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Radiochirurgia contro spasmi da lesioni cerebrali, Verona prima al mondo

Radiochirurgia contro spasmi da lesioni cerebrali, Verona prima al mondo

Trattare gli spasmi associati a lesioni cerebrospinali con la radiochirurgia stereotassica, una forma di radioterapia precisa come un bisturi, che abbina efficacia e sicurezza. Il primo centro al mondo a proporla come trattamento innovativo sperimentale per le complicanze di un danno cerebrale-spinale è l’Irccs Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, in provincia di Verona. “Nel 2022 abbiamo trattato 4 pazienti affetti da spasticità con uso della radiochirurgia stereotassica, ottenendo risultati importanti con una riduzione o risoluzione della spasticità e nessuna tossicità correlata al trattamento, come riportato in uno studio pubblicato su ‘Radiotherapy and Oncology’ – spiega Luca Nicosia, radioterapista oncologo dell’istituto – Gli esiti positivi raggiunti ci hanno portato ad avviare l’attuale sperimentazione che prevede di arruolare 10 pazienti adulti, affetti da spasticità diffusa e non trattabile con le terapie tradizionali”.

Sono circa 100 milioni le persone nel mondo che convivono con le conseguenze di patologie cerebrospinali o di traumi al cervello e al midollo a seguito di incidenti, ricordano dall’Irccs veronese. Tra queste, la spasticità e il dolore correlato sono una complicanza comune e debilitante a lungo termine. Si stima che colpisca il 65-78% dei pazienti con lesioni croniche del midollo spinale e il 25% di chi ha avuto un ictus grave. Ad oggi i trattamenti convenzionali prevedono interventi chirurgici invasivi, come l’uso di pompe di baclofene che devono essere inserite nella cavità addominale per erogare il farmaco dall’interno, o il ricorso alla rizotomia dorsale selettiva, una tecnica neurochirurgica che consiste nell’interruzione della connessione tra alcuni nervi e il midollo spinale. Sono possibili anche trattamenti per via orale, meno invasivi, ma anche questi hanno efficacia limitata e sono spesso accompagnati da effetti collaterali indesiderati.

I ricercatori di Negrar hanno invece definito “un nuovo protocollo sperimentale per il trattamento non invasivo, più conservativo e a bassa tossicità della spasticità per mezzo della radiochirurgia stereotassica – riporta una nota – che prevede l’impiego della radioterapia per agire sui nervi spinali selezionati bloccando la conduzione elettrica responsabile degli spasmi”.

“La spasticità è una condizione caratterizzata da un aumento eccessivo e anomalo del tono muscolare – descrive Elena Rossato, direttore del Servizio di Medicina fisica e Riabilitazione dell’Irccs di Negrar – In particolare, consiste in spasmi di uno solo o di più muscoli scheletrici che possono provocare rigidità durante il movimento con disagio o dolore e difficoltà motorie ai 4 arti, nella respirazione e nel riposo notturno. La spasticità ha quindi un grande impatto negativo sulla qualità di vita dei pazienti e interferisce fortemente con la loro capacità di compiere attività quotidiane come ad esempio il trasferimento dalla sedia a rotelle. Per questo motivo la spasticità ha diverse conseguenze sociali e riabilitative, con un alto tasso di procedure infermieristiche, ricoveri ospedalieri e costi”.

“Quello che è stato avviato all’Irccs di Negrar – illustra Nicosia – è un protocollo che prevede l’utilizzo della radiochirurgia stereotassica per trattare pazienti affetti da spasmi invalidanti. I trattamenti ad oggi disponibili per questa condizione prevedono l’utilizzo di farmaci, gravati da effetti collaterali e da una progressiva perdita di efficacia, o interventi chirurgici che, oltre a richiedere una specifica competenza, sottopongono pazienti molto fragili a operazioni importanti con potenziali conseguenze debilitanti. L’infusore di baclofene richiede, ad esempio, un intervento che potrebbe esporre i pazienti a complicazioni, inoltre deve essere ricaricato periodicamente e può essere soggetto a infezioni. In aggiunta a ciò, i pazienti potrebbero diventare progressivamente resistenti al trattamento. Altre terapie come l’iniezione della tossina botulinica intramuscolare o le iniezioni perineurali di alcol sono limitate nella dose e devono essere ripetute nel tempo, mentre soluzioni come la neurolisi chirurgica, le neurotomie selettive e le rizotomie sono caratterizzate da sessioni chirurgiche prolungate, complicazioni e richiedono un’équipe esperta”.

