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Autonomia, scontro su referendum. Calderoli: “Consulta lo boccerà”. Opposizioni: “Teme voto”
Il ministro: "Ci sono validi motivi di incostituzionalità. Pd: "Governo spaventato da raccolta firme"
Si accende lo scontro sul referendum sull'autonomia differenziata. Roberto Calderoli evoca la bocciatura dei quesiti da parte della Corte costituzionale. "Ci sono chiari elementi di inammissibilità", lancia il sasso il ministro degli Affari regionali. Parole che le opposizioni interpretano come il timore di perdere le consultazioni, dopo la massiccia adesione alla raccolta di firme, oltre 500mila, che potrebbe rappresentare un ostacolo sul percorso riformatore del governo. "Ha paura del voto popolare", è la replica che arriva dalle opposizioni. Dal Pd fino ad Avs leggono l'uscita del ministro come una inopportuna invasione di campo: "Spetta alla corte costituzionale decidere'', rimarcano le minoranze. Che puntano sul voto popolare, ma c'è chi mette in guardia sull'ipotesi inammissibilità: "Il rischio c'è", ammette Riccardo Magi, segretario di +Europa.
Angelo Bonelli, portavoce di Europa Verde e parlamentare di Alleanza Verdi e Sinistra, in un video postato sabato 3 agosto sui social parlava di "oltre 600.000 firme" raccolte in poco più di 7 giorni.
Calderoli spiega in una intervista ad Affaritaliani: "Essendo l'autonomia regionale differenziata complessa e quindi disomogenea e collegata alla legge di bilancio, non dovrebbe essere ammissibile il referendum abrogativo. Fermo restando che ovviamente deciderà la Corte costituzionale". Non solo, però, perché questo potrebbe non essere l'unico motivo che potrebbe spingere la Consulta a bocciare i quesiti, perché "sono legati all'obbligatorietà costituzionale della legge con riferimento in particolare all'articolo 116 della Costituzione e ancora nella definizione dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni) secondo la lettera m del secondo comma dell'articolo 117 della Carta ma inattuato da 23 anni e più volte sollecitato nella sua definizione da parte della stessa Corte costituzionale".
"Tutto ciò oltre all'obbligatorietà dell'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione ovvero federalismo fiscale e perequazione ordinaria e straordinaria", aggiunge ancora il ministro prima di precisare che l'iter per arrivare al voto sarà lungo, e dovrà passare anche dalla Corte di cassazione "che dovrà verificare non solo il numero delle firme valide ma anche il relativo accompagnamento del certificato elettorale di ogni cittadino. Ovvero che cinque consigli regionali abbiano deliberato il medesimo testo referendario, cosa che a tutt'oggi non si è ancora verificata", conclude.
"Per fortuna non decide" Calderoli ma la Consulta, ribatte a stretto giro il responsabile Riforme del Pd Alessandro Alfieri. "Capisco che sono spaventati dal numero di firme raccolte in pochi giorni - ha detto ancora il senatore dem -, ma Calderoli stia più tranquillo. Al di là dell'ammissibilità del quesito, noi stiamo facendo questa battaglia per sensibilizzare l'opinione pubblica su una riforma pasticciata che fa male tanto al Nord quanto al Sud, complicando la vita degli imprenditori con più burocrazia. Non solo, la legge Calderoli colpisce l'istruzione e la sanità pubblica aumentando le disuguaglianze nel Paese".
Sulla stessa lunghezza d'onda il M5S e Italia viva. All'Adnkronos, il pentastellato Alfonso Colucci afferma che "la veloce raccolta delle firme per il referendum lancia un chiaro segnale a Calderoli e al governo intero contro l'autonomia. Confidiamo nel fatto che la Corte costituzionale, ma soprattuto i cittadini, possano determinare l'abrogazione di questa riforma che spacca l'Italia in due e che spacca le Regioni del Nord al loro interno".
Per la renziana Raffaella Paita, invece, "evidentemente il ministro teme la consultazione popolare e il raggiungimento del quorum". "Abbiamo massimo rispetto per la Consulta e per la competenza dei giudici costituzionali - dice all'Adnkronos -. Ai partiti il compito di spiegare e denunciare le storture di una legge che danneggerà sia il Nord, sia il Sud con la sua valanga di burocrazia. La raccolta firme sta procedendo spedita ed è un bellissimo esercizio democratico. La risposta dei cittadini, da Nord a Sud, è stata straordinaria, più di quanto il ministro Calderoli si aspettasse. E il suo nervosismo lo dimostra".
