Scuola a ottobre? La sfida del clima accende il dibattito sul calendario scolastico
L’inizio dell’anno scolastico 2024/2025 ha già acceso un dibattito che divide sindacati, associazioni di categoria e famiglie. La richiesta di posticipare l’inizio delle lezioni a ottobre, avanzata da diverse organizzazioni, è sostenuta dalla preoccupazione per il cambiamento climatico e dalle temperature record che caratterizzano sempre più spesso il mese di settembre. In un paese come l’Italia, dove il caldo estivo si prolunga sempre più nel tempo, il tema non è certo irrilevante. Eppure, come ogni cambiamento che tocca abitudini consolidate e necessità organizzative, la proposta ha incontrato una resistenza non indifferente, soprattutto da parte delle famiglie.
Sui banchi ad ottobre: pro e contro
Marcello Pacifico, presidente dell’Anief, è stato tra i primi a sollevare la questione, definendo “assurdo” il ritorno in classe a metà settembre con un clima afoso. La sua richiesta di “buon senso e lungimiranza” nell’adeguare i calendari scolastici riflette una preoccupazione che va oltre il semplice disagio: l’obiettivo è quello di proteggere la salute di studenti e insegnanti, categorie particolarmente vulnerabili agli estremi termici. A supporto di questa tesi, il Coordinamento nazionale docenti della disciplina dei diritti umani ha coinvolto anche la comunità scientifica, chiedendo un parere ai pediatri sull’impatto del caldo estremo sui più giovani. La richiesta di slittamento, in questo senso, non è solo un invito a considerare le temperature, ma anche un appello a una più ampia riflessione sul benessere nelle scuole, dove troppo spesso gli edifici non sono attrezzati per fronteggiare le sfide climatiche moderne.
Dall’altro lato della barricata, le associazioni di genitori esprimono una forte preoccupazione per l’idea di allungare ulteriormente la chiusura estiva delle scuole. Se tre mesi senza lezioni sono già visti come un ostacolo alla conciliazione tra lavoro e famiglia, un’ulteriore estensione potrebbe avere conseguenze disastrose per molte famiglie italiane. I costi dei centri estivi, già considerati insostenibili da molti, pesano enormemente sui bilanci familiari, mentre la lunga pausa scolastica rischia di amplificare le disuguaglianze tra i bambini, penalizzando soprattutto quelli provenienti da contesti meno favorevoli. La petizione che ha raccolto oltre 60mila firme per chiedere una revisione del calendario scolastico riflette un disagio diffuso, che non riguarda solo l’aspetto economico, ma anche quello educativo e sociale.
Ritorno al passato?
La questione si fa ancora più complessa se si considera che sino agli anni ’50 l’anno scolastico iniziava a ottobre. L’idea di un ritorno a quel modello non è quindi priva di precedenti storici, ma il contesto è cambiato radicalmente. Oggi, le famiglie si trovano a dover gestire ritmi lavorativi ben diversi, e l’organizzazione della vita quotidiana richiede un equilibrio delicato che una lunga pausa estiva può compromettere. I sindacati e le associazioni che sostengono lo slittamento puntano il dito contro le aule spesso inadeguate, ma il vero nodo del dibattito resta la capacità del sistema scolastico e della società nel suo complesso di adattarsi a un clima che sta cambiando rapidamente, senza trascurare però le esigenze di chi vive ogni giorno le difficoltà della conciliazione tra lavoro e famiglia.
Il Coordinamento nazionale docenti, insieme ad altre organizzazioni, ha fatto appello al ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, richiedendo un intervento che tenga conto delle nuove realtà climatiche. Ma la questione non riguarda solo il ministero: la salute degli studenti, in particolare dei più fragili, è una priorità che richiede attenzione a livello nazionale. La proposta di slittamento si intreccia così con il più ampio dibattito sulla qualità degli edifici scolastici, dove la mancanza di condizionatori e la scarsa manutenzione dei termosifoni rendono difficili sia i mesi estivi che quelli invernali.
