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Gaza, Harris: “Tempo che guerra finisca, non resterò in silenzio”

Con un tono più duro rispetto a quello del presidente Biden, la vice ha affermato di aver espresso chiaramente a Netanyahu le sue "serie preoccupazioni" in merito alle vittime

Kamala Harris - Fotogramma /Ipa

"È tempo che questa guerra finisca". A dirlo è stata la vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris in quello che ha definito un colloquio "franco e costruttivo" con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Usando un tono più duro rispetto al presidente Joe Biden, la Harris ha affermato di aver espresso chiaramente le sue "serie preoccupazioni" in merito alle vittime di Gaza, sottolineando con Netanyahu quanto sia importante il modo in cui Israele si difende. Harris ha inoltre sottolineato la necessità di trovare un percorso verso una soluzione a due Stati.

"Non possiamo permetterci di restare insensibili di fronte alla sofferenza e non resterò in silenzio", le parole di Harris nella conferenza stampa dopo l'incontro con il primo ministro israeliano.

La reazione israeliana

Le parole della vicepresidente potrebbero ritardare un accordo sugli ostaggi, ha affermato un funzionario israeliano, riferendosi alle dichiarazioni della Harris, rilasciate dopo aver incontrato il primo ministro. "Spero che le cose che la vicepresidente ha detto in una conferenza stampa non vengano interpretate da Hamas come una frattura in via di sviluppo tra Israele e gli Stati Uniti, che ritarderebbe un accordo", ha detto il funzionario.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Esteri

Ucraina, ministri Difesa Nato: “Minacce Russia...

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Incontro a Berlino per discutere le misure per rafforzare la sicurezza e la difesa in Europa

Ucraina, ministri Difesa Nato:

Non solo all'Ucraina: le minacce della Russia sono rivolte anche ai paesi Nato allo stesso tempo. Dopo il lancio del nuovo missile a medio raggio, è questa la convinzione dei ministri della Difesa di Germania, Francia, Polonia, Italia e Regno Unito, che ieri si sono incontrati a Berlino per discutere le misure per rafforzare la sicurezza e la difesa in Europa. Il Ministro della Difesa ucraino Rustem Umerov è intervenuto in videocollegamento.

Pistorius, il francese Sébastien Lecornu, il britannico John Healey, il polacco Wladyslaw Kosiniak-Kamysz e il sottosegretario italiano Isabella Rauti in rappresentanza del ministro Guido Crosetto si sono incontrati sullo sfondo dell'incombente presidenza statunitense di Donald Trump, notoriamente critico della Nato che ha chiesto all'Europa di investire molto più denaro nella propria sicurezza e che si prevede che taglierà gli aiuti militari all'Ucraina. La Germania e altri Paesi della Nato intendono incrementare la produzione di armi all'interno dell'Ucraina in risposta all'escalation delle azioni di guerra della Russia, ha dichiarato il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius. Lo sviluppo e l'acquisto di droni controllati dall'intelligenza artificiale è una priorità, ha detto, così come una migliore cooperazione per aiutare la produzione di munizioni.

“L'Ucraina deve essere in grado di agire da una posizione di forza”, ha detto Pistorius, sottolineando che l'invasione russa ha “assunto una dimensione internazionale”, riferendosi ai circa 10.000 soldati della Corea del Nord che il Presidente russo Vladimir Putin ha fatto entrare nel Paese per addestrarsi e combattere. "La Russia ha preso di mira l'Ucraina con un nuovo missile a medio raggio, che ha implicazioni di sicurezza per tutta l'Europa, ha avuto un ruolo durante le discussioni - ha detto Pistorius - Le minacce russe sono sempre rivolte a noi allo stesso tempo”.

Francia e Regno Unito non escludono l'ipotesi di inviare soldati in Ucraina.

E mentre aumenta la pressione delle forze armate russe nel Donetsk e le difficoltà ucraine a tenere botta, secondo Le Monde torna d'attualità la discussione sull'ipotesi di intervento di soldati di altri paesi. "Sono in corso discussioni tra Regno Unito e Francia sulla cooperazione in materia di difesa, in particolare con l'obiettivo di creare un nucleo di alleati in Europa, concentrato sull'Ucraina e sulla sicurezza europea in generale", riferisce a Le Monde una fonte militare britannica.

