Ancora molti interrogativi sul naufragio del veliero avvenuto nella baia di Porticello, alle porte di Palermo
Sul naufragio del veliero Bayesian, la nave affondata nella notte fra il 18 e il 19 agosto scorso nella baia di Porticello alle porte di Palermo - il bilancio è di un morto, 6 dispersi e 15 sopravvissuti - ci sono ancora molti interrogativi irrisolti.
Tromba d'aria o downburst?
A cominciare dal fenomeno meteorologico che ha colpito la zona: per alcuni, come il climatologo del Cnr Sante Laviola, si tratterebbe di una tromba d'aria. Per altri, come il direttore del centro meteorologico siciliano Stefano Albanese, quanto accaduto nell'area del palermitano e che ha colpito lo yacht da 56 metri della Perini Navi sarebbe stato un downburst: fenomeno tipico delle zone subtropicali ma sempre più presente anche nel Mediterraneo, che si sostanzia in una serie di raffiche di vento discendente, spesso accompagnate da piogge torrenziali, che improvvisamente arrivano anche oltre i 200 chilometri orari di velocità.
L'albero non si è spezzato
Inoltre, dalle perlustrazioni del relitto, adagiato a 49 metri di profondità sul fondale marino, pare smentita anche un'altra teoria: quella della rottura dell'albero maestro. Una scoperta che contraddirebbe la testimonianza fornita dal comandante Karsten Börner della nave Sir Robert Baden Powell, che ha raccontato di aver visto l'albero dello yacht spezzarsi improvvisamente. Il Bayesian, al momento della sua costruzione nel 2008, aveva l'albero in alluminio più alto del mondo: 75 metri. Sebbene l'alluminio sia soggetto alla corrosione, anche questa ipotesi pareva improbabile già prima che i sommozzatori raggiungessero il relitto: nel 2016 (otto anni dopo la costruzione) l'albero del Bayesian era stato smontato e, insieme a tutto il sartiame (i cavi di acciaio che reggono l'albero, ndr), era stato oggetto di una verifica accurata in Spagna, nel corso di un totale refit (termine che indica la ristrutturazione e l'ammodernamento di tutta la nave) cui il veliero era stato sottoposto.
La 'scuffiata'
Gli esperti sono scettici anche su un'altra ipotesi, quella della scuffiata, ovvero il capovolgersi della barca: difficile infatti vedere su un fianco un gigante del genere, con un baglio (la larghezza massima dello scafo, ndr) di oltre 11 metri e mezzo. Scrive il Giornale della vela, che sul tema ha consultato diversi esperti: è "difficile che l’unità, nonostante le forti raffiche, possa avere sbandato a tal punto da raggiungere l’angolo oltre il quale avrebbe iniziato ad imbarcare acqua fino ad affondare rapidamente". Un'eventualità su cui i progettisti non sono stati categorici ma che hanno definito "assai poco probabile".
La secca delle Formiche
Un'altra teoria riguarda l'impatto del Bayesian contro la secca delle Formiche. E anche questa appare remota: il Bayesian infatti era ancorato nella zona della secca, ma lontano da essa. Nel caso poi di una nave lunga oltre 50 metri, per causarne l'affondamento, l'impatto con la secca sarebbe dovuto essere violento e a velocità sostenuta. Secondo il Giornale della vela poi, "stando alle coordinate della secca e a quelle del tracciato Ais (il sistema di identificazione automatica, ndr) del Bayesian disponibili su Marine Traffic, non ci sarebbe stata una collisione con la secca".
Il paragone con la Concordia
Anche il paragone incondizionato con il naufragio della Costa Concordia sembra fuori luogo: se nel gennaio 2012 la nave da crociera urtò gli scogli de Le Scole, all'imboccatura del porto dell'isola del Giglio, circostanza che causò un profondo squarcio nella chiglia, il Bayesian non sembra aver danni di alcun genere. L'unico riferimento che unisce le due vicende è il riferimento dei soccorritori agli spazi di passaggio, che sono apparsi in entrambi i casi molto stretti e bloccati dalle suppellettili di bordo.