Caustico Angelo Bonelli che replica con un'alzata di spalle alle parole di Calderoli: "Be', detto da uno che ha fatto il Porcellum, che lui stesso ha definito una 'porcata', e che la Consulta ha giudicato incostituzionale, è un biglietto da visita di non credibilità da parte del ministro Calderoli". Anche l'esponente di Avs rimarca: "Quello che conta sono le firme che sono state raggiunte in poche settimane, che sono già arrivate al quorum di 500.000, e che ci si augura arriveranno a un milione".
I dubbi, però, rimangono. Per Colucci, "Calderoli fonda le sue dichiarazioni sul collegamento alla legge di bilancio, ma è un collegamento formale non sostanziale. E gli altri rilievi posti sembrano superabili dall'esame della Corte costituzionale".
E anche Magi lancia l'allarme sull'ipotesi bocciatura: "Il rischio c'è" non tanto sul collegamento tra la legge e la legge di bilancio, che "è formalistico, non è effettivo, anche perché non è previsto nessun impegno di spesa ma anzi potrebbe rimandare a un'altra legge", quanto sulla Corte costituzionale che, "negli ultimi anni, è andata ben al di là dei confini dell'articolo 75 della Costituzione restringendo la possibilità da parte dei cittadini di votare determinati referendum".
Politica
Vannacci: “Trump vero leader, Musk non ha fatto...
"Inizia una nuova era, Trump si è espresso con concretezza e pragmatismo su molti ambiti di grande importanza"
Donald Trump ha fatto un "discorso da vero leader", Elon Musk non ha fatto il saluto nazista. Roberto Vannacci, europarlamentare indipendente della Lega, all'Adnkronos risponde alle domande sull'inauguration day che ha segnato ufficialmente l'inizio del mandato di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti.
Quello di Trump è stato un "discorso da vero leader, che condivido in molti aspetti ma soprattutto quando chiede una 'rivoluzione del buonsenso', buonsenso a cui, guarda caso, ho dedicato il primo capitolo del mio tanto controverso e discusso libro 'il mondo al contrario'", dice Vannacci, che ha seguito la giornata di ieri da Bruxelles.
"Inizia una nuova era, Trump si è espresso con concretezza e pragmatismo su molti ambiti di grande importanza: più sicurezza e sigillare i confini rimpatriando senza eccezioni chi si è introdotto negli Usa clandestinamente o violandone le leggi", aggiunge. "L'America - è convinto generale - cambia passo e speriamo che questo nuovo andare possa trascinare anche l'Europa che da anni difende tutti gli interessi, quelli del pianeta, dell'umanità, delle minoranze, degli animali, della natura tranne quelli propri e dei propri cittadini".
Trump promosso anche quando dice di voler "superare la truffa del green deal e fare rotta verso ricchezza e benessere con scelte 'convenienti' che tutelino la sacrosanta libertà dei consumatori" come anche la volontà espressa dal presidente Usa di voler "proteggere la famiglia naturale e mettere al centro la libertà dei cittadini, in primo luogo quella di manifestazione del pensiero che nella costituzione americana occupa il primo emendamento".
Molti oggi sono i commenti sul presunto saluto in stile fascista di Elon Musk: "Braccio teso di Musk... mah, ho visto il video di ringraziamento in cui dopo aver portato la mano al cuore tende il braccio, non mi sembra assolutamente un riferimento al saluto adottato dal nazionalsocialismo o dal fascismo ma piuttosto un gesto di coinvolgimento del pubblico presente", dice Vannacci
"In quei frangenti il linguaggio del corpo è molto più importante e penetrante delle parole e, probabilmente, nell'esagerare una postura ha potuto dare, solo ai maliziosi e a una certa stampa in malafede, l'impressione di fare riferimento a periodi storici passati. In realtà, a mio avviso, è solo gestualità per coinvolgere il pubblico".
Politica
Il Washington day di Meloni, da Trump “per rafforzare...
