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Covid, vaccino nasale blocca contagio: speranza anche contro l’aviaria

La dimostrazione da uno studio Usa: "I prodotti spray o per bocca possono prevenire il contagio e fermare epidemie o pandemie"

Vaccino spray anti covid - Fotogramma

Un vaccino nasale potrebbe rappresentare la svolta contro le infezioni respiratorie, riuscendo a fare quello in cui i vaccini iniettabili hanno fallito: prevenire la trasmissione del virus. Dal Covid all'influenza stagionale, dal virus respiratorio sinciziale (Rsv) fino all'aviaria considerata da molti esperti la nuova minaccia pandemica, i patogeni che viaggiano per via aerea troveranno un ostacolo difficile da superare nei cosiddetti vaccini mucosali che si spruzzano nel naso o si fanno cadere nella bocca. Lo hanno dimostrato i ricercatori della Washington University School of Medicine di St. Louis, grazie a un articolato esperimento condotto sui criceti utilizzando un vaccino nasale anti-Covid. I risultati dello studio sono pubblicati su 'Science Advances'.

I vaccini contro Covid-19, "sviluppati alla velocità della luce in pochi mesi" dopo la comparsa del nuovo coronavirus, sono stati "un trionfo della scienza moderna" e "hanno salvato milioni di vite", ricordano gli scienziati americani. Ma "nonostante tutto il bene che hanno fatto riducendo malattie e morti, le iniezioni non sono riuscite a fermare la pandemia" perché "non sono state in grado di bloccare la diffusione del virus". Un punto debole che i vaccini mucosali non avranno, sostengono gli autori del nuovo lavoro.

Lo studio e le prove

Usando un vaccino nasale anti-Covid basato su una tecnologia della Washington University, già approvato in India e concesso in licenza all'azienda biotech Usa Ocugen per un ulteriore sviluppo negli Stati Uniti, i ricercatori hanno fornito una prova inedita: i criceti vaccinati con lo spray, anche se infettati, non hanno passato il virus ad altri criceti, interrompendo così il ciclo di trasmissione. Un vaccino tradizionale iniettabile ha confermato invece di non farcela.

"Per prevenire la trasmissione virale è necessario mantenere bassa la quantità del patogeno nelle vie aeree superiori. Meno virus c'è, meno è probabile che si possa infettare qualcun altro tossendo, starnutendo o anche solo respirando", spiega Jacco Boon, professore di medicina, microbiologia molecolare e patologia e immunologia alla Washington University, autore senior della ricerca. "Questo studio dimostra che i vaccini mucosali sono superiori ai vaccini iniettabili nel limitare la replicazione virale e nel prevenire la trasmissione del virus a un'altra persona. In una situazione epidemica o pandemica - assicura l'esperto - questo è il tipo di vaccino su cui puntare". (segue)

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Sostenibilità

Ambiente, benessere, inclusione: il report di Serenissima...

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Il report esamina in profondità l’impatto ambientale e sociale della Società, nonché le azioni realizzate per migliorarlo, prendendo in considerazione i dati del biennio 2022-2023

Ambiente, benessere, inclusione: il report di Serenissima Ristorazione

Il secondo Bilancio di Sostenibilità di Serenissima Ristorazione, azienda leader del settore della ristorazione collettiva, prende in analisi le azioni e gli investimenti aziendali orientati ad un percorso di crescita e sviluppo sempre più inclusivo e sostenibile. Il report esamina in profondità l’impatto ambientale e sociale della Società, nonché le azioni realizzate per migliorarlo, prendendo in considerazione i dati del biennio 2022-2023.

"L’impegno per la sostenibilità orienta le nostre scelte d’impresa e le visioni aziendali e manageriali per il presente e per il futuro - commenta Maria Leida Putin, responsabile Area Tecnica di Serenissima Ristorazione - In questi due anni abbiamo migliorato la nostra efficienza energetica proseguendo verso una crescita responsabile e sostenibile che non rappresenta solamente un obbligo morale, ma una concreta opportunità per innovare creando valore condiviso. Sappiamo che il cammino verso la sostenibilità è lungo e richiede continui sforzi, ma siamo convinti che sia la scelta giusta per il futuro della nostra azienda e della società in generale".