La coincidenza sinistra della morte dell'ex top manager di Autonomy
Ad alimentare il mistero del Bayesian poi, una coincidenza sinistra: a poche ore dal naufragio della nave davanti alle coste siciliane, era stato investito mortalmente nel Regno Unito anche Stephen Chamberlain. L'uomo era l'ex vice presidente finanziario della società Autonomy, fondata da Mike Lynch, disperso nel naufragio insieme alla figlia appena 18enne. I due erano stati coimputati in un processo per frode, durato dieci anni, negli Stati Uniti: erano stati riconosciuti non colpevoli a giugno. Le accuse nei confronti dei due riguardavano la vendita di Autonomy al colosso informatico americano Hewlett-Packard nel 2011 per oltre 11 miliardi di dollari.
L'ipotesi dei portelli aperti
"Lascia perplessi che una nave così attrezzata e così moderna sia affondata così rapidamente. E' proprio questo l'aspetto strano di questo naufragio: la rapidità con cui la nave è sparita tra le onde''. E' la riflessione dell'ammiraglio Giuseppe De Giorgi, ex capo di Stato maggiore della Marina Militare, sul naufragio dello yacht Bayesian a Porticello. ''L'ipotesi che si può fare - spiega De Giorgi all'Adnkronos - è che quell'albero altissimo, 75 metri, con un vento così potente, da 150 km orari, abbia esercitato una leva talmente forte da fare inclinare la nave fino a mettere in acqua il bordo. E se effettivamente non ci sono lesioni sullo scafo l'acqua deve essere entrata attraverso dei portelli aperti. La nave a quel punto è andata rapidamente a fondo perché tonnellate di acqua sono entrate all'interno. Il mare si sarà molto agitato in quel momento''. ''Se una nave del genere è tutta chiusa e rimane integra, poi si raddrizza e l'acqua non entra - chiarisce - Peraltro su uno yacht come quello, che sicuramente avrà avuto l'aria condizionata, non ci sarebbe motivo di avere portelli aperti''.
La chiglia retrattile era sollevata?
Per capire le ragioni della tragedia del Bayesian "sarà fondamentale verificare la posizione della chiglia retrattile, controllare se fosse stata sollevata oppure no", sottolinea all'Adnkronos Paolo Cori, uno dei maggiori esperti al mondo di barche a vela e da regata, perché la differenza in termini di stabilità è sostanziale. Senza dimenticare che "la proporzione fra l'altezza dell'albero, oltre 72 metri dalla linea di galleggiamento, e la lunghezza della barca, di 56 metri, era un po’ troppo elevata per una barca da crociera seppur pesante (ca 550 tonnellate) ma con un basso potere di raddrizzamento trasversale relativo e di conseguenza era una barca con un piano velico molto spinto, estremizzato in altezza, con criticità in certe situazioni estreme come questa".
Cronaca
Turetta, oggi parla il pm: chiederà ergastolo per omicidio...
Accusato di omicidio volontario aggravato, sequestro di persona e occultamento di cadavere
Filippo Turetta ha pianificato l'omicidio Giulia Cecchettin: si è appuntato su un foglio gli oggetti da comprare per immobilizzare l'ex fidanzata, ha studiato le mappe per potersi disfare del corpo e ha organizzato la sua fuga da Vigonovo (Padova). Non ha mai considerato l'idea di poter lasciare in vita chi aveva deciso di lasciarlo, tanto meno ha pensato di fare del male a se stesso. Ne è convinto il pm Andrea Petroni che lo ha incalzato durante l'interrogatorio e che oggi, davanti alla corte d'Assise di Venezia, è pronto a chiedere l'ergastolo per il ventiduenne, imputato per omicidio volontario pluriaggravato, sequestro di persona e occultamento di cadavere.
In aula, il pubblico ministero - nella Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne - ricostruirà la relazione altalenate di circa un anno e mezzo fra i due studenti di Ingegneria biomedica, la crescente ossessione dell'imputato, la scelta della vittima di allontanarsi e l'insistenza di Turetta che si trasforma in persecuzione soffocante - fino a spiarla con un'app sul cellulare - che gli costa l'aggravante dello stalking. Impossibile, per l'accusa, non sostenere la crudeltà: sono 75 le coltellate inflitte contro la vittima che lo rifiutava.