“La radiochirurgia stereotassica – sottolinea lo specialista – rappresenta invece un’opzione non invasiva e con un’elevata precisione, che prevede una singola seduta di trattamento della durata di 40 minuti. Il trattamento è definitivo sulle sedi trattate e ha la capacità di ridurre o eliminare la spasticità. Il trattamento può essere ripetuto, ma solo su altre sedi”.

“La radiochirurgia stereotassica è tipicamente utilizzata per intervenire su tumori solidi primari e metastatici, e per il trattamento di malattie non oncologiche come l’oftalmopatia di Graves, le aritmie cardiache e la nevralgia del trigemino”, evidenzia Nicosia. “Il nostro – precisa – è il primo centro al mondo a proporre questo trattamento innovativo” per la spasticità da lesioni cerebrospinali, “all’interno di un progetto di ricerca multidisciplinare che coinvolge oltre alla radioterapia oncologica anche la fisiatria, la neurologia e l’anestesia per provarne l’efficacia”.

“L’obiettivo primario dello studio” in corso, conclude Rossato, “sarà quello di stimare la riduzione della frequenza e dell’intensità degli spasmi dopo il trattamento, monitorandole a 1, 3, 6 e 12 mesi dopo la radiochirurgia stereotassica. Tra gli obiettivi secondari, inoltre, ci saranno anche quelli di valutare la tossicità acuta e tardiva e il tasso di ricaduta della spasticità, e descrivere la variazione nella qualità di vita del paziente dopo il trattamento e il miglioramento del carico di lavoro dei caregiver”.

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Salute e Benessere

Nervo (Diabete Italia): “Contro malattia garantire...

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"Approvazione nuove terapie deve essere veloce, solo così possiamo migliorare la qualità di vita di mln di pazienti"

Nervo (Diabete Italia):

"Dal momento della diagnosi di diabete occorre puntare sulla prevenzione delle complicanze: quindi è assolutamente fondamentale, in tal senso, che ci sia per i pazienti la possibilità di accedere ai nuovi farmaci, a tutti i device il più presto possibile. Obiettivo, infatti, è riuscire a prevenire le complicanze che possono interessare le persone con diabete, causandone un deterioramento della qualità di vita. L'accesso ai nuovi farmaci infatti può garantire una migliore qualità di vita a milioni di pazienti". Così all'Adnkronos Salute Stefano Nervo, presidente Diabete Italia Odv, in occasione dell'incontro - oggi in Senato - promosso dalla senatrice Daniela Sbrollini per il World Diabets Day, durante il quale è stata presentata la campagna 'Facciamo squadra attorno al diabete' realizzata da FeSDI, Federazione società diabetologiche italiane.

Per Nervo, anche per il Wdd 2024 la parola d'ordine "deve essere prevenzione - spiega - per quanto riguarda il diabete tipo 2, attraverso l'adozione di corretti stili di vita. Combattendo il sovrappeso e l'obesità possiamo prevenire la malattia". Prevenzione e diagnosi precoce anche "per il diabete tipo 1 che colpisce soprattutto i bambini. Grazie agli screening - conclude - dal 2025 in tutta Italia saremo in grado di evitare la chetoacidosi, la più grave e temibile complicanza del diabete di tipo 1, che può portare anche alla morte".

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Salute e Benessere

Prematuro 1 neonato su 10, ‘fino al 50% rischia...

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Neonato prematuro in incubatrice

Nel mondo circa 1 neonato su 10 nasce pretermine, cioè prima della 37esima settimana di gestazione che è il tempo necessario al feto per completare lo sviluppo nell'utero materno. Per l'Italia la percentuale di bebè nati prima del tempo è intorno al 6,3% secondo il Rapporto Cedap 2022, per un totale di circa 24mila neonati pretermine: in maggioranza (75,3%, oltre 3 su 4), venuti alla luce tra la 34esima e la 36esima settimana gestazionale, ma con uno 0,9-1% molto o estremamente pretermine, 'bimbi piuma' nati sotto le 32 settimane di gestazione. In vista della Giornata mondiale della prematurità in calendario il 17 novembre, sono questi i dati ricordati dalla Società italiana di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza (Sinpia) che avverte: "I disturbi del neurosviluppo sono una delle conseguenze più frequenti della nascita pretermine". Li rischia fino a 1 bebè prematuro su 2.

