nato il fratello Manuel De Sica, mentre da altre donne, Vittorio De Sica ha avuto Emiliana De Sica e Vicky Lagos. Gli altri figli ai quali ha alluso Christian non sono noti al grande pubblico.

Non è un attore, ma è famoso in tutta Italia per la sua musica: Gigi D’Alessio, negli scorsi giorni sul palco dell’Arena di Verona, al Tim Music Awards, ha risposto in modo ironico al conduttore Carlo Conti sul numero di figli messi al mondo fino ad oggi. Napoletano, 57 anni, il cantante ha in totale sei: ha avuto Claudio, Ilaria e Luca dal matrimonio con Carmela Barbato, poi Andrea dalla relazione con Anna Tatangelo e Francesco e Ginevra, nati dall’amore con la fidanzata Denise Esposito.

E sempre in tema musica, c’è Roby Facchinetti dei Pooh con i suoi cinque figli e Al Bano Carrisi con i suoi sei figli. Mentre, nel mondo dello sport c’è Antonio Cassano che ne ha avuti cinque.

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