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Elon Musk, la figlia transgender è morta? Solo per lui

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La figlia transgender di Elon Musk, Vivian Jenna Wilson, ha denunciato pubblicamente i gravi comportamenti avuti dal padre durante la sua infanzia. Nella sua prima intervista, rilasciata a NBC News, Wilson ha accusato il magnate di essere stato un padre assente e crudele che non ha mai accettato l’orientamento queer di sua figlia.

Elon Musk contro la figlia transgender: cosa ha detto

A far scaturire tutto è stato lo stesso Musk che lunedì scorso, 22 luglio, ha parlato della loro relazione in un’intervista video con lo psicologo e commentatore conservatore Jordan Peterson, trasmessa in diretta su X.
In questa occasione, il Ceo di Tesla ha affermato di non supportare l’identità di genere di Wilson: “Ho perso mio figlio, essenzialmente”, ha detto Musk. Per lui la figlia è “morta, uccisa dal virus della mente woke”.

Musk, padre di dodici figli, ha anche affermato di essere stato “ingannato” quando gli è stata chiesta l’autorizzazione a un trattamento medico transgender per Wilson, all’epoca 16enne.

La risposta di Vivian Jenna Wilson

In seguito a queste gravi dichiarazioni, Wilson ha deciso di rompere il silenzio. Per prima cosa, ha smentito il padre: “Non è stato affatto ingannato. Conosceva tutti gli effetti collaterali” ha ribattuto la giovane ragazza, sottolineando che il consenso dei genitori era necessario per procedere con il trattamento.

Ma sono state soprattutto le affermazioni di totale disconoscimento della figlia ad aver spinto Wilson ad agire: “Penso che lui desse per scontato che non avrei detto niente e che avrei lasciato correre, senza essere contestato. – ha spiegato – Cosa che non farò perché se menti su di me, tipo, sfacciatamente a un pubblico di milioni di persone, non lascio correre.”

L’infanzia difficile di Wilson e il padre assente

Il suo astio, la sua rabbia sono indicative della difficile infanzia avuta da Vivian Jenna Wilson, oggi 20enne. Raccontando le sue esperienze dolorose, Wilson ha svelato il lato oscuro di Musk. Ha raccontato che il padre era raramente presente nella sua vita, lasciando lei e i suoi fratelli sotto la cura della madre o delle tate, nonostante la custodia congiunta: “Era con noi forse il 10% del tempo, e mi sto tenendo larga”, ha spiegato la giovane ragazza.

“Era freddo”, “Si arrabbia molto facilmente. È indifferente e narcisista”. E quando era presente, la rimproverava. Il magnate ha sempre mostrato un forte risentimento nei confronti della figlia, di cui non ha mai accettato il percorso di transizione.

Nell’intervista telefonica all’emittente americana, Wilson ha anche riportato episodi di molestie verbali da parte di Musk, che la rimproverava per il suo comportamento femminile sin dalla tenera età. “Ero in quarta elementare… e lui continuava a urlarmi contro in modo feroce perché avevo la voce troppo alta,” ha raccontato Wilson. “È stato crudele”.

Un rapporto così viziato che, per la ragazza, la pandemia è stata una manna dal cielo. Wilson ha raccontato che il lockdown è stata l’opportunità per sfuggire alla crudeltà di Musk, permettendole di vivere sempre con sua madre. È stata una delle prime cose a cui ha pensato.

I due coming out e il cambio di cognome

Wilson ha rivelato di aver fatto coming out due volte: una volta come gay in seconda media e una seconda volta come transgender a 16 anni. Come per tutte e per tutti coloro che iniziano questo percorso, anche per lei non è stato facile prendere la decision di iniziare il trattamento per la disforia di genere. Un percorso reso ancora più difficile dall’opposizione del padre: Wilson ha ottenuto il necessario consenso di entrambi i genitori, solo dopo mesi di insistenza. è stata difficile il necessario consenso di entrambi i genitori solo dopo mesi di insistenza. “Ci ho provato per mesi, ma lui ha detto che dovevo incontrarlo di persona” ha detto spiegando che “A quel punto, era molto chiaro che entrambi nutrivamo profondo disprezzo l’uno per l’altra”.