A complicare ulteriormente il quadro, interviene anche la politica, con Matteo Salvini, vicepremier e leader della Lega, che si è espresso contro l’idea di posticipare l’inizio delle lezioni. In un clima di scontro e di opinioni contrastanti, trovare una soluzione che soddisfi tutte le parti coinvolte sembra sempre più difficile. Tuttavia, è evidente che la questione non può essere ignorata: il clima cambia, e con esso devono cambiare anche le nostre istituzioni, scolastiche e non. Il vero nodo da sciogliere sarà trovare un compromesso che tuteli sia il benessere degli studenti che le esigenze organizzative delle famiglie, in un equilibrio che, al momento, sembra ancora lontano.
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Lega e Fratelli d’Italia contro Erasmus: “Propaganda gender...
L’Unione europea diffonderebbe l’ideologia gender attraverso il suo programma Erasmus, il più longevo – e riuscito – dei progetti europei, a danno dei più giovani. La Lega si associa a Fratelli d’Italia e si scaglia contro l’Europa, e nello specifico contro il programma Erasmus, che da moltissimi anni prevede periodi di studio all’estero per gli universitari europei.
Nel mirino c’è un progetto specifico, Dragtivism, in sostanza un campo estivo aperto a giovani tra i 14 e i 17 anni e che, attraverso l’arte drag, vuole promuovere l’inclusione, la parità di genere e l’attivismo sociale nella propria comunità. Il campo si svolge a Girona, in Spagna. Vi partecipano 30 ragazzi, seguiti da dieci group leader e da quattro facilitatori, provenienti dalla Spagna stessa e da Grecia, Irlanda, Italia, Slovacchia. Il finanziamento è pubblico attraverso il programma Erasmus+, ed è pari a 35.730 euro.
Già a fine agosto un’interrogazione all’Europarlamento a firma di vari esponenti meloniani dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) chiedeva la sospensione dei finanziamenti del progetto, in quanto esporrebbe “i giovani vulnerabili a contenuti discutibili, ma rischia anche di configurarsi come una forma di indottrinamento ideologico”.
L’attacco della Lega
Ecco perché, secondo l’eurodeputata Isabella Tovaglieri della Lega, “l’Erasmus potrebbe non essere più sinonimo di viaggi e scambi culturali tra i giovani europei, ma un discutibile strumento di propagazione della dottrina gender, che rischia di discriminare la maggior parte delle ragazze e dei ragazzi estranei a questo mondo”.
Tovaglieri tira in ballo la cosiddetta ideologia gender, ma si tratta in realtà di una dottrina che non esiste, non è mai stata formulata. Questo in teoria, appunto: in pratica è stata ed è utilizzata, a partire dagli ambienti cattolici, per far credere, tra le altre cose, che ci sia un complotto per cancellare il sesso biologico, le differenze tra i generi, distruggere la famiglia tradizionale e plagiare i bambini facendoli diventare omosessuali.
Nel caso specifico, viene buttato là che il progetto avvierebbe i ragazzi alla carriera delle drag queen insegnando “agli adolescenti a spogliarsi nei bar gay”, come denuncia il sito Citizengo.
Tovaglieri parla anche di discriminazione dei “ragazzi estranei a questo mondo”, ma a tal proposito va ricordato che i dati sono molto chiari nel riportare che i problemi sono le persone LGBTIQ+ a viverli tutti i giorni.
Le risponde su questo Mario Furore, europarlamentare del Movimento 5 Stelle: “La polemica contro i fondi Erasmus destinati all’integrazione dei giovani studenti appartenenti alla comunità LGBTIQ è ridicola e non tiene in considerazione alcuni dati: nell’ultimo anno solo in Italia si sono verificati ben 149 casi di violenze e discriminazioni ai danni di persone LGBTIQ, ma persino 3 omicidi e un caso di suicidio di un ragazzino di 13 anni a Palermo, bullizzato perché gay”.
