Quanto puoi andare avanti senza reddito? L’Italia non è messa benissimo
Se all’improvviso non aveste più un reddito mensile, tanto o poco che sia, e doveste vivere solo di risparmi o della vendita di oggetti che già possedete, quanto potreste andare avanti? La risposta forse è meno ovvia di quello che potreste pensare, ma in ogni caso dipende dal Paese in cui vivete. E dall’età che avete. Quanto al primo aspetto, l’Italia non è messa benissimo, mentre per il secondo, in generale vi va molto meglio se siete over 50.
Questa in estrema sintesi la situazione che emerge dai (molti) dati in cui si articola il World Risk Poll Index della Lloyd’s Register Foundation, che dal 2019 misura – nell’ambito del Gallup World Poll – le preoccupazioni e i danni derivanti dai rischi per la sicurezza delle persone. Il sondaggio fornisce da due anni anche il World Risk Poll Resilience Index, una misura della resilienza e delle vulnerabilità dei Paesi e delle comunità di tutto il mondo, di fronte ai disastri legati al cambiamento climatico e ad altri shock.
Il World Risk Poll Resilience Index
Quattro le dimensioni analizzate dal World Risk Poll Resilience Index – Individuale, Familiare, Comunità e Società – in modo da fornire un indice il più completo possibile. Il rapporto è costruito utilizzando i dati misti del World Risk Poll raccolti nel 2023, coinvolgendo 147mila persone in 142 Paesi, compresi anche quelli dove i dati ufficiali sulla sicurezza e sui rischi sono scarsi o inesistenti.
I problemi trattati in questa edizione includono la resilienza a condizioni meteorologiche avverse e cambiamenti climatici, la sicurezza sul posto di lavoro e la gestione dei rifiuti, i cui dati sono in via di pubblicazione. Il sondaggio analizza anche come le percezioni e le esperienze del rischio cambino nel tempo, e a seconda dei diversi aspetti demografici delle persone – come età, sesso, livello di istruzione, reddito.
L’obiettivo del corposo report, che potete leggere qui in inglese, è aiutare governi, autorità di regolamentazione, aziende, ONG e organismi internazionali a indirizzare politiche e interventi che rendano le persone più sicure, collaborando con le comunità.
La resilienza globale. Italia nella parte bassa della ‘classifica’
In base al World Risk Poll, a livello mondiale la resilienza complessiva è rimasta stabile dal 2021 al 2023 (con un punteggio di 55 contro 57, fatto 100 l’indice), mentre quella individuale è diminuita, con cali rilevanti in quasi un terzo (42) dei Paesi analizzati, molti dei quali nell’Europa orientale.
Il calo è dovuto, spiega il rapporto, all’aumento – dal 36% al 43% – delle persone che affermano di non poter fare nulla per proteggere se stesse e le proprie famiglie in caso di disastro. Un aspetto preoccupante se si pensa che, sempre secondo il World Risk Poll, la popolazione mondiale che ha subìto un disastro correlato a un pericolo naturale negli ultimi cinque anni è aumentata, passando dal 27% del 2021 al 30% del 2023, soprattutto per l’incremento delle inondazioni.
In generale, tre quarti dei Paesi e territori (90 su 120) analizzati sia nel 2021 che nel 2023 non hanno registrato cambiamenti significativi nelle quattro dimensioni dell’indice di resilienza, mentre molti dei Paesi che hanno segnato i maggiori aumenti sono allo stesso tempo alle prese con gravi crisi e instabilità. Tra questi Russia, Burkina Faso, Ucraina, Mali e Libano. Un risultato forse controintuitivo, spiegabile con la crescita della resilienza nelle dimensioni della Comunità e della Società.
Per quanto riguarda poi la pandemia da covid 19, che ha portato a un calo del Pil globale pari al 3,1% – il più grande mai misurato in un anno dalla Banca Mondiale – e a un conseguente rimbalzo che è stato a macchia di leopardo, ad essa si sono aggiunti lo shock della guerra in Ucraina e a cascata un’inflazione galoppante e un sensibile rallentamento della crescita economica. Non tutti i Paesi hanno ‘ammortizzato’ allo stesso modo, e il sondaggio rileva che c’è una correlazione positiva tra resilienza e Pil reale dei Paesi, con le nazioni ad alto reddito tendenzialmente più resistenti.