Non a caso, porta un cognome diverso da quello del padre. La sua storia ha iniziato ad attirare l’attenzione due anni fa, quando ha chiesto al tribunale della California l’approvazione per cambiare cognome. “Non vivo più con il mio padre biologico e non desidero più essere imparentata con lui in alcun modo, forma o aspetto”, ha affermato nella documentazione depositata in tribunale. Wilson non si aspettava tutto quel clamore mediatico in seguito alla sua decisione.

Oggi non solo riscriverebbe le frasi condivise con il tribunale, ma, alla luce del clamore dato alla notizia, sarebbe ancora più esplicita.

Vivian Jenna Wilson e il percorso di transizione

Il fondatore di SpaceX, notoriamente vicino a Donald Trump, ha persino attribuito la transizione di sua figlia alle proprie posizioni conservatrici. Una teoria che Wilson respinge con forza, spiegando che il trattamento ricevuto le ha permesso di avere la vita che voleva, nonostante i numerosi ostacoli burocratici e personali.

Wilson ha anche criticato la biografia di Musk scritta da Walter Isaacson, definendola inaccurata e ingiusta nei suoi confronti, e ha sottolineato di non essere mai stata contattata direttamente dall’autore prima della pubblicazione.

La figlia di Elon Musk ha concluso l’intervista sottolineando la sua volontà di definire la propria vita e identità senza l’influenza di suo padre: “Vorrei sottolineare una cosa: sono un’adulta. Ho 20 anni. Non sono una bambina,” ha detto. “La mia vita dovrebbe essere definita dalle mie scelte.”

Le controverse posizioni di Musk

Negli ultimi anni, Musk, che a dicembre ha partecipato al Festival di Atreju di Fratelli d’Italia, ha preso una svolta radicale verso la politica conservatrice, conducendo una campagna contro le persone transgender e le politiche progettate per supportarle. Questo mese, ha dichiarato che avrebbe ritirato le sue attività dalla California per protestare contro una nuova legge statale che impedisce alle scuole di richiedere che i bambini transgender facciano coming out con i loro genitori.

Wilson ha dichiarato alla NBC News che per anni aveva pensato di parlare apertamente del comportamento di Musk come genitore e come persona, ma che non poteva più rimanere in silenzio dopo i commenti fatti dal magnate lunedì scorso, in diretta su X.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Donne, tre esami del sangue per scoprire ictus e infarto...

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Tre esami del sangue per diagnosticare il rischio di ictus o infarto di una donna fino a trent’anni prima che si verifichino. Lo studio condotto dal Brigham and Women’s Hospital di Boston, e presentato al Congresso della Società Europea di Cardiologia (Esc), è un grande passo avanti nel contrasto al rischio cardiovascolare delle donne. L’analisi si concentra su tre biomarcatori fondamentali, ecco come funziona.

I tre marcatori chiave per individuare ictus e infarto nelle donne

Secondo lo studio condotto su 27.939 donne statunitensi nel contesto del Women’s Health Study, il monitoraggio combinato di alcuni marcatori biologici può predire il rischio di eventi cardiovascolari in modo più accurato rispetto all’analisi di uno solo:

Proteina C-reattiva ad alta sensibilità (hsCRP): questo esame misura il livello di infiammazione nel corpo. L’infiammazione, pur essendo spesso trascurata, ha un impatto significativo sul rischio cardiovascolare;
Colesterolo LDL (low-density lipoprotein): conosciuto anche come colesterolo “cattivo”, questo esame permette di valutare il rischio legato all’accumulo di grassi nelle arterie, con conseguente aumento del rischio di infarti e ictus;
Lipoproteina(a) [Lp(a)]: si tratta di una lipoproteina che gioca un ruolo cruciale nella predisposizione genetica a malattie cardiovascolari. Questo esame viene eseguito una sola volta nella vita, ma ha un forte valore predittivo.

Durante il periodo di osservazione di trent’anni, sono stati rilevati 3.662 eventi cardiovascolari importanti, come infarti, ictus o la necessità di interventi di rivascolarizzazione.

Il ruolo dell’infiammazione nella prevenzione cardiovascolare

Uno dei punti centrali dello studio condotto da Paul Ridker e dal suo team è che, sebbene abbia un peso simile a quello del colesterolo nel determinare il rischio cardiovascolare, spesso l’infiammazione non viene monitorata adeguatamente. La misurazione della hsCRP, in combinazione con gli altri due marcatori, si è rivelato un indicatore fondamentale per prevenire eventi cardiovascolari: le donne con i livelli più alti di hsCRP presentavano un rischio del 70% maggiore di subire un evento cardiovascolare significativo nei successivi trent’anni rispetto alle donne con un livello di hsCRP più basso.

