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Salute, Padovani (Sin): “Stress da rientro amplifica...

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Salute, Padovani (Sin): “Stress da rientro amplifica mal di testa”

Il presidente dei neurologi: "Per combattere o prevenire l’emicrania prendersi cura di sé stessi con yoga, riposo ristoratore, attività fisica e sana alimentazione"

Alessandro Padovani, presidente della Società italiana di Neurologia (Sin)

Per molti il rientro dalle vacanze è fonte di stress, "perché ci riporta a un ritmo che non ci appartiene, in quanto determinato dai diversi impegni quotidiani". Ma per chi ha una condizione di emicrania o di cefalea, "ogni condizione di stress può amplificare ed esacerbare una condizione di cefalea". A dirlo all’Adnkronos Salute è Alessandro Padovani, presidente della Società italiana di Neurologia (Sin).

"Non sorprende - spiega Padovani - che durante i periodi di vacanza o di ozio le persone si sentano meglio, perché finalmente si riappropriano del proprio ritmo biologico mentre quando ritornano alle loro attività, queste diventano spesso fonte di tensione e di ansia. C'è una relazione, infatti, tra stress, ansia, affaticamento, disturbi del sonno e cefalea. È una sorta di circolo vizioso che alimenta un corteo sintomatologico che è strettamente correlato a quegli eventi fonte di stress che la società impone quando torniamo al lavoro, portiamo i figli a scuola, quando provvediamo ai nostri doveri sociali".

Per affrontare al meglio il ritorno in ufficio o tra i banchi di scuola, possibilmente senza mal di testa, Padovani elenca alcuni consigli. "Per prima cosa dobbiamo cercare di prenderci cura di noi stessi ed evitare di aggiungere altri elementi di stress – sottolinea il presidente dei neurologi – evitando di aggiungere altri impegni così come di intraprendere nuove attività. Ma soprattutto di approfittare dei fine settimana, laddove è possibile, per riprendere in qualche modo confidenza con il proprio ritmo biologico riprendendoci del tempo per noi. Ci sono poi tecniche di rilassamento come lo yoga, i cui benefici sono dimostrati scientificamente, che aiutano le persone a recuperare un po' più di resistenza e forza rispetto al mal di testa".

Tra le poche e semplici regole da seguire, "sicuramente mangiare in modo sano e vario, evitare di controllare la tensione con il fumo e l’alcool, limitare il consumo di alimenti ricchi di lieviti perché questi possono peggiorare il mal di testa". E ancora: "dormire in maniera adeguata dedicando al sonno almeno 7 ore, facendo anche uso di tisane e di camomilla e, se necessario, melatonina dietro prescrizione del medico; praticare sempre attività fisica, 30 minuti tutti i giorni sarebbe sufficiente, e soprattutto evitare i conflitti", conclude.

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Tumori, Aiom: “In Italia 14 mesi prima di accedere a...

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Gli oncologi all’Esmo 2024 che si apre oggi a Barcellona: "Così si penalizzano i pazienti. Subito al lavoro con Aifa per abolire i prontuari regionali"

Tumori, Aiom:

È pari a un anno e mezzo (559 giorni, circa 18 mesi) il tempo medio in Europa (nel 2023) per disporre dei nuovi farmaci anticancro, tempi che si sono allungati di oltre un mese rispetto al 2022, quando erano pari a 526 giorni. L’Italia è più rapida rispetto alla media europea, però i pazienti oncologici del nostro Paese devono aspettare ancora 417 giorni, cioè quasi 14 mesi, per accedere ai trattamenti anticancro innovativi. Basta pensare che in Germania, che si colloca al primo posto in questa classifica, sono sufficienti 3 mesi (93 giorni). Da qui la necessità di nuovi modelli per consentire l’immediata disponibilità delle terapie salvavita, partendo dall’abolizione dei Prontuari terapeutici regionali (Pts), ancora presenti in 12 Regioni (Valle d’Aosta, Provincia Autonoma di Bolzano, Emilia-Romagna, Marche, Umbria, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia). La richiesta viene dall’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), nella conferenza stampa ufficiale della società scientifica al Congresso della Società europea di oncologia medica (Esmo), che si apre oggi a Barcellona.