“Inoltre ricordiamo che oltre un terzo delle persone LGBTIQ in Europa ha dichiarato di subire discriminazioni nella vita quotidiana. Momenti di scambio come quelli dell’Erasmus possono aumentare la consapevolezza che la diversità va considerata come normalità e su questo punto le scuole e le università possono svolgere un ruolo positivo aumentando l’accettazione sociale e prevenendo casi di bullismo e discriminazione”, conclude.
Ma cos’è in pratica il progetto Dragtivism jr?
Cos’è il progetto Dragtivism jr
Come accennato, DragTivism jr è un progetto di scambio fra ragazzi che attraverso seminari, incontri, e un’educazione partecipata e coinvolgente – giochi di ruolo e di squadra, attività sportive e laboratori creativi, animazione linguistica e momenti di riflessione individuale e di gruppo – utilizza l’arte drag per promuovere l’inclusione, la parità di genere e l’attivismo sociale nella propria comunità, anche per sfidare le discriminazioni di genere e il ‘soffitto di cristallo’ che blocca la crescita professionale di donne e minoranze.
Ci si aspetta un impatto:
• sui ragazzi direttamente coinvolti, anche come moltiplicatori per stimolare curiosità in altre persone
• a livello locale per l’aumento delle capacità e della consapevolezza dei giovani
• a livello nazionale perché i partecipanti condivideranno esempi di buone pratiche e potranno informare su dove trovare informazioni e supporto e iniziative a livello europeo
• a livello europeo/internazionale, infine, i partecipanti potranno esprimere le esigenze che vedono nei propri contesti di riferimenti, con la capacità di avviare progetti a livello internazionale nel quadro di Erasmus+ o di altri programmi di finanziamento.
Proprio il problema del finanziamento pubblico è un altro punto critico sottolineato dall’eurodeputata della Lega: “Nei prossimi anni, l’Europa finanzierà con quasi 11,5 milioni di euro ben 150 corsi Erasmus per avvicinare i giovani al mondo LGBT e per sostenere quelli che già si riconoscono in questa galassia: non solo il campus per minorenni che insegna a diventarne drag queen e a farne una professione, che si sta svolgendo in questi giorni nella città spagnola di Girona, ma anche diversi workshop per formare i giovani attivisti LGBT, corsi riservati ai soli giovani trans che vogliono diventare imprenditori, un corso destinato a ragazzi trans e non binari che si sentono discriminati nel mondo della cinematografia, e persino un workshop contro i movimenti populisti e di estrema destra che minacciano i diritti delle persone gay, solo per fare qualche esempio”.
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Guardare la Tv per più di 5 ore aumenta del 44% il rischio...
Guardare troppa televisione potrebbe avere effetti devastanti sulla salute del cervello. Uno studio condotto su larga scala dalla Tianjin Medical University ha rivelato che guardare la Tv per più di 5 ore al giorno aumenta del 44% il rischio di sviluppare demenza.
Non solo: lo studio pubblicato sul Journal of the American Medical Directors Association ha anche associato l’eccessivo utilizzo della tv a tassi più elevati di ictus e Parkinson. Più in generale, l’indagine ha fatto emergere connessioni preoccupanti tra l’eccessivo consumo di televisione e diverse malattie neurologiche.
Demenza e Tv, che relazione c’è?
Lo studio ha analizzato i dati di 407.000 partecipanti di età compresa tra 37 e 73 anni, appartenenti al progetto UK Biobank. Di questi, circa 40.000 avevano effettuato una scansione cerebrale, ma nessuno di loro presentava disturbi neurologici all’inizio dell’osservazione. La durata del follow-up è stata di tredici anni, periodo durante il quale 5.227 persone hanno sviluppato una forma di demenza, 6.822 hanno subito un ictus e 2.308 sono state diagnosticate con la malattia di Parkinson.
Un dato interessante è che, in media, i partecipanti guardavano la Tv per circa 2 ore e 40 minuti al giorno, un valore vicino al limite di sicurezza indicato dai ricercatori. Coloro che superavano questa soglia, però, presentavano rischi significativamente maggiori di incorrere in malattie cerebrali.