In particolare, l’infiammazione ha mostrato un impatto ancora più marcato nel rischio di ictus. Le donne con i livelli più elevati di tutti e tre i marcatori avevano una probabilità 3,7 volte superiore di essere colpite da ictus nei successivi trent’anni rispetto a quelle con livelli più bassi.

Prevenzione personalizzata: perché è fondamentale agire in anticipo

La rilevanza di questa ricerca risiede nella possibilità di utilizzare questi esami come strumenti di prevenzione personalizzata. Come sottolinea Julie Buring, coautrice dello studio e ricercatrice del Brigham’s Division of Preventive Medicine, “Aspettare che le donne abbiano 60 o 70 anni per iniziare la prevenzione è una ricetta per il fallimento”. Le donne spesso sono sottodiagnosticate per quanto riguarda il rischio cardiovascolare, e interventi tempestivi, già nella mezza età, potrebbero fare la differenza tra una vita sana e un futuro di problemi cardiaci.

Le misurazioni di hsCRP, LDL e Lp(a) forniscono una fotografia del rischio cardiovascolare individuale, permettendo ai medici di intervenire con un approccio mirato. Questo può includere modifiche nello stile di vita, come un’alimentazione sana, attività fisica regolare e l’eliminazione del fumo, combinate, se necessario, con terapie farmacologiche personalizzate.

I benefici a lungo termine della prevenzione cardiovascolare

Prevenire è meglio che curare, prevenire con precisione ancora di più. In tal senso, la combinazione dei dati ottenuti da questi tre esami offre un’opportunità unica di implementare una prevenzione cardiovascolare mirata e personalizzata. Il futuro della prevenzione potrebbe includere nuovi farmaci mirati a ridurre i livelli di Lp(a) e a controllare meglio l’infiammazione, aumentando significativamente le possibilità di evitare eventi cardiovascolari maggiori.

Il messaggio chiave che emerge dallo studio è chiaro: i medici devono essere proattivi nel monitoraggio del rischio cardiovascolare nelle donne, senza aspettare che i sintomi si manifestino. Come afferma il dott. Ridker, “i medici non possono curare ciò che non misurano”, e la combinazione di hsCRP, LDL e Lp(a) rappresenta uno strumento potente per la prevenzione a lungo termine.

Il ruolo della menopausa nelle malattie cardiovascolari

Se le donne sono tendenzialmente molto attente per gli screening del tumore del seno e dell’utero, lo stesso non si può dire per le malattie cardiovascolari, spesso associate agli uomini e sottovalutate dalle donne. Alcuni fattori di rischio sono uguali a quelli degli uomini, ma altri sono esclusivi della biologia femminile, come per esempio la menopausa precoce, tra i 30 e 40 anni, e alcune malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide, la miastenia, la tiroidite e altre che hanno una prevalenza nelle donne con conseguenze importanti sulla loro qualità di vita e sulla salute cardiaca.


Soprattutto la menopausa rappresenta una variante importante per la salute cardiovascolare femminile. Per tutta l’età fertile, la donna è protetta dall’infarto grazie al cosiddetto “ombrello estrogenico”, cioè gli ormoni femminili, ma quando subentra la menopausa questo viene meno. Non solo: le donne rischiano di confondere alcuni sintomi dell’infarto con quelli della menopausa. È il caso della mancanza di fiato nel salire le scale, del dolore toracico anche passeggero, del gonfiore agli arti, della sudorazione ‘fredda’, o di episodi di tachicardia. Per questo, diventa cruciale prevenire e farlo bene, senza mai abbassare la guardia.

L’analisi del rischio cardiovascolare nelle donne è un campo in continua evoluzione. Le nuove strategie di prevenzione si stanno muovendo verso un approccio sempre più personalizzato, basato su esami del sangue mirati e sul controllo precoce dei principali fattori di rischio. Questo non solo permette di ridurre il rischio di infarti e ictus, ma offre anche l’opportunità di migliorare la qualità della vita di milioni di donne in tutto il mondo.

Le future innovazioni mediche, unite a screening regolari e a un controllo più stringente dei fattori di rischio, potrebbero rappresentare una svolta nel campo della prevenzione cardiovascolare femminile.