Dopo questi anni turbolenti, peraltro ancora in corso, il World Risk Resilience Poll fotografa una situazione in cui agli estremi della classifica troviamo in basso l’Afghanistan, il Paese meno resiliente, che ha un indice globale pari a 29, e in alto il Kuwait con 76. Da sottolineare che al secondo posto c’è il Vietnam, ovvero una Nazione a basso reddito, che ha un indice pari a 73 grazie agli alti punteggi dati soprattutto alle dimensioni Famiglia e Comunità.
Quanto all’Italia, si colloca 88ma su 141 Paesi, con un indice di resilienza globale pari a 51 che la piazza quartultima tra i Paesi ad alto reddito, la cui classifica è chiusa dalla Grecia sempre con 51. Sono interessanti gli andamenti delle quattro dimensioni della resilienza: nel 2023 l’Italia segna 62 per la voce ‘Famiglia’, in crescita dal 53 del 2021, mentre vede un calo per ‘Comunità’ da 59 a 50, una sostanziale stabilità per ‘Società’, da 56 a 55, e soprattutto un crollo per ‘Individuale’, da 64 a 38. Segnale, questo, di un crescente senso di impotenza e precarietà personale.
Quanto si va avanti senza reddito
Se dalla resilienza complessiva passiamo a quella finanziaria delle famiglie – ovvero per quanto tempo un nucleo potrebbe coprire i bisogni di base (cibo, alloggio e trasporto) senza avere un reddito – , scopriamo non sorprendentemente che le famiglie che possono andare avanti meno di una settimana sono anche quelle con una resilienza inferiore in tutte le dimensioni.
Un aspetto rilevante messo in luce dal rapporto 2024 è che nella maggior parte dei Paesi le tendenze macroeconomiche a lungo termine sono in gran parte scollegate dalla capacità di una famiglia di soddisfare i bisogni di base a breve termine; quindi, eventuali miglioramenti a livello nazionale non si riflettono automaticamente in modo capillare sulle persone. Emerge invece una correlazione positiva tra la resilienza finanziaria delle famiglie e la resilienza individuale. Ovvero: quando le famiglie sono meno in grado di soddisfare le necessità di base, gli individui all’interno di quella famiglia diventano meno resilienti, e allo stesso modo se i risparmi a disposizione sono consistenti, i componenti del nucleo diventano più resilienti.
Approfondendo i dati, e scomponendoli per fasce d’età, a livello globale senza reddito tirerebbe avanti meno di un mese il 40% dei 15-24enni, il 39% dei 25-34enni, il 38% dei 35-49enni, il 32% dei 50-64 e il 28% degli over 65. Viceversa, potrebbe reggere oltre quattro mesi il 20% dei 15-24enni, il 24% dei 25-34enni, il 25% dei 35-49enni, il 29% dei 50-64 e il 33% degli over 65. I giovani quindi si troverebbero più facilmente in difficoltà anche se, come sottolinea il rapporto, la resilienza considera quattro dimensioni e dunque nell’insieme i meno anziani possono percepire una maggiore capacità di affrontare le situazioni rispetto ai più adulti.
Per quanto riguarda poi nello specifico l’Italia, il 9,71% delle persone potrebbe resistere meno di un mese, il 12,34% due mesi, il 14,81% tre mesi, il 62,86% quattro mesi o oltre.
Lloyd’s Register Foundation. (2024). Rapporto World Risk Poll 2024: Resilienza in un mondo che cambia. Lloyd’s Register Foundation. https://doi.org/10.60743/C0RM-H862
Analizzando i dati per sesso, infine, le donne ottengono punteggi uguali o inferiori a quelli degli uomini nell’indice di resilienza in tutti i Paesi o territori misurati dal World Risk Poll, con significative disuguaglianze di genere indipendentemente dalla posizione o dal benessere del Paese.
Un fenomeno che il rapporto spiega almeno in parte con le norme socio-culturali, i contesti istituzionali e i fattori ambientali, che influiscono sulla capacità di guadagnare reddito e di sentirsi responsabilizzati: fattori diversi nel mondo ma che in qualche modo portano ovunque allo stesso svantaggio per la parte femminile della popolazione.
Più in generale, conclude il World Poll Resilience Risk, dove si è nati e si vive, oltre al genere e al livello di reddito, continua ad essere determinante per quanto riguarda i livelli di resilienza, finanziaria e non solo, delle persone.