La premier unico leader Ue invitato alla cerimonia d'insediamento
Non è stato un blitz come quello di Mar a lago, rivelatosi determinante per la liberazione di Cecilia Sala, ma una intera giornata quella che Giorgia Meloni ha dedicato, per la seconda volta in un mese, a Donald Trump. La premier non è voluta mancare all'inauguration day del presidente americano, sottolineando quanto sia importante "dare una testimonianza della volontà di continuare e rafforzare" la relazione Italia-Usa.
E questa "testimonianza" la premier l'ha data plasticamente già di primo mattino, quando insieme alla famiglia Trump, a quella del vice presidente Vance e pochi altri, ha preso parte alla messa di 'benedizione' del neo commander in chief alla chiesa episcopale di st John, proprio di fronte alla Casa Bianca. Poi il trasferimento alla Rotonda del Campidoglio, a Capitol hill, per il giuramento spostato al chiuso a causa dell'ondata di gelo che ha stretto Washington. Con lei, oltre ai diplomatici, la fida Patrizia Scurti in delegazione.
Meloni siede sotto lo sguardo della statua di Abramo Lincoln, nei posti riservati ai capi di Stato e di governo invitati da Trump. Una sparuta elite che comprende la presidente del Consiglio (unica leader Ue) e, tra i pochi altri, il presidente argentino Javier Milei, con cui Meloni chiacchiera a lungo inquadrati più volte dalle telecamere di Fox news, che non ha perso una battuta della giornata-evento.
A pochi passi, i 'big tech Ceo' che Trump ha voluto come ospiti vip della cerimonia e che l'hanno sostenuto nel suo cammino di ritorno alla sala ovale: Tim Cook, Jeff Bezos, Sandor Picahi, Sam Altman, Mark Zuckenberg e ovviamente Elon Musk. Sui social, è il capo delegazione di FdI-Ecr all'Europarlamento Carlo Fidanza, a Washington con un piccola pattuglia di parlamentari italiani ospiti dei Repubblicani Usa, a dare il senso politico della 'foto di Capitol hill' della Meloni: "La nostra presidente è ormai riconosciuta da tutti come l’interlocutrice privilegiata di Trump in Europa".
Nella sua valutazione del Trump day, Meloni al mattino è più ecumenica: "Penso sia molto, molto importante per una nazione come l’Italia che ha rapporti estremamente solidi con gli Stati Uniti dare una testimonianza della volontà di continuare e se mai rafforzare quella relazione in un tempo nel quale le sfide sono globali e interconnesse", spiega prima di lasciare l'albergo.
Più tardi su X augura buon lavoro a Trump e assicura: "Sono certa che l’amicizia tra le nostre Nazioni e i valori che ci uniscono continueranno a rafforzare la collaborazione tra Italia e Usa", per poi sottolineare: "L’Italia sarà sempre impegnata nel consolidare il dialogo tra Stati Uniti ed Europa, quale pilastro essenziale per la stabilità e la crescita delle nostre comunità".
Per il ministro dell'Ue Tommaso Foti, la missione di Meloni a Washington "conferma il ruolo cruciale che, nel prossimo futuro, la nostra Nazione intende giocare nelle relazioni transatlantiche, ponendosi come ponte strategico tra Europa e America".
In questo contesto, e anche per il rigido protocollo che governa l'insediamento del presidente americano, si stempera anche l'attesa per un faccia a faccia Meloni-Trump, prima auspicato e poi annunciato alla vigilia anche da Fidanza. "Non era previsto, non era il contesto e non ci sarà problema a farlo in futuro", è il senso del ragionamento dell'entourage della premier. Così, direttamente lasciando ad un certo punto le lunghe celebrazioni, Meloni può salutare e tornare subito in Italia.
Politica
Pd, Parisi: “Milano e Orvieto? Schlein non promuove...