"I farmaci autorizzati da Ema, l’agenzia regolatoria europea, vengono commercializzati negli Stati membri dopo periodi più o meno lunghi, che possono essere anche molto diversi – afferma Francesco Perrone, presidente Aiom - Il tempo che trascorre fra il deposito del dossier di autorizzazione e valutazione all’Ema e l’effettiva disponibilità di una nuova terapia nella Regione italiana che per prima rende disponibile il farmaco si aggira intorno a 14 mesi. Tempi che si sono ridotti rispetto a 5-10 anni fa, quando superavano 2 anni, ma ancora troppo lunghi perché possono penalizzare fortemente i malati oncologici. Per ridurre i tempi di latenza, devono essere aboliti i Prontuari terapeutici regionali e va consentita l’immediata disponibilità dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, anche nelle more delle gare regionali”. Dopo l’inserimento nei Prontuari Terapeutici Regionali -sostengono gli esperti - ulteriori ritardi possono essere causati dalle procedure burocratiche per l’inclusione anche nei Prontuari terapeutici ospedalieri.

"Vogliamo collaborare con l’Agenzia italiana del farmaco, per definire nuovi modelli – continua Perrone -. Anche il presidente Aifa, Robert Giovanni Nisticò, ha evidenziato l’importanza di garantire procedure celeri, rigorose ed efficienti e fare in modo che i farmaci autorizzati siano effettivamente disponibili per il paziente in tempi rapidi in un’ottica di appropriatezza, sostenibilità ed efficienza. Siamo inoltre preoccupati per i lunghi tempi richiesti per l’approvazione degli studi clinici, che rendono i centri italiani meno competitivi rispetto a quelli degli altri Paesi. Nonostante vi siano regole, come il modello di contratto unico, non vengono applicate in Italia. Restano quindi difficoltà burocratiche nelle sperimentazioni che prolungano i tempi di approvazione e attivazione".

"Nonostante il Regolamento europeo n.536 del 2014 per la ricerca clinica abbia stabilito tempi di autorizzazione allineati per tutti i Paesi membri (da un minimo di 60 giorni a un massimo di 106 a partire dalla data di sottomissione), in Italia i processi amministrativi di approvazione risultano ancora più lunghi e difficoltosi rispetto alla media europea e fino al 2025 ci sarà un periodo transitorio di validità della vecchia normativa sugli studi in corso - spiega Massimo Di Maio, presidente eletto Aiom - Inoltre, anche se vi è stata una significativa riduzione dei comitati etici, con 40 territoriali più 3 a valenza nazionale, è importante ripensare i processi a livello dei centri di sperimentazione, su cui ricadono tutti gli aspetti amministrativi, per restare competitivi".

In generale, "è cruciale - sottolinea Di Maio - puntare ad un’armonizzazione e semplificazione delle procedure amministrative che in tanti casi comportano mesi di attesa prima di attivare le sperimentazioni cliniche nei centri italiani: questo mette a rischio l’attrattività del nostro Paese per i promotori profit e comunque ritarda l’opportunità della partecipazione agli studi per i pazienti".

Nel 2022, sono state autorizzate da Aifa 663 sperimentazioni e quasi il 40% ha riguardato l’oncologia, una percentuale costante negli ultimi anni. "In Italia – continua Di Maio - ogni anno migliaia di cittadini colpiti non solo da tumori ma anche da altre patologie, partecipando agli studi clinici, possono beneficiare di trattamenti innovativi con grande anticipo, rispetto alla loro disponibilità e, quindi, di maggiori possibilità di guarigione, ottenendo miglioramenti anche in termini di qualità di vita. I vantaggi degli studi clinici non sono solo per i pazienti e per la scienza, infatti il Servizio sanitario nazionale ottiene un beneficio anche economico grazie ai costi evitati per le terapie, sostenuti dalle aziende sponsor dei trial".

