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Raw-dogging, il trend estremo che trasforma i viaggi in aereo in una sfida di resistenza

C’erano una volta i tormentoni estivi, ormai superati dalle ‘challenge’, che nascono sui social e non conoscono stagione. Quest’estate, in particolare, una sfida su tutte è diventata virale e ha fatto – sta – facendo parlare di sé, tentando più di qualcuno: il raw-dogging. Ovvero, farsi tutto un volo a lungo raggio guardando fisso il sedile davanti a sé. Niente telefono, niente film, niente musica, e nelle sue forme più estreme niente acqua, niente sonno, niente cibo e niente toilette o passeggiate riattiva-circolazione in cabina.

Ora, chi ha fatto un volo a lungo raggio sa quanto possa essere per l’appunto ‘lungo’, e quanto sia benvenuta ogni distrazione, dalla lettura ai film ai videogiochi fino anche al passaggio del servizio bevande. E sa anche quanto sia necessario alzarsi e camminare un po’.

Ma chi invece decide di cimentarsi nel raw dogging parte da tutt’altro approccio, e ha davanti a sé ore e ore di immobilismo e di occhi puntati sullo schienale di fronte.

Cos’è il raw-dogging?

Ma come nasce questo trend di viaggio, chiamiamolo così, che ha conquistato diversi adepti in tutto il mondo?

Anche se può sembrare una cosa molto stupida, come in effetti lo è diventata una volta finita nelle maglie di TikTok, inizialmente il raw dogging poteva avere un senso, nella sua forma più basic. Poteva infatti essere visto come un modo, un’occasione per disintossicarsi dal digitale e di attuare una forma di ‘meditazione’, in generale per dedicare del tempo solo a se stessi e ai propri pensieri.

Poteva anche essere un diverso approccio, sperimentato soprattutto dai frequent flyer, chi vola spesso, per affrontare i voli a lungo raggio che per definizione comportano anche un jet leg più o meno importante.

In pratica, inizialmente, significava affrontare il viaggio e il fuso orario nel modo più naturale possibile, senza ricorrere a strumenti ‘artificiali’ come musica, libri, film, cuscini per la testa, farmaci, mascherine e così via. L’obiettivo era gestire l’ansia, cercare una connessione con se stessi, migliorare la concentrazione, pensare.

Un po’ in quest’ottica lo scorso maggio un ventiseienne londinese di nome West ha raccontato su TikTok del suo viaggio da sette ore durante il quale non aveva fatto altro che guardare la mappa del volo, che si trova sullo schienale del sedile di fronte. “Qualcun altro fa rawdogging?”, aveva concluso, lanciando quindi una sorta di sfida.

Il raw-dogging: dal detox digitale alla competizione estrema

E proprio qui è nato il problema.

La sfida ovviamente è stata raccolta, e l’asticella si è alzata sempre di più, fino ad arrivare alla rinuncia di cibo, acqua, sonno, movimento, pur di dimostrare di essere il più forte, quello che ha fatto la cosa più estrema, quello che non ha bisogno di alcuna comodità, ma solo di se stesso. In sostanza, per poter dire ‘sono un vero duro’.

Non a caso il raw-dogger sembra essere principalmente un uomo. La spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che per portare a termine una sfida del genere occorrono forza mentale, disciplina e resistenza fisica, che secondo gli stereotipi sarebbero caratteristiche maschili. E dunque chi voglia sentirsi più forte o riaffermare la propria mascolinità potrebbe essere tentato dal volare ‘crudo’, raw appunto (raw-dogging farebbe riferimento in realtà al fare sesso senza protezioni). Sicuramente sono tutte caratteristiche di cui si vanta sui social chi vola ‘in purezza’.

Un esempio ‘vip’ è Erling Haaland, 24enne attaccante del Manchester City, che sui social si è vantato di aver fatto un volo di sette ore senza telefono, acqua, cibo, sonno, definendo la cosa ‘facile’ da fare e alimentando di fatto la sfida.