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Gravidanza e bellezza: i rischi nascosti di smalti e trucco
Attenzione all’uso di smalti per le unghie, trucco, se siete in gravidanza. Potreste aumentare l’esposizione a sostanze chimiche tossiche, con tutte le conseguenze per la salute vostra e del vostro bambino. Una ricerca della Brown University School of Public Health, la scuola di salute pubblica della Brown University, un’università di ricerca privata nel Rhode Island (USA), ha infatti trovato una correlazione tra l’uso di prodotti per la cura della persona (PCP) e le concentrazioni di PFAS nelle donne in gravidanza o in allattamento.
In sostanza, più prodotti per l’igiene personale si usano, più si rischia di accumulare alti livelli di sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche, PFAS appunto, nel plasma sanguigno e nel latte materno.
Cosa sono i PFAS, onnipresenti e dannosi per la salute
I PFAS sono sostanze chimiche sintetiche utilizzate fin dagli anni ’50 nei prodotti di consumo e in contesti industriali, grazie alla loro capacità di resistere a olio, acqua e calore. Il lato negativo è che sono stati associati a una tutta una serie di effetti negativi sulla salute, tra cui malattie epatiche, problemi cardiometabolici e cardiovascolari e vari tipi di cancro. Inoltre, possono contribuire a esiti avversi alla nascita, come il calo del peso alla nascita, il parto pretermine, alcuni disturbi dello sviluppo neurologico e una ridotta risposta ai vaccini nei bambini. Effetti in parte dovuti al trasferimento dei PFAS attraverso la placenta e il latte materno, che facilita l’esposizione durante la gestazione e l’infanzia.
I PFAS sono persistenti nell’ambiente, onnipresenti e, sottolinea lo studio, rilevabili in quasi il 100% dei canadesi – la ricerca ha riguardato il Paese nordamericano, ma certamente il problema ci riguarda tutti. Ognuno di noi entra in contatto con i PFAS ingerendo cibo contaminato, bevendo anche semplice acqua, o attraverso gli imballaggi alimentari, le pentole, i mobili e PCP come trucco, prodotti per capelli e smalto per unghie.
Occorre sottolineare che i PFAS continuano a essere prodotti a livelli elevati a livello globale, con volumi annuali superiori a 230mila tonnellate di fluoropolimeri e 46mila tonnellate di acidi perfluoroalchilici. “Sebbene i PFAS siano onnipresenti nell’ambiente, il nostro studio indica che i prodotti per la cura della persona sono una fonte modificabile di PFAS“, ha affermato l’autrice dello studio Amber Hall, ricercatrice associata post-dottorato in epidemiologia presso la Brown University School of Public Health. Per modificabile si intende che si può ridurre l’esposizione limitando l’uso dei prodotti a rischio.
L’uso di trucco, smalti e tinture aumenta i livelli di PFAS nel corpo
L’analisi della Brown University School of Public Health, recentemente pubblicata su Environment International, ha utilizzato i dati del Maternal-Infant Research on Environmental Chemicals Study, che ha esaminato solo quattro tipi di PFAS tra i migliaia utilizzati nell’industria e nel commercio, e che dunque probabilmente sottostima l’entità del problema. La ricerca ha coinvolto 2001 donne incinte in 10 città del Canada tra il 2008 e il 2011.
L’effetto dei prodotti per la cura delle persone sui livelli di PFAS è stato analizzato nel plasma prenatale (da sei a 13 settimane di gestazione) e nel latte materno (da due a 10 settimane dopo il parto). Le partecipanti dovevano riferire la frequenza di utilizzo di otto categorie di prodotti in tre momenti: durante il primo e il terzo trimestre di gravidanza, da uno a due giorni dopo il parto e da due a dieci settimane dopo il parto.
I risultati dimostrano che nelle donne incinte al primo trimestre, un uso maggiore di prodotti per la cura delle unghie, profumi, trucco, tinture per capelli e lacche o gel per capelli era associato a concentrazioni plasmatiche di PFAS, PFOA, PFOS e PFHxS più elevate. Risultati simili sono stati osservati per l’uso di prodotti per la cura personale nel terzo trimestre e per le concentrazioni di PFAS nel latte materno da due a 10 settimane dopo il parto.
Ancora, le partecipanti che si truccavano ogni giorno nel primo e nel terzo trimestre avevano concentrazioni di PFAS nel plasma e nel latte materno rispettivamente del 14% e del 17% più elevate rispetto alle persone che non lo facevano ogni giorno.
Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che chi usava tinture colorate permanenti uno o due giorni dopo il parto aveva livelli di PFAS più elevati (16%-18%) rispetto a chi non le utilizzava mai nelle concentrazioni del latte materno. In generale, un maggiore utilizzo di PCP è stato associato a livelli più elevati di PFOS, PFOA, PFNA e PFHxS nel post-partum.