È dimostrato che un euro investito in uno studio clinico ne genera quasi 3 (2,95) in termini di benefici per il Ssn - evidenziano da Aiom - L’effetto leva, determinato dai costi evitati per l’erogazione a titolo gratuito di terapie sperimentali e prestazioni diagnostiche alle persone arruolate nei trial, raggiunge addirittura 3,35 euro nelle sperimentazioni contro il cancro. Basti pensare che il costo medio di una ricerca in oncologia è di 512mila euro, ma quelli evitati sono più del doppio, pari a 1 milione e 200mila euro.

"Il Regolamento europeo ha uniformato tra loro i Paesi europei ma ha allungato di fatto i tempi di approvazione rendendo nel complesso l’Europa meno competitiva rispetto alle altre macroregioni, per cui le aziende farmaceutiche tendono ad investire altrove – afferma Giuseppe Curigliano, presidente eletto Esmo e membro del Direttivo nazionale Aiom - Ad esempio, gli studi di fase I sempre più spesso iniziano negli Stati Uniti, Australia e Asia. È importante risolvere questi problemi, perché i risultati della ricerca scientifica sono evidenti".

In Italia, nel 2023, sono stati stimati 395.000 nuovi casi di tumore. "In tre anni, l’incremento è stato di 18.400 diagnosi - ricorda Curigliano - Grazie anche alle terapie innovative, l’oncologia del nostro Paese ha fatto registrare importanti passi avanti, con migliaia di vite salvate. Dal 2007 al 2019, in Italia sono state evitate quasi 270mila morti oncologiche. E in Europa, dal 1988 a oggi, i progressi contro i tumori hanno salvato più di 6 milioni di vite. Il cancro è sempre più una malattia curabile e molti pazienti guariscono".

Al Congresso Esmo "sono presentati studi che cambiano la pratica clinica in neoplasie in cui non vi erano reali progressi da decenni, come quella della cervice uterina localmente avanzata - fa notare Curigliano - È riservato grande spazio all’immunoterapia in diversi tumori, dal melanoma a quelli ginecologici, della mammella e della vescica. Senza dimenticare gli anticorpi farmaco coniugati che sono altamente selettivi per le cellule tumorali, riducendo al minimo i danni alle cellule sane circostanti e aumentando l’efficacia del trattamento. È approfondito anche il ruolo dell’intelligenza artificiale nella diagnostica molecolare e nelle terapie, per individuare i meccanismi di resistenza alle cure e offrire nuove opzioni”.

Un ruolo decisivo nella riduzione della mortalità è svolto anche dai programmi di screening. "È necessario investire di più nella prevenzione secondaria - avverte Saverio Cinieri, presidente Fondazione Aiom -. Nel 2023, in Italia, il 55% delle donne si è sottoposto alla mammografia per la diagnosi precoce del carcinoma mammario. Il 35% degli uomini e delle donne over 50 ha svolto la ricerca del sangue occulto nelle feci per il carcinoma del colon retto. Per la neoplasia alla cervice uterina il 41,5% delle donne ha effettuato il test Hpv o il Pap test. Sono dati in miglioramento rispetto agli anni precedenti, ma non bastano perché restano forti differenze regionali".

"Servono campagne di informazione per sensibilizzare la popolazione e le nuove tecnologie dovrebbero essere maggiormente sfruttate per coinvolgere i cittadini. L’Unione Europea, infatti, chiede che il 90% della popolazione che soddisfa i requisiti per lo screening del carcinoma della mammella, della cervice uterina e del colon-retto abbia la possibilità di eseguire questi esami entro il 2025", conclude.

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Cardiologo Tondo: “Con pacemaker senza fili margine...