Il Report traccia il percorso che caratterizzerà e guiderà le azioni future dell’azienda per ridurre ulteriormente il proprio impatto ambientale e continuare a contribuire in modo attivo al benessere sociale. A partire dal 2023 nasce la collaborazione con Animenta, associazione no profit che informa e sensibilizza su temi legati ai disturbi dell’alimentazione e della nutrizione. Grazie a questo accordo sono state donate terapie e svolti, in collaborazione, una serie di incontri in alcuni licei italiani per sensibilizzare, fare prevenzione e accrescere la consapevolezza sul tema. Mentre, tra i vari progetti a cui l’azienda aderisce legati all’inclusione sociale, spicca la collaborazione con Caritas, Legambiente e il 'Progetto 739', pensato per favorire l’inclusione e l’occupazione delle persone con disabilità.

Rivolgendo lo sguardo all’interno della Società, nel 2023 viene creata la Serenissima Corporate Academy pensata per migliorare le competenze di collaboratori e collaboratrici che vengono da più di 60 nazioni diverse, nonché promuovere l’innovazione. L’azienda è impegnata costantemente nella riduzione degli sprechi alimentari e sono svariate le iniziative attivate: ad esempio recupera il cibo perfettamente integro e non somministrato con successiva devoluzione attraverso il pasto solidale ad associazioni benefiche come il Banco Alimentare o altre strutture del territorio. Partnership con aziende come Too Good To Go si inseriscono in una visione aziendale sempre più orientata a un utilizzo e riutilizzo più consapevole delle risorse a disposizione perché ottimizzare il modello produttivo, rendendolo capace di risparmiare risorse e dare nuova vita a quelle impiegate, con l'obiettivo costante di ridurre i propri impatti e restituire all’ambiente un prodotto nuovamente utile, è una chiara visione aziendale: nel 2023 più di 14mila kg di rifiuti alimentari sono stati trasformati in prodotto utile come base per fertilizzante e nel campo del compostaggio.

L’anno scorso Serenissima Ristorazione ha portato avanti il piano di investimenti per lo sviluppo tecnologico e per la riduzione dell’impatto ambientale stanziando oltre 30 milioni di euro. Nel Centro di Cottura di Mogliano Veneto è installato un impianto fotovoltaico da 10 kWh che, nel corso degli anni, ha consentito di trasformare l'energia solare in elettricità senza l'uso di combustibili fossili, riducendo significativamente le emissioni di anidride carbonica. In ottica di continuo potenziamento e di abbattimento degli impatti ambientali, sono stati stanziati per il 2024 ulteriori 60 milioni.

Per incentivare attivamente lo sviluppo e il progresso della comunità locale, Serenissima Ristorazione partecipa a iniziative a corto raggio per una filiera a km 0 e privilegia i fornitori italiani che costituiscono il 99% della catena di fornitura. Questa scelta consente all’azienda di poter ridurre trasporti troppo lunghi e inquinanti e promuovere l’utilizzo di mezzi elettrici e carburanti green. Riconoscimento che conferma l’impegno attivo dell’azienda nella lotta al cambiamento climatico è la pergamena 'Green' del Premio Industria Felix, menzione speciale ricevuta nel mese di giugno 2024 relativa al primo Bilancio di Sostenibilità redatto dall’azienda prendendo in considerazione i dati del triennio 2019-2021. La pergamena 'Green' è stata conferita in concomitanza con il Premio Industria Felix che Serenissima Ristorazione si è aggiudicata come 'Miglior impresa del settore ristorazione per performance gestionale e affidabilità finanziaria Cerved con sede legale nella regione Veneto'.

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Salute e Benessere

Tumori, da mutazione prenatale leucemia linfoblastica acuta...

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Tumori, da mutazione prenatale leucemia linfoblastica acuta nel primo anno d'età

Colpisce i bambini nel primo anno di vita. E' una particolare forma di leucemia linfoblastica acuta e, in diversi casi, è correlata all'alterazione di un gene chiamato Nutm1. L'alterazione di questo gene si verifica quando il cromosoma in cui è localizzato si rompe e si ricostituisce in una forma modificata, che caratterizza, in diversi pazienti, le cellule di questa particolare tipologia di leucemia. E', in altre parole, una mutazione che avviene prima della nascita, e non è qualcosa di ereditario, perché mamma e papà non ne sono portatori. A dimostrare per la prima volta al mondo questa origine sono stati ricercatori italiani della Fondazione Tettamanti dell'Irccs San Gerardo dei Tintori di Monza.