Lo studio della Tianjin Medical University ha riscontrato la riduzione della materia grigia e il restringimento dei centri della memoria nei soggetti che passano diverse ore davanti alla Tv. Questi cambiamenti strutturali del cervello sono strettamente collegati a malattie neurodegenerative come la demenza e il Parkinson.
Per gli autori della ricerca, è ancora poco chiaro come guardare la Tv possa portare a questi effetti, ma una delle teorie più accreditate riguarda il legame tra sedentarietà, infiammazioni croniche e riduzione del flusso sanguigno al cervello.
Guardare la Tv per massimo 3 ore
Secondo i ricercatori, il tempo ideale da dedicare alla visione della televisione è di massimo 3 ore al giorno. Superare questo limite sembra avere un impatto diretto sulla salute cerebrale. Le analisi condotte dal team di ricerca hanno mostrato che chi guarda la Tv per 3 o 5 ore al giorno ha un rischio del 15% più alto di sviluppare la demenza rispetto a chi lo fa per un’ora o meno.
L’altro dato interessante (e preoccupante) è che il rischio di demenza pare aumentare in maniera più che proporzionale rispetto alle ore trascorse davanti alla Tv. Infatti, dalle 5 ore in poi, il rischio di demenza sale al 44%.
Questa soglia risulta critica anche per altre patologie. Chi guarda la Tv per oltre 5 ore al giorno ha anche un rischio del 12% più alto di subire un ictus e del 28% di sviluppare il Parkinson.
Senza considerare i danni fisici che la vita sedentaria comporta. Secondo i dati Foce (Federazione degli Oncologi, Cardiologi e Ematologi), in Italia solo l’8,2% degli adolescenti svolge almeno un’ora al giorno di attività fisica (moderata-intensa) come raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità per questa fascia di età, il 18,2% è in sovrappeso e il 4,4% obeso. La sedentarietà è aumentata notevolmente con il lockdown e, oltre ad avere un grosso impatto sulla già fragile sanità pubblica, può avere conseguenze anche sulla fertilità della popolazione più giovane (per approfondire: Italiani sempre più sedentari, aumentano la spesa pubblica e il rischio di infertilità).
Stare al pc non è come guardare la Tv
Curiosamente, lo studio non ha riscontrato lo stesso effetto negativo per il tempo trascorso davanti al computer. Secondo i ricercatori, ciò potrebbe essere legato al fatto che l’uso del computer è spesso associato ad attività più impegnative dal punto di vista cognitivo, come il lavoro o la lettura, che possono contribuire a mantenere attivo il cervello e a ridurre il rischio di malattie neurologiche. E la tesi sembra reggere.
Uno studio condotto dallo psicologo Stephen Badham evidenzia quello che possiamo definire “il paradosso del digitale”: se la scienza è concorde nel ritenere che la eccessiva esposizione allo schermo stia peggiorando la salute mentale dei giovani, sembra che proprio l’uso degli smartphone abbia effetti positivi sulle facoltà mentali dei più anziani. Il discorso è analogo a quello dei pc, seppure con diverse proporzioni: rispetto all’attività totalmente passiva di guardare la tv, pc e (in minor parte) gli smartphone richiedono delle azioni da parte dell’utente, stimolandone l’attività cerebrale se non vengano utilizzati come seconda tv (ovvero solo per guardare contenuti forniti da altri).
Negli ultimi anni, inoltre, sempre più studi dimostrano che il ruolo fondamentale della socialità per la salute delle persone, ma la crisi demografica dei Paesi sviluppati e le migrazioni interne stanno lasciando da soli sempre più anziani. Nel 2022 il 30,52% degli ultra 65enni italiani viveva da solo e la tendenza è a peggiorare; per molti di loro, le connessioni digitali rappresentano il più frequente, se non l’unico, mezzo di contatto con i propri cari.
In definitiva, sedersi passivamente davanti a uno schermo per molte ore al giorno sembra avere effetti negativi molto più marcati rispetto ad altre attività che richiedono un maggiore coinvolgimento mentale.
