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Caregiver figura centrale, serve welfare personalizzato che...

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Caregiver figura centrale, serve welfare personalizzato che metta la persona al centro

Caregiver figura centrale, serve welfare personalizzato che metta la persona al centro

La figura del caregiver è centrale per quanto riguarda l’assistenza dei più fragili. Una considerazione che sembra ovvia ma che porta con sé una serie di importanti riflessioni, necessità e traiettorie da percorrere che sono state discusse al convegno Adnkronos Q&A “La cura delle persone” organizzato al Palazzo dell’Informazione a Roma, nell’ambito del canale verticale Demografica che si occupa di persone, trend, genitorialità e parità di genere.

E quello che occorre è un welfare personalizzato, ha sottolineato in apertura nel suo intervento Luana Zanella, vicepresidente della Commissione Affari Sociali alla Camera dei deputati, che ha ricordato come proprio in questi giorni sia stata avviata una serie di audizioni su varie proposta di legge che riguardano la figura del caregiver.

“Una figura che deve essere normata e riconosciuta per quella che è la realtà”, ha evidenziato la parlamentare spiegando: “Ad esempio non è detto che debba essere convivente con la persona che accudisce, perché si può benissimo avere una famiglia da gestire e doversi comunque occupare anche di qualcuno, facendo le notti o per qualsiasi esigenza”. Anzi, sottolinea la deputata, nella maggior parte dei casi il caregiver non convive con l’assistito “per cui per cui se nella legge non viene indicato il fatto del non convivenza, questo comincia a essere un problema”.

Un welfare personalizzato e basato sulla realtà delle cose dunque. Per raggiungere questo obiettivo, secondo Zanella, è imprescindibile disporre di risorse economiche: “E’ soprattutto al momento della legge del bilancio che si affrontano questi temi, che se non sono accompagnati da un impegno preciso a livello di governo, e quindi a livello di risorse disponibili, sono degli impegni che rimangono un po’ una voce nel vento”.

Quindi, ha continuato, “ci apprestiamo ad affrontare questo tema delle risorse sia per il sistema sanitario sia per tutte le politiche indispensabili per fronte alla cura che è sempre più impattante anche sul benessere delle famiglie, sia dal punto di vista esistenziale sia dal punto di vista economico”.

Ma c’è un secondo punto imprescindibile: “la cooperazione tra i vari livelli. Non bastano le risorse disponibili, queste vanno anche integrate” e dunque la direzione non è, come è pure successo, sottrarre soldi ai Comuni, ma anzi procedere in senso opposto.

La Riforma per la disabilità: il Progetto di vita

Sul tema del convegno, e sulla necessità di partire da quella che è la realtà vissuta da caregiver e assistito, è intervenuta anche Alessandra Locatelli, ministra per le Disabilità, che ha inviato un video in cui ha sottolineato come il caregiver sia una persona che ama e cura e non voglia essere sostituito nel suo ruolo, ma accompagnato nel percorso. Invece, soprattutto in seguito al grande dramma sanitario che è stato la pandemia da Covid, molto spesso queste persone si sono sentite e si sentono abbandonate e sole nella complessità della situazione e nella carenza di servizi.

“Dobbiamo essere in grado di ristrutturare servizi che possano andare incontro alle esigenze di sollievo ma anche quelle temporanee del familiare, che ad esempio può avere un imprevisto”, ha affermato Locatelli. E se è necessario, come lo è, ripensare servizi e supporti, diventa “indispensabile una cornice normativa con tutele differenziate e crescenti, con un caregiver principale e altri caregiver che comunque si occupano” dell’accudito.

La svolta, il punto di cambiamento e di non ritorno, ha spiegato la ministra, è la Riforma della disabilità e il previsto ‘Progetto di vita’. Una sperimentazione che comincerà il primo gennaio 2025 in nove province già individuate. Si parte “obbligando le istituzioni a sedersi intorno a un tavolo, quindi a muoversi loro per andare a parlare con la persona con disabilità, che deve essere al centro a partire dai suoi desideri, in condivisione con la famiglia per scrivere il progetto di vita, che non è altro che la risposta a bisogni che sono socio-sanitari e assistenziali ma anche sociali, e che non possono essere più frammentati perché la persona è un tutt’uno e ha bisogno di tutto mentre ancora oggi le persone ricevono risposte e prestazioni frammentate”.

“Al primo posto – ha proseguito – deve esserci sempre il rispetto di quella vita in termini di relazioni, affetti, di dimensione anche sociale, sia che si tratti del contesto abitativo o di quello ospedaliero, sia che la persona abbia in qualche modo una dimensione della vita più partecipata”.