Germania pensa a bunker antiatomici

La Germania, davanti all'ipotesi di un'escalation della guerra tra Kiev e la Russia, comincia a pensare ai bunker antiatomici. Berlino sta stilando una lista di bunker che potrebbero rappresentare un rifugio di emergenza per i civili, come ha annunciato il ministero degli Interni, specificando che l'elenco includerebbe stazioni ferroviarie sotterranee, parcheggi, edifici statali e proprietà private.

Un portavoce del ministero ha dichiarato che verrà redatto un elenco digitale di bunker e rifugi di emergenza, in modo che le persone possano trovarli rapidamente utilizzando un'app telefonica. Il portavoce ha inoltre incoraggiato la popolazione a creare rifugi nelle proprie case, convertendo scantinati e garage.

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Esteri

Ucraina, asse Mosca-Pyongyang allarma Cina: silenzio su...

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Pechino teme che la collusione militare possa favorire la spinta americana a tessere una rete di alleanze con la Corea del Sud e il Giappone in Asia orientale

Esercito Corea del Nord

La Cina non vede di buon occhio il riavvicinamento e la crescente cooperazione tra Corea del Nord e Russia. A dirsene convinto è stato il vicesegretario di stato americano Kurt Campbell, dando il proprio contributo al dibattito tra i partner asiatici degli Stati Uniti sulla posizione cinese. Il silenzio di Pechino, secondo il ministero degli Esteri giapponese, sarebbe un chiaro segnale di questo disagio e del timore che la collusione militare sull'Ucraina possa favorire la spinta americana a tessere una rete di alleanze con la Corea del Sud e il Giappone in Asia orientale. Finalizzata, per la Cina, a limitare il suo potere.

Il gesto conciliante recentemente compiuto da Pechino nei confronti del Giappone - cui ha annunciato l'intenzione di rimuovere una boa di segnalazione installata all'interno della zona economica esclusiva giapponese vicino alle isole Senkaku, amministrate da Tokio, nel Mar Cinese Orientale - viene visto come il segno di uno sforzo volto a incoraggiare quanti in Giappone non vogliono essere coinvolti in un conflitto con la Cina diretto dagli Usa. Un passo piccolo, ma che riguarda un tema delicato.

"Il tema che sta diventando sempre più scomodo per gli interlocutori cinesi è l'impegno della Corea del Nord con la Russia", ha dichiarato Campbell - citato dal Guardian - nel corso di un recente seminario presso il Center for Strategic and International Studies, un thinktank di Washington. "In alcune discussioni che abbiamo avuto, sembra che li stiamo informando di cose di cui non erano a conoscenza sulle attività della Corea del nord, e sono preoccupati che l'incoraggiamento russo possa portare Pyongyang a contemplare mosse o azioni militari che potrebbero non rientrare nell'interesse della Cina". "La Cina non è intervenuta direttamente per criticare la Russia, ma crediamo che il crescente coordinamento tra Pyongyang e Mosca li stia innervosendo", ha aggiunto.

Frattura tra Cina e Russia?

Ma gli analisti non sono unanimi sull'esistenza di una frattura tra Cina e Russia. Per l'ammiraglio Samuel Paparo, a capo del Comando indo-pacifico degli Stati Uniti, nelle relazioni tra Russia, Cina e Corea del Nord c'è una "certa simbiosi transazionale". "La Corea del Nord - ha dichiarato al forum sulla sicurezza di Halifax - soddisfa le richieste di artiglieria e missili della Russia e la Russia in cambio fornirà probabilmente tecnologia missilistica e sottomarina alla Corea del Nord". La Cina da parte sua avrebbe fornito alla Russia il 90% dei suoi semiconduttori e il 70% delle sue macchine utensili per ricostruire la sua macchina da guerra.

Anche Andrew Shearer, direttore generale dell'Office of National Intelligence australiano, si è detto scettico sulla portata del disagio della Cina. "L'idea di ampliare presunte divisioni tra Putin e Xi è piuttosto fantasiosa e se non affrontiamo la realtà che Putin è ancora in guerra in Ucraina oggi solo grazie al sostegno militare, diplomatico e di tecnologia dual use della Cina, non riusciremo a elaborare strategie efficaci".