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Sul primo pacemaker bicamerale senza fili disponibile in Italia: "Un passo importante della tecnologia per aritmie che sono in aumento"

Claudio Tondo, direttore del Dipartimento di Aritmologia, Centro cardiologico Monzino Irccs Milano

"I pacemaker senza fili si introducono direttamente nelle cavità cardiache senza la necessità di avere una ferita chirurgica, come accade quando si impianta un pacemaker convenzionale", per il quale "il rischio infettivo va tra l'1% e il 5% di tutti gli impianti". Il pacemaker senza fili "è un passo importante della tecnologia perché offre al paziente un margine di sicurezza decisamente più elevato". Lo ha detto Claudio Tondo, direttore del Dipartimento di Aritmologia, Centro cardiologico Monzino Irccs Milano, partecipando all'evento organizzato oggi a Milano da Abbott con vari esperti e nel corso del quale l'azienda ha annunciato la disponibilità in Italia di Aveir* Dr, il primo sistema di pacemaker bicamerale senza fili al mondo per trattare le persone con un ritmo cardiaco anomalo o più lento del normale.

Le aritmie cardiache sono in aumento. Tra queste la "bradicardia" che si caratterizza per "avere una frequenza cardiaca al di sotto dei 60 battiti al minuto - spiega il cardiologo - Nella popolazione generale vi sono alcuni soggetti la cui frequenza di base è al di sotto dei 60 battiti al minuto, perché geneticamente sono nati così. Questo non significa che siano pazienti da considerare cardiopatici - avverte - La bradicardia però può essere anche indotta da farmaci e quindi il paziente può avvertire stanchezza, scarsa concentrazione. Quindi in questi casi si parla evidentemente di una bradicardia sintomatica". Ci sono poi "soggetti giovani che sono degli sportivi e lo sport, soprattutto di resistenza come la corsa, la marcia, il nuoto, il ciclismo, facilita la riduzione della frequenza cardiaca. Questi soggetti sono bradicardici, ma è un'espressione fisiologica del nostro apparato cardiovascolare".

Di particolare interesse sono le "bradicardie nelle decadi più avanzate - precisa Tondo - su soggetti anziani dove l'aumento dell'età comporta una degenerazione progressiva della cosiddetta 'centralina', da dove nasce il nostro impulso. In questi soggetti c'è una progressiva riduzione della frequenza cardiaca che può comportare, in certi casi, una riduzione marcata" del ritmo "e quindi determinare dei sintomi sino addirittura ad arrivare anche a sincopi o lipotimie, cioè il soggetto può perdere conoscenza proprio perché la frequenza è eccessivamente bassa". Nel trattamento delle aritmie "i pacemaker senza fili non fanno altro che riprodurre esattamente la funzione del pacemaker convenzionale - conclude Tondo - Non c'è una differenza da un punto di vista della stimolazione, ma tutta una serie di vantaggi".

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Ortopedici, ‘cautela su uso osteopatia, solo dopo...

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Ortopedici, 'cautela su uso osteopatia, solo dopo prescrizione medica'

L'osteopatia va usata con "molta cautela. Noi come società scientifica mettiamo in guardia dall'eseguire certe manovre cruente perché spesso portano poco beneficio ai pazienti. L'ortopedico deve fare la diagnosi e se necessario fa una prescrizione che l'osteopata deve seguire. Quindi solo sempre mediazione di un professionista medico, che può essere anche il fisiatra". Così all'Adnkronos Salute Alberto Momoli, presidente della Siot, Società italiana ortopedia e traumatologia, interviene sul post su X del giornalista Andrea Vianello che ha stigmatizzato la manovra fatta da un osteopata ospite di 'Unomattina', simile a quella che 5 anni gli avrebbe - come scrive il giornalista - causato "la dissecazione della carotide e l'ictus".

"Se un paziente ha un'ernia del disco o cervicale non deve subire certe manovre", aggiunge Momoli. Da poco è stato istituito il corso di laurea in osteopatia: "Sarebbe stato meglio inserirla come specializzazione all'interno del corso di laurea in Fisioterapia", conclude il presidente Siot.

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