Risultati allarmanti, che possono servire, si augurano i ricercatori, per stabilire una regolamentazione dei PFAS e, più nel piccolo, a guidare le scelte individuali in modo da ridurre l’esposizione a queste sostanze tossiche laddove possibile.
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Eduscopio 2024, quali sono le migliori scuole in Italia?...
È stata pubblicata la nuova edizione di Eduscopio 2024, il rapporto della Fondazione Agnelli che fornisce una guida completa per orientare studenti e famiglie nella scelta delle scuole superiori. Questo strumento di analisi si basa su un database che raccoglie i dati di oltre 1,3 milioni di diplomati provenienti da più di 7.000 scuole in tutta Italia, offrendo una panoramica dettagliata delle istituzioni scolastiche che preparano meglio gli studenti per l’università e il mondo del lavoro.
Le migliori scuole città per città: la classifica
Milano
- Miglior Liceo Classico: Sacro Cuore
- Miglior Liceo Scientifico: Alessandro Volta
- Miglior Liceo Linguistico: Civico Manzoni
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Gino Zappa
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Galvani
Roma
- Miglior Liceo Classico: Ennio Quirino Visconti
- Miglior Liceo Scientifico: Augusto Righi
- Miglior Liceo Scientifico – Scienze Applicate: Antonio Labriola
- Miglior Liceo Linguistico: Edoardo Amaldi
- Miglior Liceo Scienze Umane: Margherita di Savoia
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Cristoforo Colombo
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Boaga
Torino
- Miglior Liceo Classico: Vincenzo Gioberti
- Miglior Liceo Scientifico: Altiero Spinelli
- Miglior Liceo Linguistico: Altiero Spinelli
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Bosso – Monti
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Santorre di Santarosa
Bologna
- Miglior Liceo Classico: Luigi Galvani
- Miglior Liceo Scientifico: Niccolò Copernico
- Miglior Liceo Scientifico – Scienze Applicate: Enrico Fermi
- Miglior Liceo Linguistico: Niccolò Copernico
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Crescenzi-Pacinotti-Sirani
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Arrigo Serpieri
Napoli
- Miglior Liceo Classico: Convitto Vittorio Emanuele II
- Miglior Liceo Scientifico: Convitto Vittorio Emanuele II
- Miglior Liceo Scientifico – Scienze Applicate: Eleonora Pimentel Fonseca
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Francesco Saverio Nitti
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Della Porta-Porzio
Firenze
- Miglior Liceo Classico: Galileo Galilei
- Miglior Liceo Scientifico: Niccolò Machiavelli
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Russell – Newton
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Morante-Ginori Conti
Palermo
- Miglior Liceo Classico: Umberto I
- Miglior Liceo Scientifico: Galileo Galilei
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Giovanni Falcone
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Giovanni Verga
Catania
- Miglior Liceo Classico: Marco Polo
- Miglior Liceo Scientifico: Galilei
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Ferraris
Bari
- Miglior Liceo Classico: Aristotele
- Miglior Liceo Scientifico: Fermi
- Miglior Istituto Tecnico Economico: De Viti De Marco
Novità dell’edizione 2024
Quest’anno, per la prima volta, Eduscopio ha analizzato separatamente le prestazioni dei diplomati degli indirizzi scientifici sportivi. Questa scelta risponde all’aumento di popolarità di questi percorsi, che combinano l’approfondimento delle discipline scientifiche con la preparazione fisico-sportiva.
Dopo la scuola, tra università e lavoro
L’edizione 2024 riflette ancora le conseguenze della pandemia per i diplomati del 2020-2021. Secondo il rapporto, molti studenti hanno incontrato difficoltà nell’adattarsi alla didattica universitaria, con una lieve riduzione del numero di esami sostenuti e della media dei voti.
La buona notizia arriva dagli istituti tecnici e professionali: il tasso di occupazione per i diplomati di questi percorsi sta tornando ai livelli pre-pandemia. Questo dato conferma la crescente domanda di profili tecnici nel mercato del lavoro, soprattutto nei settori tecnologici e manifatturieri.
Come viene stilata la classifica Eduscopio
L’analisi di Eduscopio si basa su criteri rigorosi e oggettivi che tengono conto di due macro-aree:
- Prestazioni accademiche degli studenti universitari, valutate sulla base del numero di esami sostenuti e della media dei voti;
- Occupabilità dei diplomati negli istituti tecnici e professionali, calcolata in termini di percentuale di studenti occupati a due anni dal diploma.