"E' un suo fallimento. Ma dalle due riunioni, molto diverse, non ho visto alcun segno esplicito di contestazione del suo ruolo"
Del gran parlare attorno alle due riunioni del week end, quella di Milano di Comunità democratica e quella a Orvieto di Libertà Eguale, il professor Arturo Parisi trae una considerazione univoca: l'aver dimostrato "ancora una volta che nel Pd è più facile discutere dei problemi comuni fuori dal partito che all'interno". E per l'ideatore dell'Ulivo questa mancanza di confronto va imputata alla segretaria del Pd, a Elly Schlein: il fatto che "non riesca a promuovere il confronto tra le diverse posizioni all’interno del partito è implicitamente il segno di un suo fallimento". A meno che "non ritenga che le conte nelle primarie di partito abbiano risolto alla radice ogni confronto tra i contenuti".
Quanto agli scenari, a una eventuale Margherita 2.0, Parisi che dalla Margherita, quella originale, è stato presidente mette in guardia da chi tifa pro e contro l'ipotesi. Piuttosto "una volta chiarito" che si sta nello stesso campo o nello stesso partito, "ognuno ha il diritto e il dovere di mettere in discussione la linea che guida la coalizione". Una discussione sulla linea perchè, sottolinea Parisi, "non ho trovato per il momento alcun segno della contestazione del ruolo" di Schlein.
Professor Parisi, si è appena concluso un movimentato week end tra la riunione 'catto-dem' di Milano e quella di Libertà Eguale a Orvieto. Che idea se ne è fatto? "Che pur muovendosi ambedue senza incertezze nel perimetro del Pd si è trattato di riunioni del tutto diverse. È stata la coincidenza temporale, in buona parte casuale, a favorire la narrazione della comune appartenenza ad una supposta area di ‘centro del centrosinistra’, se non addirittura a proporle come due varianti della componente cattolica. Peccato! Questa confusione ci ha infatti privato della considerazione del contributo portato distintamente dalle due diverse riunioni. Comunque il loro svolgimento ha dimostrato ancora una volta che nel Pd è più facile discutere dei problemi (che dovrebbero essere) comuni fuori dal partito piuttosto che all’interno degli organi deputati dallo Statuto al confronto politico e alle conseguenti decisioni".
Le due riunioni hanno aperto una discussione tra chi sostiene un Pd a vocazione maggioritaria e chi, Matteo Renzi tra gli altri, la necessità di un nuovo soggetto 'centrista' che affianchi il Pd e allarghi il campo del centrosinistra, una Margherita 2.0. Quale è la sua opinione? "Lasciamo da parte il chi e il cosa. Chi ha la pazienza di seguire queste cose -osserva Parisi- non ha infatti difficoltà a ricordare che sono troppi quelli che nel tempo hanno sostenuto, con le parole e ancor di più nei comportamenti, prima una tesi e dopo, quella esattamente opposta".
"Quanto a me, penso che una volta confermata la stabile appartenenza almeno allo stesso campo se non proprio allo stesso partito, ognuno ha il diritto e il dovere di mettere in discussione la linea che guida la coalizione oggi all’opposizione e che la guiderà in un domani nella competizione per il governo. È infatti evidente che è la linea che risulta prevalente a imprimere il proprio segno politico a tutti quelli che dichiarandosi appartenenti alla stessa coalizione si impegnano a sostenerla. A meno che, tornando definitivamente al proporzionale, ognuno fa per proprio conto".
Alcuni commentatori hanno rilevato in entrambe le assemblee una messa in discussione del ruolo di Elly Schlein come possibile federatrice e quindi candidata premier del centrosinistra. Hanno ragione, Schlein non sarebbe la candidata giusta per palazzo Chigi? "Di certo il solo fatto che Elly Schlein non riesca a promuovere il confronto tra le diverse posizioni all’interno del partito è implicitamente il segno di un suo fallimento. A meno che non ritenga che le conte nelle primarie di partito abbiano risolto alla radice ogni confronto tra i contenuti. Dico, implicitamente. A stare alle dichiarazioni esplicite non ho tuttavia trovato per il momento alcun segno della contestazione del suo ruolo. Non ad Orvieto dove si sono riuniti quelli che attorno a Veltroni hanno da sempre sostenuto la tesi che vuole il Segretario del Partito Democratico automaticamente candidato alla guida del governo. Ma neppure a Milano visto che Delrio ha chiarito previamente che non si intende mettere in discussione questa regola, limitandosi a chiedere attenzione alle richieste dei 'catto-dem' e il riconoscimento della loro presenza e del loro spazio".