I rischi del raw-dogging: salute e benessere compromessi

Ma tutto ciò non è gratis, comporta dei rischi:

noia: la resistenza mentale c’entra, ma non fare nulla per ore – anche 20 – può davvero logorare
maggiore fatica: ignorare completamente i bisogni del corpo durante un lungo volo può compromettere la produttività e il benessere
jet leg più forte: non dormire o riposarsi durante un viaggio lungo può amplificare i sintomi dovuti al fuso orario, portando a un’alterazione del ritmo circadiano che può richiedere giorni per essere recuperato
malesseri: tra cui mal di testa e vertigini, dovuti al non mangiare per ore
disidratazione: volare già di per sé aumenta il rischio a causa dell’aria secca in cabina. Non bere per l’intera durata del volo può solo aggravare il problema, provocando affaticamento e confusione mentale
tensione continua: dovuta al dover resistere molte ore in una situazione di oggettivo disagio, anche se voluta
trombosi venosa profonda: causata dallo stare nella stessa posizione per tantissimo tempo, e in particolare seduti senza fare pause per camminare o stirarsi. Si tratta di una condizione in cui si formano coaguli di sangue nelle vene profonde, di solito nelle gambe, che può diventare pericolosa, soprattutto se un coagulo si sposta verso i polmoni
stress mentale: dovuto all’assenza totale di stimoli durante un volo, specialmente se particolarmente lungo o turbolento.

Considerando i rischi e i (supposti) benefici, dunque sembrerebbe proprio che ‘il gioco non valga la candela’.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Manovra, più incentivi per chi ha figli, fine bonus per chi...

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Le maglie sono strette, l’intenzione è chiara: con la Manovra finanziaria, il governo vuole aumentare i sostegni per chi ha figli e diminuire i bonus a chi non ne ha. L’obiettivo, dichiarato e necessario, è contrastare la denatalità, da cui dipende la tenuta del sistema Paese, incluse le Manovre future. Il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti ha chiarito che non si può fare tutto con le poche risorse a disposizione, (25 miliardi di euro, come la scorsa manovra).

Tra conferme e possibili cambiamenti, la Manovra dovrebbe mantenere alcuni dei pilastri della scorsa Legge di bilancio, mentre il Mef studia la possibile introduzione del quoziente familiare per le detrazioni.

Conferme: taglio del cuneo fiscale e rimodulazione Irpef

Tra le conferme più attese spicca il taglio del cuneo fiscale. Già previsto per il 2024, sarà esteso anche al 2025 e riguarderà circa 14 milioni di lavoratori, con una riduzione dei contributi previdenziali di 7 punti percentuali per i redditi fino a 25 mila euro e di 6 punti per quelli fino a 35 mila euro. Il taglio ha un costo stimato di 9,4 miliardi di euro e si traduce in un aumento dello stipendio netto di circa 100 euro al mese per circa 14 milioni di lavoratori.

Parallelamente, il governo confermerà anche la riduzione dell’Irpef, passata da quattro a tre aliquote, forse con qualche ritocco. Senza modifiche la conferma varrebbe circa 4 miliardi di euro.
Parte della maggioranza, Lega in primis, spinge per una riduzione della seconda aliquota dal 35% al 33% e dell’estensione del tetto del secondo scaglione fino ai 60 mila euro annui. Oltre, scatterebbe il terzo e ultimo scaglione con un’aliquota del 43%. Questa nuova misura coinvolgerebbe circa 8 milioni di lavoratori, il cosiddetto ceto medio, con un costo ulteriore di circa 4 miliardi.

Alcune forze politiche, come Forza Italia, spingono inoltre per l’introduzione di una zona “zero tasse” per i redditi fino a 12 mila euro. Il partito guidato da Antonio Tajani chiede anche l’innalzamento delle pensioni minime da 615 a 650 euro mensili, “con l’obiettivo di arrivare a mille euro entro la fine della legislatura”.

Detrazioni per chi ha figli: che cosa è il quoziente familiare?

Un cambiamento significativo potrebbe riguardare le detrazioni fiscali per chi ha figli. Il principio alla base di questa misura è semplice: alleggerire il carico fiscale delle famiglie numerose, riducendo o eliminando alcune detrazioni per chi non ha figli.

Per fare questo, il governo pensa al quoziente familiare, un indicatore della situazione economica delle famiglie che permette di calcolare l’imposta sul reddito non solo in base ai guadagni individuali, ma anche in base al numero di componenti del nucleo familiare. In questo modo, le famiglie con più figli potrebbero beneficiare di detrazioni più elevate e quindi pagare meno imposte.
Al momento, viene utilizzato solo in via di sperimentazione per l’agevolazione del superbonus edilizio al 90% sugli edifici unifamiliari. Il dicastero dell’Economia e delle Finanze ha già provato ad estenderne l’applicazione in occasione della scorsa legge di Bilancio, ma l’ipotesi è stata poi accantonata.

Il quoziente familiare, già adottato in altri Paesi europei come la Francia, è un indicatore più semplice rispetto all’Isee perché si ottiene dividendo il reddito complessivo del nucleo familiare per il numero dei suoi componenti in base a dei coefficienti, senza tener conto della composizione del patrimonio, come fa l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente. Entrambi gli indicatori favoriscono le famiglie con più figli, anche se con motivazione differenti: il quoziente familiare perché divide il reddito per un numero maggiore di componenti, l’Isee perché considera la presenza di figli come un fattore che aumenta il bisogno economico della famiglia.

Gli effetti del quoziente familiare

Il quoziente familiare impatterebbe sul calcolo dell’Irpef: a parità di reddito viene avvantaggiato il nucleo familiare più grande e il risparmio aumenterebbe al crescere del reddito, avvantaggiando così le famiglie con redditi più elevati. Inoltre, l’aliquota Irpef verrebbe probabilmente applicata sull’intero reddito del nucleo e non più solamente sul reddito personale di ognuno dei componenti.

In pratica, il quoziente familiare ribalterebbe l’attuale sistema di tassazione, che è basato su redditi individuali. Infatti, oggi se i due coniugi hanno redditi diversi, vengono tassati diversamente, in base alle aliquote. Con il quoziente familiare, invece, si tasserebbe l’intero reddito del nucleo con la stessa aliquota rischiando di disincentivare il coniuge che guadagna meno.

[Qui per approfondire: come si calcola il quoziente familiare?]

Per la Manovra 2025, l’idea è di utilizzare questo sistema per determinare l’entità delle singole detrazioni. L’idea alla base è sempre la stessa: sostenere la natalità in un Paese che, secondo le previsioni, vedrà la sua popolazione in età lavorativa ridursi di 5,5 milioni di persone nei prossimi 15 anni.

Bonus mamme a rischio?

Se il taglio del cuneo fiscale e la rimodulazione dell’Irpef sembrano andare spedite verso la riconferma, non si può dire lo stesso per il bonus mamme. La conferma di questa misura, che prevede l’esenzione totale dai contributi per le lavoratrici madri con almeno due figli fino ai dieci anni, è una di quelle più in dubbio per la Manovra 2025.

Le incertezze derivano soprattutto dall’alto costo della misura e dal dibattito politico in corso su quali siano le priorità di spesa per il 2024. La sua cancellazione potrebbe comportare una riduzione del supporto diretto alle famiglie che il governo potrebbe compensare con un rafforzamento di altre misure per la natalità, come l’assegno unico (di cui il ministro Giorgetti ha smentito il taglio) e le detrazioni fiscali.

Le richieste delle famiglie numerose

La ratio con cui vuole intervenire il governo incontra le richieste delle famiglie numerose (con 3 o più figli), che recentemente si sono radunate a Brescia. La convention annuale dell’Associazione Nazionale Famiglie Numerose (Anfn) ha riunito 350 famiglie con tre o più figli provenienti da tutta Italia. Le coppie che con tre o più figli rappresentano l’8,7% del numero complessivo dei nuclei familiari; una percentuale che scende all’1% se si considerano le coppie con quattro o più figli.

L’incontro è stato un’occasione per discutere delle difficoltà che le famiglie numerose affrontano in Italia e per fare il punto sulle politiche di sostegno che, secondo molti partecipanti, sono ancora gravemente insufficienti. Nonostante la presenza simbolica della ministra per la Famiglia, Eugenia Roccella, tramite videomessaggio, il sentimento prevalente è stato di frustrazione, con numerosi genitori che hanno espresso il loro malcontento per la propria situazione anche in relazione agli altri Paesi europei.

I genitori delle famiglie numerose chiedono un impegno più concreto e incisivo da parte della politica.

A differenza di altri Paesi europei, dove le famiglie numerose ricevono sostanziali agevolazioni fiscali e sussidi, in Italia gli aiuti questi aiuti vengono spesso definiti come “briciole”. L’aumento del caro-vita ha aggravato questa condizione soprattutto perché gli effetti dell’inflazione si moltiplicano all’aumentare dei figli molto più velocemente dei benefici.

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La Generazione Z e l’e-commerce, come sono cambiati i trend...

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Negli ultimi due anni, si è registrata una significativa flessione negli acquisti online effettuati dalla Generazione Z. In particolare, la percentuale di giovani tra i 18 e i 24 anni che acquistano sul web è passata dal 14,7% al 10,3%.

Questi dati, rilasciati da Trovaprezzi.it, mettono in luce una nuova sfida per il settore dell’e-commerce: riconquistare uno dei segmenti più dinamici e digitalizzati del mercato.

Il calo degli acquisti online tra i 18-24enni

La Generazione Z, composta da giovani cresciuti con la tecnologia, ha sempre rappresentato una fetta importante dei consumatori digitali. Tuttavia, il calo di quasi 5 punti percentuali tra agosto 2023 e agosto 2024 suggerisce che i comportamenti d’acquisto di questa fascia d’età stanno cambiando.

Tra i fattori che hanno contribuito a questa diminuzione troviamo l’incertezza economica e un potere d’acquisto ridotto, ma anche l’evoluzione delle abitudini di consumo. La Gen-Z, infatti, tende a sfruttare un approccio omnicanale, che integra l’e-commerce tradizionale con gli acquisti nei negozi fisici e sulle piattaforme social.

Le categorie più ricercate dalla Generazione Z

Nonostante la riduzione delle ricerche, è possibile delineare alcune tendenze chiave riguardo ai prodotti più desiderati dalla Generazione Z. Tra le categorie più ricercate nel 2024, spiccano:

Integratori e Vitamine: con una media di oltre 1 milione di ricerche al mese, la salute e il benessere personale sono diventati una priorità assoluta per i giovani.
Cellulari e Smartphone: con circa 772 mila ricerche mensili, gli smartphone restano al centro dell’attenzione, dimostrando l’importanza che la Gen-Z attribuisce all’innovazione tecnologica.
Prodotti per la salute: con 352 mila ricerche al mese, si conferma l’interesse per il benessere generale.
Prodotti per il viso: circa 345 mila ricerche mensili riflettono la crescente attenzione alla cura personale.
Profumi: con circa 300 mila ricerche, i profumi si confermano una delle categorie più amate.

La Generazione Z cerca un equilibrio tra necessità e desideri: da un lato, la salute e il benessere sono al primo posto, dall’altro, la tecnologia e l’estetica giocano un ruolo fondamentale.

Gli smartphone dominano tra i prodotti più desiderati

Nel dettaglio, i prodotti più cercati nel 2024 sono dominati dai giganti del settore tecnologico, con una netta preferenza per i modelli di punta. Nella top 5 dei prodotti più desiderati troviamo:

Apple iPhone 15
Samsung Galaxy S24 Ultra
Apple iPhone 13
Samsung Galaxy S23
Apple iPhone 15 Pro

Questi dati confermano che la Generazione Z è attratta non solo dalle funzionalità avanzate, ma anche dall’estetica e dal prestigio dei brand. La scelta di dispositivi di fascia alta evidenzia una generazione pronta a investire in tecnologia di qualità.

Il profilo del consumatore della Gen-Z

Chi sono i giovani consumatori della Generazione Z? L’indagine di Trovaprezzi.it delinea un profilo preciso: nel 58,6% dei casi si tratta di uomini, mentre il 41,4% delle ricerche proviene da donne. Un altro dato significativo è l’approccio mobile-first: il 58% delle ricerche viene effettuato tramite smartphone, mentre il 46,8% degli acquisti avviene da desktop.

Spesa e Regioni più attive

La Generazione Z è disposta a spendere per prodotti di qualità, con una spesa media superiore ai 200 euro nel 54% dei casi. Le regioni più attive sono la Lombardia e il Lazio, due aree caratterizzate da un elevato potere d’acquisto e una forte penetrazione tecnologica. Tuttavia, ci sono ancora spazi di crescita, soprattutto puntando su esperienze di acquisto personalizzate e coinvolgenti.

Sfide e opportunità per il futuro

“La Generazione Z rappresenta una sfida e un’opportunità unica per il mondo dell’e-commerce”, ha affermato Dario Rigamonti, CEO di 7Pixel S.r.l., società proprietaria di Trovaprezzi.it. “La nostra missione è continuare a innovare e adattare le nostre piattaforme per rispondere alle esigenze di questi giovani consumatori, sempre più attenti alla qualità, al prezzo e all’esperienza d’acquisto.”

L’azienda è consapevole della necessità di investire ulteriormente in tecnologie e strumenti per comprendere meglio i desideri di questa generazione, che rappresenta il futuro del mercato. E secondo l’indagine, solo attraverso un’offerta mirata, innovativa e competitiva sarà possibile riconquistare la fiducia della Gen-Z e consolidare il proprio ruolo nel panorama dell’e-commerce.

La Generazione Z, pur essendo un segmento complesso e in evoluzione, ha preferenze e abitudini che mescolano benessere e tecnologia e che richiedono strategie sempre più mirate e personalizzate. Innovare, adattare e comprendere i loro bisogni sarà la chiave per mantenere un ruolo rilevante nel mercato e conquistare una generazione di consumatori più esigenti e più consapevoli rispetto al passato.

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Stop agli smartphone per gli under 14, ai social per gli...

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Vietare l’uso dei cellulari sotto i 14 anni e dei social sotto i 16 anni. Questa volta la petizione contro l’uso degli smartphone non arriva da San Marino, dalla Florida o da qualche partito politico, ma è un appello accorato di esperti e personaggi dello spettacolo italiani.

Il dibattito torna al centro dell’attenzione grazie all’appello lanciato da Daniele Novara, pedagogista, e Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta. Questa richiesta, firmata anche da attori come Paola Cortellesi, Pierfrancesco Favino e Luca Zingaretti, invita il governo italiano a vietare l’uso personale di smartphone ai minori di 14 anni e l’apertura di profili social ai ragazzi sotto i 16.

L’appello che mette in luce i rischi di un’esposizione prematura e massiccia alle tecnologie, in particolare per lo sviluppo cerebrale e la salute sociale dei più giovani.

Smartphone, quali rischi per il cervello?

Le neuroscienze sono alla base di questa iniziativa. “Ogni tecnologia ha il suo giusto tempo”, affermano i firmatari dell’appello, spiegando che il cervello dei bambini e degli adolescenti non è ancora completamente sviluppato per gestire l’uso continuo e non regolato di dispositivi digitali. Studi recenti hanno dimostrato che l’abuso di smartphone e schermi, soprattutto in età prescolare, può causare alterazioni della materia bianca, la sostanza fondamentale per la connessione tra le diverse aree del cervello che supportano abilità come la lettura e la scrittura.

Inoltre, Novara e Pellai avvertono che un uso troppo precoce e intenso delle tecnologie digitali può portare a “deprivazione sociale, deprivazione del sonno e frammentazione dell’attenzione”. Il problema è già visibile tra i più giovani, che mostrano segni di dipendenza digitale e difficoltà a interagire nel mondo reale.

Come evidenziato dal Global Mind Project del Sapiens Lab, “la traiettoria del declino che stiamo vedendo nella salute mentale segue l’avvento degli smartphone, e c’è un bel po’ di letteratura che collega i social media e lo smartphone a risultati negativi, quindi, era in cima alla lista di potenziali cause alla radice da esplorare”.
Sapiens ha monitorato l’età in cui gli intervistati hanno ricevuto per la prima volta i telefoni cellulari e l’ha confrontata con la loro salute mentale dichiarata. I risultati sono stati lampanti: i bambini che hanno ricevuto i telefoni in giovane età hanno una salute mentale peggiore, anche dopo essersi adattati agli incidenti segnalati di traumi infantili. Nello specifico:

tra le bambine che hanno ricevuto il loro primo smartphone all’età di 6 anni la percentuale con problemi di salute mentale è del 74%;
tra le bambine che hanno ricevuto il loro primo telefonino a 18 anni, la percentuale crolla fino al 46%;
i bambini che hanno ricevuto lo smartphone già a 6 anni hanno avuto problemi di salute mentale nel 42% dei casi;
i bambini che hanno ricevuto il cellulare a 18 anni, invece, hanno riscontrato problemi di salute mentale nel 36% dei casi.

La ricerca ha dimostrato inoltre che i bambini trascorrono online tra le 5 e le 8 ore online al giorno, ossia fino a 2.920 ore all’anno. Tutto tempo sottratto ad altre attività più salutari e più “sociali” dei social.

I danni per la socialità e la scuola

Dunque, non è solo il cervello a soffrire, ma anche la capacità di vivere esperienze fondamentali per il corretto sviluppo emotivo e sociale. L’appello sottolinea che i bambini che trascorrono troppo tempo sui dispositivi digitali rinunciano a momenti cruciali di socializzazione, come il gioco libero, il contatto con la natura e l’attività manuale, come l’uso della penna a scuola. La tecnologia, se introdotta troppo presto, “impedisce di vivere nella vita reale le esperienze fondamentali per un corretto allenamento alla vita”.

Alcuni studi hanno inoltre rilevato che l’abuso di smartphone può causare isolamento, disturbi del sonno e difficoltà a concentrarsi, aumentando i rischi di una deprivazione cognitiva e di una diminuzione delle competenze sociali. Secondo Pellai, “più precoce è l’uso dello smartphone, più i minori sviluppano problemi di isolamento e dipendenza.

La richiesta di una legge per proteggere i più giovani

La famiglia, affermano Novara e Pellai, non può affrontare da sola questa sfida. Di fronte alla crescente pressione delle tecnologie digitali e ai rischi che queste comportano per i più giovani, è necessaria una legge che regolamenti l’accesso ai dispositivi mobili. “Serve una legge”, concludono i firmatari dell’appello, per proteggere i minori dagli effetti negativi di un uso precoce e incontrollato della tecnologia.

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