"Nel neonato pretermine - spiegano i neuropsichiatri dell'infenzia - anche quando non ci sono lesioni cerebrali visibili con le tecniche di neuroimaging più utilizzate, il sistema nervoso che si sviluppa e matura in un ambiente molto diverso da quello fisiologico si trova in qualche modo 'impreparato' ad affrontare la vita extrauterina in un momento cruciale in cui avviene la massima crescita e maturazione delle connessioni cerebrali, e facilmente va incontro a fenomeni lesionali e/o dismaturativi, con un'alterazione dei circuiti cerebrali che sottendono alle funzioni adattive". Se "esiste ancora una quota di bambini pretermine, nati di peso estremamente basso, che sviluppa deficit di tipo motorio come paralisi cerebrale infantile (dal 5% al 10%), una percentuale che va dal 25% al 50% dei nati pretermine può presentare ritardi di sviluppo, disabilità cognitiva di varia gravità, problemi comportamentali, deficit dell'attenzione e/o iperattività, difficoltà di regolazione delle emozioni, disturbi dello spettro autistico".

"La nascita pretermine - commenta la presidente Sinpia Elisa Fazzi, direttore Uo Neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza (Uonpia) Asst Spedali Civili e docente all'università di Brescia - resta una condizione di rischio per lo sviluppo delle funzioni del sistema nervoso centrale", perché "all'aumento delle possibilità di sopravvivenza non corrisponde anche una diminuzione delle problematiche presentate a distanza rispetto al neurosviluppo". Piuttosto, "negli anni abbiamo assistito a un cambiamento delle conseguenze neuropsichiche della nascita prematura: a fronte di una riduzione delle gravità delle problematiche motorie e cognitive (come le paralisi cerebrali e la disabilità intellettiva grave), un tempo le più temute, assistiamo a un aumento di problemi legati alla coordinazione motoria, alle funzioni attentive, esecutive e di apprendimento, a quelle comunicativo-linguistiche e quelle emotivo-relazionali e sociali. Possiamo quindi dire che un bambino nato pretermine può potenzialmente rappresentare il prototipo di un soggetto a rischio di un disturbo del neurosviluppo". La Sinpia raccomanda di "seguire e accompagnare i bambini e le loro famiglie anche dopo le dimissioni dalla Terapia intensiva neonatale attraverso programmi di follow-up dedicati in cui il neuropsichiatra infantile affianchi il pediatra neonatologo, per individuare precocemente i soggetti più a rischio e avviare in modo tempestivo programmi abilitativi, per informare e sostenere i genitori e continuare il monitoraggio fino all'età scolare quando possono emergere nuove problematiche del neurosviluppo".

"L'impatto di questi deficit" del neurosviluppo nei neonati pretermine "può essere molto significativo - sottolinea Simona Orcesi della Sc Neuropsichiatria infanzia e adolescenza dell'Irccs Fondazione Mondino, docente di Neuropsichiatria infantile all'università di Pavia e membro del direttivo Sinpia - sia sui pazienti e sulle famiglie, sia per i costi a carico dell'assistenza sanitaria pubblica, soprattutto perché si tratta di problematiche le cui conseguenze rischiano di permanere per tutta la vita. Sicuramente - conferma la specialista - negli anni più recenti abbiamo assistito a un cambiamento rispetto allo scenario delle sequele della prematurità: il numero di bambini che crescono senza disabilità gravi è aumentato perché sono diminuite le lesioni cerebrali più gravi, ma una significativa percentuale di soggetti con età gestazionale più bassa è ancora ad alto rischio di uno sviluppo neuropsichico non del tutto ottimale".

"La protezione dello sviluppo cerebrale nei neonati pretermine, intesa come possibilità di prevenire o mitigare gli eventi dismaturativi nell’arco dei primi mesi di vita - rimarca la past president della Sinpia Antonella Costantino, direttore Uonpia Fondazione Irccs Policlinico di Milano - è fondamentale perché il cervello in questa precoce fase evolutiva ha una caratteristica determinante che è la sua plasticità. Il cervello è in grado quindi di modificare la propria struttura e funzione in base all'esperienza attraverso meccanismi 'epigenetici', influenze ambientali che possono agire sul nostro Dna 'accendendo' o 'spegnendo' determinati geni capaci di influenzare lo sviluppo". In altre parole, "l'ambiente agisce come un 'farmaco' sul cervello del pretermine, tracciando in qualche modo le basi dello sviluppo futuro".