La scoperta, pubblicata sul 'British Journal of Haematology', è stata possibile grazie all'analisi delle cellule del cordone ombelicale di una piccola paziente che oggi sta bene, dopo aver sviluppato la malattia diversi anni fa. Il cordone ombelicale era stato conservato e donato alla ricerca scientifica dalla famiglia della bambina. La mutazione di Nutm1 è di tipo somatico, si osserva solo nelle cellule leucemiche dei pazienti e non dei genitori e per questo è un'alterazione non ereditaria. Lo studio è stato sostenuto da Fondazione Tettamanti, Comitato Maria Letizia Verga (progetto Passaporto Genetico) e Fondazione Airc per la ricerca sul cancro.

"Il lavoro condotto congiuntamente dalle nostre ricercatrici Michela Bardini e Grazia Fazio è un ulteriore passo avanti nella comprensione delle componenti genetiche di questa malattia", ha osservato Giovanni Cazzaniga, responsabile dell'Unità di ricerca di genetica delle leucemie della Fondazione Tettamanti del San Gerardo. "La mutazione del gene Nutm1 fa parte delle decine di alterazioni genetiche legate all'insorgere della leucemia linfoblastica acuta e si osserva, in particolare, in circa il 5% dei bambini che ne sono colpiti nel primo anno di età. L'alterazione di Nutm1 è associata a una prognosi più favorevole della malattia, come è stato osservato in recenti ricerche internazionali, cui anche il nostro gruppo ha contribuito. Pertanto, studiare e rilevare questa mutazione, insieme alle altre alterazioni genetiche che caratterizzano questa patologia, dovrebbe consentire in futuro di definire approcci terapeutici ancora più precisi e mirati".

La leucemia linfoblastica acuta è un tumore del sangue che origina da un tipo particolare di globuli bianchi, chiamati linfociti. È detta acuta perché in genere è aggressiva e a progressione rapida. La forma che si manifesta nel primo anno d'età si osserva in meno del 5% pazienti che ogni anno sviluppano questa patologia. In Italia si contano circa 35-40 nuovi casi per milione di bambini e ragazzi (fonte Aiom-Airtum).

Le alterazioni genetiche associate alla leucemia linfoblastica acuta, tra cui quella nel gene Nutm1 oggetto dello studio, sono chiamate traslocazioni cromosomiche: in pratica una rottura nella struttura di un cromosoma fa sì che una parte di esso traslochi in un'altra posizione sullo stesso cromosoma o a volte, addirittura, su un altro cromosoma. In genere le cellule dei mammiferi, tra cui quelle umane, sono in grado di riparare la lesione, ripristinando la struttura originaria. In alcuni casi invece lo scambio di frammenti tra cromosomi non omologhi permane, con la possibilità che insorgano diverse patologie anche tumorali.

Una specifica area della ricerca della Fondazione Tettamanti si concentra sulle mutazioni genetiche associate alla leucemia linfoblastica acuta. Grazie ai risultati di uno studio precedente, i ricercatori avevano osservato che la prognosi della malattia diagnosticata nel primo anno d'età è migliore nei pazienti in cui è alterato il gene Nutm1, mentre risulta peggiore se è coinvolto un altro gene chiamato Pax5. I risultati erano stati pubblicati nel 2020 sulla rivista 'Blood' e allo studio della Fondazione Tettamanti avevano collaborato ricercatori dell'università di Milano Bicocca e di altri centri clinici italiani. I risultati attuali sull'origine prenatale della mutazione di Nutm1, insieme alla scoperta del 2020 e ai dati raccolti in altri studi in corso in questo ambito, vanno nella direzione di terapie sempre più mirate e precise, evidenziano gli esperti.

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Cronaca

Covid, “cervello invecchiato di 20 anni” a...

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Raccolte prove di deficit cognitivi a distanza di tempo in persone colpite gravemente dalla malattia

Un ospedale  - (Fotogramma)

Un ricovero per Covid grave può segnare a tal punto che, dopo 12-18 mesi, ci sono ancora i segni della perdita di funzione cognitiva. L'entità dei danni osservati dai ricercatori? Come se il cervello fosse invecchiato di 20 anni. A svelarlo è il più grande studio condotto finora nel Regno Unito per fotografare l'impatto immediato e a lungo termine di Covid-19 sulla mente dei pazienti. A distanza di oltre un anno dall'ospedalizzazione queste persone hanno una funzione cognitiva peggiore rispetto ai partecipanti di controllo abbinati nello studio per operare il confronto. I risultati sono correlati con un volume cerebrale ridotto in aree chiave, osservato nelle scansioni di risonanza magnetica. Non solo: gli esperti hanno raccolto anche evidenze di livelli alti a livello anormale di proteine spie di danno cerebrale nel sangue.