Cosa ha detto Turetta
"Ho ucciso Giulia perché non voleva tornare con me, soffrivo di questa cosa. Volevo tornare insieme e lei non voleva…mi faceva rabbia che non volesse" le parole di Turetta. E' nel patriarcato che il femminicidio di Giulia Cecchettin affonda le sue radici.
Dopo una serata insieme e l'ultimo 'no', Turetta realizza il suo piano appuntato nella lista, un elenco di oggetti da comprare e idee, che è la prima parziale confessione. "Ho ipotizzato di rapirla in macchina, di allontanarci insieme verso una località isolata per stare più tempo insieme…poi aggredirla, togliere la vita a lei e poi a me" dice interrogato. Bugie, il piano è sempre stato uno.
La ricostruzione
L'11 novembre 2023 nel parcheggio di Vigonovo, a pochi passi da casa Cecchettin, Turetta sa cosa vuole. Quando uno dei coltelli si rompe lui non si ferma: costringe l'ex a salire in macchina, la blocca con dello scotch e quando prova a scappare la finisce con un'altra lama, nella zona industriale di Fossò. Dopo cento chilometri abbandona il corpo, avvolto in sacchi neri, vicino al lago di Barcis e prosegue la fuga in solitaria tra stradine studiate in anticipo, usando solo contanti e spegnendo il telefono per non farsi trovare. Fino alla resa in Germania, una settimana dopo l'omicidio di Giulia Cecchettin.
Cronaca
La storia di Diego il clochard, ‘cacciato di casa per...
"Sto in strada da sei mesi. I miei mi hanno cacciato di casa perché mi drogavo". Lui è Diego, ha 28 anni, nato e cresciuto in quelle che lui stesso chiama "borgate romane", e da cui i genitori lo hanno mandato via: "Dovevo fare un percorso di riabilitazione dalla tossicodipendenza, ma i centri diurni erano pieni. Sono andato a Bracciano al Sert ma ho visto che comunque non c'erano cambiamenti: stando in borgata e tornando a casa tutti i giorni, andavo a sbattere sempre contro le stesse persone, che volevano darmi qualcosa da prendere. Mia madre, in extremis, ha preso e mi ha cacciato di casa: "Mi ha detto 'vai per la strada tua'", racconta Diego, mentre si scalda tenendo fra le mani un bicchiere di tè caldo, portatogli da alcuni volontari.
La sua strada è via della Conciliazione, ora, sotto il colonnato di San Pietro, dove sono decine quelli che non hanno una casa e trovano rifugio fra le colonne marmoree e possono contare sull'assistenza fornita loro dal Vaticano e dalle organizzazioni di volontariato: "Io mica lo sapevo che c'erano questi rifugi e queste associazioni, prima di arrivare qui sono stato un mese al parco sotto la Basilica di San Paolo. Sono arrivato qui per un colpo di fortuna: un giorno mi sono addormentato sull'autobus e sono arrivato al capolinea, fermandomi proprio a San Pietro". Fra i sampietrini, la vita non è facile, soprattutto per chi non ha un soldo per sopravvivere: "Per mangiare, i primi tempi, lo devo ammettere, andavo a rubare un panino a pranzo e uno a cena. Niente di più di quello che mi serviva per sopravvivere, perché avevo fame, null'altro", giura Diego. Per difendersi dal freddo poi, una vera lotta: "Avevo un sacco a pelo, ma me l'hanno rubato. Purtroppo qui si gioca a rubarsi le cose fra di loro, anche quando si dorme. Per questo alcuni evitano di andare nelle strutture, perché non possono portare la loro roba e rischiano di perderla". Ma c'è anche tanta solidarietà in strada: "Grazie a un ragazzo ho avuto una tenda, un altro mi ha regalato una delle sue stecche per montarla. Una stecca per uno - sorride Diego - ma almeno dormiamo bene entrambi".
Prima di finire per la strada Diego ha lavorato per 12 anni nei cantieri: "Ogni giorno, quando i poliziotti ci vanno sgomberare per le 5 e mezza o le 6 del mattino, io cerco un lavoro, non demordo. Ho imparato un mestiere grazie a mio papà. Qualcosa si trova, magari in nero... Ma la mia speranza è quella di rimboccarmi le maniche. So che tutto questo è transitorio, molti stanno anche peggio di me e hanno storie che fanno venire i brividi. E l'ho detto anche a mia madre: quando le ho detto di questo percorso - conclude Diego - mi ha detto 'non me l'aspettavo' anche perché un percorso migliore di questo per disintossicarmi non c'è".