I dubbi del Giappone

I dubbi sull'atteggiamento della Cina si riflettono anche tra gli osservatori in Giappone. "Non è possibile che la Cina non sapesse cosa stava progettando la Russia. La Cina non può permettersi di vedere la Russia perdere contro l'Occidente, e se la Russia contribuisce a creare una propaganda" di successo, "sarà un precedente per la Cina nel tentativo di controllare Taiwain", ha dichiarato la professoressa Emi Mifune, della facoltà di legge dell'Università di Komazawa.

E per Hideya Kurata, dell'Accademia Nazionale di Difesa del Giappone, la posizione di Pechino non è di approvazione o disapprovazione, ma di disagio e difficoltà. Il conflitto - ha sottolineato - deve essere visto nel contesto della decisione della Corea del Nord di abbandonare gli sforzi per riunificare la penisola coreana. Pyongyang sta cercando di definire e impostare una escalation a tappe, progressiva, che parte dalle armi nucleari tattiche, si estende ai missili balistici a raggio intermedio diretti in Giappone, quelli a medio-lungo raggio diretti a Guam e ai missili balistici intercontinentali che potrebbero colpire la terraferma degli Stati Uniti.

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Esteri

Israele, tregua in Libano vicina. G7 cerca sintesi su...

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Il gabinetto di sicurezza israeliano si riunirà oggi per approvare il testo dell'accordo

Macerie in Libano - (Afp)

La notizia di un'intesa che mai come stavolta sembra vicina su un cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah piomba sul G7 Esteri a Fiuggi, dove i sette Grandi continuano a lavorare per trovare una sintesi sulla spinosa questione del mandato d'arresto spiccato dalla Corte penale internazionale (Cpi) per il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. "Siamo forse vicini a un cessate il fuoco in Libano, speriamo che sia vero e che non ci sia qualche marcia indietro dell'ultimo minuto", ha confermato il 'padrone di casa', il ministro degli Esteri Antonio Tajani, aprendo ieri la sessione della ministeriale con i rappresentanti del Quintetto arabo (Arabia Saudita, Qatar, Emirati, Giordania e Egitto).

Le notizie su una possibile svolta nel Paese dei cedri si sono rincorse per tutto il giorno. Secondo fonti ben informate citate dal quotidiano Asharq Al-Awsat, oggi il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e il capo dell'Eliseo, Emmanuel Macron, "annunceranno la cessazione delle ostilità tra Libano e Israele per un periodo di 60 giorni". I media israeliani sostengono che il gabinetto di sicurezza si riunirà per approvare il testo dell'accordo. Channel 12 riferisce che l'intesa sia stata finalizzata nelle scorse ore e che dovrebbe succedere "qualcosa di drastico" per far naufragare l'accordo. Lo stesso portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha confermato che l'accordo è "vicino", ma "non ci siamo ancora". Insomma tutti i segnali puntano in un'unica direzione.

I dettagli della tregua

L'accordo prevede che l'esercito di Beirut entri nel sud del Libano per un periodo di 60 giorni, mentre l'Idf si ritira. Il coordinamento con la parte libanese avverrà attraverso l'ufficio del capo del Comando Centrale degli Stati Uniti, il generale Michael E. Kurilla. L'organo di coordinamento includerà la Francia, il cui coinvolgimento è stato voluto da Washington e Beirut. Secondo la fonte, Israele si sarebbe convinto ad accettare il coordinamento di Parigi solo dopo che la Francia ha indicato di non voler procedere all'applicazione della sentenza della Corte penale internazionale sull'arresto di Netanyahu.

L'Idf potrà agire non solo nel caso di attacchi a Israele, ma anche contro i tentativi di Hezbollah di accrescere la propria potenza militare. È una “guerra tra le guerre” in Libano, ha spiegato la fonte, facendo riferimento agli sforzi fatti da Israele per impedire che le armi iraniane raggiungessero i proxy attraverso attacchi aerei e operazioni di intelligence, principalmente in Siria.