Questo approccio permette di identificare le scuole non solo in base alla preparazione accademica ma anche in relazione alla capacità di inserirsi rapidamente nel mondo del lavoro.
Cosa significa Eduscopio per studenti e famiglie
Con l’avvicinarsi del periodo delle iscrizioni scolastiche, Eduscopio rappresenta una risorsa fondamentale per orientarsi tra le molteplici opzioni disponibili. Scegliere la scuola giusta non significa solo optare per il percorso formativo più adatto alle inclinazioni dello studente, ma anche garantire una preparazione che risponda alle esigenze future del mercato del lavoro.
L’analisi evidenzia forti disparità regionali. Le scuole delle città settentrionali, in particolare quelle di Milano e Bologna, continuano a distinguersi per eccellenza accademica e occupazionale, mentre nel Sud Italia permangono difficoltà strutturali legate alla carenza di risorse e infrastrutture scolastiche. Tuttavia, alcune città meridionali, come Napoli e Bari, stanno emergendo con scuole in grado di competere con quelle del Centro-Nord, dimostrando come l’impegno di studenti e docenti possa fare la differenza. Il Politecnico del capoluogo pugliese, inoltre, è il primo in Italia per assunzioni entro un anno dalla laurea.
Consigli per sfruttare al meglio Eduscopio
Per le famiglie che devono scegliere la scuola superiore, è importante:
- Considerare i propri obiettivi: se l’intenzione è proseguire con l’università, privilegiare scuole con buoni risultati accademici. Per chi vuole entrare nel mondo del lavoro subito dopo il diploma, preferire istituti tecnici e professionali con alti tassi di occupazione;
- Confrontare le opzioni locali: Eduscopio consente di filtrare i risultati per area geografica, permettendo di scegliere scuole vicine e accessibili;
- Valutare i trend futuri: il mercato del lavoro evolve rapidamente, ed è utile considerare percorsi che offrono competenze richieste in settori emergenti, come la tecnologia e la sostenibilità.
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Femminicidio, uccise 96 donne nel 2023. Valditara: “Mai...
I femminicidi stimati in Italia sono pari a circa l’82% del totale delle donne uccise. È quanto emerso dal report Istat “Le vittime di omicidio anno 2023” che ha preso in considerazione, in base al framework delle Nazioni Unite al quale l’Italia ha aderito, la definizione di femminicidio come l’omicidio che riguarda l’uccisione di una donna in quanto donna.
Dalle informazioni al momento disponibili (relazione tra vittima e autore, movente, ambito dell’omicidio) è stata elaborata una stima del fenomeno che, per molti, smentirebbe le parole del ministro all’Istruzione Giuseppe Valditara.
All’inaugurazione della Fondazione Giulia Cecchettin alla Camera dei deputati, in un videomessaggio, il ministro aveva citato il fenomeno dell’immigrazione illegale tra le cause della violenza sessuale: “È legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale”. Parole che hanno creato polemica in quanto, sempre secondo il report Istat, il 94,3% delle donne italiane uccide per motivi sentimentali è vittima di italiani. Scopriamo, quindi, la dimensione del fenomeno in Italia e come il ministro ha chiarito il fraintendimento che si è generato in seguito alle sue parole.
Femminicidi e omicidi in Italia
Secondo quanto emerso dal report, “sono 63 le donne uccise nell’ambito della coppia, dal partner o ex partner; sono 31 le donne uccise da un altro parente; due le donne uccise da un conoscente con movente passionale. In totale si tratta di 96 femminicidi presunti su 117 omicidi con una vittima donna. Nel 2019, erano 101 su 111, nel 2020 erano 106 su 116, nel 2021 104 su 119, nel 2022 105 femminicidi presunti su 126 omicidi”.
“Tra le restanti 21 vittime donne: quattro sono state uccise per rapine, una per follia, tre per interessi economici o debiti, sei per futili motivi, liti o rancori da conoscenti e sconosciuti, una per motivi legati agli stupefacenti ed una per regolamento di conti nell’ambito mafioso, mentre per cinque non è stato stabilito il movente e di queste tre non hanno un autore identificato – si osserva nel report dell’Istat – Di questi 21 casi, 15 omicidi sono stati perpetrati da uomini, uno da una donna conoscente e per quattro non si conosce il sesso dell’autore, in quanto si tratta di casi di omicidio non risolti”.