Il tema del lavoro

Poi c’è il tema del lavoro: come ricordava anche Zanella, anche Locatelli ha sottolineato come ci siano ancora “tantissime situazioni, per la maggior parte si tratta di donne, in cui il caregiver lascia il proprio posto il lavoro per poter accudire i propri cari, che siano figli o genitori o altri parenti. C’è ancora tanta difficoltà nel mondo del lavoro a garantire una elasticità, a trovare quel compromesso chiamato nella Riforma per la disabilità ‘collocamento ragionevole’, per garantire alle persone di poter svolgere o il proprio lavoro in caso di disabilità oppure di poter accudire la persona cara continuando a poter mantenere uno stipendio”.

Quello che è necessario, ha concluso la ministra, è un “cambio di sguardo e di prospettiva che parte dal vedere le potenzialità e i nomi i limiti della persona”. Un punto fondante anche per il prossimo G7 su inclusione disabilità che si svolgerà per la prima volta in Italia e sotto la Presidenza italiana, a ottobre in Umbria.

E di lavoro ha parlato anche Chiara Gribaudo, presidente Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, che ha sottolineato come l’aumento dell’occupazione delle donne sia un altro aspetto centrale. Sia perché nell’ambito del settore della cura sta tornando ad aumentare la zona grigia del lavoro, sia per una questione di tipo economico: l’occupazione femminile non è solo una questione di parità opportunità ma anche di crescita del Paese.

“La legge 162, votata all’unanimità dal Parlamento, viene sempre ricordata per la parità salariale ma chiede anche i dati per capire la crescita delle donne sul lavoro. Ora sono passati i due anni previsti, perciò presenteremo alla ministra delle Pari Opportunità la richiesta di avere questi dati”, ha fatto sapere Gribaudo aggiungendo che “non servono sussidi da medioevo come quelli proposti da Gasparri o l’attuale welfare novencentesco per le donne, ma investimenti a lungo termine, e serve che le donne possano esprimere il proprio talento e quindi lavorare”.

“Chi lavora fa anche più figli e l’italianità o presunta tale si sostiene con i servizi innanzitutto: eppure il governo ha tagliato per gli asili nido”.

La cura come strumento di libertà

Una nota meno pratica ma di grande rilevanza l’ha portata infine Antonio Guidi, componente Commissione affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale Senato, ex ministro per la Famiglia e oggi attivo sui temi della disabilità.

Guidi ha invitato a riflettere sul concetto stesso di cura, diverso da quello di ‘guarire’: “Non bisogna avere l’ansia di guarire. Guarire da che? L’importante è dare la certezza laica di curare. Guarire magari, ma non è un obiettivo certo. Sì, se è una cosa semplice, ma quando hai patologie incurabili ovvero inguaribili, il nostro compito è non far sentire sola la persona che, diciamo così, soffre”.

“L’importante è la leggerezza, il rapporto paritetico tra chi cura e chi viene curato. La cura deve servire a chi sta male ad aumentare l’autodeterminazione, la possibilità di decidere la propria vita. Cerchiamo di aumentare la libertà nostra e delle persone che curiamo”, ha affermato.

E ha chiuso con una provocazione: “La nostra Costituzione è molto bella ma quando è così inapplicata – non inapplicabile ma inapplicata – siamo sicuri che sia perfetta? Allora rendiamola più cafona ma applicabile”.

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Ue, Scocchia (illycaffè): “Economia mondiale...

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L'amministratore delegato di illicaffè a margine della 50° edizione del Forum di Cernobbio.

Cristina Scocchia, Amministratore delegato di illicaffè

"Io sono tra gli ottimisti che pensa che l'economia sta crescendo. L'Ocse ci ha appena detto che a livello mondiale chiuderemo con un +3,1%e questo è un buon segnale. Certo le politiche monetarie restrittive hanno ancora un impatto, ma l'economia globale si è dimostrata resiliente". Lo dice all'Adnkronos Cristina Scocchia, Amministratore delegato di illicaffè a margine della 50° edizione del Forum di Cernobbio. L'inflazione "sta scendendo più delle aspettative - spiega Scocchia - tutto sommato il clima di fiducia si è stabilizzato. Molti Paesi, tra cui l'Italia, hanno una disoccupazione ai minimi storici e molti Paesi, tra cui il nostro, hanno comunque un reddito reale che è tornato a crescere. Qual è però il problema in tutto questo? Che in un'economia mondiale resiliente comunque ci sono luci e ombre e l'Europa è più nell'ombra. L''Europa sta perdendo terreno, lo diceva anche stamattina il Presidente Mattarella, è un progetto bellissimo ma incompiuto".