La posizione dell'Italia

"Prima di concludere bisogna avere tutti gli accordi definitivi. Siamo fiduciosi, siamo qua, vediamo che accade", ha detto cautamente il titolare della Farnesina, secondo cui in ogni caso da Fiuggi "parte un messaggio forte a favore del cessate il fuoco". L'Italia, ha ribadito, è "pronta a fare la sua parte proprio per il grande impegno che abbiamo profuso in Libano in questi anni" e a giocare un ruolo "non secondario" nel futuro del Paese. Le ultime resistenze al tavolo delle trattative arrivano dall'Iran, ha osservato il vice premier, che in mattinata ha anche incassato la solidarietà del suo omologo libanese Abdallah Bou Habib per gli attacchi contro i militari italiani di Unifil.

La Repubblica islamica è "un po' contraria" all'intesa "o quanto meno vuole allungare i tempi", ha spiegato Tajani, che già guarda al giorno dopo in Libano, immaginando una presenza di primo piano dell'Italia. "Per quanto riguarda il Libano ho dato la piena disponibilità dell'Italia ad essere protagonista, se ci sarà l'accordo ovviamente con i libanesi, per sorvegliare l'applicazione dell'accordo insieme agli Stati Uniti ed altri Paesi", ha scandito il ministro che auspica anche "un'Unifil più forte", con "diverse regole di ingaggio".

Richiesta arresto Netanyahu

A Fiuggi, come annunciato nei giorni scorsi, è stata affrontata anche la questione del mandato di arresto spiccato dalla Cpi per crimini di guerra e contro l'umanità nei confronti di Netanyahu, dell'ex ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, e del leader di Hamas, Mohammed Deif. I sette ministri delle economie più avanzate del mondo non hanno ancora maturato una posizione univoca e si continua a limare il testo della dichiarazione finale, ma i rispettivi direttori politici lavorano per una sintesi ed evitare che si proceda in ordine sparso su un tema su cui l'attenzione di Tel Aviv è massima.

"Nessuno è al di sopra della legge", ha indicato a Fiuggi la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock, mentre il suo omologo britannico, David Lammy, ha assicurato che il Regno Unito seguirà i principi del "giusto processo" se Netanyahu dovesse mettere piede oltremanica.

Nella prima sessione della ministeriale G7 "ho detto che bisognava avere una posizione univoca sulla decisione della Cpi. Abbiamo parlato, vediamo se si potrà avere nel comunicato finale una parte dedicata a questo", ha riferito Tajani, mentre da Teheran la Guida Suprema, Ali Khamenei, ha condito della consueta retorica anti-israeliana le sue dichiarazioni. Secondo l'ayatollah, che si è rivolto ai paramilitari Basij, contro i leader israeliani dovrebbero essere emesse condanne a morte, non mandati di arresto.

Il G7 a Fiuggi

Quella in corso a Fiuggi, che vede nel programma della prima giornata anche l'inaugurazione di una simbolica panchina rossa per dire no ai femminicidi nella giornata internazionale contro la violenze sulle donne, è la seconda ministeriale Esteri sotto presidenza italiana, dopo quella di Capri dell'aprile scorso, e l'ultima riunione prima della consegna del testimone al Canada, presidente di turno del G7 nel 2025. "L'unità in questo momento è la nostra forza", ha detto all'inizio della riunione Tajani, sottolineando come l'Italia, tra l'evento a Fiuggi ed i Med Dialogues in corso a Roma, "è protagonista e al centro del dibattito politico internazionale".

Dopo una prima giornata di lavori dedicata quasi esclusivamente alle crisi in Medio Oriente, oggi il focus si sposterà sull'Ucraina (sarà presente il ministro degli Esteri, Andrii Sybiha) e sulla situazione nell'Indo-Pacifico. Sullo sfondo, ma neanche troppo, c'è quanto accade sull'altra sponda dell'Atlantico, con gli occhi di tutti puntati sulle prossime mosse del presidente eletto, Donald Trump, che a gennaio entrerà alla Casa Bianca e ha già promesso che non avrà mezze misure su tutti i principali dossier internazionali.

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