“Sono i partner a compiere omicidi”
Per le donne si conferma un quadro stabile in cui le morti violente avvengono soprattutto nell’ambito della coppia. Nel 2023 è pari allo 0,21 per 100mila donne il tasso delle donne uccise da un partner o un ex partner – sia esso un coniuge, un convivente o un fidanzato o un amante – del tutto simile a quello del 2022 (0,20). Mentre per gli uomini, lo stesso tasso è pari a 0,02 per 100mila uomini”.
“In particolare – continua il report Istat – sono i partner con cui la donna ha una relazione al momento della morte (coniugi, conviventi, fidanzati) a compiere il maggior numero degli omicidi nella coppia (il 41%), mentre sono il 12,8% gli ex partner (ex coniugi, ex conviventi, ex fidanzati). Il rischio di essere uccise da un partner non si differenzia a seconda delle età (a partire dai 18 anni)”. “Sessantuno sono i partner maschi (96,8%) delle 63 donne uccise nell’ambito della coppia, mentre i sei uomini vittime di partner sono stati uccisi tutti da donne”, continua il report.
“Le donne italiane vengono uccise dai partner, attuali o precedenti, nel 51,5% dei casi, le straniere nel 68,7% – prosegue – Risulta lievemente in diminuzione il tasso delle donne uccise da parenti (0,10 nel 2023; 0,14 nel 2022). Le donne uccise da altri familiari (31) sono state uccise da uomini nell’83,8% (26 casi) e da donne in cinque casi. Sono 40 gli uomini uccisi dai parenti, 37 dei quali sono stati assassinati da altri uomini”.
La polemica
I dati Istat riportano anche la nazionalità d’origine degli assassini e arrivano in seguito alle polemiche nate dalle parole del ministro Valditara che – nel videomessaggio – ha dichiarato che tra le cause della violenza contro le donne ci sarebbe anche l’immigrazione illegale. Un’affermazione, questa, che ha destato qualche perplessità nell’opinione pubblica, anche alla luce di quel “94,3% delle donne italiane è vittima di italiani” riportato dall’Istituto di ricerca.
Il messaggio è stato espresso nel giorno dell’anniversario della morte di Giulia Cecchettin, studentessa 22enne uccisa dal fidanzato, alla presentazione da parte del padre Gino della fondazione inaugurata negli scorsi giorni e che si propone l’obiettivo di sensibilizzare e tutelare le donne vittime di violenza.
La ragazza, un anno fa, è stata assassinata dal compagno “bianco perbene”, come lo ha definito la sorella, secondo la quale, come Giulia, sono tante le donne uccise da partner o ex partner e non di nazionalità straniera. Inoltre, lo stesso padre della giovane vittima ha ribadito che la violenza è violenza indipendentemente dalla provenienza dell’assassino.
A creare la polemica che divampa sui social, però, sono stati due principali fattori:
- Il fatto che il ministro abbia detto che il concetto di “patriarcato” si è ormai estinto nonostante persistano fenomeni di maschilismo. Nel suo intervento, Valditara aveva dichiarato che “la visione ideologica vorrebbe risolvere la questione femminile lottando contro il patriarcato. Ma come fenomeno giuridico è finito con la riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha sostituito alla famiglia fondata sulla gerarchia la famiglia fondata sulla eguaglianza”. Per alcuni “Cassare a ideologico il femminismo vs il patriarcato è stato un atto sminuente (si legge sui social)” che affievolirebbe le cause culturali che persistono dietro la violenza di genere.
- Il fatto che il ministro, dicendo che tra le cause della violenza contro le donne c’è anche l’immigrazione illegale, avrebbe spostato il focus dell’attenzione su uno dei temi maggiormente trattati in campagna elettorale dell’attuale governo: le politiche migratorie. Per molti, si è trattato di un atto di “propaganda politica non supportato dai dati”.
La risposta di Valditara
Il ministro si è difeso dalle accuse, oggi al Salone dello studente a Roma, sostenendo di non aver mai detto che il femminicidio è colpa degli immigrati: “Non ho mai detto che il femminicidio è colpa degli immigrati, ma che in Italia c’è un aumento preoccupante delle violenze sessuali a cui contribuisce anche, ed è importante l’anche, la marginalità e la devianza conseguenti a un’immigrazione irregolare”.
“Le violenze sessuali sono un altro fenomeno molto triste – ha aggiunto Valditara -. I dati Istat e del ministero dell’Interno sono purtroppo inequivocabili e mi dispiace che qualcuno li abbia alterati o non li abbia conosciuti. Non ho detto che l’immigrato è causa di questo”.