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Rifare subito il letto fa bene? Sì, ma agli acari

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Rifai il letto appena sveglio o sveglia? Forse non stai facendo la scelta giusta. Uno studio della Kingston University di Londra ha rivelato che non rifare il letto appena alzati potrebbe aiutare a combattere gli acari della polvere, responsabili di allergie che in Italia colpiscono tra il 10% e il 20% della popolazione. Questo perché gli acari prosperano in ambienti caldi e umidi, come quelli che si creano rifacendo il letto subito al mattino. Lasciando invece il letto disfatto per un po’ di tempo, la temperatura e l’umidità tra lenzuola e materasso diminuiscono, rendendo l’ambiente meno favorevole alla sopravvivenza di questi piccoli parassiti. Vediamo cosa succede.

Non rifare il letto e altre strategie anti-acari

I ricercatori della Kingston University hanno esposto gli acari a diverse combinazioni di temperatura e umidità relativa, sviluppando un modello matematico per prevedere come varia la loro popolazione in funzione delle condizioni ambientali. Hanno scoperto che lasciando il letto disfatto al mattino, si riduce la temperatura e l’umidità nelle lenzuola, fattori critici per la sopravvivenza degli acari. Mantenere una temperatura inferiore ai 22°C e un’umidità relativa al di sotto del 50% può ridurre drasticamente la loro popolazione, eliminandola completamente in un periodo compreso tra 6 e 11 giorni.

Oltre a lasciare il letto disfatto, ci sono altri modi per ridurre la presenza di questi inquilini non paganti. Il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità ha condiviso alcune linee guida “anti-acari”:

Contenere l’umidità nelle stanze;
Arieggiare frequentemente gli ambienti;
Utilizzare materiali sintetici per materassi e cuscini;
Preferire superfici lisce che possono essere pulite facilmente;
Lavare la biancheria da letto e le tende a 60°C per uccidere eventuali acari.

Gli acari della polvere: cosa sono e perché sono un problema

Gli acari della polvere sono microscopici aracnidi, lunghi circa 1 mm, che si nutrono di cellule morte della pelle umana e animale. Le specie più comuni negli ambienti domestici sono Dermatophagoides pteronyssinus e Dermatophagoides farinae. Come spiegato da Geopop, questi organismi non bevono acqua, ma la assorbono dall’umidità presente nell’aria attraverso delle ghiandole. Gli acari hanno una proliferazione massima in ambienti con un’umidità compresa tra il 55% e il 73% e una temperatura tra i 15°C e i 35°C.

La loro presenza è la causa principale dell’allergia alla polvere, ma non ne è la causa diretta. Starnuti, prurito nasale, lacrimazione e tosse, infatti, non sono causati dagli acari in sé, ma dalle glicoproteine presenti nei loro escrementi e nei corpi morti. Questi allergeni si accumulano su materassi, cuscini, tappeti e coperte e vengono inalati, soprattutto quando si smuove la polvere proprio come avviene quando si rifà il letto. Per questo, bisogna aspettare che le condizioni sfavorevoli agli acari facciano il loro corso.

Rifare il letto, gli effetti sulla salute

La presenza degli acari, tuttavia, non può essere il nostro unico pensiero quando pensiamo se rifare o meno il letto. Per molti si tratta di una semplice abitudine, qualcosa che si fa in poco tempo, magari mentre si pensa a cosa accadrà nella giornata appena iniziata, ma secondo la scienza rifare il letto può avere un impatto significativo sulla salute mentale, sulla produttività e persino sulla qualità del nostro sonno.

Benefici psicologici e produttività

Uno degli aspetti più interessanti di rifare il letto è l’effetto che ha sulla nostra mente. Secondo l’ammiraglio della Marina degli Stati Uniti, William H. McRaven, in un suo famoso discorso motivazionale, rifare il letto è il primo passo verso una giornata produttiva. Questo semplice gesto ci permette di iniziare la giornata con un piccolo successo, che può stimolare un effetto domino di altre azioni positive.

Come sottolineato in un sondaggio condotto da Hunch.com, le persone che rifanno il letto sono più inclini a sentirsi soddisfatte e produttive rispetto a chi non lo fa. Il sondaggio ha rivelato che il 71% di coloro che rifanno il letto si dichiarano felici, rispetto al 62% di coloro che non hanno questa abitudine.