Cronaca
Violenza su donne, il presidente del Tribunale di Milano:...
Roia: "L'intermittenza o il giustificazionismo non fa bene, non fa bene un linguaggio improprio, non fanno bene interventi scomposti o inappropriati perché il tema maggiore è fare capire agli uomini che agiscono violenza che quello è un crimine"
"Non sono gli immigrati che creano il problema della violenza sulle donne, il problema della violenza di genere è storico, strutturale e sociale". Il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia, intervistato dall’Adnkronos alla vigilia della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, non fa giri di parole e d'altronde ha i numeri dalla sua parte.
Gli italiani condannati in tribunale a Milano per reati legati al genere sono 440 negli ultimi 12 mesi, con un incremento del 15%. Se si guarda alla nazionalità, gli italiani rappresentano il 62% delle 714 condanne totali, in crescita del 3% rispetto all'anno precedente. Nel 2024 il Tribunale di Milano, dove si registra un aumento delle misure cautelari (1.246 a fronte delle 758 precedenti, +64% in un anno) ha inflitto pene per 798 anni di carcere. Inutile negare che in alcuni paesi la donna gode di meno diritti rispetto agli standard medi europei, ma se "questo può incrementare il numero delle violenze, non incrementa un fenomeno che ha solide radici nel patriarcato".
E' l'identità della donna che chi compie violenza vuole cancellare. "Deve cambiare il linguaggio, a maggior ragione quello degli atti giudiziari", per non incorrere in "una cattiva informazione e nella vittimizzazione secondaria" spiega Roia. "Ad esempio, abbiamo ancora una categoria giuridica, che applichiamo dal diritto romano, che è la 'diligenza del buon padre di famiglia' che è espressione di un linguaggio antico che necessiterebbe di un cambiamento". Occorre insomma una rivoluzione culturale per un fenomeno che anche quest'anno tocca le tre cifre: sono quasi cento i femminicidi in Italia. Secondo i dati diffusi a inizio novembre dal Tribunale di Milano, le vittime più numerose - il totale è di 1.132 (circa il 70% italiane) - ha tra 26-35 anni (187, pari al 16,5%) seguita dalla fascia 36-45 anni (180).
E' tra le "mure domestiche" che si annida maggiormente la violenza, conferma il presidente Roia che definisce "Allarmante" i dato sui minorenni coinvolti come vittime: sono 325 con un aumento pari al 46% rispetto al 2023. "Quando i figli sono esposti a situazioni di violenza subiscono un trauma e da adulti possono sviluppare un trauma mediato, come autori o come vittime. Quando ci sono minori che assistono a fatti di violenza è importante parlarne, andare ai centri antiviolenza, trovare dei riferimenti per uscire da un legame tossico che fa più vittime".
Gli strumenti offerti dal legislatore sono "ottimi per intervenire sotto tutti i punti di vista: nel settore penale, nel campo della prevenzione dove possiamo usare per la violenza domestica il codice antimafia, o nel civile con gli ordini di protezione in caso di violenza familiare in presenza di un bambino. Le leggi ci sono, vanno applicate bene, con competenza, efficacia e specializzazione". Eppure la violenza di genere sembra un problema che non riguarda tutti.
L'emergenza "viene vista a intermittenza, con troppo giustificazionismo, forse con troppa ideologia, non capendo che questo è un tema di civiltà trasversale che deve andare da destra a sinistra, da sinistra a destra passando per il centro, che deve interessare e impegnare tutti i punti cardinali della politica perché è una spia del grado di civiltà di un paese". L'intermittenza o il giustificazionismo "non fa bene, come non fa bene un linguaggio improprio, come non fanno bene certi interventi scomposti o inappropriati perché il tema maggiore è fare capire agli uomini che agiscono violenza che quello è un crimine al pari di commettere una rapina in un officio postale o spacciare droga" conclude il presidente del Tribunale di Milano, Fabio Roia. (di Antonietta Ferrante)