Studi correlati e teorie scientifiche
Altri studi scientifici hanno confermato la correlazione tra comportamenti sedentari e malattie cerebrali. Una ricerca pubblicata su Nature Communications ha dimostrato che la sedentarietà prolungata porta a un aumento delle proteine amiloidi nel cervello, un marcatore dell’Alzheimer. Altri studi, come quello condotto dall’Università di Cambridge, hanno evidenziato che stili di vita attivi, anche in età avanzata, riducono significativamente il rischio di demenza.
Come ridurre il rischio di demenza
Allora come è possibile proteggere la salute del proprio cervello?
I ricercatori suggeriscono di ridurre il tempo trascorso davanti alla Tv a non più di 3 ore al giorno e, cosa ancora più importante, di dedicare parte del tempo libero ad attività fisiche e mentali che stimolino il cervello. Camminare, fare esercizio fisico o impegnarsi in hobby che richiedono concentrazione e creatività possono contribuire a mantenere attivi i centri della memoria e a proteggere il cervello dalle malattie neurodegenerative.
“La televisione – scriveva Pasolini – è un medium di massa, e come tale non può che mercificarci e alienarci”. A noi il compito di non fungere da specchio, e di riflettere nel senso umano del termine.
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Stefano De Martino: “Santiago cresce. Ha bisogno di me. Son...
Faccio i doppi turni per stare con mio figlio. Queste le parole di Stefano De Martino, conduttore, ballerino e cantante, ma anche attore e showman, che dopo il successo del programma ‘Stasera tutto è possibile’, approda su Rai 1 con la conduzione di ‘Affari tuoi’.
Un’eredità del conduttore Amadeus, il programma sembra conseguire un grande successo anche con la conduzione di De Martino che però, come molti che si son costruiti una carriera senza particolari privilegi, venendo “dal basso”, non dimenticano alcuni valori e sanno dare le giuste priorità alla propria vita. E una di queste è l’educazione, così come la presenza genitoriale, per il figlio Santiago.
“Doppi turni per mio figlio”
“Registri il programma dal lunedì al mercoledì perché il weekend è dedicato a tuo figlio, giusto?”, gli ha chiesto Bruno Vespa nelle scorse puntate di ‘Cinque minuti’, programma condotto dal giornalista di Porta a Porta nel quale invita ospiti vip, prima della programmazione di prima serata Rai.
“Da padre separato e potendo ritarare il piano di produzione in base alle esigenze ho chiarito che avrei potuto fare anche i doppi turni. Registriamo tantissime puntate dal lunedì al mercoledì. Questo mi consente di avere più tempo per mio figlio”, ha raccontato l’ex marito di Belen Rodriguez, showgirl con la quale ha avuto Santiago.
Sul web la notizia ha attirato grande clamore. Tra chi critica le parole del conduttore, perché oggi può vantare soldi e fama e chi invece comprende i sacrifici nonostante il successo, le motivazioni dietro le affermazioni le ha date lo stesso De Martino: “Mio figlio sta crescendo e ha bisogno di me”, ha puntualizzato a Bruno Vespa.
Parole, quelle del conduttore, che ricordano che anche i papà possono avere problemi nella gestione tra vita privata e lavoro, soprattutto in seguito ad una separazione coniugale. Una questione sulla quale si gioca una partita del futuro delle famiglie e della demografia del nostro Paese.
Lavoro e vita privata: un problema anche per i vip?
In quanto papà separato, l’affidamento congiunto con la showgirl argentina, per Stefano De Martino, diventa una doppia organizzazione che separa la settimana tra lavoro e figlio. Una “settimana corta”, in qualche modo, degna di modelli virtuosi di aziende nostrane, ma soprattutto estere, che consente quindi al conduttore di viversi in serenità la crescita del figlio.
L’ormai non più così piccolo Santiago (11 anni), come la maggior parte dei bambini di quell’età, si avvia ad una fase preadolescenziale complessa per molti genitori. Dal canto suo, De Martino è altrettanto giovane (34 anni), come gli ricorda Bruno Vespa in trasmissione con una frase dai toni paterni: “Sei ancora nel fiore dei tuoi anni”.