Miglioramento della qualità del sonno

Rifare il letto può anche migliorare significativamente la qualità del sonno. Secondo uno studio della National Sleep Foundation, il 44% delle persone che rifanno il letto quotidianamente dichiara di dormire meglio rispetto a chi non lo fa. Questo succede perché a livello mentale un letto ordinato e ben curato riduce lo stress e favorisce il rilassamento, facilitando così l’addormentamento e migliorando la qualità complessiva del sonno.

Benefici per la salute mentale e l’autodisciplina

La connessione tra ordine esterno e calma interiore può avere effetti anche quando il letto è vuoto, mentre noi dobbiamo produrre. Secondo alcuni studi, infatti, rifare il letto può essere visto come una forma di cura di sé che contribuisce a mantenere un senso di controllo e stabilità. Un ambiente domestico ordinato aiuta a ridurre i livelli di stress e ansia, elementi che possono influenzare negativamente la salute mentale. Charles Duhigg, autore di “The Power of Habit” (Il potere dell’abitudine”), evidenzia che piccole abitudini come rifare il letto possono fungere da “keystone habits”, abitudini chiave che promuovono ulteriori comportamenti positivi e migliorano il benessere generale.

L’abitudine di rifare il letto ogni mattina è anche collegata allo sviluppo della disciplina personale. La psicologa sociale Angela Duckworth, autrice del libro “Grit: Il potere della passione e della perseveranza”, sostiene che piccole azioni di autodisciplina possono rafforzare la nostra capacità di affrontare sfide più grandi nella vita. In questo senso, rifare il letto rappresenterebbe un atto di volontà e autodisciplina, che può rafforzare la resilienza psicologica e la capacità di mantenere altre abitudini positive.

In fin dei conti, se proprio non vi va di rifare il letto, potrete sempre dare la colpa agli acari.

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“I figli degli altri” e l’evoluzione della maternità nella...

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Ieri, giovedì 5 settembre, il film I figli degli altri (Les enfants des autres, 2022), diretto da Rebecca Zlotowski, ha debuttato in prima tv su Rai 3. Presentata in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2022, la pellicola francese mette al centro il tema della maternità e si inserisce in un contesto che riflette le dinamiche demografiche attuali e come stanno cambiando i concetti di famiglia e genitorialità.

“I figli degli altri”, di cosa parla

Al centro della trama c’è Rachel, una donna senza figli biologici che si innamora di un uomo divorziato e si avvicina profondamente alla figlia di lui, Lea. La pellicola diventa una riflessione sui ruoli familiari non tradizionali, sulle complessità emotive dell’essere genitori in un mondo sempre più frammentato e sulle difficoltà per le donne che scelgono di non avere figli o non possono averli.

Uno dei messaggi più forti del film è l’idea che la famiglia possa estendersi oltre i vincoli del sangue. Rachel diventa un esempio di quella che possiamo definire la “madre sociale”, un ruolo che nel panorama demografico attuale sta guadagnando sempre più rilevanza. Con l’aumento delle separazioni, divorzi e famiglie ricostituite, figure come quella di Rachel sono sempre più comuni: donne e uomini che si trovano a investire in relazioni affettive con i figli del partner, contribuendo alla loro educazione e crescita emotiva, pur senza legami genetici diretti.

Un fenomeno in aumento in Italia e in Europa. Come dimostrano i dati Istat, il numero di famiglie ricostituite è cresciuto significativamente negli ultimi vent’anni, e il film di Zlotowski offre uno specchio su questa realtà, portando in primo piano le complessità emotive e psicologiche che ne derivano. Rachel si ritrova a vivere l’esperienza materna, ma in modo frammentato e temporaneo, sapendo che il legame con Lea potrebbe finire nel momento in cui la sua relazione con il padre di Lea si dovesse interrompere.

La “maternità ritardata”

Un altro tema centrale è quello della maternità “ritardata” o mancata. Rachel ha da poco passato i 40 anni e si trova in quel limbo esistenziale tipico di molte donne moderne: divisa tra la carriera, la vita sentimentale e la possibilità di diventare madre.

Che a licenziarsi siano soprattutto le donne neomamme lo confermano i dati sulle dimissioni nel corso del 2022: 44.669 dimissioni convalidate, ovvero il 72,8% del totale. Le donne hanno denunciato le difficoltà di conciliazione tra lavoro e vita privata. Una tematica demografica ma anche di equità sociale, visto che la cura della famiglia ricade (ancora) molto più sulle donne che sugli uomini.