Il team di ricerca che ha indagato su questi deficit cognitivi post-Covid è stato guidato dall'università di Liverpool e dal King's College London e ha coinvolto un elevato numero di scienziati anche di altri atenei come l'università di Birmingham. I risultati - ottenuti nell'ambito del consorzio Covid-Cns - sono pubblicati su 'Nature Medicine'. "Dopo il ricovero in ospedale per Covid-19, molte persone segnalano sintomi cognitivi persistenti, spesso definiti come 'nebbia cerebrale'", spiega l'autrice dello studio Greta Wood, dell'università di Liverpool. Ma "non è chiaro se vi siano prove oggettive di deterioramento cognitivo e, in tal caso, se vi siano prove biologiche di danno cerebrale. E, cosa più importante, se i pazienti guariscono nel tempo. In questa ricerca abbiamo studiato 351 pazienti Covid che sono stati ricoverati. Abbiamo scoperto che, sia quelli con complicanze neurologiche acute che quelli senza, avevano una cognizione peggiore di quanto ci si aspetterebbe per la loro età, sesso e livello di istruzione, sulla base di 3.000 soggetti di controllo".

E' vero, osservano gli autori Matthew Broome e Thomas Jackson (università di Birmingham), "i deficit cognitivi post-Covid osservati in questo studio sono equivalenti a 20 anni di invecchiamento normale, ma dovremmo ricordare che" le persone studiate "sono pazienti che sono stati ricoverati in ospedale con Covid. I risultati quindi non dovrebbero essere troppo generalizzati a tutte le persone che hanno vissuto un'esperienza di Covid", rassicurano. "Tuttavia, l'entità del deficit in tutte le abilità cognitive testate e i collegamenti con lesioni cerebrali nelle scansioni cerebrali e negli esami del sangue, forniscono la prova più chiara fino ad oggi che il Covid può avere impatti significativi sulla salute del cervello e della mente molto tempo dopo la guarigione dai problemi respiratori".

In altre parole, per le persone colpite da questi danni cerebrali, può essere come passare di colpo dall'avere la prontezza mentale di un 50enne a quella di un 70enne, per dare un'idea dell'entità dell'impatto. Il lavoro fa parte dello studio di neuroscienze cliniche Covid-Cns dell'Università di Liverpool, che affronta l'esigenza critica di comprendere le cause biologiche e gli esiti a lungo termine delle complicazioni neurologiche e neuropsichiatriche nei pazienti Covid ricoverati in ospedale. Un dato è ormai certo: "Covid-19 non è una patologia semplicemente polmonare. Spesso i pazienti più gravemente colpiti sono quelli che hanno complicanze a livello cerebrale - osserva l'autore corrispondente, Benedict Michael, professore di neuroscienze all'Università di Liverpool - Questi risultati indicano che il ricovero con Covid può portare a deficit cognitivi globali e oggettivamente misurabili che possono essere identificati anche 12-18 mesi dopo l'ospedalizzazione".

"L'associazione con i biomarcatori di danno alle cellule cerebrali nel sangue e il volume ridotto delle regioni cerebrali sulla risonanza magnetica indicano che potrebbero esserci meccanismi biologici misurabili alla base di tutto questo - continua l'esperto - Ora il nostro gruppo sta lavorando per capire se i meccanismi che abbiamo identificato nel Covid possono essere responsabili anche di risultati simili in altre infezioni gravi, come l'influenza". La ricerca sul lungo termine, conclude Gerome Breen del King's College di Londra, "è ora fondamentale per determinare come questi pazienti guariscono o chi potrebbe peggiorare e per stabilire se questo problema è esclusivo di Covid-19 o una lesione cerebrale comune con altre infezioni. Il nostro lavoro può aiutare a guidare lo sviluppo di studi simili su chi ha sviluppato Long Covid". Spesso questi pazienti "hanno sintomi respiratori molto più lievi e segnalano sintomi cognitivi come la nebbia cerebrale". Approfondire le dinamiche può aprire la strada "per sviluppare strategie terapeutiche".

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