L'Ad delll'azienda va oltre, "Venti anni fa pesavamo un quarto dell'economia, 26%, oggi pesiamo solo il 18%. Nello stesso periodo gli americani pesavano un quarto e sono rimasti a un quarto e i cinesi hanno raddoppiato e poi ancora raddoppiato, quindi hanno quadruplicato e sono arrivati al 17%. Quindi noi siamo in difficoltà". I motivi? "Alcuni dei fenomeni che ci hanno aiutato - sottolinea Scocchia - come la possibilità di comprare energia elettrica a basso costo dalla Russia o di esportare senza problemi nei mercati asiatici e in Cina, sono tutte condizioni che stanno venendo meno, un po' per il contesto macroeconomico, un po' per quello geopolitico, ma stanno venendo meno".

Quindi "l'Europa si trova in un contesto di potenziale difficoltà - rimarca la manager - dove è necessario accelerare nel processo di integrazione e nella messa in comune delle risorse per alcune priorità strategiche: indipendenza energetica, difesa comune e grandi investimenti che mi piace chiamare 'industrial deal'. Abbiamo avuto il green deal del precedente Parlamento europeo, quello attuale ci dovrebbe dare un industrial deal che va a investire in nuove tecnologie ma che si ricorda anche di noi imprese e dei settori tradizionali, perché fino adesso siamo stati comunque il cardine dell'economia, abbiamo ancora un ruolo da giocare, però certe volte per le imprese europee è difficile competere a livello mondiale perché non abbiamo il costo dell'energia delle cugine americano-cinesi, abbiamo un carico normativo molto più pesante, non abbiamo spesso le sovvenzioni europee di cui beneficiano gli americani e i cinesi" nei rispettivi Paesi.

"Il World Economic Forum - sottolinea- ci dice che con l'intelligenza artificiale sono a rischio 14 milioni di posti di lavoro. Se sarà così non lo sappiamo ma ovviamente ci sarà una grandissima trasformazione, di sicuro molto cambierà soprattutto per i lavori intellettuali, e questa è la prima rivoluzione che porterà a un'ulteriore segmentazione tra ricchi e poveri. Più le persone hanno un livello di benessere e quindi di scolarità alto, tanto più potranno investire in competenze digitali e in comprensione del futuro. E più le persone si trovano invece in una condizione già di fragilità ed esclusione, tanto più saranno escluse da questa tecnologia e quindi rimarranno ancora più indietro".

"Questo significa che bisogna ragionare non solo a livello di persone, ma anche a livello di Stati - sottolinea Scocchia - Gli Stati più ricchi e all'avanguardia potranno investire in innovazione e in deep tech. Gli Stati che già adesso sono in condizioni di fragilità, al contrario, non potranno investire e rimarranno ancora più indietro".

"Non bisogna spaventarsi ma tenere presente che la polarizzazione tra ricchi e poveri a livello di individui e a livello di Paese sarà ancora più grande. E allora siccome noi vogliamo che il progresso non lasci indietro nessuno, bisogna normare e regolare l'intelligenza artificiale" conclude.

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Imprese, Landazabal (Gsk Italia): “Innovazione e...

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Così Così Fabio Landazabal, presidente di Gsk Italia, a margine della 50° edizione del Forum di Cernobbio, intitolata 'Lo scenario di oggi e di domani per le strategie competitive'

Fabio Landazabal, presidente di Gsk Italia

"Durante questa 50esima edizione del Forum di The European House-Ambrosetti a Cernobbio il cuore della discussione è stata proprio la competitività europea, la quale ha una stretta connessione con l'innovazione e la salute della popolazione". Così Fabio Landazabal, presidente di Gsk Italia, a margine della 50° edizione del Forum di Cernobbio, intitolata 'Lo scenario di oggi e di domani per le strategie competitive'.

Il presidente Landazabal ritiene che la sfida della competitività di un Paese dipenda da molte leve diverse, due in particolare: la prima è quella relativa all’innovazione, che un paese, per essere competitivo, deve stimolare, nutrire ed abbracciare in tanti settori diversi di attività, come l’intelligenza artificiale, l’energia pulita e le scienze della vita, ma anche la ricerca e produzione di farmaci e vaccini: "L'Europa sta cominciando a restare indietro su due fronti, il primo è proprio quello dell'innovazione, dove siamo indietro rispetto all'America e alla Cina. Si tratta di un paradosso in quanto l'Europa ha una forte vocazione alla ricerca, ma si scontra con la difficoltà di avere accesso ai capitali e anche al mercato, una volta che i prodotti e le soluzioni sono stati sviluppati - spiega Landazabal - L'adozione dell'innovazione in Europa dovrebbe essere implementata e migliorata, creando mercati più attrattivi e competitivi a livello globale, questo permetterebbe di creare un ambiente più attrattivo per gli investimenti".