"Proprio questa neuroplasticità - conclude Fazzi - fa sì che le caratteristiche delle esperienze e delle relazioni precoci siano fondamentali per lo sviluppo cerebrale del neonato pretermine, così come la qualità delle cure neonatali e l'intervento precoce, mediato dalla relazione con i genitori e con la famiglia, primo e fisiologico ambiente in cui un neonato cresce".

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Salute e Benessere

Allarme Norovirus Kawasaki: tutto quello che dobbiamo...

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Ultimamente, il Norovirus Kawasaki sta diventando una vera e propria preoccupazione in Europa. Cioè, fino a qualche mese fa chi ne aveva mai sentito parlare? Nessuno, diciamolo. E adesso è ovunque. Se ne parla tanto, soprattutto nel Regno Unito, dove le infezioni stanno letteralmente esplodendo. Una cosa impressionante. Ma che cos’è esattamente questo Norovirus Kawasaki e perché ci riguarda tutti? Proviamo a fare un po’ di chiarezza.

Un virus che arriva da lontano: il Norovirus Kawasaki

Tutto è iniziato a Kawasaki, città del Giappone da cui il virus prende il nome. Allora, scoperto nel 2014, il Norovirus Kawasaki è una sorta di versione ancora più tosta del norovirus che già conosciamo. Insomma, come gli altri norovirus, va a colpire soprattutto l’apparato gastrointestinale ma questo è un po’ una “bestia diversa”. Sì, perché la sua contagiosità è proprio fuori dal comune. Rispetto ai norovirus più comuni, questo ceppo è molto più aggressivo, capace di adattarsi rapidamente e di persistere a lungo nell’ambiente, rendendone il contenimento una sfida.

Sintomi intensi e rapidità di contagio

È difficile ignorare il Norovirus Kawasaki, specialmente per chi ha avuto la sfortuna di esserne contagiato. I sintomi? Arrivano in meno di 12 ore, veloci e furiosi. Quando ti colpisce, lo fa senza mezzi termini. Prima nausea e vomito improvvisi e poi, se non bastasse, arriva la diarrea acquosa, crampi addominali che ti piegano in due e un malessere generale che ti svuota. Ti lascia esausto e a volte questa sensazione rimane per giorni. Nei casi peggiori, compare pure un po’ di febbre ma il vero pericolo è la disidratazione, specie per i bambini e gli anziani.

Questo ceppo è più complicato dei norovirus “classici”. I sintomi sono più intensi e spesso serve l’aiuto di un medico per evitare che le cose peggiorino. Certo, in genere dopo 24-72 ore passa tutto ma il corpo ne esce distrutto e la stanchezza può durare parecchio.

Come si diffonde il Norovirus Kawasaki?

Parliamo chiaro: questo virus è un maestro della sopravvivenza. Contatto diretto con persone infette, superfici contaminate, alimenti e acqua contaminati sono tutte vie di trasmissione del Norovirus Kawasaki. Non serve molto: basta un minimo contatto con particelle virali per essere infettati. E il virus è decisamente resistente. Può sopravvivere per giorni su superfici come maniglie, telefoni, tavoli, anche se apparentemente puliti.

Non dimentichiamo poi che è molto abile anche nell’infettare tramite alimenti. Cibi preparati senza la giusta attenzione igienica possono diventare un veicolo perfetto per il virus, rendendolo estremamente difficile da tenere sotto controllo.

Il Regno Unito è in allarme… e l’Italia?

Allora, in UK la situazione è davvero preoccupante. Parliamo di un aumento del 41% rispetto all’anno scorso, con più di 2.400 persone colpite. La variante GII.17 sta facendo discutere, visto che ormai è responsabile del 70% dei casi. Le autorità sanitarie britanniche hanno già lanciato l’allarme e stanno dicendo a tutti di stare attenti: niente contatti ravvicinati con chi è malato e, se senti i primi sintomi, meglio restare a casa per evitare di contagiare gli altri.