Il 63% delle donne dimesse ha individuato nella difficile conciliazione la principale causa delle dimissioni, a differenza del 7,1% dei papà che hanno dato questa motivazione come causa.

Gli ultimi dati Istat certificano che, in Italia, l’età media al parto è pari a 32,4 anni, stabile rispetto al 2021, più alta per le italiane (32,9) rispetto alle straniere (29,6), e cresciuta di oltre due anni rispetto al 1995. Il conflitto con la carriera è una delle tante motivazioni per cui sempre più donne a scegliere la maternità surrogata o la crioconservazione. “Ho detto a mia figlia Matilde, che adesso ha 17 anni: ‘Quando hai 21 anni ti regalo il social freezing, così non ci pensi più, ti fai la tua vita e quando vuoi una gravidanza li hai già (gli ovociti, ndr.)”, ha rivelato a marzo la modella Bianca Balti in una diretta Instagram con la ginecologa Marina Bellavia.

Il ruolo della donna: tra libertà e imposizioni culturali

Rachel è il simbolo di una generazione di donne che, più che in passato, ha la libertà di decidere se e quando diventare madri. Una libertà che, però, spesso è accompagnata da una grande pressione culturale e sociale. Rachel deve confrontarsi non solo con il desiderio di avere un figlio, ma anche con l’aspettativa sociale che una donna debba, prima o poi, diventare madre per sentirsi completa.

La questione della maternità è qui trattata con grande sensibilità, evitando facili risposte. Il film invita a riflettere su come la società percepisca la maternità e come spesso si associ il concetto di realizzazione personale al diventare genitori. Le scelte di Rachel rispecchiano un cambiamento demografico più ampio.

Maternità sociale: un nuovo capitolo nella demografia?

Uno degli aspetti demografici più interessanti che emerge dal film è l’idea di maternità “sociale”, una forma di maternità che non si basa sulla biologia ma sui legami affettivi. Questo tema si inserisce in un contesto più ampio di cambiamenti nelle dinamiche familiari, dove sempre più persone si trovano a esercitare ruoli genitoriali al di fuori delle strutture tradizionali. Le famiglie ricostituite, l’adozione e i nuovi modelli di convivenza fanno sì che il concetto di famiglia stia evolvendo, e con esso, il ruolo della madre.

Secondo uno studio Eurostat del 2023, le famiglie monoparentali e ricostituite sono in aumento in molti Paesi Ue. Più nello specifico, quasi la metà delle famiglie con bambini ha un solo figlio (48,9%), mentre il 38,2% ha due figli, e solo il 12,9% ne ha tre o più. Questo dato è rilevante soprattutto in Paesi come Italia e Lituania, dove la percentuale di famiglie con tre o più figli scende sotto il 10%​. In Italia le coppie che con tre o più figli rappresentano l’8,7% del numero complessivo dei nuclei familiari; una percentuale che scende all’1% se si considerano le coppie con quattro o più figli. Meno di una settimana fa, domenica 1°settembre, a Brescia c’è stato il raduno delle famiglie numerose, che hanno chiesto maggiore supporto dalla politica.

Questi numeri suggeriscono un cambiamento nelle dinamiche familiari e sociali.

Il concetto di “famiglia tradizionale” si sta evolvendo, anche a causa di una crescente accettazione di modelli alternativi, come le famiglie monoparentali o le famiglie ricostituite. Famiglie di questo tipo rappresentano una parte importante del tessuto sociale, con un forte impatto sia sulle politiche sociali che sull’economia. Inoltre, la progressiva diminuzione delle famiglie numerose è accompagnata da una crescente urbanizzazione e dai cambiamenti nei modelli di occupazione: in circa il 60,7% delle famiglie con bambini, tutti gli adulti sono occupati​, un dato che dà particolare rilievo al ruolo dei caregiver.

In questo senso, film come I figli degli altri offrono uno spunto di riflessione per capire le questioni demografiche oltre i semplici dati numerici. Ragionare per compartimenti stagni impedisce di trattare la tematica demografica in maniera efficace-Bisogna entrare nella vita delle persone per capirne le scelte, i sogni, le difficoltà economiche. E quel profondo senso di disillusione, questo sì, figlio del nostro tempo, che incide anche sulla voglia di avere o non avere figli.

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