La seconda leva della competitività, secondo Landazabal, è quella della popolazione, intesa come individui che insieme fanno muovere l’economia del paese e, quindi, il PIL: attraverso il lavoro e la scoperta, infatti, migliorano il tenore e la qualità di vita di tutti.

Le persone, quindi, sono la linfa vitale del nostro Paese, tuttavia, si tratta anche di una linfa in progressivo invecchiamento, in quanto l’Italia si attesta come secondo paese più longevo in Europa dopo la Spagna. Gli over 65 hanno superato il 23% della popolazione totale e nel 2050 arriveranno al 35%. Questo 23% di persone è ormai chiamato Silver economy perché vale quasi il 20% del pil nazionale ed un quarto dei consumi delle famiglie italiane: "La salute pubblica è un problema in Europa, dove la popolazione sta invecchiando, in alcuni casi - come in Italia e in Spagna - molto velocemente, e la natalità è bassa nonostante gli sforzi fatti per promuoverla è chiaro che non è ancora abbastanza. Dobbiamo, quindi, capire come trasformare questa sfida in un'opportunità - continua il presidente di Gsk Italia - In accordo con la visione proposta dalla presidente Meloni, dobbiamo investire in settori strategici che possano generare il miglior ritorno d'investimento. Noi siamo convinti che uno di questi settori sia la salute in quanto può offrire soluzioni preventive che possono avere un alto ritorno degli investimenti".

Ad oggi sono disponibili analisi più specifiche e basate sulla realtà italiana perché il tema dell’invecchiamento della popolazione è diventato una priorità. Un’analisi Altems - Università Cattolica del 16 luglio scorso svolta per Farmindustria, infatti, dice che una popolazione adulta correttamente protetta attraverso le vaccinazioni porterebbe a recuperare su base annua 10 miliardi di euro di produzione industriale, quasi 3 miliardi di euro di costi sociali e oltre mezzo miliardo di gettito fiscale. Per fare un rapido raffronto, si tratterebbe di circa la metà dei fondi aggiuntivi che sono oggi stimati essenziali per la finanziaria 2025: "In questo senso, investire in innovazione e nella sua adozione, può portare soluzioni per una popolazione che invecchia. Sviluppare la 'silver economy' dovrebbe essere uno dei pilastri della nostra economia, poiché diventerà il più ampio segmento dell'economia, che dovrebbe essere vista come un'opportunità e non come un fardello", conclude.

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Sace e Teha aprono alle Pmi italiane le porte del Forum...

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Sace e Teha aprono alle Pmi italiane le porte del Forum Ambrosetti di Cernobbio

In occasione della 50esima edizione del Forum di Cernobbio, Sace porta le PMI a Villa d’Este, grazie alla partnership con Teha, con un hub interamente dedicato a queste aziende e al loro ruolo strategico per il tessuto economico italiano. In occasione del Forum l'Amministratore Delegato di Sace Alessandra Ricci - insieme ad Alessandro Terzulli, Chief Economist di Sace, e Lorenzo Tavazzi, Senior Partner e Responsabile dell’Area Scenari e Intelligence e dello Sviluppo Internazionale di Teha Group - ha presentato la ricerca 'Obiettivo Sparkling. Pmi e filiere italiane a prova di futuro' realizzata dall’Ufficio Studi di Sace in collaborazione con Teha, che analizza le trasformazioni che spingeranno la competitività del Made in Italy nel mondo: innovazione 4.0, sostenibilità ed export. Temi trattati anche dal Presidente del Consiglio Giorgia Melonia nel suo discorso di stamattina che ha sottolineato di come in Europa ci sia un problema di competitività.

"Sace partecipa al Forum di Cernobbio insieme alle PMI italiane, offrendo loro la possibilità di seguire virtualmente la tre giorni di lavori, incontri e dibattiti, e soprattutto portando di seguire virtualmente la tre giorni di lavori, incontri e dibattiti, e soprattutto portando all’attenzione di questo autorevole contesto l’importanza e le prospettive per le piccole e medie imprese italiane, alle prese con le sfide e le opportunità della transizione sostenibile e digitale", ha dichiarato la Ricci, ricordando come "Sace, in linea con la missione e gli obiettivi del nostro Piano Industriale Insieme 2025, è già al fianco di 51 mila PMI italiane nei loro progetti di investimento e crescita sostenibile in Italia e nel mondo e contiamo di raggiungerne 65 mila nell’arco di Piano". "Abbiamo superato gli 80 miliardi di euro di progetti sostenuti al fianco di PMI e filiere italiane, generando un impatto di 220 miliardi di euro sul sistema produttivo e supportando 1 milione e 300 mila posti di lavoro. Lo Studio che portiamo oggi al Forum di Cernobbio parte da questa esperienza per aumentare le opportunità di crescita per il tessuto economico nazionale" ha concluso.

Le Pmi - si ricorda in una nota- rappresentano la spina dorsale dell’economia italiana e giocano un ruolo importantissimo sia in chiave economica sia in chiave sociale: le oltre 200mila PMI italiane producono un giro di affari di oltre 1.400 miliardi di euro, realizzano all’estero circa un terzo del proprio fatturato (circa 7 punti percentuali sopra alle tedesche) e contribuiscono a quasi la metà dell’export nazionale (45%, rispetto al 20% delle tedesche e delle francesi e al 32% delle spagnole). Peraltro più di un terzo delle Pmi italiane (il 37%) investe in innovazione e formazione e questo accresce del 15% l’export capability di un’impresa.

Anche per le grandi imprese italiane si prevede una dinamica positiva, fino al +3,8% quest’anno e al +5,8% nel 2025. “Le oltre 200 mila piccole e medie imprese giocano un ruolo fondamentale nell’economia italiana – ha dichiarato il Chief Economist di Sace, Alessandro Terzulli - Secondo le nostre stime le esportazioni delle PMI italiane cresceranno dell’1,5% circa nel 2024 e del 3,5% nel 2025, raggiungendo i 260 miliardi di euro grazie in particolare al traino delle medie imprese. Una export capability che può crescere, puntando su due leve strategiche: la trasformazione tecnologica, anche in chiave sostenibile, e l’integrazione in più filiere produttive.”

A guidare la crescita delle vendite estere delle PMI quest’anno sarà l’Oriente: Medio Oriente e Asia Orientale sono le aree per cui sono infatti previsti significativi incrementi, rispettivamente +6,1% e +2,3%. Non sarà da meno l’America settentrionale (+3,8%), mentre la crescita sarà piatta verso l'Unione Europea, che rimane comunque la principale area di destinazione. Nel 2025 un maggior dinamismo verrà mostrato dall’Africa subsahariana (+10,1%).

L’integrazione nelle filiere rappresenta un elemento centrale per la competitività delle PMI, grazie all’interconnessione dei processi produttivi. Un potenziale ad oggi largamente inespresso, considerando che la maggior parte delle imprese italiane (in media 4 su 5) dichiara di partecipare a una sola filiera.

Lo Studio ha identificato le 8 principali filiere a rilevanza sistemica – macchine industriali, edilizia, agro-alimentare, abbigliamento, mezzi di trasporto su gomma, energia, sanità, farmaceutica e cure – che da sole rappresentano il 56,4% del Valore Aggiunto, il 52,3% dell’occupazione e il 67,3% dell’export delle unità con almeno 3 addetti. Ed evidenzia, tra le altre, le “filiere del futuro” relative a edilizia intelligente (smart building), agro-alimentare (agritech) ed energie rinnovabili e alternative (come l'eolico offshore e l’idrogeno).

"Il modello distrettuale si conferma un pilastro fondamentale per il sistema produttivo nazionale. È in corso un’evoluzione verso una crescente integrazione lungo le catene del valore che consentirà alle imprese italiane di affrontare le sfide di un mercato sempre più globale e competitivo e di superare alcuni limiti dei distretti tradizionali. Nello specifico, abbiamo identificato alcune filiere informali - ovvero non censite a livello statistico - e cross-settoriali - che tagliano trasversalmente più settori - su cui l’Italia potrà rafforzare e consolidare il proprio posizionamento in termini di attivazione occupazionale, produzione industriale e proiezione sui mercati esteri. Ad esempio, stimiamo che nei prossimi anni la trasformazione del patrimonio edilizio in Italia nella direzione dello 'smart building' possa generare oltre 200.000 posti di lavoro qualificati e specializzati, così come importanti prospettive possono provenire dalla filiera agritech e delle tecnologie rinnovabili e alternative su cui l’Italia è già oggi ai primi posti in Europa (2° Paese europeo per Valore Aggiunto nei settori attivati dall'eolico offshore galleggiante e 2° produttore europeo di tecnologie meccaniche potenzialmente utilizzabili nella filiera dell’idrogeno)", ha spiegato Lorenzo Tavazzi, Senior Partner e Responsabile dell’Area Scenari e Intelligence e dello Sviluppo Internazionale di Teha Group.

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