E qui in Italia? Per ora la situazione non è così grave ma meglio non abbassare la guardia. Il Ministero della Salute sta tenendo d’occhio la situazione, soprattutto in posti come scuole e ospedali, dove il rischio di contagio è più alto. Sì, i numeri sono ancora bassi ma la prudenza non è mai troppa.

Prevenzione: un’arma fondamentale

Sì, lo sappiamo, lavarsi le mani è uno di quei consigli che si sentono sempre, fino allo sfinimento. Ma davvero, in questo caso fa tutta la differenza del mondo. Lavarsi le mani, insomma, è fondamentale per evitare di beccarsi il Norovirus Kawasaki: acqua e sapone, lavaggi fatti bene, spesso, soprattutto dopo essere stati in bagno o prima di mangiare qualcosa. Non è da prendere alla leggera, fidatevi.

E poi, diciamocelo, disinfettare le superfici è altrettanto importante. Non è che basta passare uno straccio umido e via, tutto a posto. No, servono disinfettanti specifici, perché questo virus resiste ai soliti prodotti da supermercato. Anche in cucina bisogna stare attenti: lavare bene frutta e verdura, cuocere tutto alla giusta temperatura e mantenere puliti utensili e superfici. Sono piccoli dettagli ma fanno davvero la differenza.

Ma se ci si ammala, che si fa? Isolarsi, isolarsi e ancora isolarsi, niente contatti con altri per almeno 48 ore dopo che i sintomi sono spariti, altrimenti si rischia di contagiare tutti. Poi, bere tanto è fondamentale, soprattutto per i bambini e gli anziani. Non serve esagerare, meglio piccoli sorsi ma frequenti e se proprio serve, si possono usare quegli integratori reidratanti. Insomma, bisogna fare molta attenzione.

Non esistono cure specifiche ma possiamo gestire i sintomi

Al momento, non ci sono antivirali specifici contro il Norovirus Kawasaki. La gestione è prettamente sintomatica: prevenire la disidratazione è la priorità. Soluzioni reidratanti orali o, nei casi più gravi, intravenose possono fare la differenza. Per febbre e dolori addominali si possono utilizzare antipiretici e antispastici ma attenzione: i farmaci antidiarroici sono sconsigliati, perché rischiano di prolungare l’infezione.

Perché la sensibilizzazione è fondamentale?

Quello che rende il Norovirus Kawasaki davvero pericoloso non è solo che si diffonde facilmente ma è anche che in tanti non sono consapevoli del rischio. Molti focolai si verificano per comportamenti distratti, come lavarsi male le mani o non fare attenzione quando si preparano gli alimenti. Ecco, è per questo che è così importante che tutti sappiano come fare a prevenirlo. Bisogna parlarne, informarci, fare in modo che queste informazioni arrivino a più persone possibile.

Le campagne informative devono arrivare dappertutto ma proprio ovunque: scuole, uffici, posti di lavoro, parchi… insomma, ovunque ci siano persone. Non basta che medici e infermieri sappiano cosa fare, anche noi, tutti noi, dobbiamo essere informati, consapevoli, attenti. Perché alla fine, siamo noi che possiamo fare davvero la differenza. Solo così, con tutti che fanno la propria parte, possiamo provare a contenere questa minaccia.

L’importanza della collaborazione

Il Norovirus Kawasaki non è solo un virus gastrointestinale, è molto di più. È una sfida complicata, c’è poco da fare e serve l’aiuto di tutti: istituzioni sanitarie, noi cittadini e anche i media. La prevenzione è l’arma più potente che abbiamo, davvero. Sì, lo sappiamo, lavarsi le mani, pulire bene le superfici, stare attenti a come si maneggia il cibo… sembrano cose banali ma fanno tutta la differenza del mondo.

Non possiamo permetterci di prenderla alla leggera, non ora. Questo virus si diffonde in fretta, troppo in fretta e sta mettendo sotto pressione i sistemi sanitari come non mai. Dobbiamo agire e dobbiamo farlo adesso, con testa, con responsabilità. È l’unico modo per limitare i danni e tenere sotto controllo questa emergenza. Facciamolo, ognuno di noi deve fare la propria parte. Solo così possiamo superare anche questa sfida, tutti insieme.

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