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Lavaggi brevi e bassa temperatura, vademecum per un bucato green

Come ridurre l’impatto ambientale dei capi secondo l’ultimo studio di Electrolux Group

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Lavaggi brevi, bassa temperatura e tecnologie smart: ecco come ridurre l’impatto ambientale dei capi secondo Electrolux Group. Gli abiti, compresi jeans e magliette, possono durare oltre il 50% in più con procedure di lavaggio delicate e attente. E' quanto emerge da una nuova ricerca, pubblicata all’interno della quarta edizione di The Truth About Laundry report, che dimostra come scegliere temperature più basse e cicli più brevi possa fare una grande differenza in fatto di cura dei capi, a tutto vantaggio dell'ambiente.

Condotto da Electrolux Group, azienda attiva nel settore degli elettrodomestici, lo studio fa parte di un programma di ricerca scientifica focalizzato sull'estensione della vita degli indumenti in corso da sette anni. Attraverso test di laboratorio sono stati sperimentati diversi metodi di lavaggio su vari tessuti, selezionati per rappresentare categorie di abbigliamento comuni, come ad esempio jeans in denim e magliette di cotone.

L'impatto di diversi trattamenti di lavaggio sulla durata dei vestiti

Lo sbiadimento del colore è stato monitorato regolarmente, e oltre 600 partecipanti hanno individuato il momento in cui i vestiti andavano smaltiti. Il risultato è una nuova metrica, l'Electrolux Care Index: una metodologia in grado di misurare l'impatto di diversi trattamenti di lavaggio sulla longevità dei vestiti. Una maglietta di cotone lavata a 30°C per 59 minuti, per esempio, durerà oltre il 50% in più rispetto a quando viene lavata con un ciclo regolare a 40°C, che può durare fino a 120 minuti. Il risultato è stato simile per i jeans in denim.

"Nel 2021 abbiamo pubblicato lo studio Life Cycle Assessment (Lca) sugli elettrodomestici Electrolux, che ha rivelato la possibilità di una riduzione del 20-25% del Potenziale di Riscaldamento Globale (Gwp) passando dai lavaggi a 40°C a quelli a 30°C - afferma la responsabile dello studio, Elisa Stabon, Head of Product Experience, Product Line Care, Electrolux Group - Con questa nuova ricerca siamo andati oltre. Per ridurre la significativa impronta ambientale legata all’abbigliamento dobbiamo mantenere i capi in uso più a lungo. I due modi più semplici per raggiungere questo obiettivo sono, in primo luogo, evitare i lavaggi non strettamente necessari e, in secondo luogo, lavare i capi in modo più delicato: ricorrendo, in particolare, a temperature inferiori e cicli più brevi".

La ricerca sulle abitudini degli europei

Secondo i dati della quarta edizione di The Truth About Laundry 2024, incoraggiare le persone a scegliere programmi di lavaggio più delicati continua a essere una sfida. Lo studio, che dal 2020 ha intervistato fino a 14mila persone in quattordici Paesi europei, evidenzia che la maggior parte delle famiglie continua a lavare a temperature più alte, anche se milioni, fra queste, si sono dovute scontrare con problemi nel bucato: il 59% delle famiglie in Europa afferma di lavare i propri vestiti principalmente a 40°C e oltre. Solo il 12% degli europei pensa che la durata del ciclo abbia un impatto sulla vita dei vestiti, quando invece può avere un'influenza sostanziale. Due terzi (66%) degli europei hanno avuto a che fare con la spiacevole esperienza di trovare, dopo il lavaggio, un capo di abbigliamento rimpicciolito o deformato. Quasi tre quarti (74%) hanno anche sperimentato lo sbiadimento del colore. Quasi 8 europei su 10 (79%) hanno riconosciuto gli errori nel bucato come conseguenza delle proprie azioni. La ragione citata più comune è l’uso di una temperatura eccessiva.

Le ragioni alla base dell’uso persistente, in Europa, di temperature di lavaggio elevate sembrano varie e complesse. Da un lato, la maggior parte delle persone è soddisfatta dei risultati quando lava a 30°C, con solo il 12% che afferma che il lavaggio non risulta efficace come previsto. D'altra parte, quando è stato chiesto che cosa impedisca loro di lavare a 30°C più spesso, più di un terzo (34%) ha riferito di non essere sicuro che questa temperatura rimuoverebbe le macchie. Sicuramente è anche l’abitudine che porta a non abbassare la temperatura. I dati interni di Electrolux Group indicano che l'impostazione cotone a 40°C è la più frequentemente utilizzata nelle lavatrici, con durate dei cicli che vanno tipicamente da 90 a 120 minuti. Idealmente, secondo l'azienda, gli elettrodomestici dovrebbero avere come impostazione predefinita la temperatura ottimale più bassa. Sebbene i nuovi elettrodomestici consentano ai consumatori di regolare le impostazioni predefinite, la ricerca rivela una generalizzata riluttanza e una limitata preparazione: quasi il 74% degli europei si attiene alla temperatura di lavaggio predefinita, e quasi il 30% non sa di poterla cambiare. Analogamente, il 78% degli utenti si attiene alla durata predefinita del ciclo, con il 35% che non sa che può essere regolata.

Pratiche di lavaggio consapevoli riducono l'impatto della cura dei vestiti

"Il nostro rapporto con l'abbigliamento va oltre la mera praticità; contempla anche la gestione ambientale e il consumo responsabile - afferma Sarah Schaefer, VP Sustainability Europe and Apmea at Electrolux Group - Adottando pratiche di lavaggio consapevoli, come abbassare le temperature, abbreviare la durata del ciclo e ridurre l'uso di detersivo, possiamo contenere drasticamente l'impronta di carbonio delle nostre routine di cura dei vestiti. In quest'ottica, fare il bucato non è più un compito banale, ma diventa un atto di consapevolezza: un modo per onorare le risorse che sono state utilizzate per realizzare i nostri vestiti e il Pianeta che ci sostiene".

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Sostenibilità

Vetro italiano ‘net zero’ costerà 15 miliardi...

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La roadmap della decarbonizzazione del settore nello studio realizzato da Assovetro in collaborazione con Kpmg

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Il percorso di decarbonizzazione pianificato dall’Ue per il 2050 comporterà per il settore del vetro una trasformazione radicale nel modo di produrre i manufatti e di utilizzare l’energia, richiedendo nuove tecnologie, infrastrutture adeguate e investimenti ingenti, stimati in almeno 15 miliardi di euro per raggiungere il net zero al 2050. L’industria italiana del vetro, seconda manifattura europea con circa 29mila occupati diretti ad alta specializzazione, nel corso del Convegno 'La transizione ecologica del vetro' ha aperto una riflessione con tutti gli stakeholder e il mondo istituzionale non solo sulle strategie e le tecnologie che le industrie dovranno mettere in campo, ma anche sugli impatti, organizzativi, sociali ed economici, di questo percorso di decarbonizzazione.

"La transizione dell’industria del vetro potrà avere successo - avverte Assovetro in una nota - senza mettere a rischio la competitività industriale, solo con politiche e regolamenti governativi adeguati e calibrati, una chiara e condivisa programmazione degli interventi, incentivi per l’adozione di tecnologie pulite (Ccs, idrogeno, energia verde) sia alla domanda che alla produzione, supporto a ricerca e sviluppo, realizzazione delle necessarie infrastrutture (trasporto CO2, idrogeno e potenziamento rete elettrica)".

Il Convegno è stato anche l’occasione per illustrare lo studio realizzato da Assovetro in collaborazione con Kpmg sugli scenari possibili di decarbonizzazione e presentare le proposte avanzate da Assovetro al governo. “Oggi le produzioni di vetro italiane - ha detto il presidente di Assovetro, Marco Ravasi - sono leader a livello europeo nell’efficienza energetica e nel riciclo. Le aziende hanno piani di investimento per la riduzione delle proprie emissioni di CO2 e tutte stanno investendo in tecnologie innovative. Ma non possiamo fare tutto da soli, né da un punto di vista di risorse né da un punto di vista di programmazione, senza mettere a rischio la nostra competitività: il solo mercato non può guidare questo cambiamento. È necessario che il legislatore si muova con coerenza e gradualità. Senza una roadmap italiana e una guida dell’Europa, si correrà il pericolo di delocalizzare un’industria strategica in Paesi con standard ambientali e sociali più bassi, creando e non risolvendo i problemi”.

LO STUDIO - Lo Studio oltre a fornire un quadro della legislazione Ue sulla decarbonizzazione, esamina emissioni, consumi, strategie, e costi del percorso per centrare l’obiettivo zero emissioni dell’industria del vetro. Nel 2022 le emissioni di CO2, dirette ed indirette, sono state pari a 3.739.539 t/CO2 eq e, in uno scenario business as usual, al 2050 diminuirebbero di poco (3.667.603 t/CO2 eq) anche a causa del previsto aumento delle produzioni: il decremento è dovuto alla riduzione delle emissioni Scope2, quelle derivanti dall’energia elettrica utilizzata nei processi produttivi, mentre le emissioni Scope 1, quelle che derivano dal processo di vetrificazione e dalla combustione dei combustibili fossili nei forni, aumenterebbero, senza interventi, del 22% entro il 2035 e del 7% entro il 2050, seguendo l’aumento delle produzioni e mettendo così in evidenza l'urgenza di azioni per la decarbonizzazione del settore.

Per arrivare al target zero emissioni al 2050, lo studio prende in considerazione sei leve di decarbonizzazione (efficientamento energetico, maggiore utilizzo del rottame, ulteriore elettrificazione, green fuels, tecnologie Ccs e Ccus, utilizzo di materie prime decarbonate) utilizzate in mix variabili in due principali scenari. Il primo scenario è la 'strategia Green Fuels' con un utilizzo predominante di combustibili verdi (biometano, idrogeno) integrato dalla tecnologia Ccs per eliminare le emissioni residuali di CO2, derivanti della reazione di vetrificazione nei forni, legate alle materie prime utilizzate per fabbricare il vetro, indipendentemente dal vettore energetico. Il secondo è la 'strategia Ccs' (trasporto, stoccaggio o riutilizzo della CO2) che prevede ancora l’utilizzo del gas naturale di origine fossile e un ruolo centrale della tecnologia Ccs, a partire dal 2035. Al 2050 i consumi elettrici aumenteranno nella strategia Green Fuels del 387% a causa dell’elettrificazione dei forni e della produzione di idrogeno verde, mentre nella strategia Ccs del 189%.

Per arrivare a zero emissioni al 2050 con una produzione stimata di vetro di circa 8,2 milioni di tonnellate l’anno, secondo la strategia Green Fuels i costi al 2050 subiranno un aumento di circa 122,24 euro/tonnellata di vetro prodotto e, in valore assoluto, di circa un miliardo di euro all’anno, mentre secondo la strategia Ccs, il costo incrementale potrebbe fermarsi a circa 75,52 euro/tonnellata di vetro prodotto e in valore assoluto a 620 milioni di euro/anno. Tuttavia occorre ricordare che tale strategia prevederebbe la realizzazione di una infrastruttura capillare (i cui costi allo stato attuale potrebbero essere sottostimati) e la possibilità di utilizzare gas naturale fossile.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Sostenibilità

Aggiusto, recupero, rivendo e compro meno, è lo shopping...

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L’indagine dell’Osservatorio Non Food 2024 di GS1 Italy

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Aggiusto, recupero, rivendo e compro meno: così gli italiani applicano la sostenibilità̀ nello shopping non Food. Ma vorrebbero più servizi 'green' in negozio. Il 55,9% dei Baby Boomer mantiene con cura e ripara i prodotti acquistati, il 46,6% dei Millennial riduce la spesa non alimentare e il 43,3% della Generazione Z ricorre al mercato del second hand. Sono le conclusioni a cui giunge l’indagine esclusiva sull’approccio degli italiani alla sostenibilità contenuta nell’edizione 2024 dell’Osservatorio Non Food di GS1 Italy, lo studio che ogni anno raccoglie, organizza e sistematizza l’andamento di 13 comparti non alimentari.

"Il tema della sostenibilità e della green revolution è diventato un punto rilevante e le aziende che abbracciano questi princìpi, investendo in materiali ecologici, processi produttivi sostenibili e comunicazione trasparente sulle pratiche ambientali, lo fanno per rispondere alle aspettative dei consumatori, ma spesso anche ottenere vantaggi economici e reputazionali - commenta Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy - Quest’attenzione alla sostenibilità si è tradotta in una forte domanda dei consumatori per prodotti e servizi 'green' anche nei diversi comparti non Food".

I comportamenti di consumo più sostenibili

Lo studio, condotto per l’Osservatorio Non Food da Metrica Ricerche, ha chiesto agli italiani quali fossero i comportamenti di consumo più sostenibili. Al primo posto c’è mantenere con cura e far riparare il più possibile i prodotti (valutazione media 7,7 su una scala da 1 a 10), soprattutto per quanto riguarda elettronica di consumo e abbigliamento, calzature, intimo e accessori. Al secondo posto c’è la preferenza per prodotti di buona qualità e di lunga durata, anche spendendo di più (7,5), anche in questo caso soprattutto negli acquisti di elettronica di consumo e abbigliamento, calzature, intimo e accessori. Il terzo comportamento ritenuto più green è l’acquisto o la rivendita di prodotti usati che non si utilizzano più (7,5), in particolare nell’universo di abbigliamento, calzature, intimo e accessori. Stesso punteggio e stesso settore merceologico trainante per l’attitudine alla riduzione di acquisti e consumi. Da ultima c’è l’opzione di noleggiare un prodotto anziché acquistarlo, la meno considerata (6,2) e quella indicata relativamente in modo più frequente per l’elettronica di consumo (38,5%).

Le differenze generazionali

Spacchettando' queste risposte in base all’età degli intervistati emerge che i Baby Boomer sono più sensibili alla manutenzione, alla riparazione e all’acquisto di prodotti di maggior qualità e durata. Comportamento quest’ultimo considerato rilevante anche dalla Generazione X. Invece la Generazione Z dà valutazioni mediamente più basse e considera al primo posto l’impegno a mantenere con cura i propri acquisti. Ma quante di queste opinioni si tramutano in comportamenti reali? Il 48% dei consumatori ha dichiarato di essersi adoperato nell’ultimo anno per mantenere con cura e far riparare il più possibile i prodotti, il 46,5% per acquistare meno e ridurre i consumi, e a farlo sono stati soprattutto i Baby Boomer (rispettivamente 55,9% e 52,7%). La riduzione dei consumi è il comportamento sostenibile più frequente tra i Millennial (46,6%), mentre tra i giovani della Generazione Z è l’acquisto e/o la rivendita di prodotti usati che non si utilizzano più (43,3%).

I retailer

L’Osservatorio Non Food ha anche raccolto le iniziative adottate in materia di sostenibilità da importanti retailer, in particolare in termini di utilizzo di materiali ecologici, processi produttivi sostenibili e comunicazione trasparente sulle pratiche ambientali. È nell’universo di abbigliamento e accessori che l’attenzione alla sostenibilità trova maggiori declinazioni, come la ricerca di capi di qualità che possano durare nel tempo, la frequentazione di negozi di vendita second hand, la riparazione dei capi danneggiati (gli stessi punti vendita tendono a dare indicazioni sulla manutenzione) o il loro riciclo, spesso promosso dagli stessi retailer. Nell’elettronica di consumo, che ha vissuto una battuta d’arresto delle vendite, aumenta il mercato dei prodotti refurbished o rigenerati, mentre nelle attrezzature sportive il riciclo, la ristrutturazione, la riparazione, la rivendita e il noleggio sono già finestre aperte sul futuro di questo comparto. Anche il mondo della cartoleria si sta impegnando in una direzione più eco-friendly, per esempio tramite linee di prodotti ecologici come le penne biodegradabili e l’utilizzo di carta riciclata per quaderni e agende.

I servizi 'green'

In parallelo, l’Osservatorio Non Food ha chiesto ai consumatori quale servizio pro-sostenibilità vorrebbero trovare nei negozi. Al primo posto, apprezzata in modo trasversale da tutte le generazioni, c’è la possibilità di rivendere un prodotto, comprato nel negozio e che non si usa più (32,6%). Al secondo posto viene indicata la presenza di un servizio post acquisto, ad esempio di riparazione e/o manutenzione per i prodotti acquistati (18,3%), che risulta interessante soprattutto per i Baby Boomer (25,7%). Le altre attività risultano mediamente meno interessanti, con percentuali di preferenza che variano dal 12,8% del ricevere idee su come riutilizzare la confezione di un prodotto prima di buttarlo al 5,5% della possibilità di acquistare prodotti con garanzia di smaltibilità.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Sostenibilità

Riciclo assorbenti, i-Foria Italia raccoglie 1,7 milioni di...

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Il round di investimento è finalizzato allo sviluppo dei primi impianti in Europa

Riciclo assorbenti, i-Foria Italia raccoglie 1,7 milioni di euro

i-Foria Italia, startup innovativa specializzata nel riciclo di rifiuti derivanti da prodotti assorbenti per la persona (PAP), ha completato un round di investimento seed per un valore pari a 1,7 milioni di euro. L’operazione è guidata da Tech4Planet – il Polo Nazionale di Trasferimento Tecnologico per la Sostenibilità Ambientale promosso da CDP Venture Capital, e da MITO Tech Ventures – fondo di venture capital art. 9 SFDR lanciato da MITO Technology.

i-Foria Italia ha sviluppato e brevettato una tecnologia rivoluzionaria con la quale si potrà riciclare fino al 100% dei rifiuti derivanti dai prodotti assorbenti per la persona (PAP), come pannolini e prodotti simili, trasformandoli in Materie Prime Seconde (materiale assorbente e plastica) che potranno essere reintegrate in nuovi cicli produttivi, contribuendo in maniera significativa alla creazione di una vera economia circolare. Il processo non solo rispetta i più stringenti criteri di sicurezza, ma offre anche una soluzione concreta per ridurre l'enorme quantità di rifiuti da PAP che, attualmente, rappresenta un grave problema ambientale per tutti i paesi.

Ogni anno, a livello globale, vengono prodotti 30 milioni di tonnellate di rifiuti da PAP, l'equivalente di una fila ininterrotta di camion che va da Lisbona a Tokyo. In Europa, la quantità ammonta a 8,5 milioni di tonnellate, e in Italia a 900.000 tonnellate – una quantità sufficiente a riempire tre discariche ogni anno.

Con la diffusione della raccolta differenziata dei PAP, che già serve 18 milioni di cittadini italiani, una linea di intervento del PNRR dedicata (M2C1.1 I1.1 Linea C) e l'emanazione del primo Decreto EoW (End of Waste) per i rifiuti da PAP, l'Italia è in prima linea nella gestione sostenibile di questi rifiuti. i-Foria Italia si propone come la soluzione tecnologica chiave per affrontare questa emergenza ambientale, fornendo una risposta efficace e sostenibile.

Il round di investimento concluso da Tech4Planet e MITO Tech Ventures sarà destinato alla validazione della tecnologia e alla realizzazione su scala industriale dei primi impianti in Italia.

“Abbiamo creduto da subito nel potenziale di innovazione introdotto dai brevetti di i-Foria Italia” commenta Claudia Pingue, Senior Partner e Responsabile fondo Technology Transfer di CDP Venture Capital, “Siamo convinti che questo tipo di soluzioni possano rappresentare un importante passo avanti nello sviluppo di un’economia circolare anche in relazione a prodotti di scarto che fino ad oggi non conoscono recupero. La missione di Tech4Planet è quella di sostenere realtà innovative che possano trasformare le industrie tradizionali con un forte elemento di sostenibilità ambientale ed i-Foria Italia è un esempio di come ricerca e sviluppo tecnologico possano generare valore concreto per il mercato e per la società.”

"La soluzione al problema ambientale ed economico rappresentato dai rifiuti da prodotti assorbenti per la persona è stata per noi da sempre l'obiettivo. La scelta di sostenere questa visione da parte di investitori istituzionali di questa rilevanza è per noi motivo di orgoglio e la realizzazione di un sogno. Dimostra che il sistema Paese ha gli strumenti, le competenze e la volontà per accettare e vincere la sfida della transizione ecologica attraverso soluzioni innovative. Il supporto di Tech4Planet e di MITO Tech Ventures è fondamentale per dare un forte impulso alla crescita in Italia e sui mercati internazionali di i-Foria Italia. Continueremo a investire nella ricerca e potenzieremo le attività industriali e lo sviluppo commerciale" ha dichiarato Marcello Somma, fondatore e CEO di i-Foria Italia.

"Come primo investimento del nostro nuovo fondo MITO Tech Ventures, la tecnologia e il team di i-Foria Italia ci rassicurano sul fatto che siamo sulla strada giusta rispetto agli obiettivi di contribuire positivamente all’economia circolare e al recupero di materie prime, assicurando multipli per l’investimento e il contemporaneo perseguimento di obiettivi di interesse ambientale, come vuole la natura del fondo in base all’articolo 9 della normativa SFDR”, ha affermato Francesco De Michelis, CEO